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Arcifanfano re dei matti

ARCIFANFANO RE DEI MATTI

Dramma comico per musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Carlo GOLDONI.
Musica di Baldassarre GALUPPI.

Prima esecuzione: carnevale 1750, Venezia.


Personaggi:

ARCIFANFANO re dei matti

basso

SORDIDONE pazzo avaro

tenore

Madama GLORIOSA pazza superba

soprano

Madama SEMPLICINA pazza ritrosa

soprano

Madama GARBATA pazza allegra

soprano

FURIBONDO pazzo collerico

basso

MALGOVERNO pazzo prodigo

soprano






Atto primo
Scena prima

Campagna deliziosa con collina amena in prospetto, adornata di vari alberetti; e da un lato veduta della città, con porta che introduce nella medesima.
Arcifanfano sotto un trono capriccioso. Due Pazzi, suoi ministri, al tavolino scrivendo; ed altri Pazzi serventi.
Tutti gli altri sei Pazzi, uomini e donne, stanno sedendo, sparsi per la collina sotto gli alberetti; e due Pazzi stanno a' piedi della collina, ascoltando quello che loro dicono.

Li sei Pazzi cantano come segue:

Vogliamo l'Arcifanfano

signor della città.

Veniam per esser sudditi

noi pur di sua maestà.

GLORIOSA E FURIBONDO

Andate, andate subito,

e poi tornate qua.

TUTTI

Vogliamo l'Arcifanfano

signor della città.

I due Pazzi partono dalla collina, e vengono al trono dell'Arcifanfano; s'inchinano, e gli parlano piano.

ARCIFANFANO

Dunque sono sei pazzi

che voglion diventar sudditi nostri?

Vengano pur, ma acciò scoprir io possa

come l'intenda la lor mente stolta,

fateli a me venire uno alla volta.

(i due servi s'avviano verso la collina)

E voi, pazzi ministri,

che i nomi registrate

dei sudditi del mio famoso impero,

provvedetevi pur di carta assai,

perché crescono i pazzi più che mai.

Li sei Pazzi nel ricevere la risposta dei Servi cantano:

Evviva l'Arcifanfano,

signor della città.

Saremo tutti sudditi

noi pur di sua maestà.

GLORIOSA E FURIBONDO

Andiamo, andiamo subito

che già ci accoglierà.

TUTTI

Evviva l'Arcifanfano

signor della città.

Furibondo s'alza, e viene abbasso con i Servi, e si accosta al trono.

ARCIFANFANO

Olà: chi siete voi?

FURIBONDO

Mi chiamo Furibondo,

e fo col mio valor tremar il mondo.

ARCIFANFANO

Qual è il vostro mestier?

FURIBONDO

Fo professione

di farmi rispettar dalle persone.

Chi mi zappa sui piedi

mortifico e strapazzo,

sfido, bastono, ammazzo;

son pieno di coraggio, e valoroso.

ARCIFANFANO

Bravo, signor Furioso!

Anch'io, quando mi vien la mosca al naso,

precipito, fracasso,

meno, taglio, conquasso,

e non son di quei matti

ch'hanno molte parole e pochi fatti.

V'accetto nel mio regno, e poiché siete

un uom così bravone,

vi fo del regno mio guardaportone.

FURIBONDO

Accetto il grande impegno, e se qualcuno

mi vorrà dar una guardata storta,

fracasserò, se occorre, anco la porta.

ARCIFANFANO

Ma, signor Furibondo,

signor terror del mondo,

perché siete venuto in questo regno?

FURIBONDO

Qui m'ha fatto venir l'ira e lo sdegno.

Non potevo soffrire

vedermi preferire

in cariche d'onore

gente perfida e vil, senza rossore.

I torti e le ingiustizie

m'han fatto delirare, e son venuto

a pregar l'Arcifanfano signore

dar gloria al mio valore,

acciò il mondo non cada

sotto la formidabile mia spada.

Con un colpo di terza e di quarta

ho una spada che tronca, che squarta,

e fa tutti col lampo tremar.

Comandate, e vedrete chi sono:

sarò turbine, fulmine e tuono;

saprò farmi da tutti stimar.

(parte, ed entra nella porta della città, accompagnato dai servi che poi ritornano)

ARCIFANFANO

Quest'è un pazzo infelice e sfortunato,

perché è da tutti odiato.

Anch'io fingo bravura,

ma son dell'opinione

che sia meglio negozio esser poltrone.

Frattanto scende madama Gloriosa, servita da due Servi, e va al trono.

GLORIOSA

Siete voi l'Arcifanfano?

ARCIFANFANO

Son io.

Inchinatevi tosto al trono mio.

GLORIOSA

Una donna mia pari non s'inchina.

ARCIFANFANO

Siete qualche regina?

GLORIOSA

Sì, signore.

ARCIFANFANO

Perdonate l'errore.

(scende)

Ditemi: di qual trono?

GLORIOSA

Io delle belle la regina sono.

ARCIFANFANO

Questo è un regno soggetto a molti danni,

e suol durar al più sin a trent'anni.

GLORIOSA

Le trentatré bellezze

in donna ricercate,

in me perfezionate

son tutte ad una ad una:

di trentatré non me ne manca alcuna.

ARCIFANFANO

In quanto a questo poi,

son più bello di lei:

sono le mie bellezze trentasei.

GLORIOSA

Come il mio viso è bello,

è vago il mio cervello.

In ogni mia struttura

un miracolo son della natura.

ARCIFANFANO

Or fortunato in vero

renderassi de' pazzi il vasto impero.

Ma per che causa mai,

signora sostenuta,

siete voi qui venuta?

GLORIOSA

Perché il mondo

non è degno di me, perché nessuno

conosce il merto mio,

perché non sono io

dalla gente malnata

quanto basta servita e rispettata.

ARCIFANFANO

Eppure il mondo è pieno

di gente pazza, per costume avvezza

a incensar delle donne la bellezza.

GLORIOSA

Ma io che di beltà m'appello il nume,

voglio esser adorata oltre il costume.

Però a voi, Arcifanfano,

vengo e mi raccomando

acciò un vostro comando

faccia che in questo regno,

ripien di strani umori,

tutti sian del mio viso adoratori.

ARCIFANFANO

Andate, andate pure,

che se non fosser pazzi

i miei sudditi eroi;

a farli pazzi bastereste voi.

GLORIOSA

Pazzo può dirsi quello

che non conosce e non apprezza il bello.

Bel labbro, bel viso

può dire, può far:

col vezzo, col riso,

vuò farmi adorar.

Qual sol che d'intorno

fa splendido il giorno,

faran questo regno

mie luci brillar.

(parte per la porta della città, servita ecc.)

ARCIFANFANO

Se tutte qua venissero

quelle donne che sono

pazze per vanità, come costei,

empirebbero presto i stati miei.

Sordidone scende dalla collina con un scrigno sotto il braccio, servito al solito.

SORDIDONE

Andate, andate via;

non voglio che sentite,

non voglio che vedete,

perché alla ciera due bricconi siete.

(ai due servi che si ritirano)

ARCIFANFANO

Chi siete, galantuomo?

SORDIDONE

Io son un pover'uomo

che ho sempre faticato,

sempre poco ho mangiato,

pochissimo ho bevuto e mal dormito,

e son andato sempre mal vestito.

ARCIFANFANO

Poverino! perché?

SORDIDONE

Per avanzarmi

un poco di denaro.

Benedetto denar, mi sei pur caro!

ARCIFANFANO

Ehi! ne avete voi molto?

SORDIDONE

Io non vorrei

che alcuno mi sentisse. Eccolo qui,

eccolo il mio tesoro:

quattro mille filippi in doppie d'oro.

ARCIFANFANO

Zitto, che non si sappia.

Ditemi in confidenza: quel denaro

l'avete guadagnato,

o l'avete rubato?

SORDIDONE

Vi dirò.

Ho fatto delle usure;

ho prestato denar col pegno in mano.

Se ho trovato il baggiano,

con la mia borsa ad aiutarlo intenta,

ho principiato a numerar dal trenta;

e m'hanno sopratutto profittato

sedici soldi al mese per ducato.

ARCIFANFANO

Vossignoria perdoni:

qui si accettano pazzi, e non bricconi.

SORDIDONE

Purtroppo con strapazzo

mi dice il mondo pazzo,

perché in tasca il denaro m'ho tenuto,

e un momento di ben non ho goduto.

Ma il mio ben, il mio core,

è questo, è questo solo,

(accenna il cassettino)

e guardar il denaro io mi consolo.

ARCIFANFANO

Ma che volete far di quell'intrico?

Io non ne sono amico.

Sapete pur che i pazzi

hanno con le monete antipatia,

quand'hanno denar, lo gettan via.

SORDIDONE

Per questo son venuto

a ricorrer da voi. Nel mio paese

non mi posso salvar. Perché si sa

che ho un poco di denaro,

ciascun mi vien d'intorno,

né mi lasciano star notte né giorno.

Questo un laccio mi tende,

quello al varco m'attende,

ognun mi va facendo il bello, il caro,

per rubarmi di tasca il mio denaro.

Qui, dove di denar non si fa caso,

sono almen persuaso

che senza insidiatori

potrò in pace goder i miei tesori.

ARCIFANFANO

Date a me quel denaro.

Io lo custodirò;

e quando lo vorrete,

sempre nelle mie man voi lo vedrete.

SORDIDONE

Ma signor...

ARCIFANFANO

Diffidate?

Di vivere fra noi non siete degno,

e vi farò cacciar fuor del mio regno.

SORDIDONE

Ma sarà poi sicuro?

ARCIFANFANO

Sicurissimo:

giuro da re de' pazzi arcipazzissimo.

SORDIDONE

Quand'è così, tenete.

(gli dà il cassettino)

Ohimè, ohimè!

ARCIFANFANO

Che avete?

SORDIDONE

Mi vien un gran sudore.

Ahi, che vi lascio nello scrigno il core!

ARCIFANFANO

Andate, andate dentro

della città felice. Io vi destino,

per secondar il vostro bell'umore,

economo de' pazzi e spenditore.

SORDIDONE

Anderò... ma non so... vi raccomando

il mio povero cor.

ARCIFANFANO

Il vostro core,

ditemi, ov'è riposto?

SORDIDONE

Dentro quel cassettino io l'ho nascosto.

Il mio core, poverino,

che sta lì nel cassettino,

mi trattiene, a sé mi chiama;

e il mio fegato che l'ama,

senza il core non può star.

Anco l'ale dei polmoni

voglion dir le sue ragioni;

e i budelli, poverelli,

fanno in corpo del rumore,

perché il core von cercar.

(parte coi servi)

ARCIFANFANO

Quello di tutti i pazzi è il maggior pazzo

che fa di sé strapazzo.

L'avaro è un animale

che a nessuno fa bene, e a sé fa male.

Io parlo qualche volta

che pazzo non rassembro, ma è dovere

che il re de' pazzi nella mente stolta

dei lucidi intervalli abbia talvolta.

Scende dalla collina Malgoverno, pazzo prodigo.

MALGOVERNO

Arcifanfano, io sono

Malgoverno chiamato

perché il mio patrimonio ho consumato.

Io stavo allegramente

senza pensare a niente;

ora ho finito il tutto,

e se prima era bello, ora son brutto.

ARCIFANFANO

Evviva, non importa.

Almeno avrete fatti degli amici

che si ricorderan dei dì felici.

MALGOVERNO

Gli amici son finiti,

se finito è il denaro. Anco le donne,

che facevan di me le innamorate,

or che non ho denar si son cambiate.

ARCIFANFANO

Ora sì, siete degno

di venir nel mio regno.

MALGOVERNO

A qual motivo?

ARCIFANFANO

Perché, se voi credeste

delle femmine al cor bugiardo e scaltro,

siete pazzo, pazzissimo senz'altro.

MALGOVERNO

Ora che ho terminato d'impazzire,

tutti gli altri son savi, e non ritrovo

chi si ricordi più, per cortesia,

che ha fomentato un dì la mia pazzia.

Disperato ora sono:

eccomi al vostro trono.

Spero si moverà

qualche pazzo di me forse a pietà.

ARCIFANFANO

Non sarei re de' pazzi,

se a pietate di voi non mi movessi.

Ecco denar: tenete,

consumate, spendete.

Perché voi siete il capo dei balordi,

vi fo mastro de' chiassi e de' bagordi.

MALGOVERNO

Grazie a vostra maestà. Tenete, amici,

(dà denari ai servi)

finché ve n'è, godete.

Quando poi non ne avremo,

baroni come prima torneremo.

Il denaro è tondo tondo

corre presto e se ne va.

Il piacer più bel del mondo

il denaro ognor sarà.

(parte dando denari ai servi, e va in città con lo scrigno)

ARCIFANFANO

Ecco il fin del denaro

che accumula con stenti il pazzo avaro.

Scende dalla collina madama Semplicina coi Servi.

ARCIFANFANO

Che vaga pazzarella!

Com'è graziosa e bella!

Con questa, in fede mia,

il regno spartirei della pazzia.

SEMPLICINA

(ai servi)

Via, via con quelle mani;

andatemi lontani.

ARCIFANFANO

Cos'avete,

pazzarella gentil, che irata siete?

SEMPLICINA

Fuggo dal mio paese

perché non voglio che nessun mi tocchi;

e mi voglion toccar quei pazzi allocchi.

ARCIFANFANO

Via di là! Poverina,

chi siete voi?

SEMPLICINA

Madama Semplicina.

ARCIFANFANO

Fanciulla, o maritata?

SEMPLICINA

Oibò, che dite?

Io maritata? Io? Come? Se mai

un uomo nella faccia non mirai?

ARCIFANFANO

Perché così ritrosa?

SEMPLICINA

Perché sono un tantino vergognosa.

ARCIFANFANO

Voi siete fatta come il genio mio,

perché son molto vergognoso anch'io.

SEMPLICINA

Eh, gli uomini son tutti

furbacchioni e cattivi.

ARCIFANFANO

Come il sapete voi?

SEMPLICINA

Già li ho provati.

ARCIFANFANO

Se in faccia non li avete mai mirati!

SEMPLICINA

Le fanciulle modeste

non alzano mai gli occhi.

ARCIFANFANO

Dite bene.

Guardarsi non sta bene.

Si può ben dire qualche parolina.

SEMPLICINA

Quando sia modestina.

ARCIFANFANO

Si può toccar la man con pudicizia.

SEMPLICINA

Quando la cosa sia senza malizia.

ARCIFANFANO

Ho imparato a trattare

senza malizia alcuna,

dopo aver visto il Mondo della luna.

SEMPLICINA

Signor, io son venuta

a ricorrer da voi. Gli uomini arditi

non lascian d'insultarmi,

e oramai non so più dove salvarmi.

ARCIFANFANO

Avete padre e madre?

SEMPLICINA

Signor sì.

ARCIFANFANO

Perché non vi maritano?

SEMPLICINA

Dirò:

perché non vonno i genitori miei

dar per marito a me quel ch'io vorrei.

ARCIFANFANO

Siete voi innamorata?

SEMPLICINA

Sì, signore.

ARCIFANFANO

È bello il vostro amante?

SEMPLICINA

Non lo so,

perché in viso mirato mai non l'ho.

ARCIFANFANO

Oh veramente degna

di star fra queste pazze fortunate,

poiché senza veder v'innamorate!

SEMPLICINA

Mi raccomando a vostra maestà;

arrossisco, signor, se sto più qua.

ARCIFANFANO

Andate, e non temete,

che toccata dai pazzi non sarete.

Ma prima, Semplicina,

datemi un'occhiatina.

SEMPLICINA

Oh cosa dite!

ARCIFANFANO

Non fate verun mal guardando me,

perch'io son alla fin de' pazzi il re.

SEMPLICINA

No 'l farò mai, se non allora quando

m'obbligasse di farlo un suo comando.

ARCIFANFANO

Olà, donna, ascoltatemi:

alzate le pupille, e poi miratemi.

SEMPLICINA

Vi miro fiso fiso,

vedo in quel bel viso

quell'occhio che sta lì,

che mi ferisce qui;

e amor da quella bocca

qua una saetta scocca.

Quel ciglio... ve lo dico?

Mi fate vergognar.

Non ho mirato mai

d'un uomo i vaghi rai,

non li vuò mirar.

(parte coi servi in città)

ARCIFANFANO

Questa è quella pazzia

chiamata ritrosia,

la quale a poco a poco

col gel principia, e termina col foco.

Madama Garbata con i Servi, dalla collina.

GARBATA

Animo, buona gente,

che si stia allegramente.

Arcifanfano mio, signor dei pazzi,

io vengo per goder spassi e sollazzi.

ARCIFANFANO

Brava! così mi piace.

Evviva l'allegria;

vada in malora la malinconia.

GARBATA

Mi conoscete voi?

ARCIFANFANO

Signora no.

GARBATA

Chi son, ve lo dirò.

Son madama Garbata:

d'allegrezza impastata.

Non vuò parlar di guai:

non ci ho pensato, e non ci penso mai.

ARCIFANFANO

Oh che bizzarro umor!

GARBATA

Sia guerra o pace,

sia pioggia o sol, sia tempo triste o buono,

sempre la stessa io sono.

Perisca tutto il mondo,

caschi la casa anch'essa,

sempre sarò la stessa.

Amanti o non amanti, non m'importa:

drizzatemi la scuffia, che l'ho storta.

ARCIFANFANO

Oh mille volte degna

del gran regno de' pazzi! In fede mia,

il ristoro de' pazzi è l'allegria.

GARBATA

Io son fuggita dalla mia città,

perché gli uomini là

vogliono far i savi,

e con i grilli suoi

sono pazzi tre volte più di noi.

Fan talora un festino, e sul più bello

prendono gelosia,

e si cambia in dispetti l'allegria.

Saranno a qualche cena

accanto alla sua bella,

e invece di mangiare

si sente sospirare.

Giocano col penin sotto la tavola,

e s'ella non risponde,

l'amante si confonde,

d'amor, di gelosia, di rabbia pieno;

spende il denaro, e poi mangia veleno.

ARCIFANFANO

Oh che pazzi, oh che pazzi! Io di costoro

esser re non vorrei.

Sono pazzi assai meno i pazzi miei.

GARBATA

Io voglio star allegra

senza sentir sospiri e battitori.

Però son qui venuta

da vostra maestà,

che il cielo vi conservi in sanità.

ARCIFANFANO

Andate, andate dentro, e ci vedremo;

in pace goderemo.

Faremo i nostri patti!

Staremo allegramente.

GARBATA

Evviva i matti!

Vuò star allegramente;

vuò prendermi sollazzo;

fo bene a far così?

V'è chi mi dice sì,

v'è chi risponde no.

O l'uno o l'altro è pazzo,

o siamo pazzi in tre.

Il mondo è tanto bello

perché di vari umori.

Vuò fare tutto quello

che pare e piace a me.

(parte coi servi verso la città)

ARCIFANFANO

Or sì posso chiamarmi

de' pazzi il gran monarca,

perché la monarchia de' pazzi è carca.

Oggi ho fatto l'acquisto

di sei varie persone

con diversa opinione o fantasia,

con diverso costume o sia pazzia.

Il pazzo furioso

vuol tutti ammazzar.

La pazza superba

vuol farsi adorar.

Il povero avaro

ha il cor nel denaro.

Il prodigo in fretta

lo spende, lo getta.

La semplice è pazza

per finta bontà.

L'allegra svolazza,

pensieri non ha.

E vivano i matti!

Lan la ra, la, la.

(parte)

Scena seconda

Camera.
Madama Gloriosa e Malgoverno.

GLORIOSA

Olà, che ardir è il vostro?

Abbassate quegli occhi,

non mi guardate in viso;

o con un mio sorriso,

o con un vezzo accorto,

vi faccio adess'adesso cascar morto.

MALGOVERNO

No, mia bella, non fate:

lo sdegno trattenete.

Cara, non m'uccidete.

In segno della stima

in cui del vostro bel tengo il tesoro,

vi faccio il sacrificio di quest'oro.

(le dà alcune monete, e lei le prende)

GLORIOSA

D'oro non ha bisogno

chi ha nel biondo crine

d'oro più bel ricchezze peregrine.

(getta l'oro, e fugge via)

MALGOVERNO

Fermate: se non basta

di quest'oro il valore,

v'offerisco il mio sangue ed il mio core.

(la segue)

Scena terza

Sordidone vede l'oro in terra.

Oh fortuna, oh fortuna, oh me beato!

Quant'oro ho ritrovato!

Che bel paese è questo!

Se si trova così per tutto l'oro,

si puol senza sudar far un tesoro.

Ma vien gente; non voglio

che qualcun me lo veda. Andrò a riporlo

nell'amato mio scrigno.

Quanto del mio tesor cresce il valore,

tanto mi sento in sen crescer il core.

(parte)

Scena quarta

Furibondo con la spada incalzando alcuni Pazzi; poi Arcifanfano con un nerbo di bove.

FURIBONDO

Canagliaccia, vuò ammazzarvi,

voglio tutti trucidarvi.

Para, mena, tira, ah!

ARCIFANFANO

Alto, alto, alto là.

(dà una nerbata a Furibondo)

FURIBONDO

Grazie a vostra maestà.

ARCIFANFANO

(gli mostra il nerbo)

Lo conoscete?

FURIBONDO

Sì, signor, lo conosco.

ARCIFANFANO

E ben, come si appella?

FURIBONDO

Al mio paese

questi nerbi gentili e sì ben fatti

si sogliono chiamar castigamatti.

(parte)

ARCIFANFANO

Per castigar i pazzi più bricconi,

queste son le mie spade e i miei cannoni.

Scena quinta

Madama Semplicina e detti; poi madama Garbata.

SEMPLICINA

Signor, posso venir?

ARCIFANFANO

Sì, sì, venite;

voi siete la padrona

della mia arcipazzissima corona.

SEMPLICINA

Oh quanto son pentita

d'esser venuta qui! Vuò tornar via.

ARCIFANFANO

Non fate tal pazzia.

Perché siete pentita?

SEMPLICINA

Voi m'avete col guardo tramortita.

ARCIFANFANO

Io vi medicherò.

SEMPLICINA

Non voglio, signor no.

ARCIFANFANO

Se non volete,

dunque me n'anderò.

(vuol partire)

SEMPLICINA

Ehi! dove andate?

ARCIFANFANO

Cara, sono da voi.

(torna vicino a lei)

SEMPLICINA

Non mi toccate.

ARCIFANFANO

Via, non vi toccherò;

in là mi volterò.

SEMPLICINA

Perché in là vi voltate?

ARCIFANFANO

Dunque vi guarderò.

SEMPLICINA

Non mi guardate.

ARCIFANFANO

Che cosa ho da far?

Andare o restar?

Toccar, non toccar?

Voltarmi o guardar?

SEMPLICINA

Restar, non toccar.

Voltar, non guardar.

ARCIFANFANO

Io son re de' pazzi,

non posso più star.

(l'incalza)

SEMPLICINA

Andate, partite,

lasciatemi star.

(va fuggendo)

(esce madama Garbata)

GARBATA

(Pigliamoci spasso.)

Cos'è questo chiasso?

ARCIFANFANO

Non vuol che la miri.

SEMPLICINA

Mi guarda, mi tocca.

GARBATA

Che pazza, che gnocca!

Lasciatelo far.

ARCIFANFANO

Io son re de' pazzi,

non posso più star.

SEMPLICINA

Andate, partite,

lasciatemi star.

(parte)

GARBATA

Lasciate che vada,

godiamo fra noi.

ARCIFANFANO

Almeno con voi

si puole scherzar.

GARBATA E ARCIFANFANO

Evviva per sempre

la bella allegria.

La bella pazzia

ci fa giubilar.

SEMPLICINA

(torna)

(Oh che gelosia

mi fanno provar!)

GARBATA E ARCIFANFANO

Per pura allegria

vi voglio abbracciar.

SEMPLICINA

E a me, poverina?

Mi fate penar.

GARBATA E ARCIFANFANO

Venite ancor voi

potete con noi

giuliva restar.

SEMPLICINA

Mi sento nel petto

il core balzar.

SEMPLICINA, GARBATA E ARCIFANFANO

Che bella allegria,

che bella pazzia

che fa giubilar!

Ritorna la prima scena con collina, su cui stanno sedendo i Ballerini e le Ballerine, rappresentanti altri pazzi e pazze che vengono per aver l'ingresso nella città, e dopo esser stati per ordine del Re de' pazzi accettati, scendono dal colle, e intrecciano le loro danze.

Atto secondo
Scena prima

Camera.
Madama Gloriosa co' lo specchio in mano e Malgoverno co' lo scrigno.

MALGOVERNO

Fermatevi un momento.

GLORIOSA

(guardandosi nello specchio)

Che brio, che portamento!

MALGOVERNO

Deh, vi prego:

udite due parole.

GLORIOSA

Lo splendor de' miei rai supera il sole.

MALGOVERNO

Ma voi non mi abbadate?

GLORIOSA

Non vi abbado,

per sostener della beltà il decoro.

MALGOVERNO

Un piccolo tesoro,

mia bella, io vi presento:

datemi un solo sguardo, e son contento.

GLORIOSA

L'offerta che mi fate,

a quanto ascenderà?

MALGOVERNO

Saranno incirca

due mille doppie d'oro.

GLORIOSA

Questo al merito mio non è un tesoro.

MALGOVERNO

Non posso far di più.

GLORIOSA

Le gemme del Perù

sariano poche ancora,

per la beltà che le mie guance infiora.

MALGOVERNO

Oh preziosa beltà che non ha prezzo!

E pur con meno assai

qualcun più fortunato

troveria delle donne a buon mercato.

Scena seconda

Madama Garbata e detti.

GARBATA

Riverisco, signori. E che si fa?

MALGOVERNO

Sospiro invan pietà.

GARBATA

(a Malgoverno)

Pazzo, se sospirate.

MALGOVERNO

(a Gloriosa)

Pazza voi, se pietade a me negate.

GLORIOSA

Pazza colei che a tutti

della propria beltà concede i frutti.

MALGOVERNO

Mirate, offro a colei

tutti i denari miei, e li ricusa

con tanta villania.

GARBATA

Il denaro ricusa? Oh che pazzia!

MALGOVERNO

Se l'offerissi a voi, l'accettereste?

GARBATA

Sì signor, sì signor, l'accetterei,

e vi ringrazierei:

sempre vi porterei scolpito in petto;

vi farei, occorrendo, anche un balletto.

GLORIOSA

(a Malgoverno)

Come! Farete voi

alla bellezza mia sì fiero torto?

MALGOVERNO

(a Garbata)

Se all'amor mio conforto,

bella, voi promettete,

di tutto l'oro mia padrona siete.

GARBATA

Giuro che se mi fate un tal onore,

voi sarete padron di questo core.

GLORIOSA

(Che risolve? Che fa?)

MALGOVERNO

(a Garbata)

Tenete, o cara.

Voi siete fra le belle la più bella;

mi parete una stella.

Non curo una bellezza

che ogni core disprezza.

Viva quella beltà

che, a chi chiede pietà, pietà riserba.

Pera con suo rossor pietà superba.

Se bello il sol si chiama,

è perché ognun riscalda.

Nessuno apprezza ed ama

la inutile beltà.

Con tutti i suoi splendori

che va spargendo intorno,

non trova adoratori

la pazza vanità.

(parte)

Scena terza

Madama Gloriosa e madama Garbata.

GLORIOSA

Uomo vile, mal nato,

uomo che non apprezza

il tesoro miglior della bellezza.

E voi, che senza merto

mi usurpate i tributi

a mia beltà dovuti,

vergognarvi dovreste

d'esser bella chiamata in faccia mia.

GARBATA

È questa la pazzia

che hanno le donne tutte,

sian belle o siano brutte.

Sé stessa ognuna apprezza,

crede non si trovi altra bellezza.

GLORIOSA

Ma voi, o brutta o bella,

accettar quel denaro non dovete.

Perché, se brutta siete,

a voi non si conviene,

avendo di beltà ricco tesoro,

lo dovete tener con più decoro.

GARBATA

Io non so se sia brutta o se sia bella:

ma vi dico, sorella,

che l'oro piace a tutte,

e che l'oro fa belle anco le brutte.

Ora non è più il tempo

che vogliano gli amanti

spender per la beltà sospiri e pianti.

Coi regali ciascun si fa la strada;

e nulla può sperare

bellezza ritrosetta,

che se una ricusa, un'altra accetta.

Per me son fatta

sempre così;

chi mi vuol bene,

l'ha da mostrar.

Io nulla credo

quando non vedo.

Con me s'inganna

chi vuol burlar.

Non son avara,

non son di quelle

che degli amanti

voglion la pelle;

ma un regaletto,

segno d'amore,

presto il mio core

fa innamorar.

(parte)

Scena quarta

Madama Gloriosa sola.

No, non sarà mai vero

ch'io m'abbassi a tal segno

d'amar un uom di mia bellezza indegno.

Se Giove non discende in pioggia d'oro,

o trasformato in toro,

a farmi un dolce invito,

io non voglio nel mondo alcun marito.

Donne belle, che vantate

di beltà ricco tesoro,

mantenete con decoro

quel favor che il ciel vi dà.

Lusingar non vi lasciate

dal virile sesso ingrato,

perché quando è maneggiato,

perde il fior la sua beltà.

(parte)

Scena quinta

Arcifanfano e Sordidone.

SORDIDONE

Il mio scrigno, il mio scrigno.

ARCIFANFANO

Il scrigno è andato.

SORDIDONE

M'avete assassinato.

Volete ch'io m'ammazzi?

Ah, che sanno rubare ancora i pazzi!

ARCIFANFANO

Non vedi, Sordidone,

che ti ho fatto servizio

a levarti d'attorno il precipizio?

SORDIDONE

Il mio core, il mio core, ov'è il mio core?

ARCIFANFANO

Povero pazzarello,

non cercare il tuo cor, cerca il cervello.

SORDIDONE

Se voi non mi rendete

il cor che mi tenete,

meschino io morirò;

ma prima di morir v'ammazzerò.

(impugna un coltello contro Arcifanfano)

ARCIFANFANO

Ehi, ehi, non far la bestia.

Pazzi, pazzi, venite.

(vengono due servi con bastoni)

Costui dà in frenesia;

moderategli un poco la pazzia.

(i servi alzano i bastoni)

SORDIDONE

Fermatevi, per grazia.

Oltre la mia disgrazia,

bastonar mi volete?

(ridono)

Ancor mi deridete,

e ho perso il mio denaro?

ARCIFANFANO

Questo è il degno piacer del pazzo avaro.

SORDIDONE

Che cos'è quest'avaro?

Economo son stato.

M'ho il denar risparmiato,

e il diavolo me l'ha portato via.

ARCIFANFANO

Frutto dell'avarissima pazzia.

SORDIDONE

Ohimè, non posso più.

Che fiamma è questa

che mi viene alla testa?

Olà, chi siete voi?

(dà in furore contro Arcifanfano)

Chi sei tu, chi sei tu?

Gradasso o Orlando?

Io ti sfido a battaglia. Ecco il mio brando.

(leva il bastone a un pazzo)

ARCIFANFANO

Tenetelo, tenetelo.

SORDIDONE

Fermate,

o a tutti vi darò delle stoccate.

(bastona i pazzi, e fuggono. Vuol fuggir Arcifanfano, e lo trattiene)

Fermati, non partir.

ARCIFANFANO

Non mi conosci?

Sono de' pazzi il re.

SORDIDONE

Che cosa importa a me?

O dammi il mio denar che m'hai rubato,

o ti faccio morire bastonato.

ARCIFANFANO

O caro signor pazzo,

non mi fate strapazzo;

lasciatemi partir e tornerò,

ed il vostro denar vi porterò.

SORDIDONE

Non mi fido.

ARCIFANFANO

Lo giuro.

SORDIDONE

Non ti credo.

ARCIFANFANO

(Se potessi fuggir da quest'imbroglio!)

SORDIDONE

Vanne... resta... va pur... ferma, non voglio.

ARCIFANFANO

Sordidone, caro caro,

deh lasciatemi partir.

Vado a prendere il denaro,

vi prometto di venir.

Sì signore, torno presto.

Non volete? Resto, resto.

Io son vostro buon amico.

(Ah, se posso, gliela ficco.)

Oh chi viene? Non mi movo.

(Or mi provo ~ di fuggir.)

(parte correndo)

Scena sesta

Sordidone, poi madama Garbata.

SORDIDONE

Dove sta? dove sei? Ah m'è fuggito!

Anche il re m'ha ingannato.

Ah ch'io sono da tutti assassinato!

Ho perso le mie doppie,

ho perso il mio tesoro.

Che smania! che dolore!

Io manco, io moro.

Ma che ho da far al mondo,

senza il tesoro mio?

Morto è il mio cor, voglio morire anch'io.

(si leva una corda con cui è cinto)

Sì, sì, con questa corda,

per uscire d'impaccio,

voglio formare un laccio.

Giacché niente più v'è che mi consola,

io mi voglio appiccare per la gola.

(attacca il laccio per appiccarsi)

GARBATA

Olà, olà, che fate?

SORDIDONE

Via, non mi disturbate.

GARBATA

Si può saper cosa volete fare?

SORDIDONE

Io mi voglio appiccare.

GARBATA

E appiccar vi volete senza il boia?

SORDIDONE

Se questo vi dà noia,

signora dottoressa,

venite dunque a far voi da boiessa.

GARBATA

Son qui, datemi il laccio.

SORDIDONE

Eccolo.

GARBATA

Eh via,

questa de' pazzi è l'ultima pazzia.

(getta via il laccio)

Dite, per qual cagione

vi volete ammazzar?

SORDIDONE

Perché il mio scrigno,

ahi, m'è stato rubato.

GARBATA

Zitto, che il vostro scrigno io l'ho trovato.

SORDIDONE

Datemel, per pietà.

GARBATA

Ve lo darò;

con un patto però,

che vuò che stiate meco allegramente;

vuò che facciamo il chiasso,

e che lasciate andar la morte a spasso.

SORDIDONE

Se mi restituite il mio denaro,

il viver mi sarà prezioso e caro.

GARBATA

Aspettate un momento.

(va a prender lo scrigno)

SORDIDONE

Il mio scrigno, il mio scrigno. Oh che contento!

GARBATA

Eccolo: che ne dite?

Siete ora consolato?

SORDIDONE

Il mio core, il mio core. Oh me beato!

GARBATA

Ora m'avete a mantenere il patto.

SORDIDONE

Son pronto, comandate.

GARBATA

Ora torno: aspettate.

SORDIDONE

Povero scrigno! È aperto.

Mi par che scemo ei sia.

GARBATA

Presto, presto, allegria; presto, allegria.

SORDIDONE

E che ho da far?

GARBATA

Tenete

il chitarrin. Io suono, e voi sonate.

Io vi voglio cantare, e voi cantate.

(toccano il chitarrino, e l'orchestra coi violini pizzicati l'accompagna)

GARBATA

La bella pastorella

se n' va col suo pastor,

in questa parte e in quella

spiegando il proprio amor.

SORDIDONE

In questa parte e in quella,

andrò col mio tesor.

Io son la pastorella,

e questo è il mio pastor.

(verso lo scrigno, senza chitarrino)

GARBATA

Lasciate il denaro,

volgetevi a me.

SORDIDONE

Oggetto più caro

di questo non c'è.

GARBATA

Guardate, son quella

che a voi porta amor.

SORDIDONE

Voi siete assai bella,

ma questo è il mio cor.

GARBATA

Se non volete amarmi, non importa:

a me mi basta star in allegria.

Il giubilo del core mi trasporta

a dir cantando: Evviva la pazzia!

SORDIDONE

Sì, cara, l'allegrezza mi conforta;

ma il sol denaro è l'allegrezza mia.

GARBATA E SORDIDONE

Pigliamoci ciascun nostri sollazzi:

evviva l'allegrezza, evviva i pazzi!

(partono)

Scena settima

Madama Semplicina, fuggendo da Furibondo.

SEMPLICINA

Alla larga, alla larga.

FURIBONDO

Non temete,

non voglio farvi offesa,

anzi sempre sarò vostra difesa.

SEMPLICINA

Non mi curo di voi.

FURIBONDO

Dunque sprezzate

il mio valor, la protezione mia?

Non sapete chi sia?

Son un che fa terror a tutto il mondo,

e di nome mi chiamo Furibondo.

SEMPLICINA

Col nome e la figura

voi mi fate tremar dalla paura.

FURIBONDO

Baciatemi la mano.

SEMPLICINA

Guardate che villano!

FURIBONDO

Come! Villano a me? Corpo del diavolo,

io non so chi mi tenga,

ragazza temeraria,

ch'io non vi getti con un pugno in aria.

Vi vorrei stritolar, ridurvi in polvere,

ma non mi so risolvere,

perché dice l'arietta:

non si sdegna il leon coll'agnelletta.

«Leon ch'errando vada

per la natia contrada,

se un agnellin rimira,

non si commove all'ira

nel generoso cor.»

(parte)

Scena ottava

Madama Semplicina, poi Arcifanfano.

SEMPLICINA

Grazie al ciel, se n'è andato.

Oh che pazzo egli è mai spropositato!

Ma viene l'Arcifanfano.

Vorrei... e non vorrei...

andrei... e non andrei...

mi piace, ma non so...

Sono fra il sì ed il no.

Per veder che sa far e che sa dire,

fingerò di dormire.

(siede, e finge di dormire)

ARCIFANFANO

Che vale il regno mio,

se goder non poss'io qualche contento

con quella pazzarella un sol momento?

Ma eccola che dorme.

Quanto, quanto è bellina!

Oh che bella bocchina!

Che bel color di rosa!

Mi dispiace che sia tanto ritrosa.

Eppure il re dei pazzi

non doverebbe aver tanti riguardi.

Ma amor con sue vicende

ora leva il cervello, ora lo rende.

Voglio destarla... e poi

se n'anderà quando sarà destata;

dunque è meglio lasciarla addormentata.

Ma fino ch'ella dorme,

non può dell'amor mio sentir pietà.

Dunque è meglio svegliarla... e che sarà?

Andrò così bel bello

svegliandola, chiamandola pian piano,

non starò né vicino, né lontano.

Semplicina bella, bella,

su, svegliatevi, per pietà.

SEMPLICINA

(dormendo)

Arcifanfano caro caro,

consolatemi per pietà.

ARCIFANFANO

Vengo, vengo... dorme ancora.

SEMPLICINA

Caro, caro...

ARCIFANFANO

Dorme ancora,

e dormendo si sogna di me.

Semplicina, mia bellina.

SEMPLICINA

(si sveglia)

Chi mi chiama?

ARCIFANFANO

Sì, son io.

SEMPLICINA

(mostra non vederlo)

Dove siete, idolo mio?

ARCIFANFANO

Cara, cara, eccomi qua.

SEMPLICINA

Compatitemi, che ho sognato.

ARCIFANFANO

Ecco il sogno verificato.

SEMPLICINA

Oh che sogno!

ARCIFANFANO

Semplicina!

SEMPLICINA

Mi vergogno.

ARCIFANFANO

Via, carina!

SEMPLICINA E ARCIFANFANO

Giacché il sogno si è spiegato,

oh che sogno fortunato!

Oh che dolce e caro amor!

Scena nona

Salone stravagante, o altra scena capricciosa, con cinque gabbie di ferro.
In una vi è madama Gloriosa, nella seconda Sordidone, nella terza madama Garbata, nella quarta Furibondo, e nella quinta Malgoverno. Altri Pazzi stanno osservando e ridono di loro.

TUTTI

Venga la stizza,

venga la rabbia

a chi m'ha fatto

metter in gabbia.

Son tutto sdegno,

tutto furor.

GLORIOSA E FURIBONDO

E voi ridete,

pazzi che siete,

e non avete

di noi dolor.

TUTTI

Venga la stizza,

venga la rabbia

a chi m'ha fatto

metter in gabbia.

Son tutto sdegno,

tutto furor.

ARCIFANFANO

Olà, pazzi arrabbiati,

che strepito è cotesto?

O state zitti, o proverete il resto.

GLORIOSA

Signor, la mia bellezza

rinchiusa non può stare.

SORDIDONE

Deh lasciatemi andare.

MALGOVERNO

Se voi mi liberate,

signor, vi donerò

dieci ducati quando li averò.

FURIBONDO

Apritemi, villani,

o il ferro romperò con le mie mani.

GARBATA

Aprite in cortesia,

ch'io vi farò star tutti in allegria.

ARCIFANFANO

Le vostre istanze, o gente pazza, ho udite.

Quello ch'io vi rispondo, ora sentite:

la superbia stia là

finché scema la troppa vanità;

stia là dentro l'avaro

finché perde l'amor del suo denaro;

là dentro stia il furioso

finché divien pietoso;

e il prodigo non esca

finché il meschino è asciutto come l'esca.

Ora che avete inteso

come dovete uscir da questi guai,

dite: quando uscirete?

LI QUATTRO PAZZI

Mai, mai, mai.

GARBATA

E di me che sarà? Se uscir io deggio

quando amica io sarò d'affanni e guai,

anch'io dico con gli altri: mai, mai, mai.

ARCIFANFANO

Di madama Garbata

la pazzia fortunata

giova de' pazzi al trono:

onde la libertade ora le dono.

(i servi pazzi aprono la di lei gabbia, ed ella esce giuliva)

GARBATA

Evviva l'Arcifanfano,

evviva il nostro re.

SEMPLICINA

Evviva l'Arcifanfano,

ma viva anco per me.

ARCIFANFANO

Così mi date gusto:

evviva il vostro re.

GARBATA

Signora Gloriosa,

voi siete vezzosa,

ma statene là.

GLORIOSA

Pietà, pietà, pietà.

SEMPLICINA

Oh sordido avaro,

godete il denaro,

ma state colà.

SORDIDONE

Pietà, pietà, pietà.

ARCIFANFANO

Il prodigo odioso,

il pazzo furioso,

giammai uscirà.

FURIBONDO E MALGOVERNO

Pietà, pietà, pietà.

GARBATA E SEMPLICINA

Pietà, pietà sentite;

pietà vi chiedo anch'io.

ARCIFANFANO

A voi l'affetto mio

pietà negar non sa.

GLORIOSA, SORDIDONE, FURIBONDO E MALGOVERNO

Pietà, pietà, pietà.

GARBATA, SEMPLICINA E ARCIFANFANO

Pietà voi proverete,

e avrete libertà.

(s'aprono le gabbie, e tutti escono)

TUTTI

Evviva l'Arcifanfano,

signor della città.

GARBATA E SEMPLICINA

Baciategli la mano

in segno di umiltà.

TUTTI

Evviva l'Arcifanfano

signor della città.

Evviva l'allegria,

evviva la pazzia

che danno altrui non dà.

Evviva l'allegria,

evviva la pazzia

che lieto ognuno fa.

Evviva l'Arcifanfano,

signor della città.

Il Re de' pazzi, per dar divertimento ai nuovi Sudditi, vuol introdurre il ballo, onde un maestro di ballo, Persignac, disegnando e ricercando l'idea, instruisce i Ballerini, li quali con vari caratteri eseguiscono quello che è stato loro ordinato.

Atto terzo
Scena prima

Campagna corta.
Sordidone con lo scrigno e un badile, poi Malgoverno.

SORDIDONE

Terra, terra, madre terra,

prendi, prendi, serra, serra

il mio scrigno ed il mio cor.

(cantando scava una fossa, in cui seppellisce lo scrigno, poi copre con la terra. Malgoverno in disparte osserva)

Ora questi bricconi

non mi ruberan più l'argento e l'oro.

Ho nascosto, ho nascosto il mio tesoro.

(parte)

MALGOVERNO

Terra, terra, madre terra,

lascia, lascia, a me disserra

questo scrigno, ch'è il mio cor.

(cava la terra, leva il tesoro e lo prende)

O povere monete,

condannate in prigion, che avete fatto?

Seppellir il denaro? Oh che gran matto!

Scena seconda

Madama Gloriosa e detto.

GLORIOSA

Ecco lo sprezzator di mia bellezza.

MALGOVERNO

Madama, vi son schiavo.

GLORIOSA

In man che cosa avete?

MALGOVERNO

Un tesor, se il volete;

ma voi non vi degnate;

ma voi l'oro e l'argento ricusate.

GLORIOSA

Lo prenderò, con patto

che dite ch'io son bella fra le belle.

MALGOVERNO

Splendete come il sol tra tante stelle.

GLORIOSA

Ora contenta io sono.

MALGOVERNO

Prendetelo, mia cara, io ve lo dono.

(le dà lo scrigno, e parte)

Scena terza

Madama Gloriosa, poi Furibondo.

GLORIOSA

La bellezza

non s'apprezza

se non prende,

se non rende,

se non chiede,

se non dà.

FURIBONDO

Lascia, lascia,

lascia qua.

(le prende lo scrigno)

GLORIOSA

Ohimè, che pe 'l timore

perderò delle guance il bel rossore.

(parte)

Scena quarta

Furibondo, poi madama Garbata.

FURIBONDO

L'oro e la terra,

tutto è per me.

Voglio far guerra

con tutti i re.

GARBATA

Così furente?

Dite, perché?

FURIBONDO

Non voglio niente;

tutto è per te.

(le dà lo scrigno, e parte)

GARBATA

Oh questa è bella assai!

Chi nasce matto non guarisce mai.

Che ho da far, che ho da far di questo imbroglio?

L'ho donato una volta, e più no 'l voglio.

Scena quinta

Arcifanfano e detta.

ARCIFANFANO

Olà, donna rapace,

restituisci a me

quello che tuo non è.

GARBATA

Tenete quest'intrico,

che del denar non me n'importa un fico.

Non sono interessata,

per fiori rendo frutti;

mi spoglierei per tutti;

son tutta carità.

(parte)

Scena sesta

Arcifanfano, poi madama Semplicina.

ARCIFANFANO

Che diavolo ha quest'oro?

Pare che sia fatato:

si vede ch'è denar mal acquistato.

Ma io che sono il re,

io ne posso disporre a modo mio;

a Semplicina mia dar lo vogl'io.

Eccola che se n' viene.

Presentarlo conviene

all'amorose piante,

come s'io fossi un cavalier errante.

(frattanto che si fa il ritornello dell'aria, viene madama Semplicina)

Idolo mio diletto,

mi levo il cor dal petto,

e lo consegno a te.

Prendilo, o bella,

prendilo, o cara,

ch'io sono il re.

Unico mio tesoro,

ahi, per te languo e moro.

Cosa sarà di me?

Prendilo, o bella,

prendilo, o cara,

sono il tuo re.

(le lascia lo scrigno, e parte)

Scena settima

Semplicina, poi Sordidone.

SEMPLICINA

M'ha detto la mia mamma

che, quando si vuol bene, si regala.

Se mi regala il re,

dunque l'affetto suo sarà per me.

Ma poi dell'amor suo

che cosa ne vuò fare?

Non lo voglio guardare,

non lo voglio toccare;

e non voglio più fare

la gente innamorare

di queste luci chiare, rare, avare.

SORDIDONE

Avare, o non avare,

che cosa v'ha a importare?

Questo denaro è mio,

ed a vostro dispetto lo vogl'io.

Sì lo voglio, lo voglio, lo voglio.

Maledetto! Che pena, che imbroglio!

Non so dove nasconderlo più.

Zitto, zitto, so quel che farò.

Liquefatto me lo beverò.

(parte)

Scena ottava

Semplicina sola.

Crede d'avermi fatto un dispiacere,

e m'ha fatto servizio:

l'oro delle fanciulle è il precipizio.

Mi diceva un dì mia nonna:

il denaro tutto fa;

e la povera onestà

per cagione del denaro

qualche volta se ne va.

(parte)

Scena nona

Camera con trono e tre sedie.
Arcifanfano con Guardie; poi madama Gloriosa, madama Garbata e madama Semplicina.

ARCIFANFANO

(alle guardie)

Dunque il regno de' pazzi

vuol che il suo re si unisca in matrimonio.

Cospetto del demonio,

l'hanno ben ritrovata fuor del mazzo,

per farmi diventar sempre più pazzo.

Olà, giacché le belle

novelle pazzarelle

aspirano de' pazzi alla corona,

vengano tutte tre,

che una di loro sceglierò per me...

Parte una Guardia, e Arcifanfano va in soglio. Vengono le tre Donne.

GLORIOSA

Monarca, per voi carca

la rocca della parca

sia sempre, e stia da voi lungi la barca

di Caronte, che l'alme a Stige varca.

ARCIFANFANO

Viva la bella Laura del Petrarca.

GARBATA

Sovrano, sempre sano

il cielo vi mantenga, e stia lontano

dal vostro corpo il morbo oltramontano.

ARCIFANFANO

Elena siete voi del ciel troiano.

SEMPLICINA

(senza mirarlo)

Signore, con il core

m'inchino al bel splendore,

perché ho un po' di rossore, ed ho timore

di perder, se vi miro, il mio pudore.

ARCIFANFANO

Siete sorella del bambino Amore.

Orsù, quel che volete,

chete, liete, discrete,

esponete, e sedete se potete.

GLORIOSA

Brama la mia bellezza

del trono la grandezza,

se la vostra rozzezza non mi sprezza.

ARCIFANFANO

A me troppo non piace la grassezza.

GARBATA

Io vi voglio pregare

volermi, se vi pare,

fra queste pazze rare incoronare.

ARCIFANFANO

Voi mi fareste in pochi dì crepare.

SEMPLICINA

Vorrei e non vorrei...

spiegare i desir miei...

ohimei, che di vergogna morirei.

ARCIFANFANO

Ho inteso, ho inteso, e tu mia sposa sei.

GLORIOSA

Io sdegno il vostro regno,

e siete voi di mia bellezza indegno.

(parte)

ARCIFANFANO

La bellezza superba è un grande impegno.

GARBATA

Dell'allegria nemico,

sapete che vi dico?

Che già di voi non me n'importa un fico.

(parte)

ARCIFANFANO

Il ciel m'ha liberato da un intrico.

SEMPLICINA

Ed io cosa dirò?

Davvero io non lo so.

ARCIFANFANO

Venite.

SEMPLICINA

Signor no.

ARCIFANFANO

Per darvi confidenza scenderò.

(scende dal trono, e va a sedere vicino a lei)

SEMPLICINA

Oibò, signore, oibò.

ARCIFANFANO

Lo scettro vi darò.

SEMPLICINA

Lo scettro mi darete? Il prenderò.

ARCIFANFANO

Brava, brava!

SEMPLICINA

Però

che mantenete io vuò

tutti, tutti quei patti ch'io farò.

ARCIFANFANO

Cosa son questi patti?

SEMPLICINA

Or li dirò:

Se sposa sarò,

io sempre farò

quel mai che vorrò!

Né mai sentirò

da voi dirmi no.

ARCIFANFANO

Non son sì cocò.

SEMPLICINA

Io dunque me n' vo;

sposarmi non vuò.

ARCIFANFANO

Fermate; sarò,

mia cara, un cocò.

(partono)

Scena decima

Sala.
Sordidone, Malgoverno, Furibondo, madama Gloriosa, madama Garbata, Servi pazzi.

TUTTI

Saper vogliamo

da sua maestà

il nome proprio

della città.

DUE PAZZI

Ce n'anderemo,

se no 'l dirà.

Vogliamo il nome

della città.

TUTTI

Saper vogliamo

da sua maestà

il nome proprio

della città.

Scena ultima

Arcifanfano, Semplicina e detti.

ARCIFANFANO

Pazzi, sudditi miei,

or contenti sarete.

Tutti saper volete

il nome della nostra gran città;

ora, ve lo prometto, si saprà.

Vengano innanzi a noi

i sei pazzi novelli.

Io voglio che da quelli,

uniti alla real persona mia,

il nome alla cittade oggi si dia.

Vengono avanti sei Pazzi cantando:

Saper vogliamo

da sua maestà

il nome proprio

della città.

ARCIFANFANO

Olà, diasi, o ministri,

una lettera a ognun dell'alfabeto,

che il nome abbia a compor chiaro e perfetto.

I Servi pazzi danno a tutti una lettera dell'alfabeto, ed una anche all'Arcifanfano.

Su via, tutti schieratevi,

e in buona consonanza accomodatevi.

Or ora si vedrà

il nome della nostra alma città.

Li va accomodando, ma non si vede nome perfetto.

No, così non va bene;

tramutarvi conviene.

Li dispone diversamente.

Così non viene ancora:

eh, lo farò ben io venir or ora.

Li dispone diversamente, e unendosi lui agli altri, si vede dalle lettere formare queste due parole: «IL MONDO».

ARCIFANFANO

Ecco il nome, ecco il nome.

Sarete soddisfatti.

Poco vi vuole a soddisfare i matti.

Nel mondo albergano

i savi e i matti;

e si confondono

spesso fra lor.

Chi pazzo credesi,

talor è saggio;

e saggio credesi,

chi ha pazzo il cor.

Fine del libretto.

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Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena ultima