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L'Arianna

L'ARIANNA

Tragedia.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Ottavio RINUCCINI.
Musica di Claudio MONTEVERDI.

Prima esecuzione: 28 maggio 1608, Mantova.


Interlocutori, che parlano:

APOLLO

sconosciuto

VENERE

sconosciuto

AMORE

sconosciuto

TESEO

sconosciuto

ARIANNA

soprano

CONSIGLIERO di Teseo

sconosciuto

DORILLA ospite di Teseo, e d'Arianna

sconosciuto

NUNZIO PRIMO

sconosciuto

NUNZIO SECONDO

sconosciuto

BACCO

sconosciuto

GIOVE

sconosciuto


Coro di Soldati di Teseo. Coro di Pescatori. Coro di Soldati di Bacco.



Atto unico
Scena prima

Apollo.

Io, che ne l'alto a mio voler governo

la luminosa face, e 'l carro d'oro,

re di Permesso, e del soave coro

de la lira del ciel custode eterno.

Non perché serpe rio di tosco immondo

avveleni le piagge, e 'l cielo infetti,

non perché mortal guardo il cor m'alletti

stampo d'orme celesti il basso mondo.

Di strali armato, e non di face, o d'arco,

gran re, c'hai sovra l'alpi e scettro e regno,

per dilettarti il cor bramoso vegno

di magnanime cure ingombro, e carco.

Ma gl'alti pregi tuoi, le glorie, e l'armi

non udrai risonar corde guerriere;

pieghino al dolce suon l'orecchie altere

su cetera d'amor teneri carmi.

Sì chiaro omai su gloriose pïume

sorvoli di splendor guerrieri e regi,

che di Pindo non pon ghirland'e fregi

crescer nova chiarezza al tuo gran lume.

Odi Carlo immortal come sospiri

tradita amante in solitaria riva,

forse avverrà, che de la scena argiva,

l'antico onor ne' novi canti ammiri.

Scena seconda

Venere, e Amore.

VENERE

Non senz'alto consiglio

sovra quest'erma riva

dal cielo t'ho scorto, o mio diletto figlio!

AMORE

Che brami, o madre, o diva?

Chiedi, che l'arco io tenda

contr'alcun dio del cielo, o pur de l'onde?

O vuoi, ch'alcun mortal per te s'accenda?

VENERE

Non chieggio no, ch'alcun per me sospiri,

o celeste, o mortale;

odi quel, ch'io desiri,

bel pargoletto, odi il voler di Giove,

e la face immortale,

e l'arco appresta a gloriose prove.

AMORE

Soverchio è, bella madre, ogn'altro impero,

ove dolce lusinghi, e dolce preghi,

ecco pronto al tuo dir l'arco, e l'arciero.

VENERE

Non chiuderà ne l'onde

Febo il carro immortal de l'aurea luce,

figlio, ch'in queste sponde

l'ancore fermerà l'inclito duce,

che da l'orror del cieco laberinto

trasse l'invitte piante,

lasciato il mostro rio su l'erba estinto.

AMORE

Qual destin qual vaghezza

Teseo qui tragge, o qual di gloria spene?

VENERE

Vago di riveder l'inclita Atene

trionfator giocondo,

con cento legni, e cento

solca l'umido suol del mar profondo.

Seco è del re dolente

la fuggitiva figlia,

che di gran foco accesa,

(o d'amoroso cor gentil pietade)

reselo vincitor ne l'alta impresa.

AMORE

Tutto m'è noto, e tutto

opra è del mio valor quant'a dir prendi.

VENERE

Or sappi figlio, e di pietà t'accendi,

che la real donzella

priva d'ogni speranza

qui lascerà dolente,

sì ne l'altera mente

desio di mortal fasto avrà possanza.

Quanti sospiri, o quanti

quest'aere, e questo cielo

udrà querele, e pianti;

o di che strid'amare

oggi risoneran gli scogli, e 'l mare.

AMORE

Non sian senza ragion lagrim'e strida,

s'in così fero inganno

traboccar deve alma innocente, e fida.

VENERE

Ma di', speranza mia, dimmelo Amore;

lascerai tu languire,

lascerai tu morire

anima sì gentil, sì fido core?

Chiuderan questi scogli, e queste arene

tenera verginella,

de l'alto impero tuo devota ancella?

AMORE

Ah non si narri mai, non sia mai vero,

che sì dura mercede

trovi servo fedel nel nostro impero;

raddoppierogli al cor lacci, e catene,

farò più cupa ancor l'aspra ferita,

di maggior foco gl'empierò le vene,

e faccia poi se può da lei partita.

VENERE

Partasi Teseo pur, parta, e s'involi

da la negletta sposa,

purché tu la soccorra, e la consoli.

AMORE

Di quest'ardente face,

di quest'invitti strali,

dispon pur madre mia com'a te piace.

VENERE

Pria, che ne l'oceano

spenga diman gl'ardenti raggi il sole,

qui spingeranno i venti il gran tebano,

di Semele, e di Giove inclita prole;

sì fermo è su ne l'immortal consiglio,

e già d'Atlante il figlio

de l'orrida caverna in su la foce,

al re che Borea affrena,

fatto ha sentir l'incontrastabil voce.

Tu, com'ei ponga il piè su quest'arena,

colmale Amor di sì gran fiamm'il petto

per la bella Arianna,

che sol speri per lei pace e diletto;

né di cotanto amante

sprezzi la nobil donna il bel desio,

sì che d'ogn'altro amor le giunga oblio.

AMORE

Sia pur tuo cor sicuro,

arderà fiamm'egual d'entrambi il seno,

Amor io sono, e per quest'arco il giuro.

VENERE

Per sì bel nodo, Amor, quante bell'alme

dopo trionfi, e palme

faran più bello, e luminoso il cielo?

Già già negl'alti campi

scorgo tra raggi, e lampi

formar gemme immortali aurea corona;

ma qual per l'aria suona,

e di voci, e di trombe altero grido?

AMORE

O quanti legni, o quanti,

gira i begl'occhi al lido:

deh mira, se non pare

in selvoso appennin cangiato il mare!

VENERE

Ah riconosch'io ben l'insegne altere:

ecco il greco campion, quegli è Teseo.

Oh quante, oh quante schiere,

di ferro adorne, e gravi,

seco scendono, Amor, da l'alte navi.

AMORE

Mira, che vaghe piume,

ornan l'altere fronti;

mira di che bel lume

ripercossi dal sol, splendon gli scudi.

VENERE

Ecco, ch'il nobil duce

già posto ha in terra i piedi;

no 'l vedi, Amor, no 'l vedi?

AMORE

Tra così folte squadre

non so vederlo ancora;

deh me l'addita, o madre.

VENERE

Vedil'Amor, che verso noi se n' viene,

d'ostro lucente, e d'oro

vedi la bella sposa,

che sul robusto braccio egli sostiene.

O con quanto decoro

move il leggiadro piè bella, e pensosa.

AMORE

O di che bel seren quel ciglio splende;

già già di sua sventura

e disdegno, e pietà nel cor mi scende.

VENERE

Tu dunque di bearla Amor procura,

io nel mar tratterommi, o qui d'intorno.

AMORE

Et io per trarr'a fin la bella impresa,

invisibil tra lor farò soggiorno.

Scena terza

Teseo, Arianna, Consigliero, e coro di Soldati.

CORO

Se d'Ismeno in su la riva,

per ornar d'Alcide i vanti,

fa sentir celesti canti,

nobil suon di cetra argiva.

Non fia già, che muta Atene,

del buon re taccia gl'allori;

canteran cigni canori,

canteran ninfe, e sirene.

E diran, ch'invitto, e forte

lasciò spento il mostro fero,

e che fuor del rio sentiero

per uscir trovò le porte.

TESEO

Fortissimi guerrieri,

o de gl'affanni, o de gl'onor compagni,

non lungi è il dì, che di bel pregio alteri

stringeretevi al sen figli, e consorti,

e lieti mirerem tra risi, e giochi

(elmi disciolti, e scudi)

girsene il fumo al ciel de' patrii fochi.

CORO

Dolce i teneri figli,

dolce sposa gentil raccorsi in seno;

ma dolce ancor non meno

per bellissimo onor rischi, e perigli.

IIº

Ove più ferve il cielo,

ove più il mar s'inscoglia,

ov'ha più duro gelo,

scerrine pur s'alto desio t'invoglia.

TESEO

Assai sofferto abbiam turbi, e procelle,

tempo è di ricovrar guerrieri eletti

sott'i paterni tetti,

tra feste, e pompe gloriose, e belle.

CONSIGLIERO

Langue mortal virtù se non ha posa

dopo i forti sudori,

e se non cinge il crin d'edre, e d'allori,

le vittorie disprezza alma sdegnosa.

TESEO

Itene al porto voi de curvi abeti

sia vostro il pondo, e de l'armate genti

io fin che l'ombre algenti

fuggano al saettar de' lampi d'oro,

con la diletta sposa

in terra prenderò posa, e ristoro.

CORO

Sian lieti, sian felici

i dolci sonni, e più tranquilli ancora

destivi in sul mattin la bell'aurora,

andianne al porto omai, venite amici.

TESEO

Quai segni di timor nel tuo bel volto,

veggio, o parmi vedere, o core, o vita?

Deh rasserena omai

l'alma beltà smarrita;

tosto vedrai de la famosa Atene

le gloriose mura, e gl'aurei tempi,

ove mia cara sposa

regina, regnerai tranquilla, e lieta,

qual già vivesti in Creta.

ARIANNA

Signor, deh mi concedi,

abbandonando il mio natio terreno,

che d'un sospiro almeno

la rimembranza onori;

so ben, che son tue pene i miei dolori,

ma dal materno seno

verginella disciolta,

non posso ogni sospir tener a freno.

TESEO

Ben la nobil vittoria

del Minotauro estinto,

ben dolce è la memoria

del cieco laberinto;

ma s'il bel volto tuo lieto non miro,

ogni gloria, ogni palma,

ogni dolcezza al cor si fa martiro.

ARIANNA

Un amoroso affetto

del mio tradito padre,

de l'ingannata madre,

mi sforza a sospirar, signor diletto,

ma pur raffrena il duolo

il tuo gentil aspetto,

e di tua nobil fé l'alma consolo.

TESEO

Lasciar le patrie rive

non può senza dolore,

chi dentr'il sen non ha di ferro il core:

ma pur vergine bella

prendi conforto omai,

torna sereni i rai

de' begl'occhi lucenti.

Tu di felici genti

fortunata regina,

n'andrai di gemme, e d'oro il crin adorno.

A' tuoi vestigi intorno

faran corona le donzelle argive,

ma vie più d'altri pronto,

ove un tuo sguardo accenne

io metterò le penne

fedelissimo in un servo, e consorte,

fin che ne sciolga morte.

Ma deh, ch'io miri lieto

quel bel ciglio seren, che m'innamora:

troppo, troppo m'accora

quel nubiloso velo,

ch'il bel viso gentil turba, e scolora.

ARIANNA

Sì caro al cor mi scende

il ragionar cortese,

che del natio paese

ogni memoria omai spargo d'oblio,

addio padre, addio madre, o patria addio.

TESEO

Qual di me più felice,

o rege, o cavalier, la spada cinge,

cui rimirar pur lice

sereno il sol, che la mia vita alluma?

Ma già ne l'onde ascoso

celasi il sole, e se ne fugge il giorno.

Forse più dolce avrem quiete, e riposo

in qualch'umile albergo,

che su l'onda del mar, ch'in un momento

turba ogni picciol vento.

ARIANNA

Giocondo albergo, e caro

per me sia il mar tra nembi, e tra tempeste,

e de le più selvagge aspre foreste

i più deserti orrori,

purché vicina al mio signor dimori.

CONSIGLIERO

Veggio, o parmi veder di faci accese

là tra quell'ombre tremolar gl'ardori.

TESEO

Forse è capanna di pastor cortese,

dove raccolti caramente, al sonno

darem le membra stanche,

finché l'oscuro ciel l'aurora imbianca.

Indi al nostro cammin sciorrem le vele

a l'aura mattutina,

or là moviam regina.

Scena quarta

Coro di Pescatori.

CORO

Deh come son lucenti,

deh come son ridenti

le fiamme, oh ciel, che per la notte spieghi;

ma quanto più lucenti,

ma quanto più ridenti

son gl'occhi, o Lidia, onde m'accendi, e leghi.

IIº

Già Febo ha spento in mar gl'ardenti rai,

e splendon su nel ciel le stelle accese,

tempo è compagni omai

di trar di grembo al mar l'insidie tese,

e portarne la preda a' nostri alberghi.

Itene al porto voi celati, e cheti,

che 'l sospettoso pesce

spesso l'occhiute reti

guizzando per timor rompe, e se n'esce.

Noi qui posando intanto

al lume de le stelle,

i dolci sonni allieterem col canto.

Fiamme serene, e pure,

fregio de l'ombre oscure,

del gran regno immortal gemm'e tesori;

ninfe degl'alti campi,

ch'i sempiterni lampi

vagheggiate ridenti in grembo a Dori.

Perché mortal desire

in voi s'affissi, e mire

cupido amante di celeste foco,

non fu però, che mai

velasse i biondi rai,

l'accese voglie altrui volgendo in gioco.

Ma voi vezzose, e belle

lucidissime stelle,

che splendete nel ciel d'un mortal viso

or mostrate, or chiudete

i raggi, onde splendete,

risvegliando ne l'alme, or pianto, or riso.

Deh se vaghe, e gentili

ardete al ciel simili

terrene stelle ah non cangiate aspetto;

ma sovra i cori amanti

da lucidi sembianti

dolce versate ogn'or pace, e diletto.

TESEO

Come potrai cor mio,

se pur di carne sei,

tra quest'orridi scogli, e nude arene

lasciar sola colei,

che per seguirti, ingrato,

perder sostenne ogni più caro bene?

Per me scettri, e corone

Arianna disprezzi,

e i dolci baci, e vezzi

de' tuoi cari parenti,

ed io potrò crudele

spiegar le vele a' venti,

senza pensar pur dove

resti da me tradita

tu cagion di mia gloria, e di mia vita.

CONSIGLIERO

Ancor pugna, e contende

contr'a bella ragion l'alma turbata.

Signor, ah troppo offende

la mente innamorata

quest'impudico ardore,

tiranno indegno del tuo nobil core.

TESEO

Amor, no 'l nego, amore,

di sì possente, e forte

laccio mi stringe il core,

che se disciorlo tento

sento dolor di morte;

ma vi è maggior tormento

trafigge il cor de la macchiata fede

l'abominevol fallo,

fallo ch'unqua in oblio

(per rivolger di cielo, o di pianeta)

o mio fedel non manderà il cor mio.

CONSIGLIERO

Alma, ch'amor costringe

sotto il suo duro impero,

non bene discerne, e non conosce il vero.

Non è fallo, signore,

sprezzar quelle promesse, e quella fede,

che tra lascivi ardori

incauto amante a bella donna diede;

anzi è senno, e virtute,

ch'aprendo gl'occhi al ver si cangi, e mute.

TESEO

Troppo, troppo è severo

chi de' lacci d'amor vive disciolto.

Mal può cangiar pensiero

chi fe' de suoi desir tiranno un volto.

CONSIGLIERO

Ma, deh s'il cor magnanimo, e reale

di bel pregio d'onor punge vaghezza,

se gloria alta immortale

prezi non men di femminil bellezza;

deh meco a pensar prendi,

che diran tanti eroi d'Argo, e Micene,

e di Tebe, e di Sparta i duci, e i regi,

se del bel regno tuo vedran regina

vergine peregrina?

O glorie, o vanti egregi,

(sorridendo diranno)

trionfar vincitor per l'altrui inganno:

così, mercé di femminili amori,

oscurarsi vedrai

l'alto splendor de tuoi guerrieri allori.

Dimmi, e come soffrir potrai giammai,

che ne' trionfi tuoi rimiri Atene

venirti al fianco femmina impudica,

onde sdegnando, e mormorando dica,

dunque sarà di noi regina, e donna

femmina fuggitiva,

del bel fior d'onestate, e di fé priva?

TESEO

Qual ne la dubbia mente

mi fa contrasto e guerra,

e d'onor e d'amor desir ardente?

CONSIGLIERO

Aggiungi ancor che palpitanti i cori

portano, e gl'occhi molli

le madri orbe, e dolenti

de' cari parti lor, per cui satolli

fur de l'empio fratel gl'ingordi denti,

e pensa con quai volti, con quai cori

sosterran di veder nel seggio antico

figlia di re nemico,

cui dier tributo ogni girar di sole

(ahi rimembranza, ahi duolo)

lor innocente, e semplicetta prole,

e potrà lo splendor d'un fragil viso

sì di bella ragion turbarti il lume,

che per un van desio,

abbandonando ogni real costume,

il tuo regno, il tuo onor ponga in oblio?

TESEO

Mentr'aprirò quest'occhi a' rai del sole,

non sia giammai, ch'alcun possent'affetto

sì tiranneggi il petto,

ch'io disprezzi l'onor, non pensi al regno.

Non è di scettro degno,

qual fassi servo vil del suo diletto.

CONSIGLIERO

Deh come lieto ascolto

del magnanimo cor le sagge note,

alma virtù, che da l'eterne rote

ne regi cor discendi

non di mille saette armato amore,

non di sdegno, o dolore

trionfa in campo, ove tu l'arme prendi.

MESSAGGERO

Già pronto ogni nocchiero

siede al governo, e per lo ciel si sente

spirar soavemente

una gentil auretta,

che mormorando a navigar n'alletta.

TESEO

Torna messaggio fido,

ed a le schiere mie, come tu vedi,

di' ch'io son mosso, e m'avvicino al lido;

poiché convien partire,

moviam, partiamo omai,

asprissimo martire,

che dentr'il cor mi stai,

vientene meco, e non mi lasciar mai.

CONSIGLIERO

Ogni mortal dolore

fassi col tempo al fin soave, e lieve,

ma vie più d'altra in breve

sana piaga d'amore.

TESEO

Che spenga, o tempo, o morte,

la piaga del mio cor nulla mi cale;

ma che in sì trista sorte

resti donna reale,

di sì gran duol m'accora,

ch'io non so com'io parta, e ch'io non mora.

CONSIGLIERO

Non temer no signor, il ciel cortese

ben recheralle aita,

ond'al natio paese

farà ritorno ancor lieta, e gradita,

che paterna pietà non sente offese.

CORO

Miseri peregrin quietar non ponno,

e per la notte oscura

vanno i riposi altrui turbando, e 'l sonno.

IIº

O sorga Febo, o chiugga in mar sua face

da molesti pensieri

non san posa impetrar regi, e guerrieri.

Ma già le stelle impallidir rimiro,

e con candida man la bell'aurora

le porte aprir d'oriental zaffiro.

Stampa il ciel con l'auree piante

bell'aurora, e 'l dì rimena,

vien gioconda, vien serena,

non udir quel vecchio amante.

Desto già l'aurata briglia

posto ha Febo ai suoi destrieri,

e da gl'umidi sentieri

verso il ciel la strada piglia;

a fuggir l'aperte ciglia

scuoton l'ali i sogni oscuri,

spiega spiega i raggi puri

bella nunzia al sol davante.

Stampa il ciel con l'auree piante

bell'aurora, e 'l dì rimena,

vien gioconda, vien serena,

non udir quel vecchio amante.

Già raccolto il fosco velo

con le stelle, e con la luna,

se ne va la notte bruna

a danzar per altro cielo;

ogni fior dal natio stelo

chiede sol, chiede rugiada,

movi omai per l'alta strada

su bel carro di diamante.

Stampa il ciel con l'auree piante

bell'aurora, e 'l dì rimena

vien gioconda, vien serena,

non udir quel vecchio amante.

L'alma luce, e 'l giorno alletta

mormorando il rivo, e 'l fiume,

l'augellin terse le piume

sovra il nido il canto affretta,

sospirar di lieve auretta

dolce increspa il tergo a Dori,

e danzar tra l'erbe i fiori

miri a' piè de l'alte piante.

Stampa il ciel con l'auree piante

bell'aurora, e 'l dì rimena

vien gioconda, vien serena,

non udir quel vecchio amante.

Scena quinta

Arianna, Dorilla, coro di Pescatori.

ARIANNA

Benché la fé, benché l'amor m'affidi

del mio re, del mio sposo;

pur dentro il cor dubbioso

un gelato timor par che s'annidi,

che di futura angoscia, e di tormento

doloroso messaggio

reca a l'alma turbata ombra, e spavento.

CORO

Sovente, ove gran danno il ciel destina,

sembra, che mortal mente

un secreto terror renda indovina.

ARIANNA

Ahi, che del novo lume

non appariano in ciel scintille, o rai,

che per le molli piume

sciolta dal sonno, il mio signor cercai,

misera me, ma invano

ben cento volte, e cento

mossi a cercarlo or l'una, or l'altra mano.

DORILLA

Figlia, non ti turbar, prendi conforto,

certo ch'a riveder l'armate navi

ei sarà gito al porto,

o per mirar s'in mar son quiete l'onde,

e se dolci, e soavi

spirano al cammin vostro aure seconde.

ARIANNA

Ma perch'a l'aer cieco

muto da me s'invola?

Perché mi lascia sola?

Perché non fa ritorno?

DORILLA

Per non turbarti il sonno,

e tuoi dolci riposi a l'alba avante,

mosso avrà cheto il piè discreto amante,

per far ritorno, e là condurti poi;

ché sciolt'ancore, e vele,

sian pronti a solcar l'onde i legni suoi.

ARIANNA

Così creder vogl'io;

deh se tema talor l'alma perturba,

perdona amato sposo a l'ardor mio.

CORO

Spera mai sempre, e teme

innamorato core;

ma deh voglia oggi amore,

che sia vano il timor, vera la speme.

DORILLA

Forse certe novelle

ne daran questi pescatori amici.

Deh se liete, e felici

per voi sempre su in ciel volgan le stelle,

dite s'avanti, o su l'aprir del giorno

alcun vedeste a queste piagge intorno.

CORO

In questo loco appunto

duo cavalier fermarsi all'or ch'in cielo

s'accingea l'alma aurora

a sgombrar de la notte il fosco velo.

Quinci partiro all'ora

ch'un messaggero accorto

lor sovraggiunse, e s'inviaro al porto.

DORILLA

Avresti a sorte udito,

o strepito di trombe, o d'altro suono

rimbombar verso il porto, o intorno al lito?

CORO

Non turbò suon di tromba, o d'altre squille

il notturno silenzio, e i dolci canti,

mentre al vago seren de' lumi erranti

de la notte traean l'ore tranquille.

DORILLA

Or qual hai più di sospettar cagione?

Rischiara il guardo, a che più dubbia stai?

Qual rimbombo la terra, e 'l ciel rintuone

al partir de l'armate ancor non sai?

ARIANNA

Dolcissima speranza,

speranza esca de' cori, aura d'amore,

che sì soave mi lusinghi il core;

deh come volentier ti dà ricetto

quest'affannato petto.

Deh s'il ciel sempr'arrida a' tuoi desiri

scorgimi ospite mio, scorgimi omai

ov'il mio sposo, ov'il mio ben rimiri.

DORILLA

Non lungi è il porto, or lieta

movi le belle piante

real donzella, e 'l cor turbato acquieta.

ARIANNA

Addio rimanti in pace amica schiera,

a' vostri dolci amori

torni lieto il mattin, lieta la sera.

CORO

Vanne felice, amor d'eterna gioia

appaghi, e ricompensi

de l'affannoso cor la breve noia.

IIº

Tolga benigna stella,

ch'oggi non sia il mio cor tristo indovino

d'infausta sorte, o misera donzella.

E che paventi tu, di che t'affanni?

Perché sì fisso miri

il cielo, e poi sospiri?

IIº

Pavento insidie, e inganni

a quei sì tener'anni,

e di tanta beltade

struggemi il cor nel petto

e dolore, e pietade.

Ond'è tanto timor? Non ti sia grave

scoprirlo a noi, deh mira

come teco ciascun sospira, e pave.

IIº

Tra i confin de la notte, e de l'aurora,

udiste voi di quel guerriero i detti,

ch'affrettava il partir? Notaste ancora

de l'altro i gesti, e i dolorosi affetti?

Vidi, e per quanto intesi,

così tra 'l sonno e la stanchezza vinto,

parvemi, che sospinto

da quel parlar possente

se ne partisse l'un tutto dolente.

IIº

Non v'accorgeste poi

qual timor distruggea la nobil donna?

Non udiste i sospiri, e i detti suoi?

Che narri? E che rammenti,

o misera donzella? Or ben conosco

che non senza cagion temi, e paventi.

IIº

Partirsi a l'aer fosco

vinto da l'altrui dire,

sospirar sì profondo, e pur partire:

lasciar sì bella donna

in sì deserto lido,

non è senza consiglio, o mondo infido.

Ma qual cor sì crudo

abbandonar potria tanta bellezza

in questo scoglio sì deserto, e nudo?

IIº

Beltà là non s'apprezza,

pietà non punge, e non trionfa amore,

ov'arde i cori ambizioso onore.

Avventurose genti,

noi che lontan da le città superbe

a le bell'onde a l'erbe

guidiam tranquilli i mansueti armenti.

O pur nel sen di Teti

tendiamo al muto gregge e lacci, e reti.

Entr'i placidi petti

non sa l'orme fermar molesta cura,

legge severa, e dura

non perturba d'amor gl'almi diletti;

amor ne scorge, e regge,

e sol quant'ei ne detta, è norma, e legge.

Paghi d'un dolce riso

luce non han per noi le gemme, e l'oro,

e qual maggior tesoro

d'un biondo crin s'ammira, e d'un bel viso?

Per noi gran regno è vile

graditi servi di beltà gentile.

Ma tu superbo altero,

che notturno t'involi a' liti nostri,

là tra le pompe, e gl'ostri

dannerai forse ancor l'empio pensiero,

e tra rie cure involto

sospirerai l'ardor di quel bel volto?

Scena sesta

Nunzio primo e coro di Pescatori.

NUNZIO PRIMO

Se su da l'alto cielo

dal braccio onnipotente

non scende o fiamma, o telo,

o se dal gran tridente

non va sossopra oggi de l'onde il regno,

se quel mal nato legno

non si traghiotton l'onde,

o frange in mille guise un duro scoglio,

(sia pur con vostra pace, o divi, o numi)

che sia giustizia in ciel creder non voglio.

CORO

Bell'è il tacer, dove grand'ira abbonda.

A piè del gran tonante

stassi l'inclita diva,

e se tarda tal'or move le piante,

severa più quanto più lenta arriva.

NUNZIO PRIMO

Pietà mi scusi, e sdegno

se forsennata parla

la lingua, e di ragion trapassa il segno.

CORO

Qual giusto sdegno, od ira

così t'infiamma, e incende?

E per pietà di chi tuo cor sospira?

NUNZIO PRIMO

Una gentil donzella,

ch'io non so mai se rugiadosa Aurora

spuntasse in sul mattin di lei più bella,

abbandonata, e sola, anzi tradita

piange la rotta fede,

piange l'empia partita

d'un amante infedele,

e tra caldi sospir sì bei lamenti

sparge pur dietro a le fuggenti vele,

ch'io non so come i venti

non s'arrestin pietosi, o come l'onda

mal grado pur del traditor infido

non risospinga al lido

l'infame legno, o come non s'asconda

in sempiterno occaso

Febo per non mirar l'orribil caso.

CORO

Ben son, ben son fallaci

le speranze mortali,

ma il sospetto, e 'l timor troppo veraci.

Ma come tanti legni

senza strepiti alcun sciolser dal porto?

NUNZIO PRIMO

Tromba non fe' sonar, ma muti segni

diè di partenza ingannator accorto.

CORO

O che lieve ingannar chi s'assicura,

ma fra tanta sventura

la misera, che fa, che pensa, o spera?

Deh di quanto hai sentito, e quanto hai visto

narrane prego a noi l'istoria intera.

NUNZIO PRIMO

Sovra quel nudo scoglio.

Là dove i pesci ingordi

con l'amo, e con la canna ingannar soglio,

stava poco anzi il giorno

pur de le reti a la custodia intento,

quando ecco in un momento

veggio da l'alte navi

raccorre ancore, e cavi,

e le vele spiegar da l'alte antenne:

non eran lungi un tirar d'arco appena

l'umide prore a l'arenoso lido,

quand'a ferir mi venne

sì miserabil grido,

ch'il sangue m'agghiacciò per ogni vena;

volgomi, e per l'arena

donna veggio venir tutt'anelante:

ahi qual aspro governo

de le tenere piante

facea quel suol troppo sassoso, e duro,

o qual l'almo sembiante

nembo di duol copria torbido oscuro.

Non mai non mai, ve 'l giuro,

sì miserabil vista

a mortal guardo apparse;

gioco del vento sparse

le chiome a tergo avea,

e i lagrimosi lumi

fissi correndo pur nel mar tenea,

e le palme tendea

quasi arrestar, quasi abbracciar volesse

i fuggitivi legni,

che sordi al suo lamento

a par col vento se ne gian per l'onda.

CORO

Infelice donzella,

ah ben ti scorse a questi nostri lidi

fero tenor d'ingiuriosa stella.

NUNZIO PRIMO

Poiché correndo venne

ove l'onde del mar bagnan l'arene,

dal corso il piè ritenne,

e con voce di duol gridando disse:

«Volgiti ingrato, e mira

se quanto infido sei son io fedele.»

Indi nel mar s'affisse,

e piangendo riprese «Onda crudele,

crudel perché m'arresti?»

Scorgimi morta almen, se non in vita,

là ove lacera, e guasta

mi rivegga il crudel, che m'ha tradita:

e ripigliando il corso

già forsennata s'immergea ne l'acque;

ma giunto a' suo soccorso

schiera di pescator, com'al ciel piacque

la ritrasser da l'onda in sul terreno.

Ivi affannata, e stanca,

fredda qual neve, e bianca,

mancar gli spirti in quel leggiadro seno.

CORO

Ahi miserabil caso, ah fero inganno,

pur troppo di pietà degno, e di pianto;

ma che seguì dopo cotanto affanno?

NUNZIO PRIMO

Ne le pietose braccia

di quell'amica gente,

così tra morta, e viva

abbandonossi alquanto;

poscia riprese un pianto,

che dolce sì da que' begl'occhi usciva,

che non pur l'alme, e i cori,

ma intenerir parea gli scogli, e i sassi:

più non soffrii mirar fra tai dolori

la nobil donna, e qui rivolsi i passi.

CORO

Misera giovinetta,

nel cui tenero seno

sì fiero stral, crudo destin saetta;

deh che farai per questo ermo terreno,

che farai tu d'ogni conforto lunge?

Se ne l'alto sereno

pietà di te non giunge,

non so, non so qual fine

tanto cordoglio avrà tante ruine.

Deh se tra gl'alti regi

son le frodi, e gl'inganni, e glorie, e pregi,

felici noi, cui destinaro i fati

abitator di solitarie arene,

per questi scogli amati

volan l'ore serene,

ne dan battaglia a i cori

fervida speme, e gelidi timori.

NUNZIO PRIMO

Se non m'inganna il guardo,

ecco la nobil donna,

deh come move il piè dolente, e tardo.

Scena settima

Arianna, Dorilla, coro di Pescatori.

ARIANNA

Lasciatemi morire,

lasciatemi morire,

e che volete voi, che mi conforte

in così dura sorte,

in così gran martire?

Lasciatemi morire.

CORO

In van lingua mortale

in van porge conforto,

dove infinito è il male.

ARIANNA

O Teseo, o Teseo mio,

sì che mio ti vo dir, che mio pur sei,

benché t'involi, ahi crudo, a gl'occhi miei.

Volgiti Teseo mio,

volgiti Teseo, o dio,

volgiti indietro a rimirar colei,

che lasciato ha per te la patria, e il regno,

e in queste arene ancora

cibo di fiere dispietate, e crude

lascerà l'ossa ignude.

O Teseo, o Teseo mio

se tu sapessi, o dio,

se tu sapessi, ohimè, come s'affanna

la povera Arianna,

forse forse pentito

rivolgeresti ancor la prora al lito;

ma con l'aure serene

tu te ne vai felice, ed io qui piango.

A te prepara Atene

liete pompe superbe, ed io rimango

cibo di fere in solitarie arene.

Te l'uno, e l'altro tuo vecchio parente

stringerà lieto, ed io

più non vedrovvi, o madre, o padre mio.

CORO

Ahi, che 'l cor mi si spezza;

a qual misero fin correr ti veggio

sventurata bellezza.

ARIANNA

Dove, dove è la fede,

che tanto mi giuravi

così ne l'alta sede

tu mi ripon de gl'avi?

Son queste le corone,

onde m'adorni il crine?

Questi gli scettri sono,

queste le gemme, e gl'ori?

Lasciarmi in abbandono

a fera, che mi strazi, e mi divori?

Ah Teseo, ah Teseo mio,

lascerai tu morire

in van piangendo, in van gridando aita

la misera Arianna,

ch'a te fidossi, e ti diè gloria, e vita?

CORO

Vinta da l'aspro duolo

non s'accorge la misera, ch'indarno

vanno i preghi, e i sospir, con l'aure a volo.

ARIANNA

Ahi, che non pur risponde;

ahi, che più d'aspe è sordo a' miei lamenti.

O nembi, o turbi, o venti

sommergetelo voi dentr'a quell'onde.

Correte orche, balene,

e de le membra immonde

empite le voragini profonde.

Che parlo, ahi, che vaneggio?

Misera, ohimè, che chieggio?

O Teseo, o Teseo mio,

non son, non son quell'io,

non son quell'io, che i feri detti sciolse,

parlò l'affanno mio, parlò il dolore,

parlò la lingua sì, ma non già il core.

CORO

Verace amor, degno, ch'il mondo ammiri

ne le miserie estreme

non sai chieder vendetta, e non t'adiri.

ARIANNA

Misera, ancor do loco

a la tradita speme, e non si spegne

fra tanto scherno ancor d'amor il foco?

Spegni tu morte omai le fiamme indegne.

O madre, o padre, o de l'antico regno

superbi alberghi, ov'ebbi d'or la cuna:

o servi, o fidi amici (ahi fato indegno)

mirate ove m'ha scorto empia fortuna,

mirate di che duol m'han fatto erede

l'amor mio, la mia fede, e l'altrui inganno,

così va chi tropp'ama, e troppo crede

di magnanimo cor che morte sprezza.

DORILLA

Odo le voci, o figlia, o regia figlia

arma contr'il destin l'animo altero,

mira se ricovrar nel sen di morte

è di donna real degno pensiero.

ARIANNA

Nacqui regina, e ne l'antica Creta

fu bell'il viver mio, fin ch'al ciel piacque,

tempo è ch'io mora; al mio voler t'acqueta.

DORILLA

Qual si aggira, e per lo ciel si sente

confuso mormorar di voci, e squille,

odi, ch'a mille a mille

cantan guerriere trombe,

odi come rimbombe

di timpani e di corni il rauco grido.

Regina, al lido al lido,

ecco Teseo, che riede,

ecco l'amato sposo,

che temi omai, che tardi,

movigli incontro il piede,

ecco lo sposo tuo, che fai, che guardi?

ARIANNA

Vivo, moro, o vaneggio?

O pur son larva, od ombra?

Lassa, che far debb'io, che creder deggio?

DORILLA

Sgombra ogni tema, sgombra,

affisati colà dond'il suon venne.

Non vedi omai, non vedi

il porto ingombro già da mille antenne?

ARIANNA

Ma che sian di Teseo chi m'assicura?

Ancor pensi nudrir gl'aspri dolori

speranza iniqua? Ah mori

non cercar Arianna altra ventura.

DORILLA

Ne l'ampio sen di morte

ricovrar ponno ognor gl'egri mortali,

rifugio estremo a disperata sorte.

Ma de' tuoi gravi mali

forse non lungi è il fin, deh vien al lido,

non sprezzar le mie voci alma gentile,

s'ospite pur ti fui cortese, e fido.

ARIANNA

Io son, io son contenta,

scorgim'ov'a te piace;

ma ch'ei mi lasci, e spregi,

or torni, e mi raccolga, è folle speme:

non si lieve i pensier cangiono i regi.

CORO

Brevi momenti scopriranno il vero;

ma di vederti ancor lieta, e felice

nel cor mi dice un mio fatal pensiero.

Su l'orride paludi

de l'Acheronte oscuro,

sentier penoso, e duro,

per mostri orrendi, e crudi

fermò vedovo amante

l'innamorate piante.

Non le tre fauci immense

formidabil latrato,

non di Caron turbato

l'orride luci accense

da la sì dubbia impresa

arrestar l'alma accesa.

Quinci impetrò mercede

di nobil cetra al canto,

ma qual più degno vanto,

qual più sincera fede

scender al regno ombroso,

cambio d'amato sposo?

E pur pregio sì chiaro

ha femminil virtute,

quinci non fur già mute,

ma sovra il sole alzaro

quasi nume celeste

le greche muse Alceste.

Deh se quell'arco stesso

pur tendi invitto arciero,

se di tue glorie il vero

narrami Amor, Permesso.

Ergi novo trionfo,

deh rieda omai Teseo.

Scena ottava

Nunzio secondo e Coro.

NUNZIO SECONDO

Spiega le penne d'oro,

fendi le nubi Amor nunzio giocondo,

tu le dolcezze loro,

e tu le glorie tue palesa al mondo.

Narrar pregi divin, gaudi celesti,

è per lingua mortal soverchio pondo.

CORO

Già già Tirsi gentil ne' tuoi sembianti

leggo la giocondissima novella:

pur giunse anima bella,

pur giunse il fin de' dolorosi pianti.

NUNZIO SECONDO

O quali, o quali amanti

oggi congiunge amore: o cieli, o stelle,

dite, vedeste mai, rotando intorno,

arder in sì bel foco alme sì belle?

CORO

Pur fe' ritorno, e pur cangiò pensiero:

o possanza, o virtute

d'un ignudo fanciul, d'un cieco arciero.

NUNZIO SECONDO

Non fu, non fu Teseo

quel che dianzi piegò le vele in porto;

altr'amante, altro sposo

ha messo in quel bel sen pace, e conforto.

CORO

Dunque quetar potero

altri, ch'il suo Teseo l'aspro tormento?

Deh di tanto stupore,

ch'al gioir mi fa lento,

sgombrami Tirsi omai, sgombram'il core.

NUNZIO SECONDO

Bacco, ch'in cento nomi

risonar glorioso il mondo sente;

Bacco, che d'oriente

mille tiranni, e mille mostri ha domi,

fervido amante ha sì gran foco accolto,

(fortunata donzella)

ch'altro non sa mirar, ch'il suo bel volto!

Né di men foco anch'ella

arde beata, e negl'amati lumi

affissa pur le tremule pupille,

che di dolenti stelle

pur dianzi scaturir torrenti, e fiumi.

CORO

Provvidenza d'amor, gentil'aita,

spegner per nova fiamm'antico ardore,

e piagando sanar mortal ferita,

ma deh fanne palese

come qui giunge, e come

sì pronto amor le nobil alme accese?

NUNZIO SECONDO

Per far di mille palme, e mille allori

corona eterna a le paterne sponde,

correa l'onde profonde

bel vincitor de gl'indi il gran tebano.

Ma qui piegar convenne,

spinte dal vento le velate antenne.

CORO

O graziosi venti,

pur vi commosse il suon de bei lamenti.

NUNZIO SECONDO

Quando dal mar disceso

la bella donna scorse,

che perdut'ogni speme

empiea d'alti sospir l'aure serene,

ratto ver lei l'altere piante torse;

e visto (ahi vista oscura)

com'ei le fu davanti,

l'ammirabil beltà disfarsi in pianti;

ne' lagrimosi rai di quel bel viso

l'immortal guardo affisse,

e con pietoso suon così le disse:

«Qual de le sacre dive

vegg'io, che su da l'alto

discende a sospirar per queste rive?

Deh chi fa lagrimar sì dolci lumi?

Qual move aspro destin sì crud'assalto,

che celeste beltà turbi, e consumi?»

«Donna non pur mortale,

ma tra la mortal gente

la più misera vedi, e più dolente»,

rispose, e col bel velo

asciugando i begl'occhi,

sciolse un sospir, che lagrimonne il cielo.

Indi a contar si diede

come dal patrio regno

trasse fugace il piede,

per seguir l'orme de l'amante indegno:

e con sì dolci, e sì pietosi accenti

la dolorosa storia

tutta narrogli a pien de' suoi tormenti,

che nel celeste seno

di pietate, e d'amore

fiamme destò sì vive, e sì cocenti,

che si vedea nel volto ardergli il core,

e 'n suon più che mortale,

che ben lo palesar celeste prole,

queste sciolse dal cor dolci parole:

«Sgombra ogni duol, che la bell'alm'accora,

non fu degno di te terreno amante,

servo di tua beltà t'ama e t'adora,

figlio immortal de l'immortal tonante.»

Al dolce suon de l'infiammate note

tacque modesta, e chinò a terra il ciglio

e d'un vago vermiglio

più bel che rosa colorì le gote.

CORO

O silenzio cortese,

quanto tacito più, vi è più facondo.

NUNZIO SECONDO

Ben da quel dio giocondo

fur del muto parlar le voci intese,

e quella man di tante palme altera

nuda le porse, ed ella

con la man bella in un le diede il core.

CORO

Fortunata bellezza,

bellezza al ciel gradita,

perch'un dio ti raccolga, un uom ti sprezza.

NUNZIO SECONDO

Arder l'onde, e l'arene,

e d'amoroso zelo

videsi in quel momento arder il cielo,

ma per l'aure serene

fermo su le bell'ali

al guardo de mortali

visibilmente dimostrossi Amore,

e con celeste suono

queste voci s'udir gioconde, e liete:

«Ardete anime belle,

entr'il bel foco mio beate ardete,

il vostro bel desio vien da le stelle,

de l'alte gioie mie

ecco tutto per voi verso il tesoro.»

Indi per l'alto ciel battendo i vanni,

le nubi colorì di luce, e d'oro.

Lampeggiò l'aere, e fuor del mar profondo

(spettacolo giocondo)

vidersi mille ninfe, e mille dive.

Ma de gl'allegri canti

odo il ciel, che rimbomba, amici, amici,

ecco gli sposi, ecco i reali amanti.

Scena nona

Coro di Soldati di Bacco.

CORO

Spiega omai giocondo nume

l'aure piume,

vien pur lieto, amor t'appella.

Stringi, stringi i dolci nodi,

stringi, e godi

d'allacciar coppia sì bella.

Di più raggi, o re del giorno,

splenda, adorno

questo dì bello, e gentile,

dì felice, e fortunato,

dì beato,

da segnar con aureo stile.

A l'aspetto sereno, al nobil volto,

(sembianze altere, e nove)

deh come degno appar figlio di Giove.

AMORE

Mirate o voi del cielo,

mirate, o voi mortali,

d'Amor l'altere glorie, o face, o strali.

ARIANNA

Gioite al gioir mio,

al gioir mio, ch'ogni pensier avanza,

talché di maggior ben non è speranza.

Sovr'ogn'uman desio

beato è il cor ch'ha per conforto un dio.

CORO

Fortunati sospir, pianti beati,

cui cotanto conforto

destinaron del ciel gl'eterni fati.

Scena decima

Venere uscendo dal mare.

VENERE

Avventurosa sposa,

di celeste amator godi gl'amori,

godi, e nel sen divin lieta riposa.

Ne le dolcezze tue vegg'oggi il mondo,

che sotto fé d'amor tradito core

sanno gli dèi del ciel tornar giocondo.

Scena undicesima

Giove aperto il cielo.

GIOVE

Dopo trionfi, e palme,

dopo sospiri, e pianti,

riposate felici, o ben nat'alme;

sovra le sfere erranti,

sovra le stelle, e 'l sole

seggio v'attende, o mia diletta prole.

BACCO

Ne l'eterno sereno

meco raccolta, entro gl'eterei scanni

lieta vedrai colmo d'ambrosia il seno,

sotto l'immortal piè correr gl'anni.

Ivi tra sommi dèi de l'alto coro,

le più lucide stelle

faran del tuo bel crin ghirland'alloro:

gloriosa mercé, d'alma, che sprezza

per celeste desio mortal bellezza.

Fine del libretto.

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Locandina Atto unico Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima