www.librettidopera.it

Alessandro Severo

ALESSANDRO SEVERO

Dramma per musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

Da qui accedi alla versione estesa del libretto.
Da qui accedi alla versione in PDF del libretto.

Codice QR per arrivare a questa pagina:
QR code

Libretto di Apostolo ZENO.
Musica di Antonio LOTTI.

Prima esecuzione: 26 dicembre 1716, Venezia.


Attori:

GIULIA Mammea imperatrice madre

soprano

ALESSANDRO imperatore, suo figliolo

soprano

SALLUSTIA imperatrice moglie

soprano

ALBINA nobile romana

contralto

CLAUDIO cavalier romano, amico di Marziano

soprano

MARZIANO padre di Sallustia

soprano


Balli: di Sollazzieri, di Romaneschi.

La scena è in Roma.

Eccellenza

Espongo al pubblico sotto l'autorevole patrocinio di vostra eccellenza questo mio drammatico componimento, e fo ad esempio di quegli artifici, che mettono in sito elevato, e in buon lume di prospettiva l'opere loro, a fine di asconderne le imperfezioni, e di farle parere ciò che non sono. Da questa elezioni risulterà, se non altro, questo vantaggio al mio dramma; che tutti mi loderanno di averlo saputo ben dedicare, non potendo aver io la prosunzione di credere, che possano commendarmi di averlo saputo ben concepire e ordinare. E certamente per qualunque parte, eccellentiss. signore, la vostra persona riguardisi, non ci ha luogo, ove ella non esiga ammirazione, e rispetto, e donde non tramandi un qualche raggio della sua gloria sovra gli oggetti, che hanno l'onore di essere protetti, e considerati da voi. E' noto al mondo tutto, che gli impieghi più rilevanti, e più luminosi di un sì gran regno si riposarono sopra di voi, ed acquistarono però maggior lustro, che non vi diedero. Vi riverì il mare grand'ammiraglio, e comandante della regia flotta; vi ammirò la terra generale in capite nella Spagna. Ma non gli onori militari solamente concorsero a sublimarvi: perché al consiglio privato di s. m. britannica furono oracoli i vostri pareri; e alla contea di Northamton fu di salute il vostro governo; ed a più corti furono di meraviglia le vostre ambasciate. In somma nel glorioso corso della vostra vita, tutte le vostre azioni sono state corrispondenti alla grandezza della vostra nascita, e spesso operando gran cose, le avete talvolta riguardate come mediocri, perché non erano straordinarie; né vi siete contentato di soddisfare alla comune espettazione; ma avete voluto confonderne, e superarne l'idea, per quanto sublime ella fosse. Si sa in oltre, che con la vostra gran mente voi conoscete di qualunque componimento la bellezza, e la forza, e che tanti sono i lumi a voi naturali, e da voi acquistati, che non si può avere la vostra approvazione senza conseguire anche quella del pubblico. Si forma un sicuro giudizio sopra quello che voi formate; onde s'io giungo all'onore di averlo qui favorevole, posso dir francamente di avere assicurato il destino di questa mia, qualunque siasi, fatica. Comunque però ne succeda, a me di già ne provviene un insigne vantaggio; ed è, che da questo mi si somministra occasione di dichiarare pubblicamente il profondo rispetto, con cui sono.

Di vostra eccellenza

umiliss. devotiss. osseq. servitore

A. Z.

Argomento

L'unica azione, che facesse degna di lode Elagabalo, imperatore di Roma, fu il dichiarare, vivendo, per cesare il giovanetto Alessandro Severo, figliuolo di Giulia Mammea, donna di grande autorità nell'impero, e che aveva qualche affinità col sangue degli Antonini, e con lo stesso Elagabalo. Questo tiranno si pentì poco di averlo creato cesare, e cercò in più maniere di torlo di vita; ma preservato particolarmente dall'assistenza della madre, pervenne alla fine, dopo la morte data ad Elagabalo, al supremo governo della monarchia in età di tredici anni, sotto la tutela della madre, dalla quale di là a qualche anno gli fu data per moglie una vergine di sangue patrizio, il cui nome taciutosi dalle storie, si ha dalle medaglie, essere stato quello di Sallustia Barbia Orbiana. In breve tempo Alessandro innamoratosi delle rare qualità della moglie, la dichiarò augusta, e le fece parte di tutti quegli onori, che prima la madre sola godeva: laonde questa ingelositane e volendo ella sola esser nominata augusta, fece, che il figliuolo a forza la ripudiasse, e fattole ogni strapazzo nella reggia, le intimò sentenza di relegazione nell'Africa. Marziano, padre di Sallustia, uomo potente nell'esercito, non potendo tollerare l'affronto fatto al suo sangue, si sollevò contro Giulia. Ciò che ne seguisse, si raccoglie da Erodiano, e da Lampridio. Nella favola si è seguito il verisimile più che il vero. Le acclamazioni fatte ad Alessandro: la guerra da lui mossa contro i Parti: la sua totale dipendenza dalla madre: le nuove terme da lui erette, e così qualche altra cosa accennata, sono cose tutte fondate su la verità della storia. Il tempo, in cui si finge l'azione del dramma, è nel giorno anniversario, in cui Alessandro era salito all'impero.

Atto primo
Scena prima

Luogo magnifico nel Campidoglio con Trono.
Alessandro, Sallustia, Marziano, Claudio, Popoli, Soldati, ecc.

CORO

Viva viva il nostro augusto;

viva il lauro alla sua chioma.

Viva il grande, il forte, il giusto.

Viva il cesare di Roma.

(Alessandro presa per mano Sallustia va a sedere sul trono)

MARZIANO

Il giorno fortunato, in cui l'impero,

più che i voti di Roma, il ciel ti diede,

ecco fausto ritorna.

Piaccia agli dii serbarci un sì gran bene,

e serbarcelo eterno.

ALESSANDRO

Nei vostri voti il vostro amor discerno.

Marziano, alla plebe oro si sparga,

dividasi a' soldati.

Claudio, fa', che nel circo

spettacolo si appresti, ove non sia

sanguinosa la pompa, empio il diletto;

e se di strage è vago,

il popolo roman, venga a mirarle

all'Eufrate, ed al Tigri, ivi del Parto

convien, che per noi resti

l'odio punito, e l'alterigia doma.

CORO

Viva viva il nostro augusto,

viva il cesare di Roma.

SALLUSTIA

Quanto alle glorie tue giubila il core.

ALESSANDRO

Cara. Adempiasi, Claudio,

ciò che imposi.

CLAUDIO

Ubbidisco.

ALESSANDRO

Romani, il sangue illustre, i fregi eccelsi,

l'amor mio, la sua fé, l'augusta figlia,

Marziano fan degno,

che il vostro imperator gli dia l'impero

sull'armi nostre.

MARZIANO

A me, signore?

SALLUSTIA

Al padre?

CLAUDIO

Pronto, o signor...

ALESSANDRO

Ti accosta.

MARZIANO

Ossequioso

bacio tua destra.

(s'inginocchia a piè del trono, e bacia la mano di Alessandro)

ALESSANDRO

Al militar comando

ti scelgo, o prode. Il campo

te duce, al nuovo giorno

contra il Parto feroce

spieghi l'aquile altere.

Per te col lauro augusto

mi verdeggin sul crin palme guerriere.

(gli dà il bastone in segno del grado conferitogli)

MARZIANO

L'Eufrate, l'Oronte

l'altera sua fronte

al Tebro guerriero

umil piegherà.

Sul Tigri sconfitto

il nome, e l'impero

di cesare invitto

per me regnerà.

L'Eufrate, l'Oronte

l'altera sua fronte

al Tebro guerriero

umil piegherà.

(parte)

CLAUDIO

Nunzio del re de' Parti or giunse al Tebro;

e chiede espor...

ALESSANDRO

Si ascolti.

Scena seconda

Giulia, e li suddetti.

GIULIA

Della pubblica gioia

venga anche Giulia a parte...

ALESSANDRO

(in atto di scender dal trono)

O madre, il trono...

GIULIA

No, no: l'empie abbastanza

l'inclita sposa: Io te la diedi, e godo,

che un suo sguardo mi onori

dall'altezza del trono, ov'io la posi.

Io tra la bassa plebe,

qual femmina volgar, confusa e mista,

udirò con piacere i vostri applausi,

mirerò con diletto i vostri amori.

Io darò al nuovo duce ossequio e lode.

Voi senza me risponderete al Parto.

Voi senza me darete

all'Ausonia, alla terra

il destin della pace, e della guerra.

(Sallustia, e Alessandro scendono dal trono)

ALESSANDRO

Del Parto ad altro tempo

s'odano i voti.

CLAUDIO

Il cenno

vado a recarne.

(parte)

SALLUSTIA

Augusta Giulia, io leggo

ne' turbati tuoi lumi...

tutto il piacer di tua fortuna. Io lieta

là ti vidi seder, dov'io sedea.

GIULIA

Han questi lumi

tutto il piacer di tua fortuna. Io lieta

là ti vidi seder, dov'io sedea.

SALLUSTIA

Lo sposo...

GIULIA

A che discolpe? Io son la rea,

io che un sì chiaro giorno

venni a turbar...

ALESSANDRO

Di miglior luce adorno

per te mi sfavillò sulle pupille.

Primo amor di Alessandro, o madre, sei.

GIULIA

La sposa, che ti diedi, amar sol déi.

SALLUSTIA

Augusta, è tuo favor la mia grandezza.

GIULIA

Va': segui il tuo Alessandro, e l'accarezza.

SALLUSTIA

Esser cara al mio diletto

vo' per fé, non per beltà.

ALESSANDRO

Amo in lei vezzoso aspetto,

ma più ancor salda onestà.

SALLUSTIA

Caro sposo,

se sì puro è 'l nostro affetto,

chiaro e bello nel tuo petto,

e nel mio divamperà.

Scena terza

Giulia.

Giulia non son, non madre, e non augusta,

s'oggi dal crine altero

non ti strappo il diadema, e no 'l calpesto,

ingratissima donna:

basso e fosco vapor dai raggi alzato

di benefico sol, ma che ben tosto

cadrai disfatto in pioggia, e sciolto in nebbia.

Oggi vedrai, superba,

vedrai, qual Giulia sia;

e se avrà più potere

o l'amor di Alessandro, o l'ira mia.

Sdegno,

ingegno,

affetti,

inganni,

tutti a' danni

io vi voglio

di una perfida beltà.

Sono augusta; e a piè del soglio

oltraggiato,

disprezzato,

la superba piangerà.

Sdegno,

ingegno,

affetti,

inganni,

tutti a' danni

io vi voglio

di una perfida beltà.

Scena quarta

Tesoreria imperiale.
Albina in abito di uomo.

Chi sa dirti, o core amante,

se quel bel, per cui sospiri,

sia spergiuro, o sia costante?

Claudio, già sono in Roma,

e voglio la tua fede, a me giurata,

o i tuoi spergiuri io punirò di morte.

Femmina son; ma son romana ancora;

e risoluto amor mi fa più forte.

Scena quinta

Sallustia, e la suddetta.

ALBINA

O dell'alta tua sorte

ben degna sposa, ecco al tuo piè s'inchina.

SALLUSTIA

Qual sembiante? Qual voce?

ALBINA

La sfortunata, a te ben nota, Albina.

SALLUSTIA

Albina, amica... E quando in Roma, e come

sotto ammanto viril?

ALBINA

T'apro il mio core.

Sai, ch'io sono a Sulpicio,

che proconsole regge

la vassalla Sicilia, unica figlia.

In quell'età, dove sovente amore

l'incaute giovanette

prende a' suoi lacci, e di sue fiamme accende,

vidi Claudio, e l'amai.

SALLUSTIA

Claudio mi è noto.

ALBINA

Ei pur mi amò. Fede giurommi. Il padre

intese i nostri affetti, e piace n'ebbe.

Un cesareo comando

tutto turbò. Della Sicilia eletto

fu proconsole il padre. A me convenne

seguirlo, e lasciar Claudio, ahi! Con qual pena!

Mutai cielo, e fortuna.

Colà dal genitore

mi fu scelto altro sposo.

Piansi: pregai: mi opposi:

tutto fu invano. All'imeneo funesto

non trovando altro scampo,

lo cercai nella fuga.

Nome, sesso mentii. Mar, piano, e monte

varcai: cotanto ardita amor mi fece.

Giungo al Tebro: entro in Roma,

e di Claudio non cerco,

cerco di augusta al piè, china, e prostesa,

la mia pace, il mio ben, la mia difesa.

SALLUSTIA

E qual chiedi, l'avrai. Claudio ti è fido?

ALBINA

Un anno di costanza

in uom si può sperar? Scrissi: spedii:

non badò a messi: non rispose a fogli.

SALLUSTIA

Ma, se 'l trovi infedel, tu che far pensi?

ALBINA

Racquistarlo, o punirlo.

Deh! Finch'io sia contenta, o vendicata,

chiudi in te il mio destin: taci il mio sesso.

Amor, rischio, ed onor così richiede.

SALLUSTIA

Giuro un sacro silenzio alla tua fede.

ALBINA

Non vo', che un infedele

si vanti de' miei pianti,

e scherzi al mio martoro.

D'ira, e di ferro armata,

saprò quell'alma ingrata

punir, sebben l'adoro.

Non vo', che un infedele

si vanti de' miei pianti,

e scherzi al mio martoro.

Scena sesta

Alessandro con Séguito, Claudio, e Sallustia.

ALESSANDRO

Le suppliche vassalle

qui son raccolte. È padre

de' popoli il regnante.

Quel giorno, in cui non sono

o benefico, o giusto,

da' miei fasti si escluda. Io l'ho perduto.

(va a sedere al tavolino)

SALLUSTIA

Te del genere umano

la delizia e l'amor chiaman le genti.

ALESSANDRO

E tu, Sallustia, sei

la delizia e l'amor del tuo Alessandro.

Al mio fianco ti affidi.

SALLUSTIA

Amato sposo.

ALESSANDRO

Alle scarse ricolte, onde la fame

preme l'itale terre,

la Sicilia provvegga,

ma col pubblico erario.

SALLUSTIA

Clemente, e generoso.

CLAUDIO

Tra l'armi a Pompeiano,

e sotto l'elmo incanutì la fronte.

Chiede riposo.

ALESSANDRO

E l'abbia, e doppio goda

il militar stipendio.

SALLUSTIA

Mercede al suo valor, sprone all'altrui.

ALESSANDRO

Claudio, questo è tuo soglio. A me che chiedi?

CLAUDIO

Partir di Roma al nuovo sol col campo.

Desio di gloria ivi mi chiama all'armi.

SALLUSTIA

Claudio, tua fé mi è cara. Anche sul Tebro,

da chi a cesare è fido, onor si acquista.

Resti in Roma. Io te n' prego.

(ad Alessandro)

Così servo ad Albina.

ALESSANDRO

Seguasi il suo voler. Claudio, ti eleggo

duce de' miei custodi.

CLAUDIO

Mi onora il grado. (Sofferenza, o core,

è pago il fasto, ed io volea l'onore.)

Scena settima

Giulia con foglio in mano, e detti.

GIULIA

Da un benedico augusto,

e da un figlio amoroso

anche tenera madre

spera grazie, e le implora.

ALESSANDRO

La madre le comanda, e non le chiede.

SALLUSTIA

(Giulia sì umile?)

GIULIA

In questo foglio espressi

sono i voti dell'alma.

(lo porge ad Alessandro)

ALESSANDRO

Saran giusti, se tuoi;

e se tuoi, sempre cari. Io segno il foglio.

(lo sottoscrive senza leggerlo)

SALLUSTIA

(Ah! Lo leggesse almeno.)

ALESSANDRO

(levandosi lo porge a Giulia)

Eccolo, o madre,

del mio nome già impresso.

GIULIA

Mio core e sangue mio.

SALLUSTIA

(Temo d'inganno.)

GIULIA

Grave affar mi richiede

qui con cesare sola.

SALLUSTIA

Che sarà? Nel lasciarti

sento un dolor più non inteso ancora.

(ad Alessandro)

GIULIA

Parti. Breve sarà la mia dimora.

Scena ottava

Giulia, e Alessandro.

GIULIA

Cesare, augusto, e figlio,

avvicinati, e siedi.

ALESSANDRO

Te sola, e te presente,

io cesare non son: non son che figlio.

Tu augusta sei: tu madre. E questa, e quella...

GIULIA

Sì: la madre, e l'augusta a te favella.

Figlio. Con questo nome

comincio a rammentarti

ciò che mi devi. Cesare. Anche questo

titolo è mio favor. Tal non saresti,

s'io non era tua madre.

Elagabalo, il mostro

coronato di Roma,

cesare ti creò, perché mio figlio.

Non basta. Io dall'insidie

del tiranno crudel, sai quante volte

ti preservai. Laccio, veleno, e ferro

minacciavan tua vita. Io la difesi.

Cadde l'empio, e tu regni.

Questa è pur opra mia. S'ama il tuo nome:

il tuo impero si esalta; e tutto, o figlio,

fu di Giulia finor legge, e consiglio.

ALESSANDRO

Il più tacesti, o madre,

de' benefici tuoi: la cara sposa.

GIULIA

Io te la diedi: il so: ma sol la diedi

al marital tuo letto,

non al regio mio trono; e lei mi piacque

tua consorte veder non mia sovrana.

ALESSANDRO

Di che...

GIULIA

Taci. Mi ascolta, e ti confondi.

Parli prima la madre, e poi rispondi.

Son io più Giulia? O sono

ombra di ciò che fui? Giulia il senato,

Giulia vedean la curia, il foro, il circo

ora Sallustia è sola

ciò che Giulia era pria. Tutto si regge

coi voti della moglie

il monarca, e l'impero! Ah! Figlio, figlio!

Se vuoi solo regnar, regna: io ne godo.

Ma che un'altra mi usurpi il grado mio,

no 'l soffrirò. Contenta

cedo al figlio il poter: no 'l cedo a lei.

Ella è sol mia rivale:

e le viscere mie, figlio, tu sei.

ALESSANDRO

Madre, errai: non te 'l nego.

Ma di errar non credei, né la mia sposa

troppo amando un tuo dono.

Pur di error sì innocente

e per essa, e per me chiedo perdono.

Deh! Placa l'ire. Il pianto,

che a piè ti spargo...

GIULIA

Amabil pianto, o figlio,

il so, fosti sedotto.

Orgoglio altrui mi ti avea tolto. Io trovo

ancora al mio Alessandro. Ancor l'abbraccio;

e sull'augusta fronte

bacio ancora l'idee di quell'affetto,

con cui tenera madre ognor mi amasti.

ALESSANDRO

O bontà, che mi rende e trono, e vita!

GIULIA

Ma la rea seduttrice io vo' punita.

Vada lungi l'altera

dal talamo, e dal soglio.

L'amasti col mio cor; l'odia col mio.

ALESSANDRO

Odiar la sposa? O dio!

GIULIA

Sposa più non la dir. Ripudi il figlio,

chi è nemica alla madre.

ALESSANDRO

O madre! O sposa!

GIULIA

O la sposa, o la madre abbia l'esilio.

O sii tutto marito, o tutto figlio.

Scrivi.

ALESSANDRO

Madre...

GIULIA

Su: scrivi

sentenza di ripudio. Io te 'l comando.

ALESSANDRO

Dimmi pria, che la spada

in questo seno...

GIULIA

Eh! Scrivi.

Spose non mancheranno

e più illustri, e più belle al regio letto;

ALESSANDRO

Scrivo... Ma...

GIULIA

Si ubbidisca.

ALESSANDRO

(scrive)

Sal... lus... tia... più... non... sei...

GIULIA

Moglie, né augusta.

Scrivi.

ALESSANDRO

Eh! lacero vanne, o foglio reo.

(squarcia la carta impetuosamente)

Son figlio, sì: ma ancora

son cesare di Roma, e sono augusto.

Tutto deggio alla madre,

ma non mai la viltà d'esser ingiusto.

GIULIA

Grazie al ciel! La tua destra,

ciò che nega il tuo cor, già mi concesse.

Ripudiata è Sallustia, e tu la carta

segnasti del ripudio.

ALESSANDRO

Io?... Quando?... O dèi!

GIULIA

Qui tu scrivesti. Or fremi, e fremi invano.

(mostrando il memoriale sottoscritto)

Più non mi turba il tuo malnato amore,

né 'l tuo ingiusto cordoglio.

Questo è 'l ripudio, e tu segnasti il foglio.

Scena nona

Alessandro, e poi Sallustia.

ALESSANDRO

Destra rubella al cor, che mai facesti?

Perché, perché scrivesti?

SALLUSTIA

Sol pur ti trovo, o caro. Io questo attesi

fortunato momento,

per poterti abbracciar... Ma che? Tu sfuggi

il casto abbracciamento? E taci? E piangi?

Forse non m'ami più? Parla. Rispondi.

ALESSANDRO

Dirò... La madre... Il foglio...

Dal talamo... Dal soglio...

Ah! Dirti non poss'io,

se non che sei 'l cor mio,

dolce mia sposa.

(Madre crudel,

perché volermi tor

moglie tanto fedel,

tanto amorosa?)

Dirò... La madre... Il foglio...

Dal talamo... Dal soglio...

Ah! Dirti non poss'io,

se non che sei 'l cor mio,

dolce mia sposa.

Scena decima

Sallustia.

E mi lascia? E non parla? E si confonde?

Quale addio! Qual silenzio!

Qual turbamento! Ah! Mio Alessandro, intendo:

Giulia è cagion del tuo, del mio tormento.

Ella qui ti sgridò, forse gelosa,

che tu più della madre ami la sposa.

Il mio vezzoso

diletto sposo

mi sia fedele,

e son contenta;

mio sia quel core

e del nemico

destin crudele

l'ira, e 'l furore

non mi spaventa.

Il mio vezzoso

diletto sposo

mi sia fedele,

e son contenta.

Scena undicesima

Giardini.
Claudio, e Albina.

CLAUDIO

Tu Albina? Eh, Non è ver.

ALBINA

Beltà, che amasti,

così presto scordasti?

CLAUDIO

Di Albina le sembianze

vivono nel mio cor, ma tu non l'hai.

ALBINA

Mira attento il mio volto:

che se non l'ha trasfigurato il duolo,

l'orme ancor ci vedrai de' tuoi sospiri.

CLAUDIO

Altre chiome, altre luci avea la bella,

altro aspetto, altro seno... Eh! Non sei quella.

ALBINA

Quella non son? T'intendo,

te incostante amator stringe altro laccio.

Sempre nel nuovo oggetto

ritrova l'infedel beltà maggiore.

S'io la prima non fossi, or la più bella,

perfido, mi diresti, e sarei quella.

CLAUDIO

T'inganni. Albina il primo,

Albina il solo amor fu di quest'alma,

e s'io dovessi amar, fuor di lei

altra non amerei.

ALBINA

Perché dunque sprezzar chi s' ti piacque?

CLAUDIO

Chi vuol gloria ottener, scuota d'amore

il tirannico giogo. Io gloria cerco.

ALBINA

E ti par gloria, iniquo,

mancar di fé? Di semplici donzelle

sedur gli affetti, e poi schernirli? Questi

son del Tebro gli eroi?

Son queste le tue glorie? I fasti tuoi?

CLAUDIO

Non è poca fortezza

vincer i bassi affetti. Ho sciolto il nodo,

e di mia libertà trionfo, e godo.

ALBINA

Godi pure, e trionfa;

ma senti: io qui non venni

per vedermi tradita, e per soffrirlo.

Qualche momento ancora

lascio all'empio tuo cor, pria di punirlo.

CLAUDIO

Posso amar; ma sol per poco:

così amor non è viltà.

Lunga fede è un lungo affanno.

Servir sempre al suo tiranno

è un oblio di libertà.

Posso amar; ma sol per poco:

così amor non è viltà.

Scena dodicesima

Albina, e Sallustia.

ALBINA

Misera Albina!... Augusta io son tradita

Claudio non m'ama più.

SALLUSTIA

D'altra invaghito?

ALBINA

Il nega, e lo trasporta

di non so qual rea gloria

giovanile desio.

SALLUSTIA

Non disperar. Ne' lacci

tornerà il prigionier. Facile acquisto

sarà quel cor già sciolto

alla pura tua fede, al tuo bel volto.

ALBINA

Soffrirò; ma dar non voglio

tanta fede alla speranza.

Cor che spera, ha più cordoglio,

se tradita

vede poi la sua costanza.

Soffrirò; ma dar non voglio

tanta fede alla speranza.

Scena tredicesima

Sallustia, e Giulia.

GIULIA

Chi non ebbe alma saggia

né la prospera sorte,

abbia ne' casi avversi anima forte.

SALLUSTIA

Augusta.

GIULIA

Il cor disponi al grave colpo,

che sul capo a te pende,

a te di Roma imperatrice, e sposa.

SALLUSTIA

Sol tua mercé.

GIULIA

Te ne abusasti, ingrata,

e la pena or ne avrai.

SALLUSTIA

Ingrata? In che peccai?

GIULIA

Prendi, e leggi infelice.

(le dà il foglio del ripudio)

Ché né sposa più sei, né imperatrice.

SALLUSTIA

Sposa non son?

GIULIA

Né augusta.

Leggi.

SALLUSTIA

(legge)

«Moglie, ed augusta

più Sallustia non sia. Già la ripudio.

Vada lungi dal Tebro;

e nell'Africa adusta

tragga miseri giorni in duro esilio.

Alessandro.» Alessandro?

Ripudio a me?

GIULIA

Sì, a te, femmina altera,

dà ripudio Alessandro, a te dà esilio,

a te non più marito, a me ancor figlio.

La sua destra il segnò.

(le leva la sentenza di mano)

SALLUSTIA

Non il suo core:

ch'ei deluso da te soscrisse il foglio.

GIULIA

E con la frode il castigai l'orgoglio.

Che pensavi, o superba?

Tormi giù da quel trono, ov'io ti posi?

E sulle mie ruine

più ferma stabilir la tua fortuna?

Tu usurpar, con qual merto,

le mie insegne, i miei titoli, il mio trono?

Sola di Roma Imperatrice io sono.

SALLUSTIA

Cadan sulle mie tempia,

non che i fulmini tuoi, quelli di Giove,

se mai punse quest'alma, amor d'impero.

L'unico voto mio, tutto il mio fasto

era Alessandro. Augusta,

lasciami il mio Alessandro: altro non chiedo.

GIULIA

Ciò che appunto più temo, è quel che chiedi.

Con qual armi potesti a me far guerra,

che con l'amor del figlio?

No, no: più no 'l vedrai. Vanne in esilio.

SALLUSTIA

Più no 'l vedrò?

GIULIA

Già la sentenza è scritta.

Vanne, misera, vanne

nelle libiche arene,

sol di mostri feconde. Ivi al mio core

di Sallustia non sia mostro peggiore.

Beltà più vezzosa,

più tenera sposa,

ma meno superba,

al figlio darò.

Al talamo eccelso

di augusto regnante

un vago sembiante

mancar mai non può.

Beltà più vezzosa,

più tenera sposa,

ma meno superba,

al figlio darò.

Scena quattordicesima

Sallustia, e poi Marziano.

SALLUSTIA

Qual torrente, qual turbine di mali

m'inonda, e mi rapisce? Io che poc'anzi...

MARZIANO

Figlia, qual ti lasciai? Qual ti ritrovo?

SALLUSTIA

Di mia sfortuna a te s' tosto il grido

pervenne, o genitor?

MARZIANO

D'alto non cade

grave mole giammai senza rimbombo.

SALLUSTIA

Che consigli in tal uopo?

MARZIANO

Ubbidir con virtù, soffrir con senno.

SALLUSTIA

Nei lievi mali e senno, e tolleranza

serbar si ponno. I miei

opprimono col numero, e col peso.

MARZIANO

Tu con ossequio lusinghier procura

vincer l'irata donna.

SALLUSTIA

Pria vincerò gl'indomiti leoni,

e le tigri feroci,

che quel barbaro cor.

MARZIANO

Corri allo sposo.

SALLUSTIA

La madre me 'l divieta.

MARZIANO

Tempo si ottengo.

SALLUSTIA

Il dì prescritto è questo

al mio esilio fatal.

MARZIANO

Questo anche basta.

No 'l perderò. Lasciami, o figlia, e spera.

SALLUSTIA

La sorte mia troppo è spietata e fiera.

Padre, addio. Dammi un amplesso,

e ricordati di me.

Poi da te, mio caro sposo,

verrò a tor l'estremo addio,

con la speme, e col desio

di spirar l'alma al tuo piè.

Padre, addio. Dammi un amplesso,

e ricordati di me.

Scena quindicesima

Marziano.

Sante leggi di fede, e di servaggio,

a favor di una figlia,

vi sciolgo, e vi calpesto.

Questa deggio al mio sangue

forte necessità di rea difesa.

Ciò ch'io medito, è grande.

Virtù regge l'impresa,

ed amor la consiglia.

Oggi, oggi, sì, l'attesto,

morirà il padre, o regnerà la figlia.

Ti sento, amor di padre,

che, estinto ogni altro affetto,

divampi nel mio petto,

e tutto il vuoi per te.

Son suddito, e fedele,

ma a costo d'una figlia,

il debito è crudele

sacrilega la fé.

Ti sento, amor di padre,

che, estinto ogni altro affetto,

divampi nel mio petto,

e tutto il vuoi per te.

Atto secondo
Scena prima

Logge imperiali.
Alessandro, e Sallustia da varie parti.

ALESSANDRO

(Sallustia... Ahimè! Qual vista?)

SALLUSTIA

Sposo, ti lascio. Piace

così al destin; così alla madre: quasi

vorrei, che così ancora

piacesse a te, per non lasciarti in pianto.

Il tuo pianto, il tuo duolo

è la maggior mia pena:

che lontana da te, pur mi saria

qualche piccol conforto

il saperti contento, anima mia.

ALESSANDRO

Tu parti? Ahi! Quest'annunzio è la mia morte

senza te... Dai singhiozzi

chiusa è la voce, e s'apre il varco al pianto.

SALLUSTIA

E a me la più dolente, e la più afflitta,

che non ho chi mi aiti, e mi consoli;

a me, che tutto perdo,

amici, e patria, e padre, e regno, e sposo,

toccherà il duro ufficio

di consolarti? Sì: caro Alessandro,

rimanti, e te ne prego,

lieto rimanti, e fortunato; e quando

abbia pur l'amor mio

a turbar la tua gioia, e 'l tuo riposo,

perdine la memoria, e vivi in pace.

Ama la nuova sposa. Ama la prole,

che tardi a te succeda

nell'impero del mondo. Ama la madre,

per cui vado in esilio;

né mai le rinfacciar la mia sventura.

ALESSANDRO

Io lieto? Io d'altra? E credi

sì fiacco il mio martire?

Ah! Senza te non amo,

né posso senza te, se non morire.

SALLUSTIA

Tu morir? Crudel! Perché?

ALESSANDRO

Perché sei cor del mio core.

SALLUSTIA

Vivi in onta al tuo dolore,

se pur hai pietà di me.

ALESSANDRO

Ti ho pietà; ma vuole amore,

ch'io non viva senza te.

SALLUSTIA

Tu morir? Crudel! Perché?

Scena seconda

Giulia con Séguito, e detti.

GIULIA

Eccomi in tuo soccorso, eccomi, o figlio.

ALESSANDRO

Madre.

GIULIA

Costei t'insidia;

e con le sue lusinghe

o ti rende infelice, o ti vuol reo.

Vanne, o donna, al tuo esilio.

Degna di te già l'Africa ti attende.

Son questi i tuoi custodi.

SALLUSTIA

Parto, mia augusta, parto.

Solo pria di partir lascia ch'io baci

la man che mi condanna.

GIULIA

Questa mano altre volte

ti diè scettro e corona.

SALLUSTIA

Or la corona

ripigliati, e lo scettro.

GIULIA

Ella sul trono

de' cesari ti pose.

SALLUSTIA

Io ne discendo;

né mi costa il lasciarlo

una lagrima sola.

GIULIA

Ella il mio cor... ma, ingrata,

che più darti potea dopo il mio figlio?

SALLUSTIA

E questo, e questo è il dono,

che in perderlo mi costa e pianto, e sangue.

Vedilo, eccelsa madre. Io te lo rendo;

e te 'l rendo innocente,

né d'altra colpa reo,

che di aver troppo amata un'infelice.

ALESSANDRO

L'ascolto, e vivo?

SALLUSTIA

Augusta,

all'amor tuo lo lascio.

Tu lo consola. Al vedovo suo letto

scegli sposa più degna, e più gentile.

Questo il puoi far, ma più fedel, non mai.

Che troppo, idolo mio, troppo t'amai.

GIULIA

Se la virtù, che hai nel tuo fato avverso,

tra le prosperità serbata avessi,

misera or non saresti.

Io ti ho qualche pietà; ma a te più fasto,

a me darìa più tema

un facile perdono.

Vattene. Al tuo destino io ti abbandono.

SALLUSTIA

Addio, augusta; addio, sposo. Ah! Mi perdona,

se ancor m'uscì dal labbro il dolce nome:

nome, che mai non mi uscirà dal core.

Questa è l'ultima volta,

che il posso dir. Vado al mio duro esilio.

Là farò voti al cielo

e per Roma, e per Giulia, e per il figlio.

ALESSANDRO

Tu parti, idolo mio?

SALLUSTIA

Io ti lascio, o sposo amato:

dar vorrei l'ultimo amplesso;

ma mi basta un guardo solo.

Fa', che almen mi sia concesso

il saper, che vivi, e regni

sposo altrui più fortunato;

né saprai tu 'l mio gran duolo.

Io ti lascio, o sposo amato:

dar vorrei l'ultimo amplesso;

ma mi basta un guardo solo.

Scena terza

Alessandro, e Giulia.

ALESSANDRO

Madre, pietà.

GIULIA

Col torti

dal fianco di costei t'uso pietade.

ALESSANDRO

In che peccò la misera innocente?

GIULIA

La giudichi col tuo, non col mio core.

ALESSANDRO

L'amai per tuo comando.

GIULIA

Ora è comando mio, che più non l'ami.

ALESSANDRO

Temi dunque il mio amor?

GIULIA

Temo il suo fasto.

Mi tolse il grado mio. Può tormi il figlio.

Vada, vada in esilio.

ALESSANDRO

Madre, ognor ti amerò. Troppo ti deggio.

GIULIA

Dovea molto alla madre anche Nerone;

e pur materno sangue

spruzzò il trono de' cesari.

ALESSANDRO

Quell'empio

forse son io?

GIULIA

No 'l sei;

ma un amor da Poppea temo in costei.

Vada pure al suo bando.

Il senato lo approva. Io lo comando.

ALESSANDRO

Nulla potrà un augusto?

GIULIA

Io tal ti feci.

ALESSANDRO

Mi servirò del mio poter.

GIULIA

Suvvia:

si ritratti il ripudio, e la sentenza.

Torni la sposa, e vi anderà la madre.

ALESSANDRO

(O implacabile cor.) Lacrime, e preghi...

GIULIA

Non giovano.

ALESSANDRO

Il mio sangue

giovi dunque a placarti. Io corro al lido;

e colà sciolto il fatal legno appena,

o questo ferro immergerò nel petto,

o me ancor rapiran l'onde frementi.

GIULIA

(Ahimè! Di spaventarmi

si è trovata la via.) Ferma, o spietato.

ALESSANDRO

Non si può tor la morte a un disperato.

GIULIA

Ferma. Ascolta...

ALESSANDRO

Non ascolto, che il tuo sdegno;

seguo solo il mio dolore.

Odio il giorno, aborro il regno,

e 'l dolor divien furore.

GIULIA

Ferma. Ascolta...

ALESSANDRO

Non ascolto, che il tuo sdegno;

seguo solo il mio dolore.

Scena quarta

Giulia.

Ferma, crudel. Son vinta.

Torni... Che fo? Qual debolezza è questa?

Qual disonore? Io rivocar l'esilio?

Ma se poi tratto il figlio

dal suo furore?... Eh! Perdita di moglie

non mai guida a morir. Parta la rea,

e con l'ombre ella parta.

Né questo dì dall'ire mie si perda.

L'aureo manto deponga;

ed in grado servil Roma la vegga,

ove augusto imperò, starsene ancella.

Avvilita beltà non è più quella.

Scena quinta

Giulia, Marziano, e Claudio.

MARZIANO

Augusta, onor del Tebro, amor di Roma...

GIULIA

Duce, non sei nel campo? In Roma forse

ti richiama la figlia?

MARZIANO

Non è più figlia mia chi a te fu ingrata.

Rispettar la superba in te dovea

la sua benefattrice, e la sua augusta.

La man, che la punisce, è sempre giusta.

GIULIA

O degno genitor di miglior figlia!

CLAUDIO

(Cauto l'ire nasconde.)

MARZIANO

Più non sa d'esser padre,

chi sa d'esser vassallo. A pro del trono

sparsi sangue, e sudor.

GIULIA

Giulia in te onora

la difesa miglior del nostro impero.

MARZIANO

Contra i Parti nemici

andrò duce, e guerriero,

purché l'augusta Giulia

del mio cesare al voto aggiunga il suo.

CLAUDIO

Me pur cesare elesse

duce de' suoi custodi.

Se 'l tuo cor non vi assente,

rinunzio il grado.

GIULIA

Ambo mi siete amici:

che a chi serve con fede al figlio mio,

e di Roma all'onor, grata son io.

Non ho in petto un'alma ingrata.

So punir, e so premiar.

Contra il fasto armo il rigor.

Con la fede uso l'amor.

L'arte è questa del regnar:

saper farsi temer, e farsi amar.

Non ho in petto un'alma ingrata.

So punir, e so premiar.

Scena sesta

Marziano, Claudio, e poi Albina in disparte.

MARZIANO

N'osserva alcun?

CLAUDIO

Siam soli.

MARZIANO

Qual m'infinsi, vedesti?

CLAUDIO

E ne stupii.

ALBINA

(Qui l'infedel?)

MARZIANO

Per più celar le trame

tradii natura, e condannai la figlia.

ALBINA

(Vo' sorprenderlo solo.)

CLAUDIO

Sul labbro a Marziano

Giulia trovò l'eroe, ma non il padre.

MARZIANO

La vendetta più cauta è la più certa.

CLAUDIO

E la meno temuta è la più fiera.

MARZIANO

Tutto svelo al tuo core.

ALBINA

(Io tutto ascolto.)

MARZIANO

Sul tramontar del giorno entro la reggia

forte stuolo di armati

per via segreta introdurrò. Le stanze,

occuperò di Giulia.

Tu, cui commessa è la custodia interna,

co' tuoi m'assisti.

CLAUDIO

E 'l puoi sperar. Mi unisce

a te lunga amistade.

Del favor di Sallustia ottenni il grado.

L'altera Giulia aborro,

donna odiosa al popolo, e al Senato.

ALBINA

(Trame funeste!)

CLAUDIO

E pria che cada il giorno,

ella forse morrà, senza che n'abbia

il tuo braccio l'onor.

MARZIANO

Come?

CLAUDIO

Valerio,

un de' primi ministri

della mensa real, da me già vinto,

le porgerà ne' primi sorsi il tosco.

MARZIANO

Piacemi, purché cada.

Sarà vano il velen? V'è la mia spada.

L'alma corre alla vendetta,

ma costretta;

né virtù le dà soccorso.

A ragion preval natura,

e all'amor cede il rimorso.

L'alma corre alla vendetta,

ma costretta;

né virtù le dà soccorso.

Scena settima

Claudio, e Albina.

CLAUDIO

Amistà, che non puoi?

ALBINA

Claudio.

CLAUDIO

(Importuna!)

ALBINA

Il tradito amor mio viene a cercarti.

CLAUDIO

Fuor di tempo ei ti guida. Albina, parti.

ALBINA

Cerca ognor l'infedel tempo, e pretesto.

Vo', che qui tu risolva. Il tempo è questo.

CLAUDIO

Non mi parlar d'amor.

Idee di più valor

medita l'alma.

Se il ciel mi arriderà,

anche il tuo cor, chi sa?

Speri la calma.

Non mi parlar d'amor.

Idee di più valor

medita l'alma.

Scena ottava

Albina.

Va' pur. So le tue trame.

Ho in man la vendetta.

Sei perduto, se parlo; e parlar deggio

vilipesa, e schernita.

Giulia il saprà. Ma qual trofeo, qual gloria

sarà la mia, veder per altra colpa

spirar quell'empio core,

che svenar deggio al mio tradito amore?

Non importa. Egli cada,

e se cade per me, mio n'è l'onore.

Sappia Giulia... Che penso?

Io di Sallustia il padre esporre a morte?

Io far, che si confonda.

Col sangue reo di un innocente il pianto?

No: con miglior consiglio

a Sallustia si sveli il reo disegno.

Si consoli il suo duolo.

Poi l'ira mia farà perir l'indegno.

Dell'infido a te s'aspetta

la vendetta,

mia oltraggiata fedeltà.

Se tacendo or lo difendo,

è furore, e sembra amore;

è fierezza, e par pietà.

Dell'infido a te s'aspetta

la vendetta,

mia oltraggiata fedeltà.

Scena nona

Sala apparecchiata per convito.
Sallustia in abito servile, con séguito di Ministri, che vanno imbandendo la mensa.

SALLUSTIA

Servi, alla ricca mensa in vasi d'oro

recate i cibi eletti.

Coronate le tazze; e ardete intorno

odorosi profumi.

Eccomi a voi compagna, ove poc'anzi

sedea sovrana: e pur lo soffro in pace;

non perché i mali miei

stupida m'abbian resa, e non li senta;

ma perché in rivederti,

o mio dolce signor, sarò contenta.

Scena decima

Albina, e Sallustia.

ALBINA

Impietosito è di tue pene il fato:

i tuoi mali avran fine.

SALLUSTIA

Faccian gli dii: ma non lo spero, Albina.

ALBINA

Quando più l'innocenza

dispera di conforto, allora il trova.

SALLUSTIA

Ah! Qual poter v'è mai, che sia più forte

di Giulia, e del suo sdegno?

ALBINA

Amore, e morte.

SALLUSTIA

Qual morte; qual amor?

ALBINA

Quello del padre,

che tutto porrà in opra e tosco, e ferro.

SALLUSTIA

Ferro, e velen? Di' tosto. In sen si scuote

l'alma: s'agita il sangue; e gelo, e sudo.

Che sarà mai?

ALBINA

Da questa

turba servile allontaniamci alquanto,

onde alcun non ci ascolti.

SALLUSTIA

O stelle! O dèi!

Crescer possono ancora i mali miei.

(si ritirano in disparte, e parlano sottovoce. Poi Albina parte)

Scena undicesima

Alessandro, Marziano, e le suddette in disparte.

ALESSANDRO

Molto del giorno ancora rimane; e ancora

spero placar la madre.

MARZIANO

E se costante

nell'ira ella persiste,

ti accheta col mio esempio. Anch'io son padre,

e del voler di lei pur mi fo legge.

ALESSANDRO

Oh! Fosse in me il tuo core!

Ma forse in tal disastro

abbiam, tu più virtude, ed io più amore.

Scena dodicesima

Giulia, e li suddetti.

GIULIA

Alla mensa, alla mensa. I gravi affetti

stien lungi, e ilarità condisca i cibi.

ALESSANDRO

I miei laverà il pianto.

GIULIA

Duce, con noi ti affidi.

MARZIANO

Al grande onor sol tua bontà m'innalza.

GIULIA

Ma Sallustia ritrosa

al ministero imposto? Io non la veggo.

SALLUSTIA

L'hai pronta, umil tua serva.

GIULIA

Il gioco, e 'l riso

alla mensa real scherzino intorno,

e si disciolga in liete danze il piede.

(siedono a mensa Giulia, Alessandro, e Marziano, e poi segue il ballo)

GIULIA

Del più dolce Falerno

empietemi la tazza, onde dal seno

certa ne sgombri incognita amarezza.

MARZIANO

(Or punita vedrò la tua fierezza.)

SALLUSTIA

Eccomi al gran cimento. Alma, sta forte.

Guardati al primo sorso

nella tazza letal berrai la morte.

ALESSANDRO

Che sento?

MARZIANO

(O dèi!)

(tutti levandosi)

GIULIA

Son queste di Tebe, e di Tieste

l'orride cene?

SALLUSTIA

È di mortal veleno

misto il dolce liquor, che ti si porge.

Fanne barbara prova

in chi di morte è reo;

e se di me non trovi,

chi più colpevol sia, dentro il tuo core,

porgilo a me, che almeno

finirò con la morte il mio dolore.

MARZIANO

(O troppo incauta figlia! E come il seppe?)

ALESSANDRO

Madre, la tua salvezza

devi a tanta virtù. Deh! Placa l'ire.

GIULIA

Dal caso atroce istupidita io sono.

A me tosco? A me morte? Ahi! Da qual mano,

da qual core esce il colpo?

Tu, che salvi i miei giorni,

svelami il traditor. Da un'altra morte,

che mi dà un rio timor, Giulia difendi.

Se il reo mi occulti, il beneficio offendi.

SALLUSTIA

(Giulia è difesa. Or non si accusi il padre.)

GIULIA

Parla, Sallustia, e attendi

dal mio grato dover ciò che più brami.

SALLUSTIA

Ciò che più bramo, è, che nel cor sepolto

mi resti il grande arcano:

parlai non chiesta: tacerò costretta;

e 'l mio forte silenzio

sarà dovere, e tu 'l dirai vendetta.

GIULIA

Non aspettar, ch'io scenda,

dopo un comando, alla viltà dei preghi.

Molto sperar, se parli,

e puoi molto temer, se dura il neghi.

SALLUSTIA

Vane son le lusinghe, e le minacce.

Parlai per zelo, e taccio per virtude.

GIULIA

Sarà virtù celarmi un traditore?

SALLUSTIA

Già dissi il tradimento, e ti salvai.

GIULIA

Chi asconde il reo, l'altrui delitto approva.

SALLUSTIA

Ciò che già oprai, di mia innocenza è prova.

ALESSANDRO

Deh! Salvami la madre, e parla, o cara.

SALLUSTIA

La madre ti salvai. Più dir non posso.

GIULIA

O protervo silenzio!

Tutto per te si fa mio rischio. Io temo

de' miei più cari. Temo

e ministri, e custodi,

e Marziano, e quanto veggio, e penso.

Che più? Nel mio periglio

mi è oggetto di spavento insino il figlio.

MARZIANO

Lasciatemi, o dell'alma

stupidezze, e ribrezzi. È tempo alfine,

che a figlia sì ostinata

favelli il padre. Guardami, e ravvisa

chi ti parla, e a chi parli.

Da me forse col sangue, e con la vita

ricevesti l'esempio

di reità, di fellonia proterva?

SALLUSTIA

(Anche il padre a' miei danni?)

MARZIANO

Su, parla, e dall'infamia

purga il mio sangue, e l'onor mio. Che tardi?

Nuova colpa diventa ogni dimora.

Parla: te 'l chiede un padre:

ma prima di parlar guardami ancora.

SALLUSTIA

Padre, che dir poss'io? Sono innocente;

e rio destin vuol, che colpevol sembri.

È delitto il silenzio: è colpa il dire.

Altro non resta a me, se non morire.

GIULIA

Ebben, morrai, superba. Alle mie stanze

guidatela, o custodi. Ivi dal seno

a forza ti trarrò l'alma, o l'arcano.

SALLUSTIA

Quella il puoi far. Questo lo speri invano.

La mia augusta è mia tiranna.

Anche il padre mi condanna.

Altro scampo non ho, che l'innocenza.

Ma in tanta crudeltà

forte mi troverà

la ria sentenza.

La mia augusta è mia tiranna.

Anche il padre mi condanna.

Altro scampo non ho, che l'innocenza.

Scena tredicesima

Giulia, Alessandro, Marziano, e Claudio.

GIULIA

Chi 'l veleno tentò, tentar può il ferro

per Giulia è mal sicura anche la reggia,

figlio, se l'amor tuo non la difende.

ALESSANDRO

A prezzo anche del sangue

io la custodirò dal tradimento.

Claudio, a tempo giungesti.

Il tuo zel, la tua fede

vegli a pro della madre.

Raddoppiale gli armati, e le difese.

CLAUDIO

Signore, a man più forte, e più fedele

non puoi lasciarla. In me riposa, e spera.

GIULIA

Tema, in alma real quanto sei fiera!

In sì torbida procella

cerco invano amica stella.

Non ho porto, non ho sponda.

Sol fra scogli ondeggio, ed erro.

E dal legno, a cui m'afferro,

mi respinge il vento, e l'onda.

In sì torbida procella

cerco invano amica stella.

Scena quattordicesima

Alessandro, Marziano, e Claudio.

ALESSANDRO

Son teco, Ah! Marziano,

per racquistar la sposa

ecco aperta la via. Parli Sallustia,

e placata è la madre, e lieto il figlio.

MARZIANO

Non parlerà. Sallustia è più che scoglio

dal mar battuto, e più che rupe al vento.

ALESSANDRO

Chissà? Forse il mio amor ne avrà il trionfo.

MARZIANO

È nota al genitor l'alma ostinata,

e indegna del tuo amor sarà l'ingrata.

ALESSANDRO

Sia speme, o inganno,

lieti pensieri,

voi dite all'alma,

che non disperi.

Col darvi fede,

scemo l'affanno,

né sento il danno,

benché siate menzogneri.

Sia speme, o inganno,

lieti pensieri,

voi dite all'alma,

che non disperi.

Scena quindicesima

Marziano, e Claudio.

MARZIANO

Ci fu avversa la sorte

nel primo colpo.

CLAUDIO

Lo schermì la figlia.

MARZIANO

Come a lei noto?

CLAUDIO

Io son confuso, o duce.

MARZIANO

Non si perda l'ardir. Mancato il primo,

resta l'altro, e più forte.

CLAUDIO

Né cadrà a voto. In poter nostro abbiamo

Giulia, e la reggia.

MARZIANO

E d'ogni parte a lei

sarà chiuso lo scampo, e la difesa.

CLAUDIO

Regga il destin la ben guidata impresa.

MARZIANO

Cervetta timida

in largo piano

seguir talvolta

si scorge invano

dal cacciator.

Ma se ogni strada

le è chiusa e tolta,

convien che cada

nel teso laccio,

o sotto il braccio

del feritor.

Cervetta timida

in largo piano

seguir talvolta

si scorge invano

dal cacciator.

Scena sedicesima

Claudio, e Albina.

CLAUDIO

Da qual labbro scoperte almen sapessi

le infelici mie trame!

ALBINA

Claudio, gran turbamento

ti leggo in fronte.

CLAUDIO

Il sol vedere Albina

n'empie il mio seno, e me ne sparge il volto.

ALBINA

Eh! Con occhio sì avverso

so che non guardi Albina. Alfin non sono

donna odiosa al popolo, e al senato;

né col tosco m'insidi, e non col ferro.

CLAUDIO

(Qual favellar?)

ALBINA

A Claudio

del mio amor più non parlo. Al degno amante

della gloria, e di Roma,

al nemico di Giulia

opre grandi rammento, e illustri imprese.

CLAUDIO

(Ah! purtroppo a costei tutto è palese.)

ALBINA

(Il perfido è confuso.)

Misero! Sei tradito.

CLAUDIO

Cieli! Da chi?

ALBINA

Brami saperlo?

CLAUDIO

Albina,

deh! Se pur m'ami...

ALBINA

Or quell'amor implori

che tu tradisti? E quell'Albina or preghi,

che ti colma di orror solo in vederla?

CLAUDIO

I rimproveri tuoi son giusti e atroci:

ma dimmi il traditor.

ALBINA

Di Giulia al trono

ei trar volea l'accusa. Io lo trattenni.

CLAUDIO

Quanto ti deggio!

ALBINA

Or più farò. Al tuo aspetto

guiderò l'infedele, e alla sua pena.

CLAUDIO

Sì; farò, ch'egli cada

sotto la mia vendicatrice spada.

ALBINA

Piacemi. In ravvisarlo

vedi, che il volto suo non ti confonda.

CLAUDIO

A te, più ch'ora il labbro,

il mio core, e 'l mio braccio allor risponda.

ALBINA

Vanne alle auguste terme, e là mi aspetta.

CLAUDIO

E spettator ti avrà la mia vendetta.

Sulle tue luci stesse

l'infido svenerò;

e al piè ti getterò

quel teschio esangue...

Non troverà pietà;

e la sua colpa enorme

appena laverà

tutto il suo sangue.

Sulle tue luci stesse

l'infido svenerò;

e al piè ti getterò

quel teschio esangue...

Scena diciassettesima

Albina.

Detto avesse l'infido:

Albina, tu mi salvi, e deggio amarti.

Ei sol pensa all'offesa, e alla vendetta;

ma la fede è negletta:

si trascura il dover: si oblia l'amore.

Proterva infedeltà! Povero core!

Fidi amori, or sì dolenti,

spero ancor di darvi pace.

L'infedel non vi spaventi:

che se in base di costanza

fondo il core, e la speranza,

non son vana, e non audace.

Fidi amori, or sì dolenti,

spero ancor di darvi pace.

Atto terzo
Scena prima

Terme imperiali.
Giulia, Alessandro, Sallustia.

GIULIA

Con quest'alma ostinata

sono preghi, e minacce arme impotenti.

ALESSANDRO

A me lascia il pensiero

di combattere quel core.

SALLUSTIA

Augusta, ah! Non partir.

ALESSANDRO

Teme il mio amore.

(piano a Giulia)

SALLUSTIA

O fa', ch'io pur ti segua

invisa compagna al regio fianco.

GIULIA

Qual novella pietà?

ALESSANDRO

Dilla timore.

(a Giulia)

Meco sola rimanga.

GIULIA

(ad Alessandro)

E seco allor favellerai d'amore.

ALESSANDRO

A lei parlerà il figlio, e non lo sposo.

GIULIA

(Mio sospetto geloso

cedi a terror più forte.)

Della proterva donna

questo diasi al silenzio ultimo assalto.

Dall'amor tuo: ma se non cede a questo,

tema tutto dall'ire

di un'augusta oltraggiata.

Non la difenderà l'amor del figlio;

né il più fier de' suoi mali

troverà nel ripudio, e nell'esilio.

So, che dono al vostro affetto

un momento di diletto

col lasciarvi in libertà.

Ma più fier sarà il mio sdegno

se quel cor tornerà indegno

e di grazia, e di pietà.

So, che dono al vostro affetto

un momento di diletto

col lasciarvi in libertà.

Scena seconda

Alessandro, Sallustia.

ALESSANDRO

Sallustia.

SALLUSTIA

Ah! Mio Alessandro,

forz'è ch'io segua augusta, e ch'io ti lasci.

ALESSANDRO

Con un solo tuo accento

puoi me far lieto, e te felice, e 'l neghi?

SALLUSTIA

Di te indegna sarei, se ti ubbidissi.

ALESSANDRO

Sì poco ami Alessandro?

SALLUSTIA

L'amo più di me stessa;

ma più del mio dover non posso amarlo.

ALESSANDRO

Val sì poco il mio trono?

SALLUSTIA

Con disonor no 'l curo.

ALESSANDRO

Sì poco il letto mio?

SALLUSTIA

Fin nel tuo seno

ne avrei pena, e rimorso.

ALESSANDRO

Tanto ti è caro il traditor, che taci?

SALLUSTIA

Dissi quanto dovea. Lascia ch'io parta.

ALESSANDRO

Se per lui temi, agli alti numi il giuro,

sua difesa sarò, sarò suo scudo.

SALLUSTIA

Tutto lo tradiria, s'io lo tradissi.

ALESSANDRO

Prega Alessandro, e ancor Sallustia tace?

SALLUSTIA

Tacer deggio, e penar. Soffrilo in pace.

ALESSANDRO

Deh! Senti, o cara...

SALLUSTIA

Ah! Sì infelice io sono,

che il più dolce mio voto è mia sventura.

L'esser teco è mia pena,

e può farsi tua colpa: o vanne, o parto.

ALESSANDRO

Crudel! Se mi sei tolta, e s'io ti perdo,

non accusar la madre. O dèi! Tu sei

cagion de' mali tuoi, cagion de' miei.

Da te tu mi dividi:

ti perdo, e tu m'uccidi:

crudel! Tu vuoi così, ma non t'intendo.

Tu vibri nel mio cor,

il dardo feritor;

e ne mostri pietà, né la comprendo.

Da te tu mi dividi:

ti perdo, e tu m'uccidi:

crudel! Tu vuoi così, ma non t'intendo.

Scena terza

Sallustia, Albina.

SALLUSTIA

(Padre quanto mi costi!) Ah cara Albina,

è favore del ciel, ch'io qui t'incontri.

ALBINA

Oltre l'uso i bei lumi

foschi veggio...

SALLUSTIA

Se m'ami,

porgimi un ferro.

ALBINA

Un ferro?

Neghisi al tuo dolor.

SALLUSTIA

No. A mia difesa

te 'l chiedo, e tosto il porgi.

ALBINA

Ah! Non far che a dolermi

abbia di mia pietà.

SALLUSTIA

Scaccia ogni tema.

Dolente sì, non disperata il chiedo.

Non me 'l ritardi più la tua amistade.

ALBINA

Prendilo; o ciel, che sia!

(le dà uno stilo)

SALLUSTIA

Con più pace ti lascio, o dolce amica.

Langue al cocente raggio

la pallida viola;

ma stilla rugiadosa

spiegar le fa più vaghi i suoi colori.

Di fronte al fiero oltraggio

langue anche l'alma mia;

ma un raggio di speranza

conforta, e racconsola

i miei languori.

Langue al cocente raggio

la pallida viola;

ma stilla rugiadosa

spiegar le fa più vaghi i suoi colori.

Scena quarta

Albina, Claudio.

CLAUDIO

Ben sollecita fosti. Eccomi Albina.

ALBINA

Hai teco l'ire tue?

CLAUDIO

Vaghe di sangue

avide di vendetta.

ALBINA

Qui il traditore alla sua pena io trassi.

CLAUDIO

Altri, che te non veggio.

(dà di mano alla spada)

Ov'è l'iniquo?

ALBINA

Tremerai nel vederlo.

CLAUDIO

Abbia anche ceffo

di Medusa, e di furia, io no 'l pavento.

Non vi sarà per lui scampo, o perdono.

Ov'è?

ALBINA

L'hai già presente, e quello io sono.

CLAUDIO

Tu quello sei?

ALBINA

Spietato in questo seno

cerchi, se 'l può, quel ferro, il grande arcano

dell'atroce congiura.

Che fai? Queste di Giulia

non son le stanze. Ivi ti attende il duce.

Ivi i custodi tuoi. L'ora è vicina.

Premono l'ombre. Claudio

che tardi più? Giulia dal tosco illesa

or, or per te cadrà vittima al ferro.

CLAUDIO

(Tutto sa: tutto intese.)

ALBINA

Dimmi sleal. Da te tradita, e offesa

vendicarmi potea? Trar la tua colpa

al tribunal della feroce augusta

poteano l'ire mie? Tacqui, o infedele,

non per pietà di te, che non la merti:

tacqui sol per vederti

dall'amor mio punito, e dal tuo fallo,

spergiuro amante, e perfido vassallo.

CLAUDIO

(Qual tumulto d'affetti

mi si desta nel cor!)

ALBINA

Mirarti estinto

sotto un'infame scure

non era gloria mia, non mio riposo.

(snuda la spada)

A questo ferro, a questo

la tua morte serbai.

Offeso amor la chiede, e se negletta.

Difenditi, se puoi. Voglio vendetta.

CLAUDIO

Vendichi pure Albina i torti suoi.

La vita mi serbasti;

ripigliala, se vuoi.

ALBINA

Nulla mi devi. Io te ne assolvo. Stringi,

su stringi il ferro; o il petto

piagherò benché inerme.

CLAUDIO

Ferisci, io no 'l difendo;

e a chi vita mi diede,

morte non rendo.

ALBINA

È questo il tuo valor? Tal la tua gloria?

CLAUDIO

Prima della tua mano

mi dà morte il dolor di averti offesa.

ALBINA

Ah! parlassi davvero, ingrato core.

Ma non merta più fede un traditore.

CLAUDIO

O bella, e 'l dirò ancora, o cara Albina,

viver non seppi tuo: tuo saprò almeno

morir: piaga: trafiggi: eccoti il seno.

ALBINA

Pena, che basta, è il tuo dolor. Sol questa,

questa era la vendetta,

ch'io vole dal tuo core:

la morte no, ma pentimento, e amore.

CLAUDIO

Rendimi l'amor tuo dopo il perdono.

ALBINA

L'amor? Risolverò. L'alma sì tosto

i tuoi sdegni non cede.

Voglio prova maggior della tua fede.

Voglio dal tuo dolore

prove di forte amore,

e poi risolverò.

A nuovo tradimento

fa invito, e dà fomento,

chi facile dà fede

a un cor che l'ingannò.

Voglio prova maggior della tua fede.

Voglio dal tuo dolore

prove di forte amore,

e poi risolverò.

Scena quinta

Claudio.

Qual amor, qual costanza, e qual beltade

tradiste, affetti miei! Rinascer sento

più forte il foco estinto. Ah! Per mia parte

andiam. Plachisi Albina.

Facil sarà. Due sole

lagrime da me chiede; e vinta è l'ira.

La prima nel suo core

svegliò pietà; sveglierà l'altra amore.

Ira in cor di donna amante

è qual nembo in tempo estivo:

assai freme, e dura poco.

A una lagrima, a un sospiro

si dilegua in un istante,

nebbia al sole, e cera al foco.

Ira in cor di donna amante

è qual nembo in tempo estivo:

assai freme, e dura poco.

Scena sesta

Camera con letto.
Giulia.

Quanto invidio a' tuoi riposi

in angusta, e nuda cella,

fortunata pastorella!

Che giova a me d'armati

custodita mirar la regal soglia,

se v'entrano a turbarmi ombre e terrori?

Un incognito affanno,

una smania segreta

mi straccia, e mi divora.

Parmi veder d'intorno, e tosco, e ferro.

Trovo chiuso ogni scampo.

Mi adiro. Mi contristo.

Pavento. Mi fo cor. M'agito. Fremo;

e in un sol traditor mille ne temo.

Piume, voi foste almeno... Ecco Sallustia.

(siede sul letto)

Fingerò le pupille

da grave sonno oppresse; e forse l'alma

da un bugiardo riposo avrà la calma.

(finge dormire)

Scena settima

Sallustia, Giulia.

SALLUSTIA

Sollecita qui trassi il piè tremante,

né tarda giungo. O numi,

consolaste i miei voti.

Augusta... In cheto sonno

tien chiusi i lumi, e dorme. Ah! Come puoi,

regal donna del Tebro,

pace goder col tradimento al fianco?

Mille spade a momenti... O padre, o padre,

a una misera figlia

perché sacrificar sì nobil vita?

GIULIA

Il padre. Ah! Scellerata.

(levandosi con impeto)

SALLUSTIA

(Ahimè! Labbro infedel tu m'hai tradita.)

GIULIA

Più non giova tacer. Sei rea col padre.

Tacerlo era tuo voto, e tua vendetta.

Ma pria, che l'empio vibri

la sacrilega spada,

sia trafitta la figlia, e al piè mi cada.

SALLUSTIA

Io rea col padre? Augusta...

GIULIA

Olà, servi, custodi...

SALLUSTIA

Dal tosco io ti difesi.

GIULIA

Sì; per farmi perir con più fierezza,

ma con quel tosco ancora...

VOCI

(di dentro)

Mora Giulia, mora, mora.

Scena ottava

Marziano con Séguito, e le suddette.

GIULIA

Ahimè! Quai voci!

MARZIANO

(sulla porta con la spada in mano)

A tutti,

ed a cesare istesso

si divieti l'ingresso.

GIULIA

Chiuso è ogni scampo. Ah, perfida, trionfa.

MARZIANO

Augusta, il tempo è questo

di vendetta, e di morte. E che? Pensavi,

che stupido io potessi

i miei torti soffrir? Tale è il mio sangue,

che se all'onor del trono

tu l'innalzasti, ei n'era degno, e appena

n'era un grado lontano. Or che l'ascese,

non è più in tuo poter far che ne cada

senza gravi ruine.

Cinta una volta la real corona

rende sacra la fronte, ove ella splende.

Era augusta la figlia

al par di te, da che ne ottenne il fregio:

augusta l'onorò, Roma, il Senato,

e cesare, e tu stessa.

Pari a te in grado, a te anche pari in sorte:

ella e figlio, e ripudio; e tu avrai morte.

GIULIA

Venga questa, e m'incontri

più di quello, che pensi, ardita, e forte.

La temei, non lo nego,

pria di vederla. Or che la miro in volto

a iniquo genitor d'indegna figlia,

ella in me non risveglia altro dolore,

che quel di aver sì tardi

trovato, e conosciuto il traditore.

Ben fui cieca a cercarlo

fuor del tuo sangue, e fuor di te. La mia

colpa è sol questa, e questa

fa la mia pena, ed arma il tuo delitto.

Compiscilo, ma sappi,

che una madre svenata

chiamerà alle vendette un figlio augusto.

E se col mio morir render tu pensi

alla figlia lo sposo, ed il comando,

orgoglio, e fellonia mal ti consiglia.

Per cesare qui giuro

morte a te, morte a' tuoi, morte alla figlia.

MARZIANO

Marziano, Sallustia, e Roma, e 'l mondo,

tutto tutto perisca;

ma Giulia ci preceda, ombra non vile.

Né più si tardi. Amici,

a me l'onor del primo colpo.

SALLUSTIA

Ah! Padre?

Chi più offesa di me? Chi più oltraggiata?

Stanca di tante ingiurie

è la mia sofferenza. Anche a me un ferro,

perché teco compagna io venga all'opra.

MARZIANO

Figlia, abbastanza rea sei del mio sdegno.

La salvasti dal tosco.

SALLUSTIA

E la salvai,

per aver parte anch'io nella vendetta.

A me le offese mie punir si aspetta.

GIULIA

Tanto si dura a dar la morte a un solo?

SALLUSTIA

Padre, un acciar. Te 'l chiede

l'ira insieme, e l'amor.

(dà la spada a Sallustia, e ne prende un'altra di mano dalle guardie)

MARZIANO

Prenditi il mio,

o magnanima figlia. A me non manca

di che armar questo braccio. Altro ne impugno;

su via, figlia, ti affretta.

Il nostro sdegno è impaziente.

SALLUSTIA

(a Giulia)

Aspetta.

E tu or vedrai qual sia Sallustia. Quella

condannata al ripudio,

riservata all'esilio,

quella già imperatrice, e poi vil serva,

derisa, minacciata

alla mensa, all'aspetto

di Roma tutta: ora vedrai qual sia.

GIULIA

Qual sempre fu, sempre nemica mia.

MARZIANO

Mori, o donna superba. Alcun non veggio

riparo al tuo destin.

SALLUSTIA

Ben lo vegg'io;

ed al seno di augusta è scudo il mio.

(si volta improvvisamente verso Marziano col ferro in atto di voler difender Giulia)

MARZIANO

Figlia, che fai?

SALLUSTIA

Difendo

ciò, che virtù m'impone.

MARZIANO

Quel seno, che difendi

bolle d'odio per te.

SALLUSTIA

Ma quello è il seno,

che diè vita al mio sposo.

MARZIANO

Lo sposo ella ti toglie.

SALLUSTIA

Ella me 'l diede.

MARZIANO

E con esso ti priva,

e di patria, e d'impero.

SALLUSTIA

Mi faccia anche morir. Tutte le offese

non uguagliano il prezzo

del suo gran dono.

GIULIA

(Io son di sasso.)

MARZIANO

Eh! Mora.

SALLUSTIA

Le ferite, e la morte

passeranno al mio sen, prima che al suo.

MARZIANO

Son padre.

SALLUSTIA

No 'l conosco

in chi di fellonia marche ha sul volto.

MARZIANO

Ingrata, or via, quel ferro

scaglia ancor nel mio petto.

SALLUSTIA

Quel d'augusta difendo,

e non minaccio il tuo.

MARZIANO

Ma che? D'inciampo

sarà fanciulla imbelle

al mio braccio guerrier? Questo sol colpo

il mal fidato acciar mi getti al piede.

(con un colpo getta la spada di mano a Sallustia)

E tu mori, o superba.

SALLUSTIA

Augusta, prendi,

e con la mia, la vita tua difendi.

(si cava uno stilo dal seno, e lo porge a Giulia)

MARZIANO

O dèi!

GIULIA

Perfido, indietro.

Odio d'esser crudel; ma se costretta

vi farò da quel cieco

furor, che qui ti trasse,

ti ucciderò sugli occhi

la figlia, e poi me stessa.

MARZIANO

Deh! Ferma. In questo seno...

GIULIA

Indietro, traditore, o qui la sveno.

Ho in mano la vendetta, e la difesa.

MARZIANO

Quella, e questa or mi manca.

Che risolver non so. Fermarmi è rischio.

Ritirarmi è viltade.

Augusta...

GIULIA

Al primo passo

tu più padre non sei. Già vedi il colpo.

MARZIANO

O voti mal perduti! O incauta figlia!

Da te stessa tradita,

togliesti a te ogni bene,

a me pace, vendetta, onore, e vita.

Non è degna di perdono

sfortunata fellonia.

Quell'ardir, che offende il trono

o ne scenda

col trofeo d'una gran colpa,

o ne attenda

pena infame, e morte ria.

Non è degna di perdono

sfortunata fellonia.

Scena nona

Giulia, Sallustia.

GIULIA

Dal venefico influsso

pur liberò quest'aure.

SALLUSTIA

Augusta, or ch'ai miei voti arrise il cielo,

e che salva ti veggio, al mio destino

il tuo voler dia leggi.

Vuoi tu, ch'esule io vada?

Me le libiche avranno

nude foreste, ed infocate arene.

Vuoi, che del mio tacer soffra il castigo?

Prescrivilo: io l'attendo.

Vuoi d'un misero padre

punir la colpa? In queste vene, in queste

viscere ne ricerca il sangue, il core,

il ministro, e l'autore.

Alza quel ferro, ed egli,

che strumento per te fu di salvezza,

per me lo sia di pena.

GIULIA

(Il cor si spezza.)

Non più: che alfin né il latte

succhiai da tigre ircana,

né mi cingono il sen freddi macigni.

Con questo acciar poc'anzi

minacciai la tua vita;

ma in quell'atto crudel sentia, che il ferro

mi tremava sul braccio.

Detestava l'iniqua

necessità del colpo;

mi faceva più orrore

la difesa, che il rischio;

e innamorata allor di tua virtute,

a tal prezzo temea la mia salute.

SALLUSTIA

Magnanima pietate!

GIULIA

Vattene, or tu di morte

barbaro ordigno, a terra. E tu, vinte già l'ire,

dissipati i timori, o mia diletta,

vieni nelle mie braccia,

vieni al sen, vieni al cor, vieni, e m'abbraccia.

SALLUSTIA

O ben sofferte pene,

che mi rendono quel cor...

GIULIA

Più non si parli

di ripudio, e di esilio.

Ai contenti, alle glorie, al trono, al figlio.

Tutto tutto ti rendo.

SALLUSTIA

O me felice!

GIULIA

Nella gran reggia accolto

ti rivegga il senato augusta, e sposa.

Là ti precorro; ed io

fabbra già de' tuoi mali, e de' tuoi pianti,

sarò tromba, e foriera

di tue beneficenze, e de' tuoi vanti.

Stringerai con più diletto

mano a mano, e petto a petto,

rivedendo il caro sposo.

Sospiraste,

lagrimaste,

ma più caro dopo il pianto

sarà il giubilo, e il riposo.

Stringerai con più diletto

mano a mano, e petto a petto,

rivedendo il caro sposo.

(apre una porta segreta, ed esce per quella)

Scena decima

Sallustia.

Affetti miei, così non vi trasporti

l'impeto della gioia,

che vi faccia obliar quello di figlia,

se d'un padre infelice, e reo per voi

non s'impetra il perdono,

racquistar che mi giova e sposo, e trono?

Ma tutto vincerò, se Giulia ho vinta:

che il sommo è de' trionfi

in donna grande una grand'ira estinta.

Afflitta rondinella

un mar dovea varcar

tutto in tempesta;

ma la stagion più bella

per me rinverde ancora,

e qui mi arresta.

Ristretta al caro nido

abbraccerò il mio fido;

e sarà dolce allora

potergli rammentar

l'onda funesta.

Afflitta rondinella

un mar dovea varcar

tutto in tempesta;

ma la stagion più bella

per me rinverde ancora,

e qui mi arresta.

Scena ultima

Salone imperiale, nel cui fondo si vede discesa la reggia della Felicità di Roma.
Precede gran sinfonia; e intanto scendono dalle scalinate superiori i Soldati, e Popoli romani, di poi Alessandro con Giulia, poi Sallustia, Marziano; poi Albina, e Claudio.

ALESSANDRO

Salva, o madre, t'abbraccio, e appena il credo.

GIULIA

Ma se Giulia peria, dov'era il figlio?

ALESSANDRO

Spinto da amor, da sdegno, al primo avviso

corsi, volai. Che pro? D'armati, e d'armi

era chiuso ogni passo:

e non mi valse autorità, né prego.

GIULIA

E Claudio a te sì fido?

ALESSANDRO

Invan nel denso

lo cercai de' soldati, e de' custodi.

Anche in lui temo e tradimenti, e frodi.

GIULIA

Così volle il destin, perché dell'opra

tutto ne avesse il merto

la virtù di Sallustia.

ALESSANDRO

O generosa!

GIULIA

Ecco la mia difesa, e la tua sposa.

SALLUSTIA

Mio cesare, e signor...

ALESSANDRO

Che fai?

SALLUSTIA

Prostrata

starò al tuo piè, finché del padre ottenga

al colpevole amor grazia, e perdono.

ALESSANDRO

Il duce dov'è? La madre

tu mi salvasti: il 'l genitor ti dono.

SALLUSTIA

E augusta?

GIULIA

Il mio potere

tutto è per te dovere.

È assai maggiore

del suo fallo il tuo merto;

e d'un campion sì forte

non si privi l'impero.

MARZIANO

Andrò nel campo,

miei benefici augusti,

e per far, che sia eguale

alla vostra bontà la mia fortezza,

rammentando la colpa,

darò sprone alla fede,

e sul Tigri sconfitto

temeranno anche i Parti il mio delitto.

SALLUSTIA

Or nulla più manca al mio riposo.

ALESSANDRO

Mia vita.

SALLUSTIA

Anima mia.

ALESSANDRO

Mio ben.

SALLUSTIA

Mio sposo.

GIULIA

Più non mi turba un sì innocente amore.

ALBINA

Seguimi. Non temer, sire, al tuo aspetto

un colpevole io traggo, onde ne impetri

grazia, e non pena.

ALESSANDRO

E tu pur, Claudio, allora

che in te fede più avea, tu più tradirmi?

CLAUDIO

Signor... Che mai dirò?...

ALESSANDRO

Ma tu qual sei,

giovane, e a pro del soglio

che oprasti, onde con tanta

confidenza, ed orgoglio

favor pretendi?

SALLUSTIA

Ah! Sposo,

se augusta è salva, il merto

tutto a costei si ascriva. In lei ti addito

di Sulpicio la figlia. Ad altro tempo

suoi casi udrai. Ti basti

ora il saper, ch'ella il veleno, e il ferro

mi scoprì amica, e che la mercé ne chiede

del suo amante il perdono.

ALESSANDRO

Disponi a tuo piacer del suo destino.

SALLUSTIA

Claudio, sia pena tua l'amar Albina.

CLAUDIO

Pena più cara a me d'ogni mercede.

Se sposo mi gradisci, ecco la fede.

ALBINA

Ma sia fido marito

chi fu amante spergiuro.

CLAUDIO

Eterno amore al tuo bel volto io giuro.

GIULIA

Popoli, or qui raccolti

dell'impero del figlio

con liete pompe a celebrar gli auspici,

non men di lui, della sua augusta sposa

date lode alle glorie, applauso ai fasti.

Voi la vedeste invitta, e voi vedeste

ceder tutto ad un core,

ove con la virtù si unisca amore.

TUTTI

Tutto cede ad un core

ove con la virtù si unisca amore.

Bell'amor,

che fai lega con virtù,

canti ogni alma il tuo poter.

Della sorte

tu disarmi anche il rigor;

e lo cangi invitto, e forte

in tua gloria, e in tuo piacer.

Bell'amor,

che fai lega con virtù,

canti ogni alma il tuo poter.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 26/06/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40 (W)

Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Scena diciassettesima Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena ultima