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L'Arcadia in Brenta

L'ARCADIA IN BRENTA

Dramma comico.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Carlo GOLDONI.
Musica di Baldassarre GALUPPI.

Prima esecuzione: 14 maggio 1749, Venezia.


Personaggi:

ROSANNA

soprano

Madama LINDORA

soprano

LAURA

soprano

Messer FABRIZIO Fabroni da Fabriano

basso

Il CONTE BELLEZZA

tenore

FORESTO

basso

GIACINTO

soprano




La scena si rappresenta in un casino delizioso di messer Fabrizio, situato alle rive del fiume Brenta.

Lettor gentilissimo

Pochi saranno quelli che letta l'Arcadia in Brenta non averanno. Si sa quasi comunemente aver figurato l'autore di quest'arcadia una conversazione di sette civili ed oneste persone in un luogo delizioso fra quei magnifici palaggi che adornano il fiume Brenta, e che formano una delle più belle villeggiature d'Italia. Tre uomini e tre donne formarono la raunanza, cioè Silvio, Giacinto, Foresto, Marina, Rosanna, Laura, a' quali s'aggiunse dopo qualche giorno Fabrizio Fabroni di Fabriano, che per la sua età e per il suo carattere, misto di sciocco e di faceto, riescì il condimento della gioconda società loro. L'arcadia, di cui ora parlo, consiste principalmente in motti arguti, detti faceti, novelle spiritose, canzonette, madrigali e cose simili, per lo che, potendo una simile conversazione intitolarsi giocosa accademia, fu per la stessa ragione dall'autore intitolata l'Arcadia in Brenta, co' la respettiva similitudine dell'Arcadia di Roma, in cui cose più serie e più elevate si trattano.

Io adunque per argomento della mia presente operetta non prendo già l'Arcadia in Brenta, che scritta trovasi dal nostro autore, poiché in essa materia non trovo per una teatrale rappresentazione.

Sul fine di detta arcadia, sciogliendo gli sette arcadi la loro gentile conversazione, s'invitano vicendevolmente per la susseguente stagione, e tutto che stabilissero passare sul fiume Sile, accadde però che quel tale messer Fabrizio Fabroni da Fabriano, piccatosi di generosità, volle trattar magnificamente la maggior parte di quelli che l'avevano favorito, e seco li condusse in un suo casino sul fiume Brenta, formando in esso novellamente l'Arcadia in Brenta. Invitò Rosanna e Laura, Giacinto e Foresto, lasciando da parte Marina e Silvio, perché essi troppo sul vivo lo avevano motteggiato nell'altra arcadia.

S'accrebbe non pertanto il numero della conversazione con madama Lindora, dama di una straordinaria stucchevole delicatezza, ed il conte Bellezza di una caricatissima affettazione.

Il povero Fabrizio, di gran core, ma di poche sostanze, per sostener l'impegno a cui incautamente s'apprese, andò in rovina, rimasto in pochi dì senza denaro e senza roba, e col rossore di doversi vedere scornato dagli ospiti, e ridotta l'arcadia in una commedia, che per lui poteva dirsi tragedia, a che molto ha contribuito Foresto, uno degli arcadi, ma il più confidente di Fabrizio, quello a cui egli aveva raccomandata l'economia della casa.

Questa mia Arcadia in Brenta è tanto istorica quanto quella di Ginnesio Gavardo Vacalerio, avendola ricavata da codici antichissimi della Malcontenta, ove vanno a terminar i suoi giorni tutti quelli che, come messer Fabrizio, si fanno mangiare il suo, e si riducono poveri per volerla spacciar da grandi.

Atto primo
Scena prima

Camera terrena in casa di messer Fabrizio.
Fabrizio che dorme sopra una poltrona in veste da camera, e Foresto.

FORESTO

Oh, questa sì, ch'è bella!

Il padrone di casa

a tutti i forestieri dà ricetto,

e gli convien dormir fuori del letto.

Con questa bell'arcadia

ei si va rovinando, ed io che sono

da questo sciocco economo creato,

or che manca il denar, son imbrogliato.

Orsù lo vuò svegliar. Già s'alza il sole;

oggi almeno ci vuole

fra quei che siamo, e quelli che verranno,

mezza l'entrata sua di tutto l'anno.

Signor Fabrizio... Ehi, signor Fabrizio.

Svegliatevi, ch'è tardi.

Su via che s'alza il sole;

v'ho da dir due parole.

FABRIZIO

(svegliandosi un poco)

Che!

FORESTO

Svegliatevi.

FABRIZIO

Sì.

FORESTO

V'ho da parlare.

FABRIZIO

Par... la... te.

FORESTO

Egli si torna a addormentare.

Su via, messer Fabrizio.

FABRIZIO

(si risveglia)

Seguitate.

FORESTO

Se voi non m'ascoltate

non vuò parlar da stolto.

FABRIZIO

Tengo gli occhi serrati, ma v'ascolto.

(dorme)

FORESTO

Ben: sappiate che io

ho il denar terminato,

che voi mi avete dato;

che per tante persone

convien fare una buona provigione.

Che rispondete? Sì! dorme di gusto.

Signor Fabrizio...

FABRIZIO

Già.

FORESTO

M'avete inteso?

FABRIZIO

Ho inteso tutto.

FORESTO

E ben, che rispondete?

FABRIZIO

Fate quel che volete.

FORESTO

Ma il denar?

FABRIZIO

Che denar?

FORESTO

M'avete inteso?

FABRIZIO

Tutto non ho compreso.

Tornate a dir.

FORESTO

Alzatevi di grazia.

FABRIZIO

Voi avete timor ch'io m'addormenti;

pericolo non v'è; ma per gradirvi

m'alzerò; via parlate.

(s'alza, e si accosta bel bello al poggio della poltrona)

FORESTO

Ora, signor, sappiate,

che non v'è più denaro...

FABRIZIO

Bene.

FORESTO

Che io

non so più come far; che oggi s'aspetta

nuova foresteria...

(Fabrizio s'addormenta)

FORESTO

E buona notte di vossignoria.

Signor Fabrizio... ehi, signor Fabrizio...

(più forte)

Signor Fabrizio!

FABRIZIO

Che! come!

FORESTO

Voi siete

impastato di sonno.

FABRIZIO

Io? Che dite?

Dormo io? Signor no. Eccomi lesto.

FORESTO

Venite qua.

(lo prende per una mano, e lo tien forte)

FABRIZIO

Son qua.

FORESTO

Vi torno a dire;

signor Fabrizio caro,

che ci vuol del denaro.

FABRIZIO

Ed io risponderò:

signor Foresto caro, non ne ho.

FORESTO

Ma che fare dovrò

per supplire l'impegno in cui voi siete?

FABRIZIO

Fate quel che volete.

FORESTO

Non v'è denaro?

FABRIZIO

Oibò.

FORESTO

Grano?

FABRIZIO

È venduto.

FORESTO

Quei cavalli indiscreti,

che mangian tanto fieno,

si potrian esitar.

FABRIZIO

Sì.

(s'appoggia alle spalle di Foresto)

FORESTO

La carrozza?

FABRIZIO

La carroz... za...

(s'addormenta)

FORESTO

Eh ch'io non sono sì pazzo

da volervi servir di matarazzo.

FABRIZIO

Sì, la carrozza...

FORESTO

O la carrozza, o il carro,

vi dico in due parole,

che se non v'è denar, l'arcadia vostra

è presto terminata,

e tutta la brigata,

provvista d'appetito,

grazie vi renderà del dolce invito.

Se vi mancano i contanti,

fate quel che fanno tanti,

impegnate, e poi vendete,

e se roba non avete,

già si sa l'usanza vaga,

che si compra, e non si paga,

e si gode all'altrui spalle,

ed aspetta il creditor.

Questa regola è diffusa

dappertutto già si usa

ed è segno che ha del credito

quando un uomo è creditor.

(parte)

Scena seconda

Fabrizio solo.

Per dirla, quasi, quasi

or or me n'andrei,

e l'arcadia, e i pastori impianterei,

ma se l'anno passato

son già stato graziato, il dover mio

vuol che st'anno lo stesso faccia anch'io.

E poi? e poi vi son quelle ragazze,

che mi piacciono tanto,

e spero aver d'innamorarle il vanto.

Ma diavolo! si spende

troppo a rotta di collo. Voglio un po' far il conto

quanto ho speso finora,

e quanto doverò spender ancora.

(tira fuori un foglio, ed una penna da lapis)

Quattro cento bei ducati...

poverini sono andati,

sessantotto bei zecchini...

sono andati poverini.

Trenta doppie... oh che animale!

Cento scudi... oh bestiale!

Quanto fanno? Io non lo so.

I zecchini sessantotto

co' ducati quattrocento

fanno... fanno... oh che tormento!

Basta, il conto è bello e fatto,

perché un soldo più non ho.

(parte)

Scena terza

Giardino che termina al fiume Brenta.
Rosanna, Laura, Giacinto, Foresto sopra sedili erbosi, poi Fabrizio.

a quattro

ROSANNA, LAURA, GIACINTO E FORESTO

Che amabile contento

fra questi ameni fiori,

godere il bel concerto

degli augellin canori!

Che bell'udir quest'aure,

quell'onde a mormorar.

FABRIZIO

Che bella compagnia!

Fa proprio innamorar.

a quattro

ROSANNA, LAURA, GIACINTO E FORESTO

Che bell'udir quest'aure,

quell'onde a sussurrar.

GIACINTO

Bellissima Rosanna,

nell'arcadia novella

bramo che siate voi mia pastorella.

ROSANNA

Anzi mi fate onore,

e vi accetto, signor, per mio pastore.

FORESTO

E voi, Lauretta cara,

seguendo dell'arcadia il paragone,

la pecora sarete...

LAURA

E voi il caprone.

FABRIZIO

Bravi! così mi piace.

Voi quattro in buona pace

state qui allegramente,

ed il pover Fabrizio niente, niente.

GIACINTO

Via, sedete, o signor.

FABRIZIO

Io sederei

qui volentieri un poco,

s'uno di lor signor mi dasse loco.

FORESTO

Intesi a dir fra l'altre cose vere,

che non manca mai sedia a chi ha sedere.

FABRIZIO

(Cappari! Il caso è brutto.

Io niente, e loro tutto? Aspetta, aspetta.)

(a Foresto)

Amico, una parola.

FORESTO

E che volete?

FABRIZIO

Parlar di quel negozio.

FORESTO

Di che?

FABRIZIO

Non m'intendete? Uh capo storno!

FORESTO

Dell'arsan?

FABRIZIO

Iò!

FORESTO

Lauretta, adesso torno.

(s'alza)

Eccomi; ov'è il denaro?

FABRIZIO

Aspettate un momento.

Passeggiate un tantino, ed io mi sento.

(siede nel loco di Foresto)

Ah, ah, te l'ho ficcata.

Oh questa sì ch'è bella!

Io non voglio star senza pastorella.

FORESTO

Pazienza! me l'hai fatta;

ma mi vendicherò.

LAURA

(Vuò divertirmi.)

Bella creanza al certo!

Dove apprendeste mai

cotanta inciviltà?

FABRIZIO

Ma finalmente...

LAURA

Finalmente, vi dico,

non si tratta così.

FABRIZIO

Son io...

LAURA

Voi siete

un bell'ignorantaccio.

Dirò meglio; voi siete un villanaccio.

FABRIZIO

Al padrone di casa?

LAURA

Che padrone!

Questa casa, ch'è qui, non è più vostra.

Questa è l'arcadia nostra.

Noi siamo pastorelle, e voi pastore;

e non serve che fate il bell'umore.

FABRIZIO

Dice ben.

FORESTO

La capite?

LAURA

Non occorre che dite

voglio, non voglio.

FABRIZIO

Oibò.

FORESTO

Vogliamo fare

tutto quel che ci pare.

FABRIZIO

Signor sì.

LAURA

E non è poca

la nostra cortesia,

che non v'abbiam sinor cacciato via.

FABRIZIO

Padroni.

FORESTO

Avete inteso?

FABRIZIO

Se non son sordo.

LAURA

Acciò ben lo capisca

la vostra mente stolta,

ve lo tornerò a dir un'altra volta.

Vogliamo fare

quel che ci pare.

Vogliam cantare,

vogliam ballare,

e voi tacete,

poiché voi siete

senza giudizio,

signor Fabrizio.

Siete arrabbiato?

Via, che ho burlato

no 'l dirò più.

L'arcadia nostra

tutto permette

due parolette

non fanno male;

un animale

di voi più docile

giammai non fu.

(parte)

Scena quarta

Rosanna, Giacinto, Fabrizio, e Foresto.

FABRIZIO

Io rimango incantato.

FORESTO

Signor, che cosa è stato?

Se comanda seder, si serva pure,

oh questa sì ch'è bella:

(contraffacendo Fabrizio)

io non voglio star senza pastorella.

FABRIZIO

Ancor voi mi burlate?

FORESTO

Io burlarvi? pensate!

Siete l'amico mio più fido, e caro;

ma se manca il denaro,

vi giuro in fede mia,

che tutti ce n'andiamo in compagnia.

(parte)

FABRIZIO

Andate col malan, che il ciel vi dia.

Ma, signora Rosanna,

che dite voi? che dite voi, Giacinto,

del parlar di Lauretta?

GIACINTO

E non vedete,

ch'ella si prende spasso?

FABRIZIO

Corpo di satanasso!

Cospettone di Bacco!

Se me n'ha dette un sacco!

ROSANNA

Eppure il di lei sdegno

parmi d'amore un segno.

La femmina talora

scaltra finge odiar quel che più adora.

FABRIZIO

Possibile, che m'ami,

e così mi strappazzi?

ROSANNA

Io ve lo giuro;

statene pur sicuro.

Più volte l'amor suo m'ha confidato;

arde per voi.

FABRIZIO

Che amor indiavolato!

GIACINTO

(piano a Rosanna)

È ver?

ROSANNA

(a Giacinto)

Mi prendo spasso.

(a Fabrizio)

Sapete la cagione,

ch'or la rese furiosa?

Perch'è di me gelosa.

FABRIZIO

Or la capisco.

Ma che motivo ha mai

d'ingelosir di voi?

ROSANNA

Gli affetti miei

ho confidati a lei.

FABRIZIO

Dunque voi pur mi amate?

ROSANNA

Pur troppo è ver!

FABRIZIO

(toccandosi il viso)

Bellezze fortunate!

Giacinto, che ne dite?

Forse v'ingelosisco?

GIACINTO

Niente affatto,

io non sono sì matto.

S'ella v'ama, signor; io vado via,

che non voglio impazzir per gelosia.

D'un amante è gran follia

impazzir per gelosia.

S'una donna è di me stanca

non mi manca ~ altra beltà.

Per la donna chi s'affanna,

chi s'adira, assai s'inganna,

già si sa, che invan si spera

una vera ~ fedeltà.

(parte)

Scena quinta

Rosanna, e Fabrizio.

FABRIZIO

Dunque, se voi mi amate,

discutiamola un poco.

ROSANNA

Ma Laura sarà poi meno sdegnata.

FABRIZIO

Io non vuò una donna indiavolata.

ROSANNA

L'amicizia, il dover non lo permette.

FABRIZIO

Amor non vuol riguardi.

Aggiustiamo le cose infra di noi,

e lasciate, che poi Lauretta dica.

ROSANNA

V'amo, ma non vogl'io tradir l'amica.

FABRIZIO

Oh caro il mio tesoro,

già spasimo, già moro.

(ascolta)

ROSANNA

Olà, signor Fabrizio,

più rispetto vi dico, e più giudizio.

So che celar dovrei

il mio novello amore,

ma tanto non credei

che ardito il vostro core

giungesse a delirar.

Nel seno uguale ardor

forse risento anch'io,

ma un nobile rigor

insegna al foco mio

le fiamme a moderar.

(parte)

Scena sesta

Fabrizio, poi un Servo che non parla.

Rosanna mi vuol bene, e mi discaccia.

Laura mi porta affetto, e mi strapazza.

Io non so di che razza

siano codesti amori.

Se le ninfe, e i pastori

s'innamoran così son tutti matti,

questo sembra un amor tra cani, e gatti.

(viene un servo)

Chi? madama Lindora?

Dille che venga tosto, e non si penta;

che venga ad onorar l'Arcadia in Brenta.

(parte il servo)

Caspita! questa dama

di conoscermi brama!

Fosse di me invaghita! Allora sì,

che queste due ragazze

farei di gelosia diventar pazze!

Scena settima

Madama Lindora con due Braccieri, e detto.

LINDORA

(indietro)

Ohimè! non posso più.

FABRIZIO

Che cosa è stato?

LINDORA

Ho tanto camminato

non posso più.

FABRIZIO

Vicino è il suo palazzo

men d'un tiro di schioppo.

LINDORA

Per le mie pianticine è troppo troppo.

FABRIZIO

Via, signora, s'avanzi, e sieda.

LINDORA

Guardate per pietà,

che non vi siano fiori.

Io non posso sentir cattivi odori.

FABRIZIO

L'odor non è cattivo. Faccia grazia.

LINDORA

Ahi, ahi.

FABRIZIO

Qualche disgrazia?

LINDORA

Maledetto giardino!

Ho sentito odor di gelsomino.

FABRIZIO

Vuol che lo butti via?

LINDORA

Sì, ve ne prego.

FABRIZIO

Vattene, o tristo vaso,

che di madama hai conturbato il naso.

Via, s'avanzi un tantino.

LINDORA

Adagio; pian, pianino.

Mi volete stroppiar? Voi lo sapete,

son delicata assai...

tre passi in una volta non fo mai.

FABRIZIO

Come dunque farà a salir le scale?

LINDORA

Tacete, mi vien male

solo in pensarlo.

FABRIZIO

Scusi, mi perdoni,

ella è forse stroppiata?

LINDORA

Anzi più ben tagliata

donna non v'è di me. Voi stupireste

nel vedermi ballar.

FABRIZIO

Quando si balla,

non si fan quattro passi in su un mattone.

LINDORA

Trovata ho un'invenzione

di far i minuetti

con piccoli passetti;

e perché il tempo veramente intendo,

quattro battute in ogni passo io spendo.

FABRIZIO

Dunque sopra una festa in tal maniera

un minuetto si farà per sera.

LINDORA

Ma dove son le belle

arcade pastorelle?

FABRIZIO

Or le farò venir.

(chiama il servitore)

Ehi.

LINDORA

State zitto.

Ohimè! Con quella voce così alta

voi mi fate stordir.

FABRIZIO

Ve', cosa sento!

Ella non può sentir alzar la voce.

LINDORA

Lo stranuto, e la tosse ancor mi nuoce.

FABRIZIO

Ma, gran delicatezza!

Credo provenga dalla gran bellezza.

LINDORA

Non dico, ma può darsi.

FABRIZIO

Certo, signora sì.

LINDORA

Quando lo dice lei, sarà così.

Andrò, se si contenta,

le amiche a ritrovar.

FABRIZIO

Ma non vorrei,

che troppo affaticasse;

prima che sia arrivata

per lei ci vuole almeno una giornata.

LINDORA

Andrò così bel bello,

se si contenta lei, signor Fabrizio.

FABRIZIO

Ah, vada, vada. (Che mi fa servizio.)

LINDORA

Riverente a lei m'inchino:

ehi, braccieri; qua la mano

venga presto... andate piano.

Venga poi... non mi stroppiate.

Correr troppo voi mi fate;

mi vien mal, non posso più.

Via, bel bello, andiamo avanti;

le son serva, addio monsù.

(parte)

Scena ottava

Fabrizio, poi Servo.

Sia ringraziato il ciel, che se n'è andata.

Ma cresce la brigata,

e il denar va mancando, e la carrozza

sarà venduta, ed i cavalli ancora.

Pazienza! almen ho il gusto

di veder due ragazze innamorate,

che per me tutte due son spasimate.

(al servo)

Oh diavolo! che dici?

Viene il Conte Bellezza? Venga, venga.

Giacché alla casa s'ha a veder il fondo,

venga pur tutto il mondo.

Scena nona

Arriva un burchiello, da cui sbarca il Conte Bellezza.

FABRIZIO

Poh che gran signorone!

Costui porre mi vuole in soggezione.

CONTE BELLEZZA

Permetta, anzi conceda,

che prostrato si veda

al prototipo ver de' generosi

l'infimo de' suoi servi rispettosi.

FABRIZIO

Servitor obbligato.

CONTE BELLEZZA

La fama ha pubblicato

i pregi vostri con eroica tromba;

l'eco intorno rimbomba

il nome alto sovrano

di Fabrizio Fabroni da Fabriano.

FABRIZIO

Servitore di lei.

CONTE BELLEZZA

Ed io pur bramerei,

anzi sospirerei,

benché il merito mio sia circoscritto,

nel ruolo de' suoi servi essere descritto.

FABRIZIO

Anzi de' miei padroni.

CONTE BELLEZZA

Ah, mio signor, perdoni,

se tracotante, ardito,

prevenendo l'invito,

per far la mente mia sazia, e contenta,

son venuto a goder l'Arcadia in Brenta.

FABRIZIO

S'accomodi.

CONTE BELLEZZA

La fama

poco disse finor di voi parlando,

voi cantando, esaltando;

veggo più, veggo molto

in quell'amabil volto,

che con raggi di placido splendore

spiega l'idea del liberal suo cuore.

FABRIZIO

Signor, lei mi confonde.

Vorrei dir, ma non so;

per andar alla breve io tacerò.

CONTE BELLEZZA

Quel silenzio loquace

quanto, quanto mi piace! Ella tacendo

col muto favellar va rispondendo,

ed io che tutto intendo,

il genio suo comprendo.

Ella vuol favorirmi, ed io mi arrendo;

ed accetto le grazie, e grazie rendo.

FABRIZIO

Le renda, o non le renda,

è tutta una faccenda.

Se qui vuole restar, mi farà onore;

cerimonie non fo, son di buon cuore.

CONTE BELLEZZA

Viva il buon cor! Anch'io l'affettazione

odio nelle persone;

parlar mi piace naturale affatto.

Perciò da sen estratto

il più divoto, e caldo sentimento,

trabocca dalle labbra il mio contento.

FABRIZIO

Se questo è naturale,

parla ben, non vi è male.

CONTE BELLEZZA

La provida natura

prese di me tal cura,

che mi rese il più vago, e il più giocondo

grazioso cavalier, che viva al mondo.

FABRIZIO

Me ne rallegro assai. S'ella bramasse

riposarsi, è padron.

CONTE BELLEZZA

Sì, mio signore;

accetterò l'onore,

che l'arcisopraffina sua bontà

gentilissimamente ora mi fa.

FABRIZIO

(al servo)

Vada pure, Pancrazio,

servi questo signor.

CONTE BELLEZZA

L'esuberanza,

anzi l'esorbitanza

delle grazie, onde lei m'ha incatenato...

FABRIZIO

Vada, basta così.

CONTE BELLEZZA

Lasci che almeno...

FABRIZIO

Vada per carità.

CONTE BELLEZZA

Non fia mai vero,

ch'io manchi al dover mio...

FABRIZIO

Vada lei, mio signore, o vado io.

CONTE BELLEZZA

Non s'adiri di grazia, ch'io taccio.

Non vuò darli più noia, né impaccio.

Bramo solo... sto zitto, e non parlo,

più non ciarlo, credetelo a me.

Ma tal pena chi puol mai soffrire?

Io star cheto? Mi sento morire.

Signor caro... ho finito in mia fé.

(parte)

Scena decima

Fabrizio solo.

Con due pazzi in più nella brigata

ora l'Arcadia in Brenta è terminata.

E viva l'allegria. Corpo del diavolo!

Quand'io mi divertisco

proprio ringiovenisco.

E quelle ragazzette,

quanto sono carette!

Per passare con esse i giorni miei,

cospetto!... non so dir cosa farei.

Per Lauretta vezzosetta

la carrozza vada pure.

Per madama vada il resto.

Mi protesto,

che non vuò pensar a guai:

sempremai

voglio star in allegria,

e si spenda in compagnia

tutto, tutto quel che c'è.

(parte)

Scena undicesima

Camera in casa di Fabrizio.
Madama Lindora, poi il Conte Bellezza.

LINDORA

Dove Laura, e Rosanna,

dove mai sono? Ohimè! che nel cercarle

dalla sala alla stanza

ho tanto camminato,

che mi sento di già mancare il fiato.

Vorrei seder un poco.

Chi è di là? V'è nessuno?

CONTE BELLEZZA

Madama, vi son io.

LINDORA

Da sedere... Oh perdoni;

non v'aveva veduto.

CONTE BELLEZZA

A tempo son venuto.

(le dà la sedia)

S'accomodi.

LINDORA

Mi scusi...

CONTE BELLEZZA

Anzi al provido ciel le grazie io mando,

perché degno mi fé di suo comando.

LINDORA

(Non mi dispiace, è tutto gentilezza.)

Ma chi è lei, mio signore?

CONTE BELLEZZA

Son il Conte Bellezza,

un vostro servitore,

obbligato, divoto, e profondissimo.

LINDORA

Anzi mio padronissimo.

CONTE BELLEZZA

Deh, mi conceda l'alto onor sovrano

di poterle baciar la bianca mano.

LINDORA

Ah!

CONTE BELLEZZA

Cos'è stato?

LINDORA

M'avete rovinato il mio ditino,

toccate pian pianino;

son tanto delicata,

che non posso sì forte esser toccata.

CONTE BELLEZZA

Leggerissimamente

alzo la lattea delicata mano,

e con l'avida bocca...

LINDORA

No, no, che se mi tocca

l'acuto pelo che vi spunta al mento,

mi vedrete cadere in svenimento.

CONTE BELLEZZA

Lo farò con tal arte,

che voi ne stupirete;

siate pietosa, oh dio! se bella siete.

LINDORA

(Mi commove.)

CONTE BELLEZZA

Prostrato,

mia bella, al vostro piede,

vi dimando pietà, grazia, mercede.

LINDORA

Via, prendete la mano.

CONTE BELLEZZA

Cara man...

LINDORA

Piano, piano.

CONTE BELLEZZA

Ancor non l'ho toccata.

LINDORA

L'avete con il fiato un po' alterata.

CONTE BELLEZZA

Andrò cauto anche in questo.

Lasciate...

LINDORA

Non stringete.

CONTE BELLEZZA

Riposate la man sovra il mio braccio.

LINDORA

Che ruvido pannaccio!

CONTE BELLEZZA

Vi porrò il fazzoletto.

LINDORA

Non mi par molto netto.

CONTE BELLEZZA

Dunque che far dovrò?

LINDORA

Non saprei.

CONTE BELLEZZA

Ah madama, io morirò.

LINDORA

Vi vorrei compiacer, ma non vorrei,

che la mia compassione...

CONTE BELLEZZA

Trovata ho una invenzione,

che non vi spiacerà. La bella mano

alzate da voi stessa,

e mentr'ella s'appressa al labbro mio

il labbro inchino, e me l'accosto anch'io.

LINDORA

Mi contento.

CONTE BELLEZZA

Sian grazie al cielo, al fato;

generosa madama, io son beato;

eccomi, alzate un poco.

Ancora un poco più.

LINDORA

Non mi stancate.

CONTE BELLEZZA

Ma se non vi fermate

per un momento solo.

Scena dodicesima

Fabrizio, Foresto, e detti.

FABRIZIO

Signor Conte Bellezza, io mi consolo.

FORESTO

Ancor io, ma di core.

CONTE BELLEZZA

(Indiscreta fortuna!) Ma di che?

FABRIZIO

Il principe lei è

per tutto questo dì d'arcadia nostra.

CONTE BELLEZZA

È gentilezza vostra,

non già merito mio.

FABRIZIO

Anzi i meriti vostri a noi son noti,

e creato v'abbiam con tutti i voti.

LINDORA

Anch'io l'arcadia lodo,

e d'esservi soggetta esulto, e godo.

CONTE BELLEZZA

Ah che più goderei

il bramato piacer de' labbri miei.

FORESTO

A voi, principe degno,

del suo rispetto in segno

manda l'arcadia nostra

questo serto di fiori.

LINDORA

Ahi, mi fate morir con questi odori.

FABRIZIO

Via; madama Lindora

non li può sopportar.

CONTE BELLEZZA

Deh riponete

questo serto fatale.

LINDORA

Mi sento venir male.

FABRIZIO

Presto, presto, tabacco.

LINDORA

Sì, tabacco.

FABRIZIO

Prenda.

LINDORA

È troppo granito;

se lo prendo, potria mancarmi un dito.

CONTE BELLEZZA

Questo è fino assai più.

LINDORA

Non mi piace, signor; va troppo in su.

FORESTO

(Ora l'aggiusto io.

Con questa stranutiglia

mi voglio divertir con chi ne piglia.)

Prenda, prenda di questo.

È foglia schietta, schietta, e leggerissima.

LINDORA

Questo, questo mi piace: obbligatissima.

(prende tabacco)

FORESTO

(al Conte)

Comanda?

CONTE BELLEZZA

Mi fa grazia.

(prende tabacco)

FORESTO

(a Fabrizio)

E voi?

FABRIZIO

Mi fate onore.

(lo prende anche lui)

FORESTO

(Voglio rider di core.

La stranutiglia vera

li farà stranutar fino alla sera.)

(parte)

FABRIZIO

Vada, vada.

CONTE BELLEZZA

Vada lei.

LINDORA

Anzi lei.

Vada. Eccì.

(stranuta)

FABRIZIO E CONTE BELLEZZA

Viva, viva.

CONTE BELLEZZA

Grazie. Eccì.

(stranuta forte)

Ahi! Eccì.

Ahi! Eccì.

(si getta a sedere)

FABRIZIO

Poverina!

CONTE BELLEZZA

Presto. Eccì.

(stranuta)

FABRIZIO

Che bel garbo!

Son qua io.

Forti. Eccì.

(stranuta)

CONTE BELLEZZA

Altro. Eccì.

(stranuta)

LINDORA

Aiutatemi. Eccì.

Insieme

FABRIZIO

Che tabacco! Eccì, eccì.

CONTE BELLEZZA

Maledetto! Eccì, eccì.

FABRIZIO

Che tormento

che mi sento!

Più non posso. Eccì, eccì.

CONTE BELLEZZA

Via, madama, non è niente.

FABRIZIO

Che tabacco impertinente!

LINDORA

Acqua fresca per pietà.

(s'alza)

CONTE BELLEZZA

Vado a prenderla. Eccì.

FABRIZIO

Ve la porto. Eccì, eccì.

LINDORA

Il mio naso, la mia testa,

il mio petto. Eccì, eccì.

CONTE BELLEZZA

V'è passato?

LINDORA

Signor sì.

FABRIZIO

State meglio?

LINDORA

Par di sì.

FABRIZIO

Che tormento

che mi sento!

Più non posso. Eccì, eccì.

LINDORA, FABRIZIO E CONTE BELLEZZA

Dunque andiamo in compagnia

a goder con allergia

dell'arcadia il primo dì.

LINDORA

Vada, vada. Eccì, eccì.

Maledetto tabaccaccio!

CONTE BELLEZZA

Oh che impaccio! Eccì, eccì.

FABRIZIO

Favorisca.

LINDORA

Signor sì.

LINDORA, FABRIZIO E CONTE BELLEZZA

Faccia grazia. Eccì, eccì.

Atto secondo
Scena prima

Deliziosa.
Tutti a sedere cioè:
il Conte in mezzo, Madama Lindora alla dritta, Giacinto presso Rosanna, Foresto vicino a Lauretta, e Fabrizio da un lato arrabbiato per non esser vicino ad alcuna donna.

CONTE BELLEZZA

Da' lacci neghittosi del silenzio

scatenando la lingua,

qual monarca di dive, e semidei;

do glorioso principio a' cenni miei.

FABRIZIO

Signor principe caro,

il povero Fabrizio

gli manda un memorial, con cui lo prega

comandar a' pastor, che per servizio

lascino qualche ninfa anco a Fabrizio.

CONTE BELLEZZA

Giusti le preci son, ma non è giusto

delle ninfe arbitrar. Quella sia vostra,

che inclinata, e proclive a voi si mostra.

FABRIZIO

Tutte vorranno me.

ROSANNA

Sarei contenta,

se del signor Fabrizio

foss'io la ninfa eletta;

ma non vuò disgustar la mia Lauretta.

LAURA

Eh no, no; giacché vedo,

che a voi piace quel viso, io ve lo cedo.

FABRIZIO

E fra i due litiganti il terzo goda.

Io sarò di madama,

se mi vuol, se mi brama.

LINDORA

Vi domando perdono,

non mi vuò scomodar di dove sono.

FABRIZIO

Dunque dovrò star senza?

GIACINTO

Voi dovete soffrire.

FORESTO

E aver pazienza.

FABRIZIO

(Maledetti! Mi mangiano le coste,

e penar mi conviene.

Or sì che i miei denar gli spendo bene!)

CONTE BELLEZZA

Dall'arcadico trono,

a cui per vostro dono io son alzato,

due comandi vi do tutti in un fiato.

Primo. Ciascuna ninfa

scelga il pastor, di tutti alla presenza,

ma non vuò che Fabrizio resti senza.

Secondo. Quel pastor che sarà eletto,

con qualche regaletto

riconosca la ninfa,

e lei, com'è il dovere,

del regalo disponga a suo piacere.

FABRIZIO

Bravo! bravo! vi lodo.

ROSANNA

D'un tal comando io godo;

potrò senza riguardi

il mio genio svelar.

GIACINTO

(piano a Rosanna)

Già mia voi siete.

ROSANNA

(piano a Rosanna)

Deh lasciate che io finga, e non temete.

FABRIZIO

(a Giacinto)

Lasciatela parlar.

ROSANNA

Se mi concede

il sospirato onore,

sarà il signor Fabrizio il mio pastore.

FABRIZIO

Evviva, evviva. Ah! che ne dite? oh cara!

Che gioia! che diletto!

Per la mia pastorella io già vi accetto.

LAURA

Piano, piano di grazia, padron mio,

che ci pretendo anch'io.

Or che non v'è riparo,

la maschera mi levo, e parlo chiaro.

V'ho scelto nel mio core

di già per mio pastore,

e se non mi volete,

impazzir, e crepar voi mi vedrete.

FORESTO

(So che finge.) Ma come! Se Rosanna...

ROSANNA

Io Fabrizio pretendo.

LAURA

Di cedere Fabrizio io non intendo.

FABRIZIO

Signor principe, questo è un brutto imbroglio.

CONTE BELLEZZA

Dall'arcadico soglio

così decido, e voglio:

per consolar delle due ninfe il core,

abbian due pastorelle un sol pastore.

FABRIZIO

Evviva! evviva! Bravo per mia fé!

Son capace, lo giuro, anco per tre.

LINDORA

Dunque, signor Fabrizio,

s'ella dice da vero, e non ischerza,

io fra le ninfe sarò la sua terza.

FABRIZIO

Venga la quarta ancor, mi fa servizio;

(a Foresto e Giacinto)

levatevi di qua;

loco per voi non c'è;

una volta per uno: tocca a me.

CONTE BELLEZZA

Olà, suddito nostro,

fermatevi per ora.

Non è finito ancora:

se voi pastor delle tre ninfe siete,

regalar le tre ninfe ora dovete.

FABRIZIO

(Ohimè! son imbrogliato.

Questo favor mi vuol costar salato.)

GIACINTO

Su via, fatevi onore.

FORESTO

Via, portatevi ben, signor pastore.

FABRIZIO

A voi Rosanna bella,

mia cara pastorella,

perché vi brilla in sen il cor contento,

questo picciol brillante io vi presento.

ROSANNA

È molto spiritoso, è molto bello,

brilla, come che a voi brilla il cervello.

FABRIZIO

Grazie a lei; a Lauretta,

graziosa vezzosetta,

per cui ognora tormentato sono,

quest'orologio d'or presento in dono.

LAURA

Il vostro dono accetto,

e contemplar prometto

in lui la vostra amabile figura,

perché voi siete tondo di natura.

FABRIZIO

Obbligato. A madama,

perché si guardi della stranutiglia,

le do una tabacchiera di Siviglia.

LINDORA

Ed io che v'amo tanto, bramerei,

che in questa tabacchiera,

per poterne goder a tutte l'ore,

fosse polverizzato il vostro core.

FABRIZIO

Che bontà! che finezze!

CONTE BELLEZZA

Or di quei doni

ne disponga ciascuna a suo talento,

e faccia al donator un complimento.

ROSANNA

Io pongo quest'anello

nelle man di Giacinto,

e dico al donatore,

ch'io lo delusi, e questo è il mio pastore.

FABRIZIO

Come?

LAURA

Quest'orologio

a Foresto consegno,

e al donatore io dico,

che già di lui non me ne importa un fico.

FABRIZIO

Che! che!

LINDORA

La tabacchiera

al principe presento, e mio pastore,

perché quel tabaccaccio mi fa male,

e chi me l'ha donato è un animale.

CONTE BELLEZZA, GIACINTO E FORESTO

Viva il signor Fabrizio,

ci rallegriam con lei.

(tutti s'alzano)

FABRIZIO

Che siate maledetti tutti e sei.

Corpo del diavolo! parmi un po' troppo.

Che! sono un cavolo?

Son gentiluomo del mio paese,

io fo le spese, io son padrone.

Che impertinenza? che prepotenza?

Come? che dite?

Eh padron mio, basta così.

La vuò finire,

me ne voglio ire.

Signore ninfe,

'gnori pastori,

buon viaggio a loro...

Che? non gli piace?

Se n'anderanno,

signori sì.

(parte)

Scena seconda

Tutti, fuorché Fabrizio.

LINDORA

Oh quanto mi fa ridere:

(ride)

ah, ah,

ohimè! non posso più: ah, ah, ah, ah,

messer Fabrizio: ah, ah, ah.

È in collera: ah, ah.

Ahi, che mi manca il fiato,

non posso respirar.

(si getta a sedere)

LAURA

Che cosa è stato?

LINDORA

Il rider mi scompone, e mi rovina.

LAURA

Povera madamina,

siete tenera assai, vi compatisco.

(Con questa smorfia anch'io mi divertisco.)

FORESTO

Signori, con licenza;

vuò seguitar Fabrizio. Egli è arrabbiato.

Vuò veder di placarlo. A dirla schietta,

tutto il torto non ha. Ma questo è il frutto

di chi vuol far di più del proprio stato;

spende, soffre, non gode, ed è burlato.

(parte)

LAURA

Io rido quando vedo

certi pazzi, che fan gli innamorati,

e credon col contante

render la donna amante.

Quando il genio non v'è, non fanno niente;

si lascian nell'inganno,

e se si voglion rovinar, suo danno.

LINDORA

In quanto a questo poi,

non l'intendo, Lauretta, come voi.

Non dono, e non accetto,

e per non ingannar nulla prometto.

LAURA

Parliam d'altro di grazia.

CONTE BELLEZZA

Deh, madama,

andiam per questi deliziosi colli,

co' vostri bei colori

la vil bellezza a svergognar de' fiori.

ROSANNA

(a parte a Giacinto)

Che parlar caricato!

GIACINTO

(a parte a Rosanna)

E pur così affettato

vi dovrebbe piacer.

ROSANNA

(a parte a Giacinto)

Per qual ragione?

GIACINTO

(a parte a Rosanna)

Piace alle donne assai l'adulazione.

CONTE BELLEZZA

(a Rosanna e Lindora)

Concedete ch'io possa

regger col braccio mio...

LAURA

Eh, signor conte mio,

lei parte con madama.

Rosanna se n'andrà col suo Giacinto;

ed io resterò sola?

Lei di cavalleria non sa la scola.

CONTE BELLEZZA

Ha ragion, mi perdoni;

io son un mentecatto, io son un bue:

servirò, se il permette, a tutte due.

LAURA

Se madama l'accorda...

LINDORA

Io no 'l contendo.

LAURA

Io son contenta, e le sue grazie attendo.

CONTE BELLEZZA

Eccomi. Favorisca, faccia grazia.

Sull'umil braccio mio poggi la mano.

LAURA

Camminate più presto.

LINDORA

Andate piano.

ROSANNA

(a parte a Giacinto)

Son godibili assai.

GIACINTO

(a parte a Rosanna)

Più grazioso piacer non ebbi mai.

LAURA

Ma via, non vi movete?

CONTE BELLEZZA

Eccomi lesto.

LINDORA

Non andate sì presto;

di già voi mi stroppiate.

LAURA

Con questo andar sì pian, voi m'ammazzate.

GIACINTO

(Oh belli!)

ROSANNA

(Oh cari!)

CONTE BELLEZZA

(Io sono

nel terribile impegno.) Via, madama,

un tantinin più presto;

(a Laura)

eh via, cara signora,

un tantinin più piano.

LAURA

Più piano di così? Mi vien la morte.

LINDORA

Vi dico ch'io non posso andar sì forte.

CONTE BELLEZZA

Questa forte, e quella piano,

l'una tira, e l'altra molla;

non so più cosa mi far;

favoriscano la mano,

anderò come potrò.

Forti, forti, saldi, saldi.

Vada pur ciascuna sola,

io gli sono servitor.

Che comanda? eccomi qui.

Ch'io la servi? eccomi pronto.

Camminiam così, così.

Troppo forte? troppo piano?

D'incontrar io spero invano

di due donne il strano umor.

(parte)

Scena terza

Rosanna, Giacinto, Lindora, Lauretta.

GIACINTO

Ah, ah, che bella cosa!

ROSANNA

(Cosa in vero piacevole, e gustosa!)

LAURA

Madama, andate pian quanto volete;

per non venir in vostra compagnia,

vi faccio riverenza, e vado via.

(parte)

LINDORA

Oibò! correr sì forte

non conviene per certo ad una dama.

Affettar noi dobbiam, per separarci

dalla gente ordinaria,

una delicatezza straordinaria.

(parte)

Scena quarta

Rosanna, e Giacinto.

ROSANNA

Bei caratteri al certo.

GIACINTO

Anzi bellissimi.

Io, che stolto non son, scelta ho per ninfa

donna di senno, e di beltà.

ROSANNA

Di grazia,

non seguite anche voi quel vil costume

di adular per piacere.

GIACINTO

Ah non temete;

io vi stimo assai più, che non credete.

ROSANNA

Per or godo l'onore,

che siate mio pastore.

GIACINTO

Chi sa? se non sdegnate

di chi v'adora il core,

io per sempre sarò vostro pastore.

ROSANNA

Felicissima arcadia allor direi,

se tutti i giorni miei

lieta passar potessi al colle, al prato

col mio pastor, col mio Giacinto a lato.

Se di quest'alma i voti

ascolta il dio d'amor,

lieto sarà il mio cor,

sarò felice.

Per or di più non dico,

ma forse un dì verrà,

che il labbro dir potrà

quel ch'or non dice.

(parte)

Scena quinta

Giacinto solo.

Purtroppo è ver, che s'introduce il foco

d'amor né nostri petti, e a poco, a poco

queste villeggiature,

in cui sì francamente

tratta, e conversa ognun di vario sesso,

queste cagionan spesso

nella stagion de' temperati ardori

impegni, servitù, dolcezza, amori.

Per passar dagli occhi al core

apre il varco al dio d'amore

la moderna libertà.

Anche Amore andria sommesso

se si usasse col bel sesso

la primiera austerità.

(parte)

Scena sesta

Camera.
Fabrizio, e Foresto.

FABRIZIO

Non vuò, non vuò sentire.

FORESTO

Eh via, signor Fabrizio,

siete un uom di giudizio,

siete un uomo civile,

non fate, che vi domini la bile.

FABRIZIO

Che bile? Che m'andate

bilando, e strabilando!

Ve ne dovete andar qualor vi mando.

FORESTO

Finalmente fu scherzo.

FABRIZIO

Sì, fu scherzo, ma intanto

l'orologio, la scatola, e l'anello

non si vedono più.

FORESTO

Siete in errore;

eccovi l'orologio,

la scatola, e l'anello.

Ciò ch'ha di vostro ognun di noi vi rende,

né d'usurpar il vostro alcun pretende.

(gli dà l'orologio, la scatola, e l'anello)

FABRIZIO

Eh non dico, non dico, ma vedermi

strapazzato, e deriso...

FORESTO

Lo fan sul vostro viso

per prendersi piacer, ma dietro poi

le vostre spalle, ogn'un vi reca lode,

e del vostro buon cor favella, e gode.

FABRIZIO

Son buon amico; e faccio quel ch'io posso.

FORESTO

A proposito, amico;

che facciam questa sera?

La carrozza è venduta;

sono andati i cavalli,

e da cena non v'è.

FABRIZIO

Come? In un giorno

tanti bei ducatoni sono andati?

FORESTO

I debiti maggior si son pagati.

FABRIZIO

Io non so che mi far.

FORESTO

Siete in impegno,

sottrarvi non potete.

FABRIZIO

Consigliatemi voi, se lo sapete.

FORESTO

L'orologio, e l'anello

si potriano impegnar.

FABRIZIO

Sì, dite bene.

FORESTO

Ma non so, se denaro

si troverà abbastanza.

FABRIZIO

Ecco, prendete

questa scatola ancora.

Altro più non mi resta,

Foresto caro, a terminar la festa.

FORESTO

Siete un grand'uom! Peccato

non abbiate il tesor maggior del mondo.

(Che presto noi gli vederemmo il fondo.)

Vado a trovar denaro,

e tosto a voi ritorno.

Un certo non so che si va ideando.

Qualor torno saprete il come, e il quando.

(parte)

Scena settima

Fabrizio, poi Lindora.

FABRIZIO

Tutto va ben. Lo so, che mi rovino;

ma non importa: almen anch'io godessi

da coteste mie ninfe traditore

un qualche segno di pietoso amore.

LINDORA

(di lontano)

Signor Fabrizio.

FABRIZIO

(Questa, a dir il vero,

mi par troppo flemmatica.)

LINDORA

(come sopra)

Non sente?

Signor Fabrizio.

FABRIZIO

(E pur, se mi volesse,

io non ricuserei

di far un poco il cicisbeo con lei.)

LINDORA

(con caricatura)

Si-gnor Fa-bri-zio.

FABRIZIO

Oh cielo! Mi perdoni.

Non l'aveva sentita.

LINDORA

Ho gridato sì forte, che la gola

mi si è tutta enfiata;

quas'in petto una vena m'è crepata.

FABRIZIO

Cancaro! Se ne guardi:

favorisca.

LINDORA

M'aiuti.

FABRIZIO

Eccomi lesto.

LINDORA

Non mi tocchi.

FABRIZIO

Perché?

LINDORA

Son tenerina.

FABRIZIO

Impastata mi par di ricottina.

LINDORA

Ahi! son stanca.

FABRIZIO

S'accomodi, madama.

LINDORA

Sederei volentier, ma questa sedia

è dura indiavolata.

Sul morbido seder son avvezzata.

FABRIZIO

Ehi dico: pian, non tema.

(al servo)

Ehi, reca tosto

una sedia miglior.

(viene il servo)

LINDORA

Molt'obbligata.

(il servo va, e torna con una sedia di damasco)

FABRIZIO

Sieda qui, starà meglio.

LINDORA

Oibò, è sì dura

cotesta imbottitura,

ch'io non posso sperar di starvi bene.

FABRIZIO

Rimediarvi conviene.

Porta la mia poltrona.

LINDORA

Compatisca, signor.

FABRIZIO

Ella è padrona.

(torna il servo con la poltrona)

FABRIZIO

Eccola, se ne servi.

LINDORA

Oh peggio, peggio;

no, no, non me ne curo.

Il guancial di vacchetta è troppo duro.

FABRIZIO

Eh corpo d'un giudìo!

Ora la servo io.

(parte)

LINDORA

Portate via

la sedia, ed il guanciale;

quell'odor di vacchetta, ahi mi fa male.

(torna Fabrizio con un matarazzo)

FABRIZIO

Eccolo un matarazzo;

di più non posso far.

LINDORA

Quest'è un strapazzo.

Lo conosco, lo so; no, non credevo

dover soffrir cotanto.

Ahi, che mi vien per il dolore il pianto.

Voglio andar... non vuò più star;

più beffata esser non vuò.

Signor sì, me n'anderò.

Sono tanto tenerina,

ch'ogni cosa mi scompone;

e voi siete la cagione,

che m'ha fatto lagrimar.

Se sdegnarmi almen sapessi,

vendicarmi or io vorrei.

Ma senz'altro morirei,

se m'avessi ad arrabbiar.

(parte)

Scena ottava

Fabrizio, poi Foresto.

FABRIZIO

Si contenga chi può. Corpo del diavolo!

Non ne poteva più.

FORESTO

Signor Fabrizio,

il principe d'arcadia ha comandato,

che dobbiam recitar all'improvviso

stassera una commedia.

FABRIZIO

Io non ne so.

FORESTO

Non temete, ch'io vi contenterò.

Il Conte ha destinato

di far da innamorato.

Da innamorata dovrà far madama.

Lauretta fa la serva,

io fo da genitore,

e voi dovete far da servitore.

FABRIZIO

Da servitor?

FORESTO

Cioè la parte buffa.

FABRIZIO

Il buffo io dovrò far? Quest'è un mestiere,

ch'è difficile assai;

per far rider i savi è grand'impegno.

FORESTO

Già s'avanza la notte:

andatevi a vestir, ch'io venirò.

FABRIZIO

Farò quel che potrò:

mi dispiace il parlar all'improvviso.

Se fosse una commedia almen studiata,

si potrebbe salvar il recitante;

dicendo che il poeta è un ignorante.

(parte)

Scena nona

Foresto solo.

Certo, non dice mai; sogliono tutti

gettar la colpa su la schiena altrui.

Se un'opera va mal, dice il poeta:

«La mia composizion è buona, e bella;

quel ch'ha fallato è il mastro di cappella.»

E questo d'aver fatto

gran musica si vanta;

e che il difetto vien da chi la canta.

In fine l'impresario

senza saper qual siane la cagione

se ne va dolcemente in perdizione.

Perché riesca bene un'opera,

quante cose mai vi vogliono!

Libro buono, e buona musica,

buone voci, e donne giovani,

balli, suoni, scene, e macchine.

E poi basta? Signor no.

Che vi vuole? Io non lo so.

Ma no 'l sa nemmen chi critica,

benché ognun vuol criticar.

Parla alcuno per invidia,

alcun altro per non spendere,

mentre il più di tutti gli uomini

col capriccio che li domina

suol pensare, e giudicar.

(parte)

Scena decima

Sala.
Il Conte col nome di Cintio, e Fabrizio da Pulcinella.
Lauretta da Colombina, Lindora col nome di Diana, e in fine Foresto da Pantalone.

CONTE BELLEZZA

Cintio

Seguimi, Pulcinella.

FABRIZIO

Pulcinella

Eccome ccà.

CONTE BELLEZZA

Cintio

Siccome un'altra nube

s'oppone al sole, e l'ampia terra oscura,

così da quelle mura

coperto il mio bel sol, cui l'altro cede,

l'occhio mio più non vede. Ond'è che afflitto

i nuovi raggi del mio sole attendo.

FABRIZIO

Pulcinella

Tu me parle tidisca, io non t'intendo.

CONTE BELLEZZA

Cintio

Fedelissimo servo,

batti tu a quella porta.

FABRIZIO

Pulcinella

A quale porta?

CONTE BELLEZZA

Cintio

A quella.

FABRIZIO

Pulcinella

Io non la vedo.

CONTE BELLEZZA

Cintio

Finger dei, che vi sia.

In vece della porta,

in un quadro si batte, o in una sedia,

come i comici fanno alla commedia.

FABRIZIO

Pulcinella

Aggio caputo, ma famme una grazia;

perché da tozzolare aggio alla porta?

CONTE BELLEZZA

Cintio

Acciò che la mia bella

venga meco a parlar.

FABRIZIO

Pulcinella

Ccà sulla strada?

CONTE BELLEZZA

Cintio

È ver, non ista bene,

che facciano l'amor sopra la strada

civili onesti amanti,

ma ciò sogliono usar i commedianti.

FABRIZIO

Pulcinella

Sì, sì, tozzolerò, ma se qualcuno,

quando ho battuto io, battesse a me?

CONTE BELLEZZA

Cintio

Lascia far; non importa, io son per te.

FABRIZIO

Pulcinella

O de casa.

LAURA

Colombina (di dentro)

Chi batte?

FABRIZIO

Pulcinella

Sono io.

LAURA

Colombina

Serva sua, signor mio.

FABRIZIO

Pulcinella

Patron, chessa è per me.

CONTE BELLEZZA

Cintio

Chi siete voi,

quella giovine bella?

LAURA

Colombina

Io sono Colombina Menarella.

CONTE BELLEZZA

Cintio

Di Diana cameriera?

LAURA

Colombina

Per servir vussustrissima.

FABRIZIO

Pulcinella

Obregato, obregato.

CONTE BELLEZZA

Cintio

Deh vi prego,

chiamatela di grazia.

LAURA

Colombina

Ora la servo.

FABRIZIO

Pulcinella

Sienteme, peccerella,

vienence ancora tuie,

che ance devertarimmo fra de nuie.

LAURA

Colombina

Sì, sì, questa è l'usanza;

se i padroni fra lor fanno l'amore,

fa l'amor con la serva il servitore.

Il padron con la padrona

fa l'amor con nobiltà:

noi andiamo più alla bona

senza tanta civiltà.

Dicon quelli: idolo mio,

peno, moro, smanio, oddio!

Noi diciam senz'altre pene:

«Mi vuoi ben? ti voglio bene»;

e facciamo presto presto

tutto quel che s'ha da far.

Dicon lor, ch'è un gran tormento

quell'amor che accende il core;

diciam noi, ch'è un gran contento

quel, che al cor ci reca amore.

Ma il divario da che viene?

Perché han quei mille riguardi:

penan molto, e parlan tardi.

Noi diciam quel che conviene

senza tanto sospirar.

(si ritira fingendo chiamar Diana)

CONTE BELLEZZA

Cintio

Ti piace, Pulcinella?

FABRIZIO

Pulcinella

A chi non piaceressi o Menarella?

CONTE BELLEZZA

Cintio

Ecco, viene quel che m'innamora.

FABRIZIO

Pulcinella

Con essa vene Menarella ancora.

(vengono Lindora, e Lauretta)

CONTE BELLEZZA

Cintio

Venite, idolo mio.

Venite per pietà.

LINDORA

Diana

Vengo, vengo, mio bene, eccomi qua.

CONTE BELLEZZA

Cintio

Voi siete il mio tesoro.

LINDORA

Diana

Per voi languisco, e moro.

FABRIZIO

Pulcinella (a Laura)

Ah tu sì la mia bella.

LAURA

Colombina

E voi siete il mio caro Pulcinella.

CONTE BELLEZZA

Cintio (a Lindora)

A voi donato ho il core.

LINDORA

Diana

Ardo per voi d'amore.

FABRIZIO

Pulcinella (a Laura)

Per te mi sento lo Vesuvio in petto.

LAURA

Colombina

Cotto è il mio core al foco dell'affetto.

CONTE BELLEZZA

Cintio

Vezzosetta, mia diletta.

FABRIZIO

Pulcinella

Menarella, mia caretta.

LINDORA

Diana

Cintio caro, Cintio mio.

LAURA

Colombina

Pulcinella bello mio...

LINDORA

Diana

Che contento, che diletto!

LAURA

Colombina

Vien, mio bene, a questo petto.

TUTTI

Io ti voglio un po' abbracciar.

(viene Foresto da Pantalone)

FORESTO

Pantalone

Olà, olà, cossa feu?

Abbrazzai?

Cagadonai!

Via, caveve, via de qua.

LINDORA

Diana

Io m'inchino al genitore.

LAURA

Colombina

Serva sua, signor padrone.

FABRIZIO

Pulcinella

Te so schiavo Pantalone.

FORESTO

Pantalone

El ziradonarve attorno;

tutti andeve a far squartar.

CONTE BELLEZZA

Cintio

Vuol che io vada?

FORESTO

Pantalone

Mi ve mando.

FABRIZIO

Pulcinella

Vado anch'io?

FORESTO

Pantalone

Mi v'ho mandao.

CONTE BELLEZZA

Cintio

Anderò con la mia bella.

FABRIZIO

Pulcinella

Anderò con Menarella.

LINDORA

Diana

Io contenta venirò.

FABRIZIO

Pulcinella

Via tiolè sto canelao.

FORESTO

Pantalone

Con le putte? oh questo no.

LINDORA

Diana

Signor padre, per pietà.

(s'inginocchia)

LAURA

Colombina

Gnor padron, per carità.

(s'inginocchia)

CONTE BELLEZZA

Cintio

Deh vi supplico ancor io.

(fa lo stesso)

FABRIZIO

Pulcinella

Pantalon, padrone mio.

(fa lo stesso)

FORESTO

Pantalone

Duro star non posso più.

Via, mattazzi, leveve su.

TUTTI

(meno Foresto)

Io vi prego.

FORESTO

Pantalone

Zitto là.

TUTTI

(meno Foresto)

Vi scongiuro.

FORESTO

Pantalone

Vegnì qua.

Cari fioi, deve la man.

Alla fin so venezian,

m'avè mosso a compassion.

TUTTI

(meno Foresto)

Viva, viva Pantalon.

TUTTI

Viva, viva il dolce affetto,

viva, viva quel diletto,

che produce un vero amor;

che consola il nostro cor.

Atto terzo
Scena prima

Camera.
Fabrizio, poi Lauretta.

FABRIZIO

Ohimè! dove m'ascondo?

Ohimè! che son andato in precipizio.

Povera arcadia! Povero Fabrizio!

È finito il denaro;

è venduto il vendibile. Ogni cosa

alfin s'è terminata il giorno di ieri,

e non v'è da mangiar pe' i forestieri.

Oh sorte! oh cielo! oh fato!

Io non so che mi far, son disperato.

LAURA

Signor Fabrizio, d'ogni grazia adorno,

io gli auguro buon giorno.

FABRIZIO

Grazie a vossignoria.

LAURA

Che mai ha, che mi pare

alterato un tantin?

FABRIZIO

Mi duole il capo.

LAURA

Me ne dispiace, anch'io

mi sento nello stomaco aggravata.

Beverei volentier la cioccolata.

FABRIZIO

(La solita campana.)

LAURA

Vuol far grazia

d'ordinarla in cucina?

FABRIZIO

(Certo tu non la bevi sta mattina.)

Scena seconda

Madama Lindora, e detti.

LINDORA

Signor Fabrizio, amabile e garbato,

ella sia il ben levato.

FABRIZIO

Ancora lei...

LINDORA

Supplicarla vorrei

ordinar mi sia data

la mia colazioncina praticata.

FABRIZIO

E in che consiste la sua colazione?

LINDORA

Fo pestar un cappone,

poscia lo fo bollire a poco a poco,

e lo fo consumar fin che vi resta

di brodo uno scudellino,

e vi taglio due fette di panino.

FABRIZIO

Se il cappon non vi fosse...

LINDORA

Oh me meschina!

Certo mi ammalerei,

certo per debolezza io morirei.

FABRIZIO

(Se il brodo di cappon vuol aspettare,

sta mattina madama ha da crepare.)

Scena terza

Il Conte e detti.

CONTE BELLEZZA

(a Fabrizio)

Nostro eroe, nostro nume,

giacché nel principato

anco per questo dì fui confermato,

impongo che si faccia

una solenne strepitosa caccia.

I cacciator son lesti,

sono i cani ammaniti; altro non manca

che il generoso core

d'ospite così degno,

supplica dal suo canto al grande impegno.

FABRIZIO

Come sarebbe a dir?

CONTE BELLEZZA

Poco, e polito:

un sferico pasticcio;

due volatili alessi;

un quadrupede arrosto,

torta, latte, insalata, e pochi frutti,

e poi il di lei bel cor contenta tutti.

FABRIZIO

Ah non vuol altro? Sì, sarà servito;

sta mane il desinar sarà compito.

Scena quarta

Foresto e detti.

FORESTO

Signor Fabrizio.

FABRIZIO

Ebben, che c'è di nuovo?

FORESTO

È un'ora che vi cerco, e non vi trovo.

Dove diavolo è

il rosolio, il caffè?

Giacinto ne vorria, Rosanna il chiede,

e un cane che lo porti non si vede.

FABRIZIO

Oh canchero! mi spiace. Presto, presto

Pancrazio dove sei?

(viene il servo)

Apri l'orecchio bene:

servi questi signor come conviene.

A Lauretta la sua cioccolata,

a madama un tazzin di ristoro,

il risolito a quegli altri, e i caffè.

Poi farai una torta sfogliata.

(Zitto... ascolta) Farai un pasticcio.

(Zitto, dico. Non dir non ve n'è.

Già lo so tutto quel che vuoi dire

non v'è roba, non v'è più denaro.

Non importa, sta cheto, l'ho caro;

tai pensieri non toccan a te.)

(parte col servo)

Scena quinta

Il Conte, madama Lindora, Lauretta, e Foresto.

CONTE BELLEZZA

Generoso è Fabrizio.

LINDORA

È di buon core.

LAURA

Per le ninfe d'arcadia è un buon pastore.

FORESTO

Signori miei, disingannar vi voglio.

Il povero Fabrizio è disperato.

Egli s'è rovinato.

Ordina di gran cose, ma sta mane

non ha due soldi da comprarsi il pane.

LAURA

Ma la mia cioccolata?

FORESTO

Per sta mattina è andata.

CONTE BELLEZZA

La caccia, e il desinar?

FORESTO

Convien sospendere

fin che si trovin quei che voglion spendere.

LINDORA

Ma il cappon vi sarà?

FORESTO

No, certamente.

LINDORA

Come viver potrò senza ristoro?

Ahimè! che languidezza. Io manco, io moro.

CONTE BELLEZZA

Ah madama, madama!

Eccovi samperiglie,

spirito di melissa,

acqua della regina,

estratto di cannella sopraffina.

LINDORA

V'è alcuna spezieria?

FORESTO

Sì, mia signora.

LINDORA

Deh fatemi il piacer, contino mio,

andatemi a pigliare,

giacché non ho ristoro,

della polvere d'oro,

un cordial di perle,

un elixir gemmato

con qualche solutivo delicato.

CONTE BELLEZZA

Per servirvi, madama, in un istante,

pongo lo sprone al cor, l'ali alle piante.

(parte)

Scena sesta

Madama Lindora, Lauretta, e Foresto.

LAURA

Eh, madamina mia,

so io che vi vorria

perché ogni vostro mal fosse guarito.

LINDORA

E che mai vi vorrebbe?

LAURA

Un bel marito.

Le fanciulle giovinette

son soggette a certi mali,

ma non hanno gli speziali

la ricetta che vi vuol.

Altro recipe richiede

della giovine il difetto;

un amante giovinetto

d'ogni mal sanar la puol.

(parte)

Scena settima

Madama Lindora, e Foresto.

FORESTO

Che ne dite, madama? la ricetta

piacevi di Lauretta?

LINDORA

Io non ascolto

né di lei, né di voi le debolezze.

Le passioni d'amor son leggerezze.

FORESTO

Modestia è gran virtù. Ma finalmente

la passione del cor convien che sbocchi;

che se il labbro non parla, parlan gli occhi.

Voi adorate il Conte.

LINDORA

State zitto, ch'ei viene.

FORESTO

Parto, perché sturbarvi non conviene.

(parte)

Scena ottava

Madama Lindora, poi il Conte con uno Speziale con vari medicamenti.

LINDORA

Io l'amo è ver, ma non vuò dirlo adesso

vuò sostener la gravità del sesso.

CONTE BELLEZZA

Eccovi lo spezial, signora mia,

ed ha mezza con lui la spezieria.

LINDORA

(al Conte)

Il cordiale.

CONTE BELLEZZA

(a madama)

Il cordiale? Ecco il cordiale.

LINDORA

Mezzo voi, e mezzo io.

CONTE BELLEZZA

Io non ho male.

LINDORA

Quando si serve dama,

ricusar non si può.

CONTE BELLEZZA

Dite ben, dite bene; io beverò.

(ne getta mezzo in un bicchiere, e lo beve, poi dà il resto a Lindora)

LINDORA

È gagliardo?

CONTE BELLEZZA

Un po' troppo.

LINDORA

Ne vuò assaggiar un poco:

ah no, no, non lo voglio, è tutto foco.

Datemi l'elixir.

CONTE BELLEZZA

Eccolo qui.

LINDORA

Bevetene voi prima in quel bicchiere.

CONTE BELLEZZA

Ma io...

LINDORA

Ma voi non siete cavaliere...

CONTE BELLEZZA

Vi domando perdono;

vi servo, io bevo, e cavaliere sono.

LINDORA

Vi piace?

CONTE BELLEZZA

Niente affatto.

Mi ha posto un Mongibel nel corpo mio.

LINDORA

Dunque, quand'è così, non lo vogl'io.

CONTE BELLEZZA

Ed intanto io l'ho preso.

LINDORA

Ohimè! mi sento

lo stomaco pesante.

Ha portato il purgante?

CONTE BELLEZZA

Sì, madama,

questo è un solutivo,

ch'è molto operativo;

e se voi vi sentite indigestione,

in poch'ore farà l'operazione.

LINDORA

Lasciatelo veder.

CONTE BELLEZZA

Eccolo.

LINDORA

È troppo

per lo stomaco mio.

Mezzo voi il beverete, e mezzo io.

CONTE BELLEZZA

Bisogno non ne ho.

LINDORA

Che importa questo?

Prendetelo e bevete,

se cavalier voi siete.

CONTE BELLEZZA

Beverò, beverò, sì, madamina.

(Ella ha mal, ed io prendo la medicina.)

LINDORA

Oibò, nausea mi fa. No, non lo voglio.

CONTE BELLEZZA

Io sento un grande imbroglio

nello stomaco mio.

LINDORA

Conte, soffrite voi, che soffro anch'io.

CONTE BELLEZZA

Sì, madama, soffrirò;

ma mi sento un certo che...

che vorrebbe tornar su.

Ahi soffrir non posso più.

Deh, ch'io vada permettete;

attendete, tornerò.

No, vi dico, non vorrei...

se sentiste i dolor miei;

no 'l credete? io tacerò.

Voi volete? io creperò.

(parte)

Scena nona

Madama Lindora, poi Giacinto.

LINDORA

Povero conte! Al certo riderei,

se non mi fesse il rider tanto male.

GIACINTO

Madama, siete attesa.

Avete di già intesa

la disgrazia dell'ospite compito,

che per la bell'arcadia è già fallito.

Rosanna, che non lungi ha la sua villa,

tutti seco c'invita:

colà l'arcadia unita

sarà con più giudizio,

e con noi condurremo anche Fabrizio.

LINDORA

Oh povero Fabroni!

Me ne dispiace assai; ma non ci penso,

perché se ci pensassi

forse per compassion m'attristerei,

e attristandomi un poco io morirei.

Non voglio affanni al core,

non vuò pensare a guai,

non ci ho pensato mai,

e non ci penserò.

Io son d'un certo umore,

che par che mesta sia,

e pur malinconia

dentro il cor mio non ho.

(parte)

Scena decima

Giacinto, poi Rosanna.

GIACINTO

Può darsi, ch'ella sia

allegra più di quel, ch'ognuno crede,

ma fa morir d'inedia chi la vede.

ROSANNA

Giacinto, il tutto è pronto.

Preparato è il burchiello;

mandato avanti ho i servitori miei;

che veniste voi meco io bramerei.

GIACINTO

Non ricuso l'onor che voi mi fate.

ROSANNA

Anzi, se non sdegnate,

quando nella mia casa voi sarete

io farovvi padrone, e disporrete.

GIACINTO

Io, Rosanna, perché?

ROSANNA

Perché se veri

son que' detti di ieri...

basta, di più non dico.

GIACINTO

Sì, mia cara, v'intendo,

e da voi sol la mia fortuna attendo.

(parte)

Scena undicesima

Rosanna sola.

Giacinto ha un certo brio,

che piace al genio mio.

Per lui a poco, a poco

m'accese un dolce foco in seno Amore.

L'amo, l'adoro, e gli ho donato il core.

Principiai amar per gioco,

e d'amor il cor m'accesi;

già m'alletta il dolce foco,

e maggior ognor si fa.

Fra i piaceri, e fra i diletti

oggi nacque il mio tormento;

ma d'amare io non mi pento

perché spero alfin pietà.

(parte)

Scena ultima

Giardino che termina al fiume Brenta, in cui evvi il burchiello, che attende la compagnia dell'arcadia.
Fabrizio, poi Foresto, poi Rosanna, poi Giacinto, poi madama Lindora, poi Lauretta, e per ultimo il Conte.

FABRIZIO

No, non vuò che si dica,

ch'io abbia avuto di grazia

d'andar in casa d'altri

dopo aver rovinata casa mia;

vuò fuggir la vergogna, e scampar via.

(s'incontra in Foresto)

FORESTO

Dove. Signor Fabrizio?

FABRIZIO

Vado a far un servizio.

Aspettatemi qui, che adesso torno.

(vuol andar da una parte, e s'incontra in Rosanna)

ROSANNA

Cercato ho ogni contorno,

alfin v'ho ritrovato,

signor Fabrizio amato:

degnatevi venir in casa mia.

FABRIZIO

Con buona grazia di vussignoria.

(vuol andar da un altro lato, e s'incontra in Giacinto)

GIACINTO

Fermatevi, signore;

fateci quest'onore;

venite da Rosanna a star con noi.

FABRIZIO

Aspettate un pochino, e son con voi.

(si volta da una parte, e incontra madama Lindora)

LINDORA

Dove correte?

FABRIZIO

(Oh bella!)

(vuol rigirarsi per un altro lato, e incontra il Conte)

CONTE BELLEZZA

Voi siete prigionier, non vi movete.

FABRIZIO

Che vi venga la rabbia a quanti siete.

FORESTO

Orsù, signor Fabrizio,

permettete, ch'io parli; ognuno sa,

che siete un galantuomo,

che siete rovinato,

che non v'è più rimedio. Ognun vi prega,

che venghiate con noi: se ricusate,

superbia, e non viltà voi dimostrate.

ROSANNA

Vi supplico.

LINDORA

Vi prego.

LAURA

Vi scongiuro.

CONTE BELLEZZA

Non siate con tre donne ingrato, e duro.

FABRIZIO

Orsù, m'arrendo al generoso invito.

Non è poca fortuna

per un uom rovinato

esiger compassion dal mondo ingrato.

Per lo più quegl'istessi,

ch'hanno mandato il misero in rovina,

lo metton con gli scherni alla berlina.

TUTTI

(meno Fabrizio)

Signor Fabrizio,

venga con noi,

e lieto poi

ritornerà.

FABRIZIO

Vengo, e ringrazio

tanta bontà.

TUTTI

(meno Fabrizio)

L'arcadia in Brenta

è terminata,

e la brigata

via se ne va.

FABRIZIO

Andata fosse

tre giorni fa.

TUTTI

(meno Fabrizio)

Signor Fabrizio,

venga con noi,

e lieto poi

ritornerà.

FABRIZIO

Vengo, e ringrazio

tanta bontà.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 29/10/2015
Pagina: ridotto, rid
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Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena ultima