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L'ajo nell'imbarazzo

L'AJO NELL'IMBARAZZO

Melo-dramma giocoso in due atti a sette voci.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Jacopo FERRETTI.
Musica di Gaetano DONIZETTI.

Prima esecuzione: 2 febbraio 1824, Roma.


Personaggi:

Il marchese GIULIO Antiquati

baritono

Il marchese ENRICO suo figlio

tenore

Madama GILDA Tallemanni sposa di Enrico

soprano

Il marchese PIPPETTO altro figlio del marchese Giulio

tenore

Signor GREGORIO Cordebono ajo in casa del marchese Giulio

basso

LEONARDA cameriera attempata

mezzosoprano

SIMONE servo del marchese

basso


Cori di quattro Servi, due Camerieri, due Lacchè del Marchese.

La scena è in Roma in casa del Marchese Antiquati.

Protesta e scusa del versificatore

Ho desunto l'argomento di questo melo-dramma giocoso da una fortunata commedia. Chi non la conosce? Chi non l'applaudì? Ma stretto dall'imponente, ed inevitabile legislazione del teatro musicale, mi è stato forza introdurvi qualche variazione, ed accorciare qua e là vari tratti vaghissimi. Di ciò dimando rispettosamente perdono a tutti coloro, che ignorano l'eculeo, cui sono condannati i poeti per opere in musica; ché da chi ne fece esperimento, o n'ebbe notizia, spero trovar pietà non che perdono. So, che il primo non sono a verseggiare questo argomento; ma ho fede d'esser fra tutti il più fedele allo spirito dell'autore della commedia; ché se pur questa fiducia è un sogno, solennemente protesto non avervi parte la volontà.

Atto primo

[Sinfonia]

Scena prima

Camera con quattro porte laterali, ed una in mezzo con bussole, e cortine. Tavolino con recapito da scrivere. Vari libri, quaderni, e quattro sedie.
Pippetto seduto al tavolino, e Gregorio in veste da camera passeggiando, dando lezione; indi Leonarda con cabarè d'argento, tazza di caffè al latte e biscottini, poi Simone e Servi ecc.

[Introduzione]

GREGORIO

Mi traduca dal volgare

questo breve latinuccio:

«Nasco solo per studiare.»

PIPPETTO

Ad amandum nascor...

GREGORIO

Ciuccio!

Ma che razza di cervello

similissimo a un crivello!

Nulla mai si può restar!

Cosa c'entra il verbo «amar»?

«Studieremo.»

PIPPETTO

Nos amabimus.

GREGORIO

Siam da capo.

PIPPETTO

Ho poca pratica:

ma di tutta la grammatica,

amo amas solamente

nella testa mi restò!

GREGORIO

(Proprio il verbo più insolente

che la fisica inventò.)

Mi dia qua le sue facciate.

Ah! che lettere storpiate!

(siede, e si pone a correggere non vedendo Leonarda)

Sono sciabole, e rampini.

LEONARDA

Ecco qui co' i biscottini

il tuo latte col caffè

PIPPETTO

Cara, cara Leonardella,

creperei senza di te.

LEONARDA

Mangia, mangia bocca bella,

ma poi sempre pensa a me.

GREGORIO

L'«I» più dritto, l'«S» più storto,

l'«A» più larga, l'«O» più tondo:

non si trova in tutto il mondo

un paziente più di me.

LEONARDA

Pippo mio...

PIPPETTO

Non farmi torto.

PIPPETTO E LEONARDA

Se si gira tutto il mondo

quanto è lungo, largo e tondo

più fedel di me non v'è.

GREGORIO

(accorgendosi che parlano sottovoce)

Alto là: qual confidenza?

LEONARDA

Gli portai la colazione.

GREGORIO

Ora è tempo di lezione,

e mi sembra impertinenza

il venirlo a divagar.

LEONARDA

Notte e giorno a tavolino!

Lo volete far schiattar?

GREGORIO

(Sta a veder che un polverino

su quel muso io fo volar.)

PIPPETTO

Io quest'altro biscottino

voglio intanto masticar.

(segue a mangiare avidamente stando a sedere)

(sottovoce fra loro, mentre Leonarda sta per partire col cabarè avendo inteso)

Addio cara.

LEONARDA

Core addio.

GREGORIO

Core!... Cara!... Ah vecchia pazza!

LEONARDA

Vecchia a me?

PIPPETTO

(Mi par ragazza.)

LEONARDA

Vecchia a me! Me la vedrò.

GREGORIO

Vecchia... vecchia marcia via,

o dai gangheri uscirò.

LEONARDA

(avanzandosi verso Gregorio in collera con voce soffocata)

Vecchia a me! Me la vedrò.

GREGORIO

Luca, Simone, Pietro, Matteo,

Checco, Girolamo, Bartolomeo.

(corre alla porta di mezzo, da cui alle sue voci vengono Simone, ed i servi)

Tutti venite ~ Tutti m'udite.

SIMONE E CORO

Siam qui prontissimi ad ascoltar.

GREGORIO

Quando qui studio coi signorini,

sia di carattere, sia di latini,

sia di rettorica, di poesia,

sia di aritmetica, di prosodia

di metafisica, di ortografia,

di numismatica di geografia,

nemmeno il diavolo ha da passar.

Ché se al marchese ne faccio un motto,

fo un sottosopra, un sopra e sotto,

qualcuno all'aria faccio saltar.

SIMONE E CORO

Signor maestro, sarà servito,

non vada in collera sarà obbedito.

Vossignoria sia persuasa

che ad un suo cenno tutta la casa

obbedientissima si mostrerà.

GREGORIO

Zitto, in silenzio, la non mi replichi;

(fiero a Pippetto)

mandi a memoria la sua lezione.

Con la grammatica, col Cicerone,

nelle sue camere vada a studiar.

LEONARDA

Brutta può darsi, vecchia non sono;

questa parola non la perdono.

M'ha detto vecchia, se ne ricordi,

questa parola l'ha da pagar.

GREGORIO

Le ho detto vecchia, non cangio tuono,

gliela mantengo da quel che sono.

Sento benissimo, non parla ai sordi:

mi lasci stare, vada a filar.

PIPPETTO

S'imbroglia il tempo: sento già il tuono.

(raccoglie i libri, ed i quaderni ponendoseli sotto al braccio)

Per me non tremo, son buono, buono.

Ah come strillano! che siano sordi?

Fo marco-sfila; vado a studiar.

SIMONE E CORO

Ma, via non s'alteri, non le conviene,

zitta, Leonarda, che non sta bene.

Con questa collera ci fate ridere,

se vien don Giulio vi fa tremar.

(Simone e servi partono: indi Simone ritorna, Leonarda nel partire dal fondo fa cenno a Pippetto, che cautamente a lei si accosta)

Recitativo

LEONARDA

Quando puoi vien da me. Voglio insegnarti

a far meglio le calze traforate.

PIPPETTO

Sì fra poco verrò.

(Leonarda parte)

GREGORIO

(volgendosi)

Ma cosa fate?

PIPPETTO

Me n'andavo a studiar.

GREGORIO

Farete bene.

Coi servi, e con la serva

non istate a ciarlar; perché hanno in uso

certe frasi ordinarie, e dozzinali,

e voi le ripetete tali, e quali.

PIPPETTO

Ma se non vedo altri!

GREGORIO

(E qui ha ragione.)

Ma imitate il linguaggio

del papà, del maestro.

PIPPETTO

Sì, signore;

ma Leonarda ha un parlar...

GREGORIO

Molto sguaiato.

PIPPETTO

(E a me pareva un Ciceron stampato.)

(entra nella sua camera)

GREGORIO

Sciocco di prima classe! E suo fratello

che avrà, che sempre è mesto? Eh! L'indovino.

Capirà d'esser grande, ed avrà rabbia

star sempre in casa, vale a dire in gabbia.

Ah! don Giulio, don Giulio,

con quel tenerli in tanta gelosia

tu rovini i tuoi figli!

SIMONE

Sua eccellenza,

prima d'uscire vuol parlarle, e dice,

che verrà qua.

GREGORIO

Per bacco!

Sono in veste da camera; non voglio,

che mi trovi così. Caro Simone

mi vesto, e vengo giù da sua eccellenza.

Farmi veder così, non è decenza.

(parte in fretta dalla porta di mezzo)

SIMONE

Se aspetta sarà peggio. Ha l'irascibile

sempre al comando suo. Non ride mai...

Eccolo. Andiamo via; non voglio guai.

(esce)

Scena seconda

Don Giulio in abito di gala, entra, e posa il suo cappello sul tavolino, indi dalla porta di mezzo il signor Gregorio in abito decente per uscir di casa.

[Cavatina]

GIULIO

Basso, basso il cor mi dice

del mio sen dal più profondo:

no, d'un padre in questo mondo

non v'è stato più infelice.

Nel pensare ai cari figli,

sempre sognansi perigli;

perché è tanto iniquo il secolo,

che fa il senno ribaltar.

Ma l'empia origine ~ di tanto male

è solo il perfido ~ sesso fatale,

che tutto smorfia, ~ tutto languore,

desta un incendio ~ nel nostro cuore,

che in fumo, e in cenere ~ lo fa cangiar.

Cari miei figli, ~ di questi affanni

non soffrirete ~ che ai quarant'anni.

Quando il criterio ~ sarà maturo,

quando il giudizio ~ sarà sicuro,

quando il pericolo ~ sarà passato,

quando sia l'epoca ~ di mutar stato,

con donne giovini ~ converserete,

ci parlerete; ~ ma prima no:

son uom di mondo, ~ so quel che fo.

[Scena e duetto]

Questi miei figli un peso, un peso enorme

saran sempre per me. Con questo austero

freddo contegno mio,

ch'ereditai dagli avi, ah quanti rischi

io lor faccio evitar! La vita è un mare,

penso ai naufragi miei:

veder perirvi i figli io non vorrei.

GREGORIO

Eccellenza, comandi.

GIULIO

Son dieci anni

che voi siete con me. Non voglio titoli;

franchezza, ed amistà; di voi mi fido.

Siete il migliore amico,

che conobbi finora.

GREGORIO

Mi confonde,

troppa bontà.

GIULIO

Sentite;

esco per una visita,

in casa del ministro,

che di molta premura

or m'ha fatto chiamar. Starò gran tempo;

forse vi resto a pranzo; se non torno

verso le tre, ordinate,

sedete capo-tavola, e pranzate.

GREGORIO

Obbedirò.

GIULIO

Mio caro amico, io voglio

una grazia da voi.

GREGORIO

Grazia? Signore!

GIULIO

Ascoltate, Gregorio, io vi apro il cuore.

Amo, adoro i miei figli.

GREGORIO

Che siate benedetto.

GIULIO

Ma il mio caro Enrichetto!... Ah!... Quel ragazzo!...

GREGORIO

(Povero ragazzino

che ha già venticinque anni!)

GIULIO

Io non comprendo

da quale oppresso sia

fatal melanconia! Mangia sì poco,

non ride mai, sospira, e qualche volta

gli ho sorpresa sul ciglio

una stilla di pianto... Oh dio!... M'è figlio;

vorrei... che voi... mio caro...

GREGORIO

Dica, dica.

GIULIO

Io gli do soggezione,

non so usar certe frasi,

non parlo per metafora;

vorrei, che voi cercaste

di strappargli dal seno

questo segreto.

GREGORIO

Io quasi il so.

GIULIO

Che?... Come?...

Qualche cosa sapete?

Non mi fate penar.

GREGORIO

Dirò?...

GIULIO

Sedete.

(tira innanzi due sedie, e siedono)

GREGORIO

Ma il ministro?

GIULIO

Che importa? I cari figli

i cari figli miei, quelle due caste

tortorelle innocenti

sono il primo pensier d'un padre amante.

GREGORIO

Or dunque...

GIULIO

Sull'istante

tutto, tutto d'Enrico io saper voglio.

GREGORIO

Le dirò!...

GIULIO

Dite tutto.

GREGORIO

(Ohimè! Che imbroglio!)

Le dirò... così... a quattr'occhi

quel che vado mulinando.

GIULIO

Dite pur... non siam due sciocchi:

dite pur... Ve lo comando.

GREGORIO

(imbarazzato)

Non vorrei... però... mi spiego...

ch'ella in collera montasse!

GIULIO

No, mio caro... Ma vi prego

(con cautela)

discorriamo a voci basse.

GREGORIO

(Io per me non so far scene,

d'adulare io non so l'uso.

Gliela spiffero sul muso,

gliela sparo come va.)

GIULIO

(Ah! Mi tremano le vene!

Ch'abbia visto un qualche abuso?

Me meschin! Fa un certo muso,

che gelare il cor mi fa.)

GREGORIO

Eccellenza; il buon Enrico

è ipocondriaco, alterato...

come penso gliela dico...

per trovarsi sequestrato

sempre in casa, o a Porta Pia

con serissime persone

mai tantino d'allegria,

mai fochetti, mai pallone,

mai teatri, mai festini,

mai nemmeno ai burattini...

Non è stucco; egli sospira

un tantin di libertà.

Ah! Marchese, tira, tira,

alla fin si spezzerà.

GIULIO

Resto assai scandalizzato,

no, Gregorio, io non ve 'l taccio.

Nell'avervi ritrovato

così reo filosofaccio.

Voi vorreste i figli miei

coi costumi tanto infetti,

dei galanti cicisbei,

dei moderni pasticcetti,

che hanno sempre nel discorso

i romanzi, o il gioco, o il corso.

La sbagliate: si diventa

così pien d'iniquità.

Ah maestro! Allenta, allenta;

alla fine si cascherà.

GREGORIO

Non parlar con donne mai...

GIULIO

Donne! Donne! È meglio un fulmine.

(alzandosi con impeto)

Ah maestro! Che ascoltai?

Voi, per certo, oggi tenete

qualche cosa per la testa.

Perché detto non m'avete

mai sciocchezza come questa.

Donne! Oh ciel! Mi prende un brivido,

e mi sembra di sognar.

Maestro pensate ~ a quel che vi dico:

scoprite tentate ~ l'affanno d'Enrico,

(risoluto prendendolo per mano)

ma sì perigliose ~ idee scandalose

con quelle colombe ~ non state a svelar.

GREGORIO

(confuso)

Mi scusi marchese ~ dicevo ~ m'intende.

Non so se m'intese ~ volevo ~ comprendo

d'Enrico il pensiero ~ scoprir non dispero.

Del resto non pensi ~ mi so regolar.

GIULIO

(Perbacco il maestro ~ ha perso il cervello,

oppure egli è un lupo ~ col manto d'agnello.

All'erta, don Giulio ~ bisogna scoprire,

sentire, capire ~ il velo squarciar.)

GREGORIO

(L'amico mi crede ~ svanito il cervello,

o un lupo mi stima ~ col manto d'agnello.

All'erta Gregorio ~ bisogna smentire

patire, inghiottire ~ non far sospettar.)

(escono dalla porta di mezzo)

Scena terza

Esce Enrico concentrato in profondi, e dolorosi pensieri, indi Gregorio.

Recitativo

ENRICO

Che mai sarà di me? Qual tetro aspetto

prende la sorte mia!

D'un crudo genitor la tirannia,

mi opprime, m'incatena;

né sola è la mia pena.

Altri meco divide il mio dolore;

parlar m'è forza... ma mi manca il core.

[Cavatina]

Nel primo fior degl'anni

penar ~ spirar dovrò!

Né i miei spietati affanni

narrar, ~ spiegar potrò!

Che strano cimento! ~ Che strazio, che pena!

Mostrar nel tormento ~ la fronte serena!

Sull'occhio, sul viso ~ di pianto bagnato

costringere il riso, ~ mentire piacer?

Oh barbaro stato, ~ oh crudo dover!

Recitativo

È ver che il grado è uguale,

ch'è bella, e saggia, oh dio!

Che val col padre mio? Finché il segreto

conservarsi potea, cento speranze

lusingavano il cor. Ora che Gilda

ha me solo per sé...

GREGORIO

(Già siamo al solito

fabbricando lunari.) Enrico mio

facciamo quattro passi.

ENRICO

Vi prego dispensarmi.

GREGORIO

Stiamo in casa,

ma mutrie non ne voglio.

ENRICO

No, signore.

GREGORIO

No, signore, e piangete?

Ma saper si può, che cosa avete?

Enrico, Enrico mio l'ajo non sono,

sono il padre, l'amico,

tutto sono per te. Svelami, parla,

tacerò, te lo giuro.

Tutto per te farò. Non arrossirti.

Siam uomini si sa. Figlio mio caro,

vieni nelle mie braccia. (A tempo e luogo

sparo la batteria.

Vedrò se vince l'eloquenza mia.)

ENRICO

Ma giurate?

GREGORIO

(Si piega.) Quel che vuoi.

ENRICO

Signor Gregorio, io m'abbandono a voi.

GREGORIO

Ditemi il vostro male...

ENRICO

Ah! Donne!

GREGORIO

(con un urlo di meraviglia)

Donne!

Tu burli?

ENRICO

Sì, una donna è la cagione

di mie fiere sventure.

GREGORIO

(gridando)

Anima nera!

ENRICO

Ma mio padre dov'è?

GREGORIO

Sta dal ministro;

forse a pranzo non torna.

ENRICO

(Ecco il momento!)

Tutto vi narrerò.

GREGORIO

Bravo!

ENRICO

Chiudete

quelle porte. Pippetto con Leonarda

potrebbero venir.

GREGORIO

Sì, figlio mio.

(eseguisce)

ENRICO

Fate sortir il servo, e i camerieri.

GREGORIO

Sì farò sortir tutti, non pensate.

ENRICO

Tutto, tutto vedrete. E poi?

(entra in camera)

GREGORIO

Sperate.

Ehi chi è di là?

Scena quarta

Simone, e detto.

SIMONE

Comandi.

GREGORIO

Oh Simoncino,

chi è di guardia?

SIMONE

Son solo. I servitori

usciron col marchese. I camerieri

a spasso se n'andarono.

GREGORIO

Venite

nelle camere mie. Vi do due polizze,

portatevi in dogana, e dai facchini

fatemi recar qua due telescopi,

un atlante, e i volumi

che mi vengon di Londra. (Almeno, almeno

ci vogliono tre ore.)

Poi saprò regalarvi.

SIMONE

Sì signore.

(partono dal fondo)

Scena quinta

Enrico dalla sua camera, indi Gilda dal fondo, entrando rapida, e guardinga.

[Scena e Cavatina]

ENRICO

Qual azzardo! A un mio cenno

balza in piè, lascia il figlio, e vola... è dessa!

(sentendola camminare)

Il servo... forse... Gilda!

(vedendola arrivare)

GILDA

Enrico mio!

ENRICO

Non ti vide nessuno?

GILDA

Nessuno affatto.

Ma di', che novità?

ENRICO

Qui siam sicuri.

Hai da parlar coll'ajo.

GILDA

Non mi piace

quella fisionomia.

ENRICO

Pure ha un ottimo cuor. Mi strinse al petto

giurò aiutarmi. Io non trovai parole...

mi raccomando a te.

GILDA

Nei casi estremi?

Ci vogliono le donne... e perché tremi?

(osserva Enrico che sta impaurito)

Figlia son d'un colonnello;

ho uno spirito marziale,

e qui dentro al mio cervello

ho malizia in quantità.

Quando parlo, non c'è male;

se sospiro è meglio ancora,

e se piango, in men d'un'ora,

quel che voglio si farà.

Di romanzi, e di novelle

io ne ho lette tante, e tante,

e so cento cose belle,

che sul labbro d'un amante,

quando a tempo sian sparate,

con due smorfie, e un sospiretto,

sono tante cannonate,

che non mancano d'affetto,

e fan gli uomini più dotti

da merlotti ~ giù cascar.

Gilda tua si raccomanda

ridi, brilla, e lascia far.

Scena sesta

Gregorio dal fondo, e detti.

Recitativo

GILDA

Sì, Enrico mio...

GREGORIO

Chi è là... Corpo di bacco

una donna?

GILDA

Cos'è? Vide il demonio?

GREGORIO

Non siete voi la figlia

del colonnello Tallemanni?

GILDA

Morto

nell'ultima battaglia.

GREGORIO

E che abitate?...

GILDA

Qui rimpetto nel vicolo.

GREGORIO

E voi siete

la cagion del suo duol?

GILDA

Tant'è.

GREGORIO

Ma brava!

E come?

GILDA

Dal balcone

guardò me, guardai lui, rise, sorrisi;

guarda, ridi, sospira...

GREGORIO

Finalmente?

GILDA

Scappa una notte, e vien da me. Tre ferri

di calzetta attortigliai,

sforzai la molla, e l'uscio spalancai.

GREGORIO

E allora?

ENRICO

Allor mentr'io

il casto affetto mio

lacrimando spiegava...

GREGORIO

Ebbene?

GILDA

Arriva

mia madre.

GREGORIO

A tempo.

GILDA

E casca semiviva.

GREGORIO

Si fece male?

GILDA

No; la vecchia serva

corse alle grida, e si riebbe.

GREGORIO

E allora

cosa diavolo disse?

GILDA

Figuratevi.

ENRICO

Ve lo lascio pensar.

GILDA

Enrico mio

propose un matrimonio.

GREGORIO

E vostra madre?

ENRICO

L'approva, e benedice.

GREGORIO

E voi?

GILDA

Ci demmo

la man di sposi, e nel seguente giorno

segretissimamente

sacro l'atto e legal fu reso.

GREGORIO

Dunque?

GILDA

Noi siamo sposi.

GREGORIO

Sposi? Voi burlate?

E il paterno consenso? Andate, andate.

Son tradito! Bricconi! Indegni! Cani!

Di me, di voi, di tutti

che mai sarà? Don Giulio

vi fulmina, vi stritola.

ENRICO

Gregorio!

GILDA

È fatta.

ENRICO

È un anno.

GREGORIO

Un anno? Io sudo freddo.

E la madre?

GILDA

È partita per Milano

a raccoglier gli effetti di mio padre.

GREGORIO

(ad Enrico)

Tu l'hai da mantener?

GILDA

Mi pare giusto.

GREGORIO

Il padre tuo non ti dà mai denaro.

ENRICO

Tre scudi l'anno o 'l dì sei di gennaro.

GILDA

Per befana.

GREGORIO

Befana! (Ah padre bestia!)

GILDA

Per me non è molestia,

campo di poco assai, ma già il destino

ci ha dato...

ENRICO

E quanto è caro!

GILDA

Un Bernardino.

[Terzetto]

GREGORIO

Come? Come?

(rimanendo immobile per la meraviglia)

GILDA E ENRICO

Un Bernardino.

GILDA

Uno solo.

ENRICO

È senza fiato.

(osservando Gregorio stupido)

GILDA

Restò là pietrificato.

GILDA E ENRICO

(pregando)

Ah! Gregorio!

GREGORIO

Un Ber-nar-din!

Coppia rea! Su te sta il fulmine;

ti abbandono al tuo destin.

Quando sa, che tu sei sposo,

quando sa, che questa è madre

quella bestia di tuo padre,

penserà, dirà, farà...

qualche gran bestialità.

(gettandosi a sedere disperato col capo appoggiato al tavolino)

GILDA E ENRICO

Ah! Da tutti abbandonati,

sventurati, ~ che faremo?

Resta sol nel fato estremo

l'andar morte ad incontrar.

ENRICO

(tirandolo dolcemente per l'abito)

Se diceste una parola;

se diceste...

GREGORIO

Scassa, scassa.

Questa orribile matassa

penserete a sviluppar.

GILDA

Lascialo quel tiranno.

(strappa Enrico da Gregorio e facendolo correre all'altro lato)

GREGORIO

Tiranno? a chi? a Gregorio?

GILDA

È tal chi al nostro affanno

serba di sasso il cor.

Di tanti falli, il sai,

sola cagion son io.

Deh! tu lo sposo mio

salva dal genitor.

(con espressione)

Di me... di me... che importa?

Si compia il mio destino.

(sceneggiando e guardando sempre Gregorio che si commuove)

Andrò di porta in porta

col figlio mio bambino

mesta, raminga, debole

nel fiore dell'età

ad implorar pietà.

GREGORIO

(Ahimè! Mi vien da piangere,

e pianger non vorrei;

chi diavolo è costei?

Il cor mi fa piegar.)

GILDA

(Casca; comincia a piangere;

vincer, trionfar dovrei.)

(tornando a sceneggiare)

Chi a tanti affanni miei

conforto può negar?

ENRICO

(di furto a Gilda)

Me pur, me pur fai piangere!

Come eloquente sei!

Ah! Voi dovete oh dèi!

quest'alma consolar.

GILDA

Enrico... Addio... Perdono.

(in atto di partire)

GREGORIO

(singhiozzando)

Aspe... aspe... aspettate.

(Moglie, e marito sono!)

GILDA

Addio.

GREGORIO

(singhiozzando)

Ma fe... fermate.

Ah! Per sbrogliar gl'imbrogli

mi trovo affé imbrogliato.

Sto in mar fra cento scogli...

Scena settima

Giulio di dentro dal fondo, e detti.

GIULIO

(di dentro)

Ma nessun servo in sala oggi è restato?

GREGORIO

Ah terremoto!

GILDA E ENRICO

Ah turbine!

GREGORIO, GILDA E ENRICO

(guardandosi fra loro spaventati)

E come si farà?

GILDA E ENRICO

(disperati tirando per l'abito Gregorio, che sta nell'eccesso della confusione)

Gregorio, mio pensateci;

Gregorio, nascondeteci;

Gregorio, provvedeteci;

Gregorio, carità.

GREGORIO

Gregorio! Che Gregorio!

Gregorio cosa fa?

GILDA E ENRICO

Del ciel sono questi fulmini.

Deh non ci abbandonate.

Insieme

GILDA

Son madre oh dio! pensate

Gregorio mio pietà.

ENRICO

Son padre oh dio! pensate

Gregorio mio pietà.

GREGORIO

Ma zitti, e senza strepito

là dentro vi celate;

lo so; ma mi seccate.

Andate, andate là.

(colpito da un'idea spinge Gilda nella camera d'Enrico inquietandosi perché torna indietro a pregarlo; finalmente la chiude dentro)

Scena ottava

Marchese Giulio dal fondo, e detti.

Recitativo

GREGORIO

Zitto.

ENRICO

Vado?

GREGORIO

Restate.

GIULIO

Siete in casa?

ENRICO

Bentornato.

(bacia la mano al padre)

GIULIO

Cos'è? Perché? Scusate,

perché con tanta fretta

quella chiave levate?

GREGORIO

(Sto fresco!) Nulla.

ENRICO

(Oh ciel!)

GIULIO

Credevo a pranzo

rimaner fuor di casa, ma il ministro

pranza dal maresciallo.

Perdonate Gregorio...

Parete imbarazzato,

ma che diavolo avete là serrato?

GREGORIO

Ah!... vi dico... Un'inezia. (Adesso svengo.)

GIULIO

Ma pur?...

ENRICO

(piano a Gregorio)

Non mi tradite.

GREGORIO

(piano a Enrico)

(A noi; coraggio.

Qui bisogna inventare, e l'inventare

è caso, e non virtù.)

GIULIO

Dunque?

GREGORIO

Signore

m'è stata regalata

una cagnuola, ed io

perché non imbrattasse queste stanze

l'ho chiusa là; più tardi

la porto su da me.

GIULIO

Ma voi parlate

in un modo curioso... perdonate.

Date la chiave a me.

GREGORIO

Come!

ENRICO

(Son morto!)

GIULIO

Che! Non sono il padrone?

GREGORIO

Anzi.

GIULIO

E per questo

voglio veder là dentro.

GREGORIO

Gliel'ho detto:

vi sta una barboncina.

GIULIO

Barboncina?

Sarà, ma non lo credo. Perdonatemi;

questa è mia casa. Qua la chiave.

ENRICO

(Oh dio!)

GREGORIO

Non lo credete? (All'arte ingegno mio.)

Così si parla a me? Prenda la chiave,

apra, veda, realizzi, si certifichi;

ma poi... ma poi pentito

del torto che mi fa, chini le ciglia,

non abbia mai coraggio

di rimirarmi più. Simile affronto

d'un suo figlio in presenza?

Ah! Verrebbe ad un marmo l'impazienza?

A me!... Di me!... Con me!... Questa è la fede

che da lei meritai? Bella mercede

ai sudor di diec'anni! Apra, ed osservi

la sua vil diffidenza,

l'illibato onor mio;

che per non più tornar, le dico addio.

GIULIO

Signor Gregorio, ascolti.

GREGORIO

Non ascolto

né scusa, né ragion. Prenda la chiave,

apra, signor marchese.

GIULIO

Ma perdon vi dimando.

GREGORIO

Apra, m'intese?

GIULIO

Ho torto; lo confesso.

GREGORIO

Prenda la chiave.

Venga, veda.

GIULIO

Fermatevi.

GREGORIO

Ma venga.

Mi lasci, si chiarifichi.

GIULIO

Ho mancato.

GREGORIO

No, no assolutamente.

GIULIO

Insomma, alfine

cosa ho da far di più? Vi chiedo scusa,

vi domando perdono,

che se pazzo già fui, pazzo non sono.

Nulla voglio veder; son persuaso

non ne parliamo più. Mio caro amico

il negarmi perdono, un segno espresso

saria di troppo orgoglio.

GREGORIO

Ma venite a veder...

GIULIO

Veder non voglio.

[Duetto]

Deh! Scusate ~ perdonate:

non fu poi che un lieve errore.

Mancò il labbro, e non il core,

che di voi temer non sa.

Nel fidarvi i figli miei

ringraziai l'amica stella.

Sceglier meglio io non sapreio

per la lor felicità.

GREGORIO

Io però vorrei che aprisse.

GIULIO

Ma non serve, vado via.

GREGORIO

Guardi.

GIULIO

Parto.

GREGORIO

Guardi pria.

GIULIO

M'incomincio già a scaldar.

Mi farete in furia andar.

Se la bile in me si desta,

se divampa il mio cervello,

di Vesuvio e Mongibello

tuuto il fuoco bolle in me.

Vi conosco, so per prova

quanto onore in cor serbate.

Perdonate...

GREGORIO

Ma guardate.

GIULIO

No: possibile non è.

(parte)

Recitativo

GREGORIO

(Stacci vecchio briccone!)

ENRICO

Ah! Che paura!

GREGORIO

Eh! sì, ch'io vado a nozze.

ENRICO

Che faremo?

GREGORIO

E chi lo sa? Vedremo.

Persuadetela voi.

ENRICO

Di che?

GREGORIO

Siccome...

Perché... potrebbe... vale a dir... per altro...

capite, già!... Lo tolga il ciel... guardate...

Che nessuno... intendete?... Insomma entrate.

(fa entrare Enrico in camera e chiude, indi parte dal fondo)

Scena nona

Leonarda viene dalla porta di fondo e bussa alla camera di Pippetto, indi Gregorio.

LEONARDA

Don Pippetto... Pippetto.

PIPPETTO

Leonarduccia,

non avevo sentito;

studiando Ciceron m'ero addormito.

LEONARDA

Senti, se non t'unisci

contro il signor Gregorio

io più tua non sarò, più mio non sei.

PIPPETTO

Luce degl'occhi miei,

questa è una frase tua, che vuoi ch'io faccia?

LEONARDA

Alla corte. Il maestro

m'odia a morte. Lo sai. Voglio che perda

la grazia di don Giulio.

PIPPETTO

Volentieri;

ma come?

LEONARDA

Una congiura

tu devi far con me. Tengo un sospetto.

GREGORIO

(di dentro)

Restate in sala.

PIPPETTO

È lui.

LEONARDA

Vieni con me.

Giura.

PIPPETTO

Sì, tutto io voglio far per te.

(entrano in camera di Pippetto)

Scena decima

Gregorio dal fondo, indi Enrico dalla camera, poi Gilda.

GREGORIO

È il partito miglior... Enrico... Enrico.

ENRICO

Può andar via?

GREGORIO

Che andar via? Manco per sogno.

Tirato ho la portiera della sala

pienissima di gente.

Andate là; se non tossite, intendo

che non v'è alcun. Passo con Gilda, e in fretta

su per la mia scaletta

dentro il mio appartamento

la nascondo, ed appena

l'aria sarà un po' scura...

ENRICO

Ma voleva

andare a casa.

GREGORIO

E anch'io volevo. Oh bella!

Ma quando non si può? Via presto, andate.

ENRICO

Gilda, Gilda son io.

GILDA

Me n'anderò

ora subito a casa?

GREGORIO

Or non si può.

[Duetto]

Cara mia, ci vuol pazienza.

Per adesso non si può.

Un tantin di sofferenza,

che più tardi proverò.

GILDA

Ah! Lo star così aspettando

è un inferno, ed io lo so.

D'affrettar vi raccomando,

star così di più non vuò.

GREGORIO

Se a mio modo voi farete,

tutto poi si aggiusterà.

GILDA

Farò quello che voi volete

per goder felicità.

Finché il cuore avrò nel seno

io vi voglio sempre amar.

GREGORIO

(Se trent'anni avessi meno

mi faria quasi impazzar.)

V'è rumor... là... dentro... zitta.

GILDA

Sudo fredda.

GREGORIO

Nulla... via,

la mia stanza asil vi fa;

là il marchese non verrà.

Pian piano a notte bruna

a fuggir si penserà.

GILDA

Sorridi fortuna ~ m'accorda un istante;

son madre, ed amante ~ non fo che tremar

ma il caro maestro ~ se viene al mio lato,

io l'ire del fato ~ vo franca a sfidar.

GREGORIO

(Io sudo o fortuna ~ dal capo alle piante.

A un vecchio pedante ~ che cosa fai far?

(con caricatura)

Il caro maestro ~ v'è tanto obbligato,

ma il barbaro fato ~ mi fa sdrucciolar.)

(escono guardinghi sotto al braccio dalla porta di mezzo)

Scena undicesima

Pippetto, e Leonarda uscendo pian piano dalla camera dove erano nascosti.

[Finale I]

LEONARDA

Sentiste? Vedeste? ~ Don Giulio cercate;

a lui raccontate ~ l'affar come sta.

PIPPETTO

Leonarda mia bella ~ servirti non posso;

ho un tremito addosso ~ se vedo papà.

LEONARDA

Ti lascio per sempre.

PIPPETTO

Da pianger mi viene.

LEONARDA

Non servono scene.

PIPPETTO

Ma come si fa?

LEONARDA

Parlando a don Giulio ~ se hai qualche timore,

pensando al mio core ~ l'ardir ti verrà.

PIPPETTO

Ebbene, fa' pace ~ parlar ti prometto;

vedrai che Pippetto ~ servirti saprà.

LEONARDA

(Maligno vecchiaccio ~ Cadesti nel laccio,

ma quanto, ma quanto ~ da rider sarà!)

PIPPETTO

Sto sempre in un laccio ~ Se parlo, se taccio;

ma quanto, ma quanto ~ da pianger sarà!)

(Leonarda parte)

Scena dodicesima

Pippetto, indi il marchese Giulio.

PIPPETTO

Papà viene. Nell'esofago

le parole stan gelate.

Oh che mutria!

GIULIO

Cosa fate?

Il consiglio di studiare

il maestro non vi dà?

PIPPETTO

Il maestro oggi ha da fare.

GIULIO

Che ha da far? Parlate, dico,

sarà forse con Enrico.

PIPPETTO

No, signor, ma non s'inquieti...

GIULIO

Che ha da fare?

PIPPETTO

Affar segreti.

GIULIO

Ma con chi?

PIPPETTO

Con una donna.

GIULIO

Donna?

PIPPETTO

No... con una femmina.

GIULIO

E dov'è?

PIPPETTO

Nella sua camera.

L'ha portata via di qua.

GIULIO

Non è ver.

PIPPETTO

Se non è vero,

mi dia schiaffi un giorno intero.

Da quel buco della chiave

l'ho sentita, e l'ho veduta;

una voce avea soave.

GIULIO

Ma per dove era venuta?

PIPPETTO

Non saprei; qui c'era certo.

Circa il resto, chi lo sa.

GIULIO

Sarà stata qualche vecchia.

PIPPETTO

No signore, giovinetta.

GIULIO

(Oh che orrore!)

PIPPETTO

Graziosetta,

benfattina.

GIULIO

Zitto là.

Ma, Gregorio che faceva?

PIPPETTO

Sotto il braccio la teneva,

le dicea d'aver pazienza.

(contraffacendo Gregorio)

Per adesso non si può.

Un tantin di sofferenza,

che più tardi proverò.

GIULIO

(In malizia non si ponga.)

La ragazza... sì parlare

gli dovea di un certo affare.

Lo sapevo... andate in camera.

PIPPETTO

La lezione a studiar vo.

(bacia la mano al padre, e va in camera)

GIULIO

Come mai!... pare impossibile!

Qua il maestro ~ scellerato!

Figli miei! figli! che scandalo!

Un omaccio stagionato!

Ma, pur troppo! Certe massime

mi facevan sospettar.

Dalla rabbia io più non vedo.

M'arde il cuor, son tutto fuoco...

Ma pian piano, a poco a poco

questo intrigo io vuò svelar.

Scena tredicesima

Gregorio, e detto.

GREGORIO

Son qui, signor, parlate.

GIULIO

Per cinque giorni o sei,

presso di me vorrei

passaste ad abitar.

Un mio nipote aspetto,

e senza complimento,

nel vostro appartamento

io lo vorrei alloggiar.

GREGORIO

Padrone.

GIULIO

Or veder voglio,

se tutto sta in buon stato.

GREGORIO

Ottimo. (Ve' che imbroglio!)

GIULIO

(Birbante!) Ma il parato?

GREGORIO

Tal quale, ancor lo stesso;

pare attaccato adesso.

GIULIO

Forse il camino un poco...

GREGORIO

Io non vi accendo fuoco.

GIULIO

Forse i matton...

GREGORIO

Sanissimi.

GIULIO

I vetri?...

GREGORIO

Pulitissimi.

GIULIO

L'oriolo...

GREGORIO

È unico al mondo,

non sbaglia d'un secondo.

GIULIO

Le tende al letto intorno.

GREGORIO

Fur poste l'altro giorno.

GIULIO

I quadri?

GREGORIO

Spolverati.

GIULIO

I tavolin!

GREGORIO

Lustrati.

GIULIO

Dunque non manca?...

GREGORIO

Niente,

ma niente, niente, niente.

GIULIO

Va bene.

GREGORIO

(Anzi benone.)

Insieme

GIULIO

(Ma va' pur là, briccone!

L'affar si scoprirà.

Mi sento in convulsione,

se più m'arresto qua.)

GREGORIO

(La testa qual pallone

mi salta qua, e là.

Son tutto in convulsione

se non va via di qua.)

(Giulio parte)

Scena quattordicesima

Leonarda, e Pippetto ognuno dalle loro camere; indi Enrico dal fondo, e Camerieri, e Servi con cartelle di stampe; vari tomi ben legati, e due telescopi. Simone, poi il Marchese dalla sua camera; tutti circondano Gregorio.

LEONARDA

Signor Gregorio ~ con me discorrere

perché son vecchia ~ ella non può;

ma con le giovani ~ le cose cangiano;

perché... intendiamoci ~ eh! Già lo so.

PIPPETTO

(recitando a sproposito le lezioni con i libri sotto al braccio)

Salutem plurimis ~ tibi gratulor,

perché l'avverbio ~ mihi gaudemini

vocalem breviant ~ i verbi neutri,

quamobrem utinam ~ dice il grammatico.

ENRICO

(Da quelle camere ~ deh liberatela

penso a' suoi palpiti ~ viver non so.

Signor Gregorio ~ deh ricordatevi,

che quella misera ~ in voi sperò.)

CORO

I telescopi ~ le carte atlantiche,

i libri classici ~ tutto arrivò.

La chiave diami ~ della sua camera;

che quest'imbroglio ~ là deporrò.

SIMONE

Signori, in tavola ~ signori in tavola.

Signori in tavola ~ vengono sì, o no?

GREGORIO

Ora lasciatemi ~ Ah che spropositi!

Enrico, vattene ~ crepar dovrò.

Andiamo a tavola ~ fate silenzio.

Da me medesimo ~ li porterò.

GIULIO

Signor Gregorio ~ dia buon esempio,

e meco in tavola ~ venga a mangiar.

(Anima perfida ~ oggi ogn'intingolo

per te in arsenico ~ vorrei cangiar.)

CORO E SIMONE

Come una statua ~ restò Gregorio.

LEONARDA E PIPPETTO

(Pian piano brontola ~ senza parlar.)

ENRICO

(Fra cento spasimi ~ che mai risolvere?

Ah! Che quest'anima ~ nacque a penar.)

GREGORIO

(Altro che tavola ~ altro che intingoli!

Penso alla camera ~ come ho da far?)

LEONARDA

Venga a pranzo con la vecchia.

ENRICO

Venga presto, passan l'ore.

PIPPETTO

Venga sento un buon odore.

GIULIO

Vieni amico, non tardar.

GREGORIO

Vengo, vengo, vengo, a tavola.

(Ah! mi sento divorar!)

Insieme

GREGORIO

(Qua mi secca una marmotta;

là la vecchia mi scervella;

chi sorride, e più m'abbotta,

chi sospira, e mi martella,

ed intanto la mia testa

sconcertata fracassata,

come nave in gran tempesta

gira, gira in mezzo ai vortici

già vicina a naufragar.)

GLI ALTRI CON IL CORO

Pare appunto una marmotta;

fa dei gesti, e non favella,

soffia, sbuffa, freme, abbotta;

ruminando si scervella;

ed intanto la sua testa

sconcertata ~ sfracassata,

come nave in gran tempesta,

gira, gira in mezzo ai vortici

già vicina a naufragar.

Atto secondo
Scena prima

Camera nell'appartamento del signor Gregorio. Porta in fondo, ed altra a destra. Scansie di libri, e sopra busto in gesso di filosofi. Scrivania con recapito da scrivere, carte, libri, sfera armillare. Da un lato grande orologio sopra un comodino. Il fondo della camera è un parato di stoffa antica. Sedie.
Enrico e Gilda.

ENRICO

Gilda mia, per pietà, non pianger tanto.

GILDA

Ma il figlio, il figlio mio

spira senza di me.

ENRICO

V'è un nume in cielo;

non disperar.

GILDA

Son già sei ore, oh dio!

Son sei secoli al core d'una madre.

Tu lo sai; tu non piangi... e tu sei padre?

Ah! Quel signor Gregorio

mi ha tradita senz'altro. In tre minuti

ha detto di partire

e di su ritornare. È almeno un'ora...

ENRICO

Ma, Gilda mia, t'inganni. L'orologio...

GILDA

L'orologio va male. Quando arriva

lo fo a pezzi. Vedrai

Gilda tua che sa far. ~ Io non resisto;

nasca quel che sa nascere,

voglio correr dal figlio.

ENRICO

Gilda mia,

Gregorio ha chiuso l'uscio per di fuori.

GILDA

Sfascerò, romperò...

[Duetto]

ENRICO

I trasporti del tuo core

deh tu calma per pietà.

Ti confida nel mio amore,

e la pace tornerà.

GILDA

La speranza, ed il timore

agitando il cor mi va.

Mentre palpita il mio core,

del mio figlio che sarà.

ENRICO

Deh! Gilda cara, intanto

non ti affannar così.

GILDA

Di madre il core intanto

soccomberà in tal dì.

ENRICO

Sento il cor che mi predice

un vicino giubilar.

Se un tal giorno è a noi felice,

finirem di sospirar.

GILDA

Se sperar il fin mi lice

del mio lungo palpitar;

se un tal dì sarà felice,

finirò di sospirar.

Scena seconda

Nel momento che Gilda va per forzare la porta di mezzo entra Gregorio.

Recitativo

GREGORIO

Son qui signori.

GILDA

Cane! Cane!

GREGORIO

A me, cane?

GILDA

Non sentite mio figlio

che piange, e si lamenta?

GREGORIO

Siete pazza!

Voi lo sentite qua.

E vostro figlio è là, ci sta di mezzo

la metà del palazzo.

ENRICO

Ebbene?

GREGORIO

Ebbene,

scappare or non si può.

GILDA

Queste son pene!

GREGORIO

Il marchese non esce per adesso,

e i lacchè, i servitori,

i camerieri, e il cuoco

stanno giocando in sala accanto al fuoco.

GILDA

Voglio andar.

GREGORIO

Voi sognate.

GILDA

Bernardino

sei ore senza latte? Mi lasciate.

Amor mi rende cieca.

GREGORIO

Voi burlate.

GILDA

Mi getto da un balcone.

ENRICO

Ah! Gilda mia!

GREGORIO

(Qui nasce una tragedia!)

GILDA

Ah Gregorio!

ENRICO

Ah Gregorio!

GREGORIO

Ma che cosa ho da far?

GILDA

Gregorio mio,

se avete core in petto...

ENRICO

Se avete umanità...

GILDA

Se aveste figli.

GREGORIO

Me ne liberi il cielo...

GILDA

Gregorio mio!...

ENRICO

Gregorio!

GREGORIO

Oh! Mi sgregorerei ben volentieri!

GILDA

Vado...

GREGORIO

Ma no.

GILDA

Lasciatemi.

GREGORIO

Sentite:

con chi sta quel ragazzo?

GILDA

Con la vecchia

mia balia Maddalena...

ENRICO

Al primo piano...

GILDA

Mano sinistra...

ENRICO

Oh dio! Passano l'ore.

GILDA

Noi qui ciarliamo, e Bernardino more.

GREGORIO

Non morirà. (Bisogna

fare un'azione da eroe.)

GILDA

Povero figlio!

ENRICO

Ah! Lo vedo... lo sento.

GILDA

Enrico mio,

tu più figlio non hai.

ENRICO

More senz'altro.

GILDA

Che smanie!

ENRICO

Che dolor!

GREGORIO

(a Gilda)

Zitti; un segnale

datemi.

GILDA

Sì, prendete.

(gli dà un braccialetto)

ENRICO

E come? Voi...

GILDA

Che? Voi stesso volete?...

GREGORIO

Si vedrà... si farà... ma non piangete.

[Aria]

(a Gilda)

Zitta, zitta, non piangete;

(a Enrico)

state giù col fazzoletto

che fra poco il fanciulletto

qualchedun vi porterà.

(Dica il mondo ciò che vuole;

chi si trova a questo passo,

se non tiene un cor di sasso,

quel ch'io faccio far dovrà.)

(entra rapidamente nella camera interna, e torna col tabarro indosso, ed il cappello in testa)

GILDA E ENRICO

Ciel clemente, ah! tu l'inspira,

tu consola un cor tremante;

d'una madre, che sospira,

ciel clemente, abbia pietà.

GREGORIO

Per di dentro serrerete;

se chiamarvi non m'udite.

La mia voce conoscete,

state attenti, non aprite.

Ora a noi. La notte è bruna;

degli audaci è la fortuna.

Scendo serio intabarrato,

col cappello giù calato;

il portone già lo so.

Insieme

GILDA

Affrettatevi Gregorio,

quanto grata vi sarò.

ENRICO

Affrettatevi Gregorio,

quanto grato vi sarò.

GREGORIO

Primo piano... Man sinistra.

Maddalena... Bernardino...

Ah! Vien qua... Vien qui piccino...

Zitto... buono... Un sol momento...

qui... qui sotto il ferraiolo;

poi più rapido del vento

per le scale già me n' volo...

signor no, ci vuol pazienza;

nello scendere è prudenza

l'andar pian quanto si può.

GILDA E ENRICO

Affrettatevi, Gregorio,

che il fanciullo morir può.

GREGORIO

Come un lampo passo il vicolo,

fo qual fulmine la scala,

entro franco nella sala;

e comincia il mio pericolo,

ché i curiosi servitori,

verran tutti a farmi onori;

«buona notte»! «ben tornato»!

Lo dia a me quel fagottino!

Grazie... no... grazie... obbligato...

ma se intanto Bernardino

nel furor dei complimenti...

diamo il caso... sì signore...

che facesse dei lamenti,

che piangesse in tuon minore?

Come resto?... Cosa fo?

GILDA E ENRICO

Ma Gregorio, non tardate;

ma Gregorio, cosa fate?

Ma Gregorio, andate, andate.

Lo portate... sì, o no?

GREGORIO

La fama garrula ~ prima di giorno

andrebbe rapida ~ intorno intorno,

tutti i satirici ~ ne parlerebbero,

con cento forbici ~ mi taglierebbero,

sulle gazzette ~ sulli giornali.

Dalli droghieri ~ dalli speziali,

dentro le bettole ~ dentro i caffè.

Eccolo là ~ eccolo là.

Ognun direbbe ~ Ah! Ah! Ah! Ah!

GILDA E ENRICO

Presto sbrigatevi! ~ Sollecitatevi!

Ah! la mia smania crescendo va.

GREGORIO

Ma l'innocenza ~ mi rassicura,

s'io piango al pianto ~ della natura,

se d'una misera ~ calmo il tormento,

se fo da balio ~ per un momento,

se sento i palpiti ~ della pietà,

signori critici ~ mal non vi sta.

Figlia, aspettatemi ~ figlio, abbracciatemi,

per voi Gregorio ~ tutto farà.

GILDA E ENRICO

Ah! di quel core ~ un cor migliore,

no, più bell'anima ~ no, non si dà.

(Gregorio esce dalla porta di mezzo ed Enrico chiude di dentro)

Scena terza

Gilda, ed Enrico, indi il marchese Giulio.

Recitativo

GILDA

Quando avrò fra le braccia il figlio mio

non pavento sventure.

ENRICO

Or vedi, Gilda,

se il core di Gregorio

è un cor, che non ha eguale?

GILDA

Io non credea

in un vecchio pedante

alma così pietosa. Or spero alfine...

che s'ei parla per noi, quell'orso ircano

del padre tuo diventerà più umano.

ENRICO

Lo spero anch'io. Non più pien di sospetto,

di furto, e palpitante,

quando dormono tutti,

a te cara, verrò. Finché vivea

il mio vecchio Bastiano

era facile impresa. Ora il periglio

si fa sempre maggior.

GILDA

Le nostre pene,

le nostre smanie omai saran finite.

GILDA E ENRICO

Sarem marito, e moglie...

GIULIO

(di dentro picchiando fortemente all'uscio)

Aprite... aprite.

[Scena e Terzetto]

GILDA

Ah! Chi sarà?

ENRICO

Mio padre!

Non aprire, o son morto.

GIULIO

(di fuori picchiando)

Femmina! Aprite, e non gridate.

GILDA

Enrico,

o sa tutto, o v'è equivoco,

caro, fidati a me.

ENRICO

(tremando con smania)

Tremo da capo a piè.

GIULIO

S'apre, o non s'apre?

Getto a terra la porta.

GILDA

(a voce alta)

Ma chi siete?

GIULIO

Il padrone.

GILDA

Va' là... va' là... obbedisci.

V'è Gilda tua per te. Nel caso estremo

estremo ardir ci vuole.

ENRICO

Io per te tremo.

GILDA

Or tocca a me.

GIULIO

Spezzo la porta.

GILDA

Piano,

sofferenza signor. Non vi conosco.

Pur vi credo, e rispetto. Apro, e mi fido.

Della fiducia mia non abusate;

io sono in casa vostra.

GIULIO

(con forza)

Aprite.

GILDA

(apre e richiude)

Entrate.

(Giulio la fissa immobile per la collera; Gilda con dolcezza tenta di parlarle ed esso afferrandola per un braccio la trascina con violenza sull'innanzi della scena; mentre Enrico tremante di quando in quando si affaccia sulla porta della camera laterale, e di quando in quando si ritira a i cenni che gli fa Gilda)

GILDA

Signor...

GIULIO

Se parli, o perfida,

trema.

GILDA

(Che ceffo!)

ENRICO

(Io gelo!)

GIULIO

Ho già sugli occhi un velo.

ENRICO

(Chi la potrà salvar!)

Insieme

GILDA E ENRICO

(Un freddo sento, un tremito,

scender di vena in vena,

palpito, e posso appena...

appena respirar...)

GIULIO

Donna rea! Mi leggi in fronte

l'irritato mio furore

in tal loco! Ed a quest'ore!

Ah! che nera iniquità!

Ma se il fulmine sospendo

più tremendo ~ piomberà.

GILDA

Ah! Signor, non conoscete

le vicende del mio fato,

e che son...

GIULIO

Lo so, tacete.

Ah! Gregorio scostumato!

Vecchio ipocrita! Insensato.

Con quel volto! In quell'età.

GILDA E ENRICO

È in inganno.

GIULIO

Voi pensate,

che ho due tortore innocenti.

Zitta, zitta, non fiatate;

che non s'odano lamenti.

Ah! Direi... vorrei... farei...

ma prudenza ci vorrà.

GILDA

Son la figlia...

ENRICO

(Oh dio! Si perde.)

GIULIO

Non ascolto.

ENRICO

(Ciel! Che dice?)

GIULIO

O sedotta, o seduttrice,

taci, vieni, non fiatar.

(afferrandole un braccio)

Quando torna, al reo Gregorio

fuor di qui ti vuò mostrar,

e lo voglio smascherar.

ENRICO

(Sento l'anima agghiacciar.)

GILDA

(Giusto ciel che avrò da far?)

GIULIO

Vedrò, vedrò l'ipocrita

pallido al mio cospetto,

solo in pensarlo, inondami

incognito diletto.

Vedrò tremar quel perfido,

confondersi, e gelar.

Taci per poco o collera,

presto dovrai scoppiar.

GILDA E ENRICO

Tutti del fato i fulmini

tutti dal fato aspetto.

Per me, per me non palpito

ho il cor tranquillo in petto.

Oh ciel gli sposi e il figlio

affrettati a salvar.

(con espressione marcata)

(Per me non v'è periglio

la sorte io vo' sfidar.)

(Enrico rientra rapidamente nella camera. Giulio trascina Gilda verso la porta di mezzo, ma nel momento di aprirla, s'ode Gregorio di fuori che picchia)

Scena quarta

Gregorio, e detti.

Recitativo

GREGORIO

Gilda... Gilda... son io... sono Gregorio.

GILDA

Mio caro!

GIULIO

(con voce soffocata ritirandola indietro)

Zitta, o un aspide divento.

GREGORIO

Apri, son io, che porto tutto.

GIULIO

Andate:

ritiratevi là, se no, tremate.

GILDA

Non si sdegni, signore,

non creda per timore,

ma sol per obbedienza mi ritiro.

(Ciel, pietà d'una madre. Io non respiro.)

(entra nella camera ove è Enrico)

GREGORIO

Apri, insomma, o non apri?

GIULIO

(Impeti reprimetevi.)

(apre e si pone in modo d'esser coperto dalla porta)

GREGORIO

(entrando intabarrato con Bernardino sotto)

Ma tanto vi voleva?

Una paura aveva,

che quell'orso, quel cane

quel satiraccio del marchese Giulio

mi venisse a guastare i fatti miei...

GIULIO

L'orso, il satiro, il cane è qui da lei.

(avanzandosi, e battendogli una mano sulla spalla)

GREGORIO

Ah!

GIULIO

Vecchio indegno! Mira,

paralitico son per il furore.

GREGORIO

È un gran prodigio se non crepa il core.

Signor mar-che-se...

GIULIO

Scostumato!

GREGORIO

Evviva!

GIULIO

A quest'ora una giovine in mia casa,

ove sono i miei figli,

i miei figli innocenti.

GREGORIO

Ma mar-che-se.

Mar-che-se mio...

GIULIO

Che cosa nascondete?

GREGORIO

Niente, niente don Giulio; mi credete.

GIULIO

Vo' saperlo, cospetto!

GREGORIO

Ma se vi dico... nulla: un bauletto.

GIULIO

Mostrate.

GREGORIO

È un affar mio.

GIULIO

Lo voglio; andiamo.

GREGORIO

Ma s'è una ragazzata,

una bagatelluccia. S'assicuri

non merita la pena

ch'ella la veda.

GIULIO

Che cos'è?

GREGORIO

Le dico

non è niente: figuri

una cosa innocente.

Ah! Marchese...

GIULIO

Che vedo?...

(scoprendo a forza, e scorgendo il bambino)

GREGORIO

Non è niente.

GIULIO

Chi!... Chi mi regge? Io sento,

che la ragion vacilla, e quasi io stesso

co' la mia man...

Scena quinta

Gilda uscendo rapidamente, e togliendo il bambino a Gregorio.

GILDA

Che fate?

Marchese, il vostro sangue non versate.

(prende il bambino, e lo porta nella camera ov'è Enrico)

GIULIO

Sangue mio?

GILDA

Sì: mio figlio, e sangue vostro.

Ma niun lo toglie a me. Questo mio petto

sarà scudo per lui. Tutto l'averno

no, d'una madre al cuor non dà paura.

(Qui ci voglion romanzi a dirittura.)

(entra col bambino)

GIULIO

Sangue mio?

GREGORIO

Ma tant'è.

GIULIO

Perfido!

GREGORIO

Amico

qua, qua fra le mie braccia.

(volendo abbracciarlo)

GIULIO

Braccia di satanasso.

(fuggendolo)

GREGORIO

(Adesso, adesso

perdo la tramontana.) Ma don Giulio

sappiate...

GIULIO

Che?

GREGORIO

(Là: tutto d'un colpo.) Insomma

quella giovine è moglie,

e quel fanciullo è figlio.

GIULIO

Di chi?

GREGORIO

D'Enrico figlio vostro; e quindi,

e gli argomenti miei sbagliar non ponno,

nepote è quel bimbin; voi siete nonno.

GIULIO

Figlio ingrato! Che dissi?

Tu più figlio non sei; ma trema, trema;

tremate tutti.

GREGORIO

Ah! sì vi compatisco.

Sfogatevi Marchese. Son quei casi,

che la bile... comprendo...

GIULIO

E il primo, il primo,

su cui tutta scagliar vo' l'ira mia,

come autor de' miei guai,

complice, torcimano, tu sarai.

GREGORIO

Alto là. Questo a me? Questo a Gregorio?

A un uom di sessant'anni! Questa mane,

e non prima, ho saputo

la dolorosa istoria. In mezzo al pianto

Enrico la narrò. Quella ragazza

venne a piangere anch'essa.

Pianse lui, pianse lei; pianto in duetto;

anch'io poi piansi, e si compì il terzetto.

Voi giungeste, e il quartetto

mi metteva sospetto.

(Gilda ed Enrico si affacciano alla porta)

Nella stanza la chiudo. La nascondo

qui nel mio appartamento,

per poi farla fuggir. Ma come? Come?

Ditelo voi per me. Non basta. Il figlio

dal mezzo dì, non aveva più poppato...

io non son poi di sasso, e sono andato...

Ecco il perché... Capisce?

GIULIO

E nulla, nulla

voi sapevate?

GREGORIO

Nulla, nulla affatto.

GIULIO

(ponendosi a sedere desolato)

Perfido! Traditor!

GREGORIO

(facendo cenno comicamente ad Enrico e Gilda, e parlando loro sottovoce)

Marchese mio...

(Venite avanti.) Il fatto è fatto. Udite:

la ragion, la pietà. (Più qua.) Pensate

che la giovine è figlia

del colonnello Tallemanni, antico

nobile militar... Più non vi dico.

Per il grado siam lì. Non ha ricchezze.

(Voi di qua, voi di là.) Ma è molto ricca

se avrà molta virtù; se del marito

meriterà l'amor... (V'inginocchiate.)

E se voi... ma di cor le perdonate.

GIULIO

Chi di perdon mi parla? Io voglio entrambi

raminghi, desolati,

vittime della fame.

(nell'eccesso della collera)

E sopra loro

la mia paterna mano

scaglierà...

GREGORIO

No, no, no.

GILDA

Grazia!

ENRICO

Perdono!

GILDA E ENRICO

Ah padre per pietà!

GIULIO

Stelle! Ove sono!

[Quintetto]

Alma rea!

GREGORIO

(Comincia male.)

GIULIO

La tua vista orror mi fa.

GREGORIO

(Ecco scoppia il temporale.)

GILDA

Compassion.

ENRICO

Perdon.

GILDA, ENRICO E GREGORIO

Pietà.

GIULIO

Combattuto il mio cervello,

che risolvere non sa.

Guardo questa, guardo quello

ed incerto il cor mi sta.

GILDA

Sono come quell'augello,

che riposo mai non ha.

Sempre un palpito novello

l'alma in sen tremar mi fa.

ENRICO

La mia testa qual vascello

va per l'onde qua e là.

E un continuo molinello

aggirando il cor mi va.

GREGORIO

Fra l'incudine, e il martello

che rimbalzi il cor mi dà!

Salta, e bolle il mio cervello,

e ho timor che in fumo andrà.

Scena sesta

Leonarda dalla porta di mezzo accorrendo, e detti.

LEONARDA

Dalle camere da basso

ho sentito del fracasso,

e ho creduto mio dovere

di venire, di vedere

se il maestro, o il marchesino...

(rimane stupida vedendo tutti immobili)

GREGORIO

(Oggi proprio il mio destino

mi dà schiaffi in quantità.

Ci mancava questa qua.)

LEONARDA

(Ecco l'Elena famosa,

la ragazza sì vezzosa

che il maestro innamorò,

non ci piace, signor no.)

GIULIO

(L'ira mia già divampò!

E frenarmi più non so.)

LEONARDA

(tirando a parte Gregorio accenna Gilda)

Che pessimo gusto! Piccina, piccina!

La vostra dottrina ~ oh come cascò!

GIULIO

Leonarda, Leonarda ~ mi lascia in buon'ora,

o bada che or ora ~ pentir ti farò.

GREGORIO

Sereno, tranquillo ~ sfidavo la sorte

ma a un colpo sì forte ~ no forza non ho!

GILDA

D'un'alma innocente ~ vi tocchi il dolore.

Se colpa ha il mio core ~ amor l'ingannò.

ENRICO

Mirate quel pianto ~ che bagna il mio ciglio

al pianto d'un figlio ~ resister chi può?

LEONARDA

Ma dunque? Oh che imbroglio?

GREGORIO

Son degni di scusa.

GIULIO

Vederli non voglio.

LEONARDA

Io resto confusa.

GREGORIO

Via siate più umano ~ placatevi.

GIULIO

Invano.

GREGORIO

È figlio; pensate.

GIULIO

Lasciatemi; andate.

GREGORIO

È madre.

GIULIO

Partite.

GREGORIO

C'è un pupo.

GIULIO

Fuggite.

O un aspide, o un orso io qui diverrò.

Mi s'involi dagli occhi costui,

ria cagion del mio barbaro affanno.

Mi volete crudele, e tiranno?

Sì, crudele, e tiranno sarò.

GILDA

Sfoga pure l'insano tuo sdegno,

versa il sangue, te l'offro contenta,

ma che padre tu sei ti rammenta;

salva Enrico, altra smania non ho.

ENRICO

Ah! Signor, mi sedusse un istante;

la mia colpa fu colpa d'amor;

ed un padre, ed un padre, che ha cuore

perdonare ad un figlio non può?

LEONARDA

(a Gregorio)

Ma mi dite, narrate, svelate

che pasticcio, che impaccio è mai questo

più ci penso, più stupida resto;

ma poi tutto, sì, tutto saprò.

GREGORIO

(a Leonarda)

Marchesino!... Marchese!... ma zitta.

(a Gilda)

Meno fuoco, badate al ragazzo.

Questa notte legato per pazzo,

ci scommetto, finire dovrò.

(don Giulio esce precipitoso seguito dal signor Gregorio; Enrico, e Gilda entrano in camera, e si chiudono; rimane solo Leonarda)

Scena settima

Leonarda, indi Pippetto, e Coro di servi, e Simone.

Recitativo

LEONARDA

Dunque... dunque... non è il signor Gregorio,

è il marchesino Enrico!...

Ah che imbroglio!... Che intrico!...

(passeggia e riflette)

Tanto meglio per me. L'affare è fatto.

Se si placa don Giulio per un figlio,

o che voglia, o non voglia,

si aggiusterà per l'altro finalmente

il figlio scimunito sposerò.

E marchesa per sempre diverrò.

[Coro]

PIPPETTO

Leonarda che fu?

CORO

Si può, o non si può?

LEONARDA

Venite pur qua.

PIPPETTO

Veduto ho papà.

CORO

Un orso pareva.

PIPPETTO

I piedi sbatteva.

CORO

Faceva un fracasso.

PIPPETTO

Un strepito, un chiasso.

CORO

Diceva di no.

PIPPETTO

Punirli saprò.

CORO

Birbante! Briccona!

PIPPETTO

A me si canzona?

CORO

Vo' farli pentire.

PIPPETTO

Di casa partire.

CORO, PIPPETTO E SIMONE

Leonarda narrate ~ suvvia raccontate,

ch'è stato? Cos'è? ~ Ma ditelo a me?

Più penso, e rifletto ~ Io meno connetto;

e intanto curioso ~ m'aggiro smanioso,

domando, mi provo ~ mi cerco, e non trovo,

Leonarda, Leonarda ~ narrate cos'è?

LEONARDA

Silenzio, tacete ~ che tutto saprete.

L'affare è bizzarro ~ ed or ve lo narro;

ma zitti, ma quieti ~ non siate indiscreti.

Se no, che vi parli ~ possibil non è.

Recitativo

Ma zitti, o più non parlo.

SIMONE

Io più non fiato.

PIPPETTO

Ho il labbro sigillato.

LEONARDA

L'affare è serio assai,

più che voi pensate. L'amorino

non è il signor Gregorio.

SIMONE

Come no?

PIPPETTO

Ma la donna?

LEONARDA

Sta là dentro.

Non fa all'amor con lui, anzi è già moglie.

PIPPETTO

Moglie? Moglie di chi?

LEONARDA

Questo è l'intrico.

È moglie già del...

Scena ottava

Gregorio, e don Giulio di dentro, indi in scena dalla porta di mezzo, poi Gilda, ed Enrico dalla Camera interna.

GIULIO

Ma di no, vi dico:

son padre, e come padre... cosa fate?

(vedendo Pippetto, e Leonarda)

PIPPETTO

Vado via.

SIMONE

Partiremo.

GIULIO

No, restate;

vieni coppia malvagia.

PIPPETTO

(Ah! Cosa vedo!)

GREGORIO

Ma, marchese...

GIULIO

Tacete;

troppo debole il cor nel petto avete.

ENRICO

Ah! di noi che sarà!

GILDA

Niente paura

c'è Gilda tua per te.

GIULIO

Figlio sleale!

Ingratissimo figlio! Esci, va', fuggi,

t'invola ai sguardi miei.

Più tuo padre non son, figlio non sei.

Unico erede mio sia l'innocente

mio secondo ragazzo, e quell'affanno,

che m'hai versato in petto

per un breve capriccio, co' i rimorsi

nella tua verde etade...

Dì, e notte sul tuo cor...

GILDA

Ah! no, fermate:

cagion di tanti sdegni

son io, con l'infelice

frutto dell'amor mio. Ebben, raminga

sola, e lungi n'andrò, ma l'ira vostra

ha bisogno di sangue. Anima cruda!

Vuoi sangue? E sangue avrai.

(snuda un pugnale e afferra per mano don Giulio)

Vieni, vieni, e vedrai.

Vedrai sotto il tuo ciglio

disperata svenar la madre e il figlio.

GIULIO

Svenar potresti un figlio? E tu sei madre?

GILDA

Malediresti un figlio! E tu sei padre?

GREGORIO

Brava!

GIULIO

Che?

GREGORIO

Niente.

GIULIO

Oh dio!

Non resiste il cuor mio.

La natura parlò.

ENRICO

Padre!

GILDA

Signore!...

GIULIO

Amatevi; son uomo: ho in petto un cuore.

LEONARDA

(piano a Pippetto)

Coraggio.

PIPPETTO

(Tremo.) Papà mio... Potrebbe...

far felice me pur.

GIULIO

Che vuoi?

PIPPETTO

Vorrei

giacché siam d'imenei,

sposarmi anch'io?...

GIULIO

Con chi?

PIPPETTO

Con la mia fida

vezzosa Leonardella.

GREGORIO

Misericordia!

GIULIO

E che? Gregorio?

GREGORIO

Amico!

Che cosa v'ho da dir? La donna anziana

è peggio peggio assai d'una terzana.

GIULIO

Perfida!

LEONARDA

Ma le pare?

Promisi a quel ragazzo

del mio cor le primizie

sol per tenerlo in briglia; che del resto...

PIPPETTO

Stelle, che colpo è questo!

Dove trovar più fede

se mentì quella bocca corallina!

Vado a pianger tre mesi giù in cantina.

(parte)

GREGORIO

Vedete se ho ragion?...

GIULIO

Purtroppo! Io sono

ripieno di rossor.

GILDA

No, caro padre,

che tal ti chiamerò, sgombra il rossore;

in tempo siamo di emendar l'errore.

Un viaggio pe 'l mondo,

guarirà il marchesino, al suo ritorno

se ancor pazzo restasse il meschinello,

dategli moglie, e metterà cervello.

(accennando Leonarda)

Questa pericolosa

già matura beltà vada lontana.

E al regno del rigore

ne succeda il miglior... regno d'amore.

[Rondò finale]

Quel tuo sorriso o padre

tenero al cor mi scende;

penso alle mie vicende,

e parmi di sognar.

Non più fra tante smanie

palpiterai mio core,

ha vinto, ha vinto amore,

ritorno a respirar.

GIULIO

(Costei m'ha già incantato.

Pazzo finor son stato.

Che donna! Ma che donna!

L'egual, no non si dà.)

GREGORIO

(L'amico c'è cascato,

rimane inzuccherato!

Ci ho gusto, vi ci ho gusto!

Gridar più non potrà.)

ENRICO

Tutto è per noi cangiato,

l'affanno è terminato:

che giubilo! Che gioia!

Il cor giubilerà.

GILDA

Maestro!... Sposo!... Padre!

O che felicità!

Donne care! Qui fra noi

non neghiamo il nostro impero;

ai sapienti, ed agli eroi

noi cangiamo il bianco in nero.

Siamo serve, ma regnamo

siamo nate a comandar.

SIMONE E CORO

Manco male c'è una donna!

Del padron più non temiamo;

c'è una donna; non tremiamo;

s'è finito di penar.

Fine del libretto.

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Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava