www.librettidopera.it

Antigona

ANTIGONA

Tragedia per musica in tre atti.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

Da qui accedi alla versione estesa del libretto.
Da qui accedi alla versione in PDF del libretto.

Codice QR per arrivare a questa pagina:
QR code

Libretto di Marco COLTELLINI.
Musica di Tommaso TRAETTA.

Prima esecuzione: 11 novembre 1772, San Pietroburgo.


Personaggi:

ANTIGONA principessa di Tebe

soprano

ISMENE sua sorella

soprano

CREONTE loro zio materno

tenore

EMONE suo figlio

contralto

ADRASTO magnate tebano

tenore


Coro di Argivi, coro di Tebani, coro di Donzelle del séguito d'Antigona, coro di Sacerdoti. Personaggi pantomimi: Eteocle, Polinice, figli d'Edipo.



Argomento

Dopo l'infausta morte d'Edipo re di Tebe, i suoi due figli Eteocle, e Polinice convennero d'occupare a vicenda, un anno ciascuno il regno paterno; ma Eteocle, che la sorte avea scelto a montar il primo sul trono, volle contro la fede dei giurati patti escluderne perpetuamente Polinice. Questi, a sostenere i suoi dritti alla corona levò una poderosa armata d'argivi, e portò contro la patria una guerra ostinata, e crudele, a terminar la quale fu stabilito di comune accordo, che la sorte dell'armi in un combattimento a corpo a corpo de' due fratelli rivali decidesse la lor contesa. Restarono ambedue estinti sul campo, e Creonte loro zio materno succedendo al trono di Tebe, per conciliarsi l'amore dei cittadini con un tratto di zelo verso la patria comune, ordinò, che il cadavere di Polinice, che aveva mosso l'armi contro di lei, fosse privo degli onori del sepolcro, il che secondo gli antichi costumi di quella gente era il massimo dei castighi, e il più ignominioso. Antigona l'infelice germana degli estinti, e amante riamata d'Emone figlio di Creonte, non sofferse simile obbrobrio; e osò, contro il rigoroso divieto, dare onorata sepoltura al fratello, incorrendo così la pena di morte intimata a' trasgressori di quella barbara legge.

Ecco il soggetto del presente dramma, il medesimo, che ha dato luogo alla famosa tragedia di Sofocle, che porta l'istesso titolo, ma con quei cambiamenti tanto nella condotta, che nella catastrofe, che si sono giudicati più opportuni alle leggi del teatro musico, e alla delicatezza dei principali spettatori, per cui fu destinata.

Atto primo
Scena prima

Veduta esterna della città di Tebe, e del campo degli argivi. In mezzo, ampio steccato con doppio ingresso, destinato al combattimento dei due fratelli rivali, e da una parte palco magnifico per i giudici del
duello.

S'apre lo spettacolo con una danza pirrica di Guerrieri argivi, e tebani, che introducono per i due cancelli opposti nello steccato i Combattenti, in mezzo al doppio coro del Popolo tebano affollato alla porta, e sulle mura della città, e dei Soldati argivi dal campo, in tempo della quale Creonte, e Adrasto, e gli altri due Giudici dalla parte degli argivi montano sul palco.

CORO DI SOLDATI ARGIVI

(dal campo)

Giusti numi, ah voi rendete

la corona al vero erede.

CORO DEL POPOLO TEBANO

(dalla città)

Dèi di Tebe, ah proteggete

della patria il difensor.

Insieme

CORO DI SOLDATI ARGIVI

(dal campo)

Voi del trono arbitri siete,

e difesa in voi non hanno

un tiranno. Proteggete...

CORO DEL POPOLO TEBANO

(dalla città)

Voi del trono arbitri siete,

e difesa in voi non hanno

un traditor. Proteggete...

Si sospende per un momento la danza guerriera, e trovansi in mezzo alle loro scorte Eteocle, e Polinìce. Eteocle depone la corona, e lo scettro in mano d'un Araldo, che esce a posarla in un luogo a ciò destinato a piè del palco dei Giudici. Dopo di che ripresa per un poco la danza

alla replica della prima strofa del Coro, escono i Guerrieri dallo steccato, restando soli Eteocle e Polinice, che attaccano una fiera zuffa, cadendo finalmente ambedue morti sul campo, mentre i vari successi del combattimento danno luogo al seguente coro:

Insieme

CORO DI SOLDATI ARGIVI

(dal campo)

Proteggete, giusti numi, proteggete.

Versa il tiranno il sangue,

cade il ribelle estinto,

ah Polinice ha vinto,

ha vinto.

CORO DEL POPOLO TEBANO

(dalla città)

Proteggete, dèi di Tebe, proteggete.

Versa il tiranno il sangue,

cade il ribelle estinto.

Eteocle è vincitor,

è vincitor.

CREONTE E ADRASTO

(alzandosi sulla tribuna, verso il popolo)

No: d'ambi il corpo esangue

copre l'infame arena.

TUTTO IL CORO

O trista, infausta scena

di lacrime, e d'orror.

In tempo di questo coro scendono i Giudici dal palco, e si dispongono in mezzo alla Moltitudine sul davanti del teatro, mentre una parte dei Soldati sta disfacendo lo steccato, e recando due bare per trasportare i cadaveri.

CREONTE

Popoli, amici, a' nostri voti il cielo

la lungamente sospirata pace

accorda alfin, ma costa

prezzo di sangue, e di delitti;

estinti con parricidio atroce

i tristi avanzi della stirpe reale,

e vuoto il trono,

è troppo caro a questo prezzo il dono.

(ai capi degli argivi)

Voi, giusta i sacri patti,

che giuraste agli dèi,

volgete altrove, guerrieri eroi,

l'armi nemiche.

(ai tebani)

E voi fedeli a vostri giuramenti,

al sangue de' vostri re,

grati agli dèi,

scegliete tebani, a riempir l'antica sede

e di Cadmo, e di Lajo,

un degno erede.

ADRASTO

Ah chi di te più degno,

chi più grande di te?

(va a prender la corona, e presentandola a Creonte, che modestamente la ricusa, fino all'approvazione del popolo)

Tu germe illustre della stirpe real,

tu della patria il più fido sostegno,

l'ornamento maggior.

Del comun voto, interprete fedel,

sulla tua fronte depongo il regal serto.

Il pegno fia del pubblico riposo,

della pubblica speme.

Al tuo gran figlio

stringa Antigona bella il fausto nodo

che l'amor già dispose,

e si rinnovi, con più felici auguri

de' nostri re la prole a' dì futuri.

TUTTO IL CORO

Regna lunghi anni felici

stringi il nodo fortunato,

ch'è brama d'ogni cuor.

Tu sarai nel nuovo stato

il terror de' tuoi nemici,

e de' sudditi l'amor.

CREONTE

(riceve la Corona, e se la pone sul capo)

Cedo al publico voto,

e ascendo un trono

che ancor gronda di sangue.

Almen s'estingua

in quel sangue infelice

la vendetta de' numi.

Dopo i funebri onor,

la tomba accolga venerata degli avi

il cener sacro d'Eteocle

ei che fedele per la patria pugnò;

l'altro che mosse l'ingiusta guerra

incontro a lei,

rimanga inonorato al campo,

e ognun lo veda

detestato, insepolto, ai corvi in preda.

TUTTO IL CORO

Così finiscano,

così periscano

per sempre i perfidi,

i traditor.

E l'ombre pallide,

nude insepolte

sul nero margine

di Lete accolte

copra di tenebre

l'eterno orror.

Scena seconda

In tempo che il Popolo si dispone a portare altrove i due cadaveri, escono scarmigliate e affannose dalla porta della città, col séguito delle loro Donzelle, facendosi strada tra la folla del Popolo, che al loro arrivo si dispone rispettoso ai due lati della scena Antigona, e Ismene.

ANTIGONA

Fermatevi, crudeli.

Almen lasciate,

che il cadavere esangue

lavi col pianto mio.

ISMENE

Lasciate almeno,

ch'abbian gli ultimi amplessi

i germani da noi.

ANTIGONA

Prole infelice d'una infausta famiglia,

ecco adempito d'Edipo disperato

l'oracolo crudele.

ISMENE

E con l'orrore

del più atroce delitto.

ANTIGONA

O scelerata sete di regno!

O crudi implacabili dèi!

Saziate alfine contro un sangue aborrito,

la vostra ira crudele.

Ancor vi resta novo oggetto

alla strage, alla vendetta.

CREONTE

Si compia il cenno mio.

(alle guardie, che senza più badare ad Antigona portan via i due cadaveri)

ANTIGONA

Barbaro! aspetta.

Che manca al tuo desio?

L'orrida guerra opra è dell'arti tue.

Tu fomentasti le fraterne contese;

è tuo progetto la scellerata pugna;

il vero erede, per te, non ha più il trono,

più germani io non ho.

Tu regni alfine,

non hai più che bramar.

Ma il corpo esangue

degli estinti germani

almen permetti, ch'abbia il comun tributo

del pubblico dolor, poi si racchiuda

nella tomba degli avi. Agl'infelici

questi almen son dovuti ultimi uffici.

Ah de' tuoi re, tiranno

almen le spoglie onora.

ISMENE

Contro gli estinti ancora

perché infierir, perché?

CREONTE

Compiango il vostro affanno,

all'ire tue perdono.

Ceder vorrei, ma sono

pria cittadin, che re.

ANTIGONA E ISMENE

Crudel, barbaro vanto!

ANTIGONA

Giacché gli usurpi il trono

non gl'invidiar la pace,

degli avi all'ombre accanto.

CREONTE

Ribelle, e contumace

degno d'onor, di pianto

un traditor non è.

ANTIGONA E ISMENE

Ah di pietà capace,

quell'empio cor non è.

CREONTE

Resti in riva all'Acheronte,

segno all'ira, alla vendetta,

detestata ombra negletta

i ribelli a sbigottir.

ANTIGONA

No, crudel; lo speri invano.

CREONTE

Sai qual pena il fallo aspetta.

ANTIGONA

Sì, la morte empio, inumano,

ma non fammi impallidir.

CREONTE

Pensa incauta...

ANTIGONA

Il colpo affretta,

sfido tutto il tuo furore.

Insieme

ANTIGONA E ISMENE

Troppo è barbaro rigore

sugli estinti incrudelir.

CREONTE E CORO

È giustissimo rigore

co' ribelli incrudelir.

(parte Creonte, con tutto il séguito de' tebani)

Scena terza

Antigona, e Ismene colle Donzelle.

ANTIGONA

Ah di'; rimane ancora all'ira degli dèi

qualche nascosa di sciagure, e di guai

fonte funesta, a versar su di noi?

No, non le resta.

Le più tragiche morti,

le colpe le più atroci,

e insieme con esse

l'ignominia, il rossor, tutto ci oppresse.

Era poco in un dì piangere estinti

per la man l'un dell'altro

i tristi avanzi del nostro infausto sangue;

oltre la tomba vuol che ancor lo persegua

questo pubblico obbrobrio il suo tiranno.

Ah questo sol mancava al nostro affanno!

ISMENE

Misero Polinice!

Ecco il tuo regno, il tuo retaggio.

Un nudo campo;

e un solo fra tanti

non avrai, ch'osi

raccorre le tue ceneri almen,

che almen ricopra

di poca polve il corpo estinto.

ANTIGONA

Ah pria tutti i fulmin di Giove

piombin sovra il mio Capo. Andiamo.

ISMENE

E dove?

ANTIGONA

A tentarlo, e perir.

D'una misera famiglia

tutta sai l'istoria amara

e la vita t'è sì cara,

e paventi di morir?

Ah qual sorte, ingrata figlia,

puoi sperar fra tanti orrori,

che a' germani, a' genitori

di poterti riunir?

Ombre care, ombre dolenti,

io sarò contenta appieno,

se con voi m'è dato almeno

di confondere i lamenti,

di dividere i sospir.

Se d'un figlio al vostro affetto

manca ancor l'ombra infelice,

non temete, io già m'affretto

a condurvela, e perir.

(parte co' le donzelle)

Scena quarta

Ismene sola.

Rimproveri crudeli!

O giusti numi, che vedete il mio cuor;

voi lo sapete, s'è di pietà

difetto la debolezza mia;

se del germano non compiango il destin,

se non vorrei a quell'ombra dolente

dell'eterno riposo al varco estremo,

il passo aprir col sangue mio;

ma tremo e manca all'amor mio

la costanza, e l'ardir, non il desìo.

Ma... la cara germana... Oh dio!...

Si perde, e si prepara intanto

la sorgente per me di nuovo pianto.

Ah giunto invan credei

il fin delle mie pene;

piangere ancor conviene

anco a tremar mi resta,

germana, o dio, per te.

Scena quinta

Emone, Ismene.

EMONE

Grazie a pietosi dèi,

pur ti ritrovo, Ismene;

chi ti trattiene in questa scena

d'orror, perché?

Tebe il germano onora,

e tu qui piangi intanto,

e al mesto rogo accanto

Antigona non è.

ISMENE

Ah di dolor, di pianto

nuova cagion funesta

Antigona è per me.

EMONE

Come?

ISMENE

Morir mi sento.

EMONE

Parla, mi strazia il core.

ISMENE

Corre a morir.

EMONE

Che orrore!

ISMENE E EMONE

Che giorno di spavento

è questo mai per me!

EMONE

Misero me! che ascolto:

ah tu gelar mi fai.

Scoprimi almeno

questa scena d'orror; parla.

ISMENE

T'è noto il decreto crudel,

che a Polinice vieta il sepolcro,

e d'una morte atroce

minaccia il trasgressor?

Di questa ad onta barbara legge,

ella a prestar s'affretta

questi al germano estinto

pietosi uffici, e impavida, e sicura

sfida il tiranno,

e il suo morir non cura.

La più intatta virtù non ha difesa,

contro il voto d'un re.

Se vedi oppresso sì spesso

il mondo da' tiranni, è solo,

perché d'adulatori ognor funesta

turba vile, insidiosa il trono infesta.

EMONE

No, ti fida; è il pianto estremo

quel che versi ora dal ciglio;

Giove irato al tuo periglio

no, più fulmini non ha.

ISMENE

Ah vorrei sperar, ma tremo;

troppo avvezzo è questo cuore

alle stragi, ed all'orrore

per sognar felicità.

EMONE

Sai che cambia alfin la sorte.

ISMENE

La provai sempre tiranna.

EMONE

La germana...

ISMENE

Ah corre a morte.

EMONE

Van timore oh dio t'affanna.

ISMENE

Ah di rado il cuor s'inganna,

nel temer calamità.

ISMENE E EMONE

Sommi dèi, d'un innocente

non v'offenda il puro zelo.

Siete giusti, e so che in cielo

non è colpa la pietà.

Atto secondo
Scena prima

Vasta deserta campagna alle falde di nude montagne, colla veduta in distanza d'una parte della città.
La scena è in tempo di notte, se non quanto è illuminata dalle fiamme d'un rogo acceso, su di cui arde il cadavere di Polinice.

Antigona col séguito delle sue Donzelle vi stanno gettando sopra i profumi, e le cose più care, implorando dagli dèi inferi pace, e riposo all'ombra di lui, intrecciando a una grave danza solenne il seguente lugubre

CORO

Ascolta il nostro pianto,

i gemiti, i sospiri,

ombra, che qui t'aggiri

al mesto rogo accanto,

e passa poi felice

d'eterna pace in sen.

ANTIGONA

Misero Polinice!

CORO

O voi dell'Erebo,

pietosi numi,

se non vi placano

doni, e profumi,

le nostre lacrime

per l'infelice

plachinvi almen.

ANTIGONA

Ah Polinice!

Secondo il rito tagliandosi una ciocca di capelli, e gettandola sul rogo, dopo di che le Donzelle gettano sullo stesso dell'acqua lustrale per estinguerlo, ritirarne l'urna, ed estrarne le ceneri.

ANTIGONA

Ombra cara, amorosa, ah perché mai

tu corri al tuo riposo, ed io qui resto?

Tu tranquilla godrai

nelle sedi beate, ove non giunge

né sdegno, né dolor; dove ricopre

ogni cura mortale eterno oblio;

né più rammenterai

fra gli amplessi paterni il pianto mio,

né questo di dolor soggiorno infesto;

ombra cara, amorosa, ah perché mai

tu corri al tuo riposo, ed io qui resto?

Io resto sempre a piangere,

dove mi guida ognor,

d'uno in un altro orror,

la cruda sorte.

E a terminar le lacrime

pietosa al mio dolor,

ahi che non giunge ancor

per me la morte.

Le Donzelle raccolte le ceneri di Polinice le chiudono in un'urna preziosa col nome di lui, e le presentano ad Antigona.

CORO

Oh folle orgoglio umano!

Dura necessità

ogni cosa quaggiù...

strugge, e dissolve.

Di tanto fasto insano,

di tante vanità,

altro non resta più...

che poca polve.

ANTIGONA

(prendendo l'urna, ove son raccolte le ceneri di Polinice)

O reliquie funeste,

preziose al mio dolor,

ceneri amate,

che dell'ira celeste

la memoria dolente

a me serbate;

lasciate, o dio, lasciate,

ch'io vi sparga di pianto,

e se non posso nella tomba real,

vi chiuda almeno,

care ceneri amate,

entro al mio seno.

Tutto è compito, amiche,

rendiam grazie agli dèi.

Rechinsi altrove i sacri vasi e l'ara,

e del pietoso dolente sacrifizio

orma non resti.

Scena seconda

Emone affannato, e detta.

EMONE

Antigona, mia vita, ah che facesti?

Come io tremo per te!

Fuggi, t'invola, salvati per pietà.

ANTIGONA

Da chi?

EMONE

Dall'ira d'un implacabil re.

Dalle minacce d'un popolo crudele.

Ah tu non sai, che invan

piansi, e pregai;

che l'empia legge rivocarsi non può;

che se si scuopre col primo albor,

che già comincia,

ad onta del decreto inumano,

a Polinice reso il funebre onor,

tutti i sospetti dovran cader sopra di te.

Che abbiamo tutto a temer

da un barbaro rigore.

ANTIGONA

Temo gli dèi,

né sento altro timore.

EMONE

Misera! e se la legge

ti condanna a morir?

ANTIGONA

Finirò il corso,

che mi stanca ogni dì.

EMONE

Tolgan gli dèi il presagio crudel.

Pensa, che a questa orribile sciagura

io non saprei sopravvivere un dì.

Serbati, o cara, a fortuna miglior,

dell'amor mio, alle speranze,

a' voti d'un popolo fedel.

Celati almeno, nascondi ad ogni sguardo

cotesta urna ferale; fidala a me,

la deporrò, io giuro, nella tomba degli avi.

Almen si tolga a' giudici severi

ogni prova, ogni indizio...

ANTIGONA

E vuoi, ch'io speri?

EMONE

Ah sì; da te dipende

la tua, la mia speranza.

Merta la mia costanza

mercé dal tuo bel cor.

D'un sol dover pietoso

la gloria a te non basti,

e se il german salvasti,

salva lo sposo ancor.

(guardando spaventato dentro la scena)

Ma lasso me! Che vedo?

Stuol di custodi... Oh dio!

Cedi mio ben.

ANTIGONA

Ti cedo, prendi.

(porcendogli l'urna)

EMONE

Sì, fuggiam.

ANTIGONA

Tu sei

l'arbitro del cuor mio.

Antigona e Emone

ah proteggete oh dèi

un innocente amor.

(fuggono con tutto il séguito delle donzelle, ma da diverse parti)

Scena terza

Adrasto seguìto da alcune Guardie, con faci, e lanterne, non essendo ancora ben chiaro il giorno.

ADRASTO

Non v'è dubbio, amici;

ecco gli avanzi dell'arso rogo:

in questo loco appunto

fu il cadavere esposto,

e invan d'intorno si cercano i custodi,

cui l'oro avrà sedotti.

È trasgredito il pubblico divieto,

e il re schernito. Oh Tebe!

A nuovo lutto gli occhi prepara.

Ancor ti resta a piangere

sul sangue de' tuoi re.

Persegue il cielo fin negli ultimi germi

così d'Edipo i falli,

e chiedon tutta dall'ultima radice

questa strugger gli dèi pianta infelice.

Chi può dir: sono innocente?

Chi può dir: sarò felice?

Se del padre delinquente

va ne' figli l'ira ultrice

a punir la reità?

Se d'un fato inesorabile

a serbar l'ordin prescritto

la pietà divien delitto,

e il fallir necessità?

(parte colle guardie)

Scena quarta

Tempio magnifico di Giove pacificatore superbamente adornato, per celebrarvi la festa della pace.

Un lieto coro di Giovani, e di Donzelle con dei rami d'Ulivo in mano stanno cantando in mezzo a un'allegra danza un inno festivo, mentre i Sacerdoti amministrano un sacrifizio propiziatorio dinanzi alla statua del nume.

Danza.

Creonte, Ismene, Guardie, e Popolo.

CORO

Se più non s'accende

di guerra la face,

se un giorno risplende

sereno di pace,

è don di tua mano,

gran nume de' re.

Tu siedi sul trono

tra il folgore e il tuono,

e giace legato

il fato al tuo piè.

CREONTE E ISMENE

Se Tebe non vede

da ferro inumano

il regno distrutto,

deserto il suo piano,

di pianto, di lutto

se sede non è,

è don di tua mano

gran nume de' re.

(in tempo di questa ripresa del coro, Creonte va a seder in un luogo elevato, che resta sul davanti da un lato del tempio)

CORO

Tu siedi sul trono

tra il folgore e il tuono,

e giace legato

il fato al tuo piè.

ISMENE

Quante lacrime versò

madre afflitta e sposa amante

lacerando il crine e il petto

sovra il pallido sembiante

dell'amato giovinetto,

che la morte le involò.

CORO DELLE FANCIULLE

Quante strida al ciel mandò,

quando il misero cultore

vide il ferro, e il fuoco ostile,

che sua speme e suo sudore

ricca messe, e ricco ovile

gli distrusse, gl'incendiò.

CORO

Ma più non s'accende

di guerra la face,

e un giorno di pace

risplende per te,

gran padre de' numi

gran nume de' re.

Tu siedi sul trono

tra il folgore e il tuono,

e giace legato

il fato al tuo piè.

(Creonte scende dal luogo elevato, e s'accosta verso l'ara, deposta pria la corona reale)

CREONTE

Sommo, provido nume,

arbitro eterno della terra, e del ciel,

tu che dilegui il fosco nembo,

onde fu Tebe involta,

serba i tuoi doni,

e i nostri voti ascolta.

A te festivo e sacro

questo solenne dì viva fra noi;

de' benefici tuoi,

del nostro pianto la memoria rinnovi,

e all'empio autore

della guerra crudel l'odio, e l'orrore.

Resti il nome aborrito,

eterno oggetto d'esecrazione e d'ira;

e sull'infame insepolto cadavere

si sfoghi tutta l'ira de' numi:

ah, se giammai di Tebe un figlio

al nome odiato osasse,

o all'infauste reliquie un'ombra,

un segno mostrar d'onore, o di pietà;

la morte, ma la più ignominiosa,

e più funesta,

giuro sull'are tue...

(avanzandosi verso l'ara)

Scena quinta

Adrasto frettoloso trattenendolo, e detti.

ADRASTO

Signor t'arresta.

Il fatal giuramento

sospendi per pietà.

CREONTE

Perché?

ADRASTO

Trall'ombre della passata notte,

arder sul rogo vi fu chi osò

di Polinice estinto il cadavere esposto,

indi riporre il cenere raccolto

nella tomba real.

CREONTE

Numi! che ascolto?

E il delinquente?

ADRASTO

Oh dio! Non curar di saperlo.

Oblia, rivoca una legge crudel,

che coprirebbe Tebe d'eterno lutto.

A noi conserva il più caro, signor,

l'unico oggetto delle nostre speranze

del tenero amor tuo...

CREONTE

No; cada oppresso

quando fosse il mio figlio.

ADRASTO

È il figlio istesso.

CREONTE

Che dici? Oh dio!

ISMENE

(Misero prence.)

ADRASTO

Il fallo dissimular non giova,

ecco il reo fra' custodi;

ecco la prova.

(accennando Emone, che sopraggiunge, e presentando a Creonte l'urna delle ceneri)

Scena sesta

Emone fra le Guardie, e detti.

CREONTE

Quest'urna?...

ADRASTO

Era in sua mano.

Entro la tomba di Lajo

ei la chiudèa, quando arrestato

si trovò da' custodi.

CREONTE

O figlio ingrato!

È questo dunque il frutto

dell'amor mio, delle mie cure?

Al trono la via t'apro,

e l'onor del trono

il primo a calpestar tu sei;

del re, del padre,

il primo i cenni a violar;

né basta a trattenerti, incauto,

la tua patria, il mio onore, il tuo periglio,

reo doppiamente, o cittadino, o figlio.

Chi ti sedusse mai?

Quale speranza, qual fin ti lusingò?

Parla, favella, scusa almen la tua colpa.

EMONE

È troppo bella.

CREONTE

Non lusingarti, ingrato,

d'impunità, e perdono;

son giudice, son re.

Il leso onor del trono

chiede del reo lo scempio,

né importa il grand'esempio,

che si cominci in te.

(in atto di partire è trattenuto dal coro)

CORO

Ah serba il figlio amato,

serba la speme al regno;

no di pietade indegno

il fallo suo non è.

CREONTE

Ah tacete Tebani;

invan si tenta sedurmi il cuor;

troppo funesto esempio

è pe 'l pubblico bene

l'impunità de' falli,

e non s'attende questo esempio da me.

No, non cominci da una tal debolezza

il regno mio;

muora il figlio s'è reo.

Scena settima

Antigona con séguito di Donzelle, e detti.

ANTIGONA

La rea son io.

ISMENE

Ah Germana.

EMONE

Ah mia vita, a che vieni?

ANTIGONA

A sottrarti a un ingiusto supplizio,

e a raccor tutto

di mia pietà, di mia virtude, il frutto.

ISMENE

(Incauta!)

EMONE

Ah non udirla!

Non crederle, signor...

ANTIGONA

Taci; anche lieve

la menzogna è delitto,

e non si compra

a tal prezzo l'onor.

T'inganna il figlio, signor,

se reo lo credi.

Io fui, che resi a Polinice estinto

gli ultimi onor funebri.

Io sola osai trasgredir la tua legge;

ei per salvarmi quell'urna m'involò,

che del germano le ceneri chiudèa;

ma in me cada la pena,

io son la rea.

CREONTE

E in te cadrà.

Nella spelonca infausta,

tomba orribil de' rei,

costei si chiuda,

pria sepolta ch'estinta,

e non funesti Tebe

col sangue suo di nuovo orrore.

EMONE

Ah no;

(gettandosi a piè dì Creonte)

padre pietà.

ISMENE

(facendo l'istesso)

Pietà signore.

EMONE

Eccomi a' piedi tuoi. Salva, perdona,

rendimi l'idol mio.

ISMENE

Donala a' voti

d'un popolo fedel.

EMONE

Per questo pianto,

per quel paterno affetto

che negarmi non sai.

CREONTE

Se mi scordo il tuo fallo impetri assai.

EMONE

Ah piuttosto, crudel, confondi,

aggrava la sua colpa, e la mia;

chiudici entrambi

nell'infausta caverna,

e il fiato estremo

fa' ch'io spiri, inumano,

almen su' labbri suoi

CREONTE

Lo speri invano.

Non è il rigor tiranno,

non è furor lo sdegno,

devo un esempio al regno,

una vendetta a me.

(parte infuriato colle guardie, e popolo)

ISMENE

Fermo, crudele, e aspetta.

EMONE

Strappami il cuor dal seno.

ISMENE E EMONE

E a incenerirmi almeno

un fulmine non v'è.

Scena ottava

Antigona, Ismene, Emone, parte delle Guardie, e delle Donzelle.

ANTIGONA

All'ombre amate del genitor,

degli avi a riunirmi andrò;

l'ira de' numi estinguerà il mio sangue,

e fia che un giorno,

da' cittadini ingrati

esiga almeno qualche stilla

di pianto il caso mio.

ISMENE

Ah mia Germana!

EMONE

Ah mia speranza!

ANTIGONA

Addio.

Finito è il mio tormento,

vado innocente a morte,

vo dell'ingrata sorte

a trionfar così.

D'amore, e di contento

un raggio anch'io sperai,

ma chiudo al lume i rai,

allor che spunta il dì.

ISMENE E EMONE

Quando di duol, d'affanno

più lunga serie amara

l'ira del ciel tiranno

all'altrui danno unì?

Atto terzo
Scena prima

Campagna in prospetto d'un alto dirupato monte, alle falde del quale s'apre la funesta spelonca, ove chiudevansi i delinquenti, e sull'alto piccola fessura a cui s'ascende per angusto scosceso sentiero. Da una parte sul davanti del teatro, sedile elevato per il re, e dall'altra verso il fondo tempietto di Mercurio, con ara davanti all'ingresso.

Al suono d'una lugubre sinfonia entra, preceduto dalle sue Guardie Creonte, che va ad assidersi sul palco; indi al séguito di un folto Popolo, e in mezzo alle velate Donzelle piangenti, Antigona.

CORO DI TEBANI

Piangi, o Tebe,

ancor t'ingombra

la funesta ombra di morte.

Non è sazia ancor la sorte

o di lagrime, o d'orror.

CORO DI DONZELLE

Ahi come presto, o misera,

nel fior di verde età...

morte t'invola!

Ahi, che di tante lacrime

l'inutile pietà...

non ti consola.

ANTIGONA

O Tebe, o cittadini,

o voi vicine

sacre ombrose foreste,

e voi di Dirce pure sorgenti, addio.

Son giunta al fine

del mio corso mortal;

la notte eterna m'invola,

e il sol ch'io miro,

agli occhi miei

non splenderà mai più.

Questo, o tebani,

è il talamo nuzial,

queste le faci,

e i canti d'Imeneo,

che il vostro amore

oggi mi destinò?

Viva mi chiudo

entro un'orrida tomba,

e viva scendo

del funesto Acheronte

sul margine fatal;

non so s'io dica

fra gli estinti, o fra vivi,

anzi piuttosto barbaramente

del commercio priva

de' vivi, e degli estinti,

estinta, o viva.

CORO

Da te ripete, o misera

d'Edipo sventurato

l'antica reità,

dura necessità

d'avverso fato.

ANTIGONA

Ah quale acerba piaga riaprite crudeli!

Oh dio, qual sangue mi diè la vita,

e a quale atroce sorte

mi serbava il destino!

O madre! o nozze incestuose, orrende!

O spettatrici del funesto Imeneo

furie d'Averno!

Chi per pietà m'invola

agli occhi dei viventi,

alla vendetta del ciel,

che mi persegue?

Scena seconda

Ismene scarmigliata, e affannosa trattenendola, e detti.

ISMENE

Ah ferma, aspetta!

In quell'antro funesto

non andrai senza me.

La notte eterna

teco m'accoglierà,

teco vogl'io unirmi

per sempre al sangue mio.

ANTIGONA

(in atto d'abbracciarla)

Ah Germana...

ISMENE

(staccandosi dalle braccia d'Antigona, e correndo presso al re)

Signor, da te non vengo

a dimandar pietà.

Chiedo una morte,

chiedo l'istessa pena

di divider con lei.

ANTIGONA

Ma di qual fallo

ti punirà il tiranno?

Ah non rammenti,

ch'io ti vidi tremar, quando...

ISMENE

Ah risparmia

al mio onore, al mio nome

un indegna viltà, che mi dispera,

che m'empie di rossor.

Deh non divida

due germane infelici

il supplizio, signor;

non è il suo fallo,

che la guida a perir.

Persegue il cielo

Edipo ne' suoi figli,

e più non resta

dell'infesta radice,

che quest'ultimo germe,

e il più infelice.

Distruggilo, signor;

dispergi un seme

de' pubblici disastri

innocente cagion;

svena, presenta

in un supplizio istesso

due vittime agli dèi.

CREONTE

Non è permesso.

Non confonde la legge

i rei co' gli infelici.

Arbitri adoro del destin

de' mortali i sommi dèi,

ma sol la colpa sua

punisco in lei.

ISMENE

Crudel, neghi una morte,

perché il darla è pietà.

Ma speri invano

dividermi da lei.

Fra queste braccia

così la stringerò;

vedrò chi ardisce

strapparmela dal sen.

CREONTE

(alle guardie, che separano a forza le due sorelle)

Custodi, a forza quindi si tragga,

e l'importuno affanno

vada a sfogare altrove.

ISMENE

Empi... tiranno.

Ah lasciami morir,

misera! Che farò?

Che più soffrir non ho,

né più mi può rapir

l'avversa sorte.

Germana, ah non partir,

ah non lasciarmi, no.

Che parlo, o dio, che fo?

Almeno il mio martir

mi dia la morte.

(parte in mezzo ad alcune guardie)

ANTIGONA

O germana! O tebani.

Almen s'affretti

il fin di mie sciagure.

Ogni momento

accresce il mio supplizio,

e indebolisce la mia costanza.

Addio. Moro innocente

senza colpa, o rimorso;

ah mai non chieda

da voi ragione il cielo

dell'ingiusta mia morte.

(trovandosi presso al tempietto di Mercurio)

O tu dell'ombre

pietoso condottier,

guida i miei passi

nel sentier tenebroso,

amico nume,

e assisti, allorché fia

sciolta dal frale impaccio,

all'ombra mia.

E tu speco funesto,

sepolcro de' viventi,

unico asilo contro l'ira de' numi,

or tu sarai la mia dimora eterna.

Ah tu m'accogli

nel pietoso tuo seno;

in te ritrovi il fin di tanti mali

la mia vita infelice,

e in te riposi, freddo avanzo di morte,

il cener mio.

O patria! O Tebe! O cittadini, addio.

Non piangete i casi miei,

non v'affanni il mio tormento,

questo è l'unico momento

della mia felicità.

Fur sì barbari gli dèi,

fu sì avversa a me la sorte,

che riguardo la mia morte

come un segno di pietà.

(s'avanza verso la spelonca, v'entra dentro con un gesto di disperazione, e le guardie ne chiudono l'ingresso con delle pietre, mentre si canta il seguente)

CORO

Piangi, o Tebe,

ancor t'ingombra

la funesta ombra di morte.

Piangi, o Tebe,

non è sazia ancor la sorte

o di lacrime o d'orror.

Scena terza

Adrasto frettoloso, e affannato, e detti.

ADRASTO

Ah t'affretta, signor;

perduto è il figlio.

CREONTE

Santi numi del ciel! che dici?

ADRASTO

O giorno di lacrime, e d'orror!

CREONTE

Parla.

ADRASTO

Nel loco, ove da' tuoi custodi

si tenea prigionier,

torbido, e muto lungo tempo ei restò,

con tutti in volto i caratteri espressi

d'un dolor disperato.

Ecco annunziando d'Antigona il supplizio,

in mezzo a' tuoi, pallida, semiviva,

con dolorose strida. Ismene arriva.

Immagina, signor, folgor, che scoppi

dalla squarciata nube, o fra gli opposti

atterrati ripari rovinoso torrente.

Alzarsi, un ferro strappare ad un de' tuoi,

due de' più arditi stender con esso al suolo,

ed avventarsi a noi, fu un punto solo.

Pur si prevenne, e s'ebbe il tempo appena

d'opporgli in sull'ingresso la ferrea porta.

Egli smaniando, il guardo gira bieco d'intorno,

ed altra strada alla fuga non vede,

che un aperto balcon;

v'affretta il passo,

su vi monta d'un salto, e piomba al basso.

CREONTE

Stelle! È morto?

ADRASTO

No 'l so. Del mortal salto

troppo tardi m'accorsi

dalle strida, e dal colpo,

e a te me n' corsi.

CREONTE

Ahimè! Qual nera benda

mi si squarcia sul ciglio,

e m'apre il guardo

a una scena d'orror.

Lacero, infranto sulla sanguigna arena

qui abbraccio il figlio,

e il riconosco appena.

Lì la madre infelice

accusa il mio rigor.

Qui il cuor mi gela

il gemito dolente

d'Antigona, che muor.

Là d'Ismene innocente

le strida, ed il dolor.

Piango or vedovo il trono,

or desolata la mia famiglia,

ed ora il popolo tutto mesto,

in lacrime, in lutto.

Ah come mai tante unì un giorno solo

al nostro danno colpe, stragi,

terror, morti, e ruine?

Barbari dèi, sarete sazi alfine.

Ah no, non son gli dèi

cagion di tanto affanno.

È il mio rigor tiranno,

è la mia crudeltà.

Da una fatal grandezza

son per mia colpa oppresso.

Ho fabbricato io stesso

la mia calamità.

(parte smaniando, con tutto il séguito)

CORO

Ah quando avrà mai fine

per noi del ciel lo sdegno?

Di questo afflitto regno,

numi, che mai sarà?

(partono tutti, con gesti di dolore)

Scena quarta

Adrasto, solo.

Infelice! Ecco il frutto

d'un'ambita grandezza,

d'un rigore ostinato. Il caro figlio

unica, e dolce cura

di tutti i suoi pensier morte gl'invola,

e dopo la sciagura

vien tardi il pentimento, e non consola.

Scena quinta

Emone scarmigliato, e furioso, e detto.

EMONE

Adrasto!

ADRASTO

Oh dio! Che miro?

Signor, tu qui... tu salvo?...

EMONE

Odi; pietoso in quell'antro funesto

m'apre il cielo una via.

Così mi lasci tanto di vita ancor,

ch'io possa almeno riveder l'idol mio,

abbracciarlo, e morir.

De' nostri casi se una tarda pietà

Tebe risveglia dal letargo fatal,

che l'incatena al giogo d'un tiranno,

ah fa che accolga a quelle del mio bene

le mie ceneri unite un'urna istessa.

Questo è l'unico dono,

che dalla patria imploro, e le perdono.

ADRASTO

Signor, che dici?... Ah non sia ver...

(in atto di voler trattenerlo)

EMONE

T'arresta.

Il mio morir affretta

chi pensa di salvarmi,

e in questo stato

periglioso è il soccorso a un disperato.

ADRASTO

Ma Tebe in pianto... il genitor...

EMONE

Da lui

ogni dover mi scioglie.

Ei mi diè questa vita,

ei me la toglie.

Ah se lo vedi piangere

sovra il mio corpo esangue,

dì che le amare lacrime

son poche a tanto sangue,

che il suo furor versò.

Che infesta ombra seguace

m'avrà sempre d'intorno,

che nuova furia orribile

co' serpi, e colla face

i suoi riposi, e il giorno,

a funestar verrò.

Che il suo rigor non temo,

che il primo affetto obliò,

che al caro idolo mio

a dar l'amplesso estremo

a suo dispetto andrò.

(parte infuriato, arrampicandosi sul monte)

ADRASTO

(vedendolo precipitarsi dall'alto nell'interno del monte)

Ma senti, aspetta...

Oh dio, che fiero colpo atroce!

Né moto più, né voce

a tanto orror non ho.

(parte sbalordito con smania)

Scena sesta

Interno dell'orrida tenebrosa caverna debolmente rischiarato da un barlume, che vien dall'alto.
Antigona sola.

Misera, ove m'inoltro?

Il corpo stanco all'eterno riposo

par che già s'abbandoni.

Oh come presto nel sentier della morte

si stanca il piè.

(abbandonandosi a sedere sopra un masso)

L'aer nebbioso, e denso

par che gli occhi m'aggravi;

un freddo vento scuote l'ampia caverna,

e al fioco, incerto, torbido lume,

che rischiara appena questa notte d'orror,

quali di morte immagini funeste

m'offre l'orrenda tomba!

O tristi avanzi dell'infelice umanità,

qual gelo m'ispirate nel cor!

Ben tosto anch'io tal diverrò;

mista a poche ossa ignude

fredda, putrida polve.

Ahimè. Ma quanti lunghi miseri istanti

di stento, e di dolor precederanno

la mia misera morte?

Ah morte atroce!

Scena settima

Emone di dentro, e detta.

EMONE

(di dentro alla scena)

Antigona, ove sei?

ANTIGONA

(alzandosi spaventata)

Stelle! Qual voce!

È quella del mio bene;

la riconosco, oh dio!

Ah mi prevenne, e viene,

ombra diletta, almeno

a riunirsi a me.

EMONE

(escendo, e abbracciandola)

Ah stringimi al tuo seno,

lo sposo tuo son io.

Non piango or più, non peno,

or che, bell'idol mio,

posso morir con te.

ANTIGONA E EMONE

Ah vi ringrazio, o dèi.

Ah si cambiò la sorte.

Or più per me la morte

terribile non è.

ANTIGONA

Che dissi? Oh me infelice!

Tu vivi, oh dio!

Tu vieni a perderti per me?

EMONE

Come potrei sopravviverti un dì?

Due volte, o cara, cercai la morte,

e per due volte il cielo,

pietoso a' voti miei,

serbommi in vita, per riunirmi a te.

ANTIGONA

Ma chi t'aperse in quest'antro la via?

EMONE

Dal foro angusto

onde al fioco baglior

che ci rischiara,

s'apre il varco sul monte,

precipitar mi volli.

Ah non sperai così propizio il salto.

I vepri, i sassi, che ingombrano il sentier,

l'impeto forse tolsero alla caduta.

Io sol restai sbalordito dal colpo,

pochi istanti sul suol di senso privo,

mi svegliò il tuo dolor,

t'abbraccio, e vivo.

ANTIGONA

Com'è facile l'amore

a fingersi contenti!

Odi, e misura il tuo coraggio, e il mio.

Dovrem fra poco mirarci, o dio,

scambievolmente in viso,

d'una stentata morte tutto l'orror;

la disperata fame,

la magrezza, il pallor;

frenare invano

della natura oppressa

fra gli spasimi atroci

i gemiti importuni,

i mesti sguardi

che la luce smarrita

van ricercando appena...

EMONE

Ah no, mia vita,

vedi qual dono il ciel mi conservò.

(mostrandole il pugnale)

Con questo il lungo strazio

d'una morte crudel

paventi invano.

Mira; il fatal momento

è in nostra mano!

ANTIGONA

Ah sì, mio ben, si mora;

l'immergi in questo seno,

finisci il mio dolor.

EMONE

Ah pochi istanti ancora,

cara, concedi almeno

a un infelice amor!

ANTIGONA

Caro...

EMONE

Mio ben.

ANTIGONA

...che barbaro conforto!

EMONE

...che misero contento...

ANTIGONA E EMONE

...in sì crudel momento

di lacrime, e d'orror!

EMONE

Ma quai colpi improvvisi

scuotono la caverna?

Ah par, che crolli

dalle radici il monte.

ANTIGONA

Osserva, osserva

e faci, e armate squadre

alla bocca dell'antro.

EMONE

Oh numi! Il padre?

Crudel, forse pretende

strapparmiti dal sen?

ANTIGONA

Sì cedi, o caro, lascia...

EMONE

Lasciarti?

Ah così vil non sono.

Guarda...

(in atto di ferirsi è trattenuto da Antigona, e dalle parole di Creonte)

Scena ottava

Creonte, Ismene, Adrasto, con Guardie, Popolo, e detti.

CREONTE

Ah serbala, e vivi;

io la perdono;

voi perdonate al mio rigor.

Venite fra queste braccia, o figli.

Un Fasto insano m'acciecò,

mi sedusse, in me soppresse

le voci di natura.

Ah poiché il cielo

vi conservò pietoso,

e mi risparmia

un eterno rimorso,

il fausto giorno

coroni il vostro amor.

Fuggiam da questo giorno di dolor.

Tebe risuoni di cantici festivi,

e dopo tanti giorni

di pianti, e lutto,

un dì sereno di gioia e di piacer

faccia ritorno.

EMONE

O padre, o sposa.

ANTIGONA E EMONE

Oh fausto evento!

ANTIGONA

O giorno!

Festa che termina lo spettacolo

La scena rappresenta una deliziosa contigua alla reggia pomposamente illuminata in tempo di prima sera.

Un coro di festose Vergini portano l'ara nuziale dinanzi alla statua d'Amore e d'Imeneo, che si vede eretta nel fondo; adornano di ghirlande e l'idolo, e l'ara, e preparano le corone di rose per inghirlandarne gli sposi. Entrano questi, preceduti dai Paraninfi vestiti di candide stole, e con fiaccole in mano di pino odoroso, e seguiti da un folto Popolo, che intreccia a una lieta festiva danza il seguente coro nuziale:

CORO

Sorgi di Venere

propizia stella,

e il cielo illumina

col tuo splendor.

La viva accendano

pura facella,

inestinguibile

Imene, e Amor.

In tempo di questo coro Antigona, ed Emone in mezzo a Creonte, Ismene, e Adrasto, e ad alcuni Sacerdoti si fermano dinanzi all'ara, dove sono incoronati di rose, e porgendosi scambievolmente la destra si giurano eterna fedeltà; dopo di che, avanzandosi verso gli spettatori cantano la seguente strofa:

ANTIGONA E EMONE

Oh come presto obliasi,

nel seno dell'amor,

ogni tormento.

Fuggon le nere immagini,

e in rammentarlo allor,

fino il passato orror,

divien contento.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 17/12/2015
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40 (W)

Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Festa che termina lo spettacolo