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Attila

ATTILA

Dramma per musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Matteo NORIS.
Musica di Pietro Andrea ZIANI.

Prima esecuzione: febbraio 1672, Venezia.


Interlocutori:

Vandali

ATTILA re de gl'Unni

soprano

ORONTE suo capitano

basso

LISO servo

contralto

Romani

VALENTINIANO imperatore

baritono

ONORIA sorella di Valentiniano

soprano

MASSIMO Patricio

contralto

FILISTENE aruspice filosofo

baritono

Franchi

TEODORICO principe delle gallie prigioniero d'Attila

contralto

IRENE moglie di Teodorico

soprano

TORISMONDO figlio di Teodorico e Irene

soprano

DESBA nutrice di Irene

tenore

APOLLO in aria con Pegaso vivo

soprano


Balli: atto primo, di lottatori, atto secondo, di deitadi.

La scena si rappresenta in Aquileia.

Serenissimi principi

A quel lume di gloria, che rifulge nella fronte sereniss. Dell'aa. vv., umiliato si prostra Attila, quel superbo, che calpestò le corone; e quella fortuna, che già tenne prigioniera nella sua mano; oggi viene a mendicar alle piante di v. a. s. poiché sin là sotto il gelato polo, dalle più remote spelonche della Scitia rimbombano le gesta insigni de gl'atavi loro famosi, che furono politici alcidi del gallico impero, e ben odo menzonar dalla fama quel Grimoaldo, che accrebbe fregio alla religione, e rammenta ancora l'Italia le stragi di quel Carlo Magno, ch'emulator de gl'annibali valicò l'Alpi trionfante, e da que' gioghi nevosi precipitò torrenti fumanti di sangue longobardo. Quindi tanto valore per degno retaggio risiede nella destra di v. a. invitto successore di sì grand'avi.

Lo dica Albione, all'ora, che in gran battaglia navale, tra fiamme, ed acque col braccio armato mischiate monti di stragi con monti d'onde, e lacerando all'infante navi i gonfi lini, squarciaste la vela all'anglicana fortuna; indi poiché vibraste la formidabil spada all'ombra degl'allori cesarei furno dall'ago erudito di Belgica Aracne descritte sì chiare imprese alla memoria de' posteri.

Ma più famose divennero le glorie vostre all'ora quando unito voi a principessa cotanto illustre, mirò il franco giglio sorger nella reggia di Monaco, vestita d'ostro una rosa, ch'è la regina de' cori.

Per ciò tributario ancor io dell'a. v. s. e ammirator insieme di così eroiche prerogative le consacro questo ossequioso parto della mia penna, sperandone generoso l'aggradimento, e sarà vanto d'un animo divoto viver fino all'ultimo respiro.

Di vv. aa. ss.

Venezia, lì 12 febbraio 1672.

Umiliss. devotiss. obbligatiss. servo

Matteo Noris

Leggitore

Eccoti in fine, dopo la spada del Lazio il fulmine dell'Italia, dopo il Marcello, l'Attila, ambedue soli, e unici parti del mio debole ingegno. Il compatimento, che dimostrasti nel primo, figliò in quest'anno il secondo, e diemmi tanto calore, che mi sono arrischiato spiegar un volo fin su le nevi del Caucaso.

Spero, che sia per dilettarti, comparendoti nel Grimano teatro, reggia della scenica maestà; ed io non ribellandomi al genio, ho praticato nel comporlo i soliti sforzi d'equivoco, e forze di scena, usate da pochi. Ho scritto per obbligo, tu vieni, e compatisci per gentilezza.

Argomento

Nelle più folti nevi della Scitia gelata si generò questo folgore che quasi incenerì il mondo tutto, Attila il flagello dei re, e il terrore dell'universo; ingombrò di sangue la Pannonia, di cenere il Belga, e la maggior parte della Gallia, tenendo prigioniero ignoto tra molti re schiavi Teodorico principe di quella reggia. Precipitò con un diluvio di cinquecento mila barbari all'inondazione dell'Italia; nulla temendo i funesti presagi degl'auspici distrusse Aquileia; e avrebbe anco resi prigionieri del suo Caucaso i sette colli di Roma; se le minacce di s. Leone non avessero atterrito questo orribile dragone delle meotiche paludi. Invaghito per fama delle bellezze di Onoria, sorella di Valentiniano, l'imperatrice fuggita da Roma con Torismondo l'amante, stabilì la pace con Augusto; in fine morì per mano amica, e Valentiniano rimase tradito da Massimo Patricio per vendetta della moglie sforzatagli in Roma. Con questa storia si prende motivo di formare l'intreccio sì curiosi accidenti nel dramma presente dell'Attila.

Scene

Atto primo.

Campagna illuminata, con piante, viti, e biade.

Sala reale in Aquileia.

Fortificazioni del campo d'Attila, nel mezzo alta catasta.

Padiglione regale d'Attila.

Atto secondo.

Piazza maggiore in Aquileia con archi.

Appartamenti d'Irene.

Cortile regio.

Giardino di rose con fontane.

Atto terzo.

Regio anfiteatro con machine, e voli.

Grottesca con marine conchiglie.

Stanza di Filistene con istrumenti astrologici.

Loggia.

Sala reale.

Atto primo

Notturna illuminata.

Campagna ingombrata da biade, viti, e capanne.

Si vede nel cielo fiammeggiare una cometa di sangue, con ritorto, e lungo striscio.

Scena prima

Ad un invito di trombe accompagnato dagl'istrumenti musicali comparisce Attila sopra maestoso carro, tirato da molti re coronati, e schiavi, tra quali evvi al giogo Teodorico. Alfieri, che spiegano varie, e nemiche bandiere. Soldati, che portano fanali, e lumiere accese. Esercito vandalo, e Oronte, che invita le trombe.

ORONTE

Trombe vandale,

squarciate l'aria,

fendete l'etera,

col suon guerrier.

Già 'l cielo rimbomba,

già trema la terra,

già fuor de la tomba

escon l'ombre de i re trafitti in guerra.

O voi, ch'ergete all'aria,

d'increspati volumi ondante nembo,

de le predate insegne

si vesta 'l suolo, e sovra lor passeggi...

Quel piè terribile

che con orribile

stupor profondo

scuote gl'abissi, e fa tremar il mondo.

Qui dagli Alfieri vengono spiegate a terra le bandiere, sopra le quali Attila da lontano si porta col carro.

ATTILA

Or, che cento corone,

pallide per terror, servon di rote

al carro d'or del vincitor del mondo:

or che legate a l'asse

del gran plaustro di gel tragge Boote,

la Pannonia sconfitta,

debellata la Gallia;

perché sotto 'l mio braccio Italia ancora

cada con Aquileia

vengo armato dal Tanai; ed è ben giusto,

ch'al fiero suon de' bellici metalli,

cedan la piume, e 'l nido,

al gotico aquilon, l'aquile, e i galli.

ORONTE

Di tua spada al lampo orribile,

la lupa di Romolo,

i colli d'Ausonia,

tremino,

cadano,

gelino,

e avvampino.

ATTILA

L'orbe latin mi farà trono al piede,

e Onoria la vezzosa,

c'ha 'l cieco dio ne la pupilla arciera,

sarà cinta d'alloro

de l'Ercole sicambro Onfale altera.

Di sì audaci tifei lo stuol tremante

or qui serva di terra a le mie piante.

ORONTE

S'incurvi 'l mondo al gotico tonante.

Mentre Attila preme il dorso degli Schiavi Teodorico a cui tocca prostrarsi dice:

TEODORICO

(Teodorico no 'l soffra.) In van presumi

su queste regie terga

stampar orme di fasto empio tiranno.

Scende Attila.

ATTILA

Temerario chi sei, tu, che sì audace

nieghi al piè del tuo dio chinar la fronte?

TEODORICO

Folle desio t'invoglia

di saper ch'io mi sia, tu, che superbo

con guerra ingiusta usurpi i regni altrui:

saprai qual son, se tornerò qual fui.

ATTILA

Del Giove dei monarchi al fiero aspetto

sì baldanzoso? Olà; pira fumante

mandi in polve 'l fellon; trovi la bara,

mentre asconde la culla:

chi fu nulla nel mondo or torni in nulla.

TEODORICO

Mostro di crudeltà, nume d'abisso.

Teodorico viene condotto via da' Soldati.

ATTILA

Voi del nevoso ciel fiamme guerriere;

su, struggete incenerite,

arda 'l vomero, e 'l bifolco,

pianga Bromio in su la vite,

strida Cerere nel solco...

Segue il devasto.

ATTILA

Goto vulcano, e desolata, ed erma

renda l'empia Aquileia.

Da un lato della scena in lontano esce Filistene, aruspice, che tiene una sfera celeste nella mano.

Scena seconda

Filistene, Attila, Oronte.

FILISTENE

Attila ferma:

ferma 'l superbo piede

terror de i re, distruggitor de l'orbe:

e qui d'un uom, che da l'eterne menti

a non mentir apprese, odi l'accenti.

ORONTE

Al mento irsuto, al lungo manto, al crespo

ruvido velo, a la rotante sfera

tratta stelle, e pianeti.

ATTILA

O di cava terrena

talpa uscita a la luce, insano aborto

di stolida natura;

che favelli? Chi sei? Qual de l'abisso

tenebrosa voragine profonda

ti vomitò da la tartarea sponda?

FILISTENE

Un uom son io; ma de gli dèi compagno

rade volte con l'uom siedo, e ragiono:

Filistene m'appello; e quel che vedi

colà cinto da lauri antro frondoso,

che di quel colle erboso

ne le visceri alpestri

anco di mezzo giorno asconde l'ombre,

è mio ricetto, e nido: i torvi aspetti

de le stelle, e di Cintia, e degl'orrendi

portentosi vapori, astri criniti

noti mi son, su questo globo errante

giran le sorti umane, e a me sol lice

ne gl'alberghi de l'orto, e dell'occaso,

parlar col fato, e interrogare il caso.

ATTILA

Tumido esplorator del firmamento,

di quelle cifre vane

folle rilevator vaticinante,

dimmi: del nostro brando,

che parlan gl'astri, e 'l mio rival tonante?

FILISTENE

Mira là su quella crinita vampa,

speglio a quel re, che di pietà si spoglia:

de lo striscio di foco

il funesto presagio intento ascolta,

pria che dal mar d'Atlante

sorga fosforo acceso.

Scena terza

Liso conduce molti incatenati Prigioni tra' quali vi sono Onoria e Torismondo.

LISO

Alto regnante

l'invitto duce Arsate

offre per Liso 'l servo

i trofei del suo braccio a le tue piante.

ATTILA

Vengane a me dei prigionier la turba.

Va a sedere sovra ad un cumulo di trofei e segue:

E qui giuri adorar su questa spada,

che universo regge,

novo dio, nova fede, e nova legge.

Suonano le trombe, e i Prigionieri in ordinanza vanno a baciar la spada ad Attila, il quale all'or che passa Onoria con Torismondo segue, poi sorge:

ATTILA

Fermati, o donna, dimmi,

qual astro pellegrin qui ti condusse?

ONORIA

(Mentir qui giova.) Sire,

vaga sol di veder quant'ombra stende

sui regni de la terra

con l'algoso tridente 'l dio de' mari

lasciai de l'alba i lidi, e al sol più volte

l'etra con tante faci

quante nel grembo ha scintillanti stelle

celebrò i funerali.

Io de l'eroe, che con due marmi eretti

a l'ultimo Nettun due scogl'accrebbe,

toccai le mete: vidi

la tremola del faro

lampada luminosa, il sol di Rodo,

l'efesio tempio, il mausoleo, l'eccelse

babiloniche mura; e del famoso

Giove d'Olimpo, e de la vasta Menfi

ben favellar potrei; ma in fin di quanti

miracoli de l'arte 'l mondo ostenta,

sol perché 'l mondo cada,

la maggior meraviglia è la tua spada.

ATTILA

Femmina, assai dicesti.

ORONTE

(Portò da l'orto in bianche luci i gigli.)

Deh; di costei, che da l'adulto polo,

trasse acerbo destino a queste arene,

a la mia fede, o sire

dona, e vita, e catene.

(va scemando il raggio, e sparendo la cometa)

ATTILA

Al tuo valor Oronte

costei sol si riserbi.

Facciano di chi resta, aspre vendette,

sferze, fiamme, flagelli, archi, e saette.

ONORIA

Deh gran nume del mondo; or questi ancora,

ch'è a me german, togli d'orrenda Cloto

al crudo acciar pesante.

(Col nome di german celo l'amante.)

ATTILA

Serva a l'uso del campo.

ORONTE

Ne' miei alberghi costei Liso conduci.

(Sta la zona di foco in quelle luci.)

ATTILA

Seguimi o Filistene; e altrove serba

de i celesti portenti

narrar l'alto presagio.

FILISTENE

(Sferza de' regi è di cometa 'l raggio.)

ATTILA

Al mio brando resister chi può?

S'al fulgor de l'acciar fulminante

reso pallido, e tremante

da comete anco 'l cielo s'armò?

Al mio braccio resister chi può?

Scena quarta

Torismondo solo.

Che farai Torismondo? Amor fortuna

ti trascinar barbaramente al laccio,

da l'iperboree balze orrido scende,

qual sciolto a rai del portator del giorno

cade gonfio torrente

d'alpino gel precipitoso figlio,

il folgore de' goti: arde la Senna,

di lucida empietà fatta teatro;

con la madre piangente

volo al Tebro famoso; ivi d'Onoria

m'impiaga 'l volto; ella si strugge, aborre

d'Attila l'empie nozze, io spalmo un legno,

rubo l'Elena a Roma, Eolo, e Nettuno,

frange 'l pino volante, in picciol legno

ci spinge a queste arene, e a l'or, ch'orrenda

fra tenebre vaganti

notte caliginosa 'l mondo invoglie.

Ciò che mi dice Amor Marte mi toglie.

Amo il cielo d'un vago sembiante

che mi porge i respiri di vita:

altri pure di stella crinita

fugga 'l raggio la su sfavillante,

ché tra i lampi d'un crine, ch'è d'oro

in sì bel cielo io le comete adoro.

Scena quinta

Sala regale in Aquileia.
Irene. Desba, che sopravviene.

IRENE

Ride Febo con labbro vezzoso,

e 'l suo riso 'l cielo indora:

vaga aurora

dal grembo odoroso

coglie rose, e 'l crin gl'infiora.

Così al raggio luminoso

di quel dio, ch'uscì dal Gange,

ride 'l ciel, ride 'l mondo, e Irene piange.

(Desba sopravviene)

DESBA

Reina, infausti casi.

IRENE

Desba fida nutrice, ahi che rapporti?

DESBA

Onoria 'l sol de l'aquile romane,

la germana d'Augusto,

ch'al goto re si destinò in isposa,

poiché fuggì da l'Aventin frondoso,

ne l'italica Teti

ebbe morte ne l'acque, e tomba ondosa.

IRENE

Ora del Tebro è vacillante il soglio.

DESBA

Fuggiam da questo cielo, ove di guerra

sorge sanguigno nembo.

Stanca 'l destin chi 'l fugge, in vario clima

gl'altri han vario l'aspetto, e muta forte

chi cangia terra.

Del tuo volto a la beltà

serto d'oro non mancherà.

Se d'Ebe vezzosa

la mano di rosa

su guancia gentile

di fior non caduchi ti sparge un aprile,

per te Menfi ancor tratta aghi vermigli:

perdesti Francia, e non perdesti i gigli.

IRENE

Non opra il cielo a caso, e le grand'alme

protette son da chi sovrasta a i regi.

Eccelse moli

volge novo Archimede

il pensiero regal, segui 'l mio piede.

DESBA

Dove così veloce?

IRENE

Al campo goto;

colà tra ferrei ceppi avvinto geme

Teodorico 'l mio sposo.

DESBA

Ferma, certo è 'l periglio.

IRENE

Un disperato cor non vuol consiglio.

DESBA

E la vita?

IRENE

Che valme?

Vita che è poco grata

è un rifiuto di morte.

DESBA

Ma qual sogna la mente eroico inganno?

IRENE

Ne l'alte imprese 'l favellar è danno.

Speme dolce, cara speranza

non mi lasciar morir.

Il tuo verde sia lampo di stella,

sia del faro la facella,

che il mio cor nel pianto assorto

guidi al porto

del gioir.

Scena sesta

Valentiniano viene leggendo un foglio, è seco Massimo con una spada fumante di sangue.

VALENTINIANO

Oronte?

MASSIMO

Oronte.

VALENTINIANO

D'Attila 'l duce?

MASSIMO

Ei quella carta scrisse.

VALENTINIANO

A te l'invia dal campo?

MASSIMO

In questo punto; e come 'l foglio impone

cadde l'incauto araldo,

per quest'acciar, ch'ancor di sangue è caldo.

VALENTINIANO

«Da un sol mio cenno 'l campo tutto or pende:

teco nell'antro opaco

sotto 'l forte di Cina or venga augusto:

con ambo sol io stabilir intendo

risoluta congiura: a voi non tolga

breve indugio fugace,

gran trionfo, gran preda, eterna pace.

Tu 'l messaggiero.» Intesi.

Massimo, e che consigli?

MASSIMO

Del vandalo Titano a l'empie scosse,

pria, che cada Aquileia

alto signor ti porge 'l crin la sorte:

se l'italo Nettun tolse Onoria,

t'offre Marte nel campo alta vittoria.

VALENTINIANO

Cesare fra tiranni

non de' fidar sé stesso.

MASSIMO

Cesare può temer? fra finte spoglie

a' tuoi romani, ed a nemici ignoto

meco verrai: se scorgerò, ch'a l'opra

sia 'l favellar conforme,

ti scoprirò ad Oronte! amica sorte

giova a gl'audaci, e a spaventar un campo,

che di barbare insegne 'l polo ingombra,

d'un monarca latin sol basta l'ombra.

VALENTINIANO

Vadasi, e prendi amico.

(gli torna la carta)

A la tua fede

fido cesare, e Roma.

MASSIMO

Oggi rechi un trionfo al Campidoglio,

di verdi lauri in su le soglie un foglio.

VALENTINIANO

Primo dio, ch'al sol errante

col tuo ciglio insegni 'l moto;

tu, ch'in trono d'adamante

poggi su l'ale ad aquilone, e a noto:

contro un Sisara spietato

arma pur in oriente

d'alti rai schiera lucente;

e provi nel rigor di tue facelle

il flagello del ciel sferza di stelle.

Scena settima

Massimo solo.

Vanne o cesare indegno, infame augusto;

questa carta mendace,

e una candida nube,

che ti minaccia i folgori di morte.

Costui, ch'empio lascivo,

ne la reggia latina

il sesto fu della Lucrezia mia

per la mano d'Oronte,

che già m'attende in solitario speco;

avrà in brev'ora 'l piè di ceppi onusto:

al traditore, il tradimento è giusto.

Su l'altar de la vendetta

un augusto io svenerò.

Al gran nume de l'onore

sarà vittima 'l suo core,

e del sangue 'l lavacro io formerò.

Scena ottava

Fortificazioni del campo d'Attila, nel mezzo alta catasta.
Torismondo, con molti, tutti con faci accese nella destra.

TORISMONDO

Speri invano o mio cor libertà,

se d'amor prigioniero sei tu.

Bella guancia di cinabro,

bruna chioma, e rosso labro,

bianca fronte, e nero ciglio,

sen di latte, e man di giglio,

poser l'alma in servitù.

Di face ardente al lagrimoso raggio

son Meleagro amante:

tratto le fiamme, ed ho una Troia in petto;

e con face di morte; or da catene

barbaramente cinto,

celebro gl'epicedi al regno estinto.

Oronte che conduce Teodorico catenato, custodito da Guardie.

ORONTE

Fumi l'alta catasta, e in cento fiamme,

istrice portentosa

cento strali di foco

scagli d'un empio a lacerar le membra.

TORISMONDO

(Questi o fortuna il genitor mi sembra.)

Teodorico va al rogo; gl'incendiari accendono la catasta, e Torismondo sta immobile osservando Teodorico, che segue.

TEODORICO

Rogo ardente, ove s'aggira

sol per me fiamma rotante;

vien quest'alma agonizzante

qual fenice a' tuoi splendori:

sarò Alcide in su la pira,

sarò Curzio in fra gl'ardori.

TORISMONDO

(Ah sì, ch'è Teodorico.)

Fermate empi ministri.

TEODORICO

(O dèi, che miro.)

Getta a terra la face, e corre ad abbracciar Teodorico.

TORISMONDO

(O dolce padre.)

TEODORICO

(O Torismondo, o figlio.)

ORONTE

Allontanati audace.

TORISMONDO

Ei di qual colpa?

ORONTE

Taci,

vadasi al rogo.

TORISMONDO

O dio, fermate.

TEODORICO

Lascia,

o cavalier pietoso,

che famelica stampa

un ludibrio del fato omai divori,

né m'estingua 'l tuo pianto i vivi ardori.

TORISMONDO

Concedi almen, che su quel volto io stampi

gl'ultimi baci. (O dolce padre.)

TEODORICO

(O figlio.)

S'abbracciano, tenendosi così stretto l'uno all'altro che non più Torismondo lascia il padre.

ORONTE

Scostati, e 'l reo s'abbruci.

TORISMONDO

Del radamanto goto

o furia esecutrice in darno tenti

toglier la linea al centro.

Sciolga sol questo nodo

d'atropo 'l ferro, o pullulante fiamma

il nostro sangue beva.

ORONTE

Sì temerario? ambo nel vasto seno,

di quell'orrendo Mongibello ardente

scagliati. Amor, che veggo;

qui dov'alza Vulcano ardor fumante,

or la Venere mia porta le piante.

Scena nona

Onoria condotta da Liso.

Al comparir dell'amante lascia Torismondo il padre e piange.

LISO

La gentil prigioniera

eccoti, o mio signore.

ORONTE

(Roghi più ardenti ha in que' begl'occhi amore.)

ONORIA

Torismondo, che piangi?

Egli sospirando la guarda, e dirottamente piange.

ORONTE

Odi o vezzosa

madre d'amor, del prigionier dolente,

ch'in su quell'Etna acceso

de' spirar l'alma Encelado superbo,

il tuo german la dubbia vita or chiede.

Sappi, ch'io da' tuoi rai moro trafitto;

se a l'ardor mio prometti

refrigerio di nevi entro quel seno

estinguerò la vampa.

LISO

(È preso al laccio.)

ONORIA

(Tradirò l'idol mio!) More s'è giusto.

ORONTE

(La generò Medusa.)

TORISMONDO

(Tiranna fedeltà.)

ORONTE

(a Torismondo)

Tu del guerriero

s'oggi la vita apprezzi:

fa', che costei con le sue chiome vaghe

al ferito mio cor fasci le piaghe.

TORISMONDO

(Lasso, che far degg'io!)

ONORIA

(Che dirà mai!)

Torismondo guardando il padre, poi l'amante, sospirando segue tra sé.

TORISMONDO

(Padre, mia vita, o dio.)

ONORIA

Arda il fellon.

TORISMONDO

Ah no, duce t'arresta.

Bella, ad eroe sì invitto

dona i tuoi sguardi, e viva amante amato.

(Mio cor sei morto.)

ONORIA

(Ah ingrato.)

Onoria mai guarda Oronte, che segue.

ORONTE

Sì cruda ancor?

ONORIA

T'aborrirò in eterno.

ORONTE

Perfida io parto, e te qui lascio, e pensa,

ch'ad un amor schernito

succederà la forza; io quivi intanto

sospendo 'l foco,

(a Torismondo)

e tu dà legge al pianto

Liso, teco rimanga.

LISO

Son Argo fido.

TEODORICO

Il tormentato io sono.

ORONTE

(a Torismondo)

Fa', che si renda, e 'l prigionier ti dono.

Scena decima

Onoria. Torismondo sospiroso, non la guarda. Liso.

ONORIA

Occhi neri, ma traditori

son ministri di crudeltà;

tardi imparò o nume de' cori,

ch'in due mori

non regna pietà.

Ah Torismondo;

che risolvi?

TORISMONDO

Non so.

ONORIA

L'angue del Nilo

piange chi ancide, e di frequente stilla

l'incessante cader rompe la selce;

tu pietoso spietato, a chi uccidesti

dal tributo di pianti, e del destino,

che di core caucaseo anco è più duro

il tuo grondante ciglio;

più impetrisce il rigor: pianto non giova

per addolcir la sorte.

TORISMONDO

Non può darmi consiglio altri che morte.

ORONTE

Fin che lampo d'amica stella

vedrò in cielo a sfavillar

fortuna perfida voglio sperar.

Cieca diva su globo instabile,

ell'è un Proteo sempre variabile

sol costante nel cangiar.

(parte)

Scena undicesima

Irene, Liso, Onoria, Desba.

IRENE

Deh amico tu, se di straniera errante

l'infelice destin pietà ti move:

guidami là, dove di Telo armato

tuona 'l gotico Giove.

LISO

Terminerai de la tua vita i giorni.

DESBA

Siam spedite o signora.

ONORIA

Se pur molesta i' non ti sono, e scusa

l'importuno desio, tra l'armi gote

qui chi ti spinse?

IRENE

Amore.

ONORIA

Barbaro dio.

IRENE

Te ancora

forse piagò questo fanciul bendato!

ONORIA

Segno beltà, ch'in questo campo geme

tra catene di ferro, e pur tra gl'ostri

regio natal sortì.

IRENE

L'ardir perdona:

e donde nacque?

ONORIA

Ei ne le gallie estinte

ebbe fascie di gigli.

IRENE

(Amor, che sento,

ne le gallie!)

ONORIA

(Si turba!)

IRENE

(Regio natal!)

ONORIA

(Non parla!)

IRENE

(Fascie di gigli!)

ONORIA

(E 'l guardo,

volge ver di me sdegnoso!)

IRENE

(E in questo campo,

entro ferro tenace

ha incatenato il piè!)

ONORIA

(Sospira e tace!)

IRENE

(Questi è l'idolo mio.) Dimmi, tu forse

di Teodorico il...

DESBA

(piano a Irene)

Taci,

non palesar lo sposo.

ONORIA

(Intendo 'l resto:

di Teodorico il figlio

seguir volea.)

IRENE

(De la rivale ardita

improvviso rossor tinge 'l sembiante.)

Insieme

ONORIA

La giurerei di Teodorico amante.

IRENE

La giurerei di Torismondo amante.

LISO

(ad Onoria)

Vieni, che più.

IRENE

Ti seguo.

LISO

Or tu rimanti.

Per condurti a gli scempi

carnefice non sono;

ma s'al campo desii volger i passi:

quest'è 'l sentier dov'a la morte vassi.

IRENE

Da lo strale di gelosia

è ferita quest'alma mia,

né più spera trovar pietà,

mi tormenta con la sua face:

quest'è l'aquila vorace

ch'il mio core squarciando va.

Occhio nero, e bianca fé,

non ben s'accordano,

tradite veneri

credete a me.

Lampo estivo è bionda età,

fior in stelo è gioventù,

perch'è fior, che presto va,

di Narciso la beltà

in un fior cangiata fu.

Scena dodicesima

Padiglione regale d'Attila.
Escono Attila, e Filistene.

ATTILA

Dunque femmina imbelle

de l'altera Aquileia

remora fia de i vandali trionfi?

E troncherà, qual temeraria parca,

vita, e vittoria al vincitor monarca?

FILISTENE

Così nel soglio immenso

de l'ampio ciel malignamente scrisse,

avvampando l'armigero pianeta,

con la penna d'un raggio,

luminoso spavento, astro cometa.

ATTILA

E non son io quell'Attila feroce

ch'impone legge al folgore di Giove?

Su del mio campo

nembi fulminatori, invitti aiaci.

Aquileia si strugga; e 'l primo scempio

cada sovra quel sesso,

ch'è la preda più vil: si scordi Marte

de le veneri amiche, e madri, e figlie,

e fanciulle nascenti.

E chi sarà del nascimento in forse,

si svisceri,

si laceri,

e fra gli orridi scempi funesti,

ne la strage di tutti una non resti.

Scena tredicesima

Liso, Attila, Filistene.

LISO

Signor, donna nemica

audacemente chiede

al vandalico re baciar il piede.

FILISTENE

(Tra le fauci d'un mostro

porta la vita.)

ATTILA

Forse fia d'Aquileia: a tempo arriva.

Venga' miei fidi arcieri,

su, s'incocchino i dardi, e di qual tempre

d'Attila sian gli sdegni,

oggi la prima a la seconda insegni.

Perché donna è la fortuna,

su la rota inchioderò;

e a miei danni se strali aduna

con i suoi strali ferirla anco saprò.

Scena quattordicesima

Irene, Attila, Desba.

IRENE

De l'artica Giunon folgore ardente,

tu, che sin là dal Boristene algente

al germanico Reno

lasciasti in lunga striscia orme di foco:

ad afferirti i' vengo,

consorte, e fede, e vassallaggio, e regno.

ATTILA

(Consorte, e fede, e vassallaggio, e regno!)

IRENE

(Arridano le stelle al gran disegno.)

ATTILA

Si ritiri ciascun.

FILISTENE

(Le assista 'l cielo.)

DESBA

(In grotta orrenda io mi nascondo, e celo.)

Scena quindicesima

Restano Attila, Irene.

ATTILA

Segui? Parla! che chiedi? a che venisti?

IRENE

Arbitro de la terra, ecco a i tuoi piedi

la fida Onoria.

ATTILA

Sorgi.

Che favelli d'Onoria?

IRENE

Io la germana

del romano imperante.

Quella son, che per legarmi

a quel braccio, ch'il mondo espugnò;

tra procelle, e monti d'acque

scogli, e sirti non curò;

teco in fine oggi cinta di mirti,

in caro nodo m'allaccerò.

ATTILA

(Dei cesari la stella

le fiammeggia sul ciglio.) Or come arrivi

tra 'l fragor di Bellona?

Scena sedicesima

Oronte, detti.

ORONTE

Sire, predai nel campo

l'imperator di Roma.

ATTILA

Valentiniano.

IRENE

Ahi sorte.

ATTILA

Venga: mia bella Onoria

non ti turbar; il tuo fratello augusto

godrà per te, di regia fede in pegno,

e vita, e pace, e libertate, e regno.

Quinci non intanto

dal guardo mio si porta.

IRENE

(Se non m'aita amico ciel son morta.)

ATTILA

Non vuol ragion, che d'amorosa donna

tra due porpore invitte entri una gonna.

Nel campo amoroso d'un seno di latte

spiega Amore 'l vessillo d'un crine:

con le schiere de' sguardi combatte,

e apporta al mio core battaglia, e ruine.

Scena diciassettesima

Valentiniano incatenato. Massimo, detti.

VALENTINIANO

(piano a Massimo)

Massimo siam traditi.

MASSIMO

Oronte è 'l traditor. (Scampo non trova.)

ATTILA

Cesare sei mia preda: or teco in campo

formin trono al mio piè cento monarchi;

non ti doler del tuo destin protervo,

che ne 'l mondo chi è re d'Attila è servo.

VALENTINIANO

Piacque a i cieli, o altisonante goto,

dar sepolcro ad Onoria

d'irato mar ne i vortici spumosi,

perché colà, dov'ha Nettuno il soglio,

al naufragio di Roma ella sia scoglio.

MASSIMO

(A mie giuste vendette 'l fato arride.)

ATTILA

Fugga dal mesto ciglio

il turbine del duolo:

vive la bella Onoria, a noi consorte;

il tridentato nume

mi rese 'l furto, e in arenoso loco,

per l'acque già mi rimandò 'l mio foco.

VALENTINIANO

Onoria vive?

MASSIMO

(Ahi mi tradisci o sorte.)

ATTILA

Olà. Vengane Onoria. Augusto,

per amico t'accolgo: abbia la pace

il soglio di Quirino.

VALENTINIANO

(Salva 'l cielo gl'augusti.)

MASSIMO

(Empio destino.)

Scena diciottesima

Irene, Attila, Valentiniano, Massimo.

IRENE

(Ciel, che sarà!)

VALENTINIANO

(Che scorgo!)

ATTILA

(Quella lucida fronte

è quel sentier da cui cadde Fetonte.)

MASSIMO

(Non è Onoria costei!)

ATTILA

(L'immensa gioia

l'alme regali opprime.) Accogli, abbraccia

cesare la germana;

scuotati dal letargo 'l cor, che langue.

MASSIMO

(piano a Valentiniano)

Per sottrarci signor a rio periglio,

forz'è seguir l'inganno.

IRENE

(Irene ardir.) Mio Cesare, e germano

pur ti stringo.

(piano a Valentiniano)

Signor segui la frode.

VALENTINIANO

Mia sospirata Onoria, io pur t'abbraccio.

MASSIMO

(Per novo inganno è 'l traditor nel laccio.)

IRENE

Mio sire.

VALENTINIANO

Alto monarca.

IRENE

Restò incapace a la letizia 'l seno.

VALENTINIANO

L'improvviso piacer tolse lo spirto.

ATTILA

Di vero amor fraterno

ben conobbi gl'effetti:

cessino l'armi, e adori 'l dio guerriero

la compagna al mio letto, ed al mio impero.

MASSIMO

(piano a Valentiniano)

Prigionier senza ferri.

In Aquileia 'l barbaro conduci.

ATTILA

Serbommi amor in quel bel sen due mondi.

VALENTINIANO

Sotto 'l ciel d'Aquileia

l'aquile del Tarpeo si spennin l'ali,

per far il nido a gl'imenei regali.

ATTILA

Facciasi in plettri, e lire

canginsi ed archi, e feudi: a l'orse algenti

la tua lupa s'unisca, e al biondo Tebro

sia collegato l'Istro.

VALENTINIANO

E incatenati

or, che vele di pace a l'aria estolli,

siano a i sette Trioni, i sette colli.

Massimo vanne ad apprestar la reggia.

E ne gl'usati giochi

rida 'l genio latino; or, che tra gl'astri

d'alto Mercurio il caduceo fiammeggia.

MASSIMO

(Ne la pace la guerra arder si veggia.)

IRENE

Splende l'iride in ciel sereno,

ed applaude al mio gioir.

Sovra 'l polo tremole, e belle

con piè di luce danzan le stelle,

e dan bando al mio martir.

Atto secondo

Piazza Maggiore in Aquileia.

Scena prima

Massimo con Popoli coronati d'olivo, che spiegano bianche bandiere; tra quali vi è uno stuolo di Lottatori romani.

LOTTATORI

Viva la pace, viva;

i lauri di guerra

lacerati già copron la terra,

e da l'aste risorge l'oliva.

Al suono di tromba s'aprono in lontano le porte dalle quali entrano in Aquileia sopra gravi corsieri Attila, Valentiniano, Irene, tra molti Prigionieri Teodorico, e Torismondo.

Massimo, che va ad incontrarlo Desba.

MASSIMO

Già di pianto ridente umor fecondo

sovra i teneri olivi

versa Italia festante; e già la Sona

scorge tinti di sangue i franchi gigli

fra squadre bellicose,

per la Venere mia cangiarsi in rose.

VALENTINIANO

Ne la tazza d'un elmo guerriero

di Bellona già 'l nume pugnace

beve in campo i sudori di pace.

E 'l Tebro festoso

al suon strepitoso,

di vandale trombe,

vede l'aquile sue fatte colombe.

MASSIMO

De i lottatori antei le forti membra

sudin robuste in singolar cimento.

Lo stuolo di Lottatori fanno il ballo, accompagnato da le trombe.

IRENE

Baciar vo' del dio volante

l'aureo stral, che mi ferì;

se del vandalo tonante

son la Giuno in questo dì.

DESBA

Dal mio seno la tema sparì.

Suonano di nuovo le trombe, e scendono tutti.

TEODORICO

(Che vedete mie luci.)

TORISMONDO

(O dèi che osservo!)

TEODORICO

(La mia consorte Irene.)

TORISMONDO

(La genitrice!)

ATTILA

Mia dèa ti stringo.

IRENE

A questo sen t'annodo.

TEODORICO

(Ah lasciva.)

TORISMONDO

(Ah inonesta.)

MASSIMO

(Io taccio e godo.)

IRENE

D'Aquileia, e di Roma

nei popoli adoranti: eccoti in fine

re del mio cor, de l'amor mio per segno

consorte, e fede, e vassallaggio, e regno.

(Arridono le stelle al gran disegno.)

TEODORICO

(Del tiranno è consorte.)

TORISMONDO

(È sposa all'empio!)

ATTILA

L'alma d'un dio terren sta nel tuo ciglio.

IRENE

(Ma qui che miro o sorte!

Tra duri lacci è Teodorico, e 'l figlio!)

Vadano in dì sì lieto

sciolti da' ceppi i prigionier del campo.

ATTILA

Bella interceditrice, al tuo crin biondo

do 'l vincitor i prigionieri, e 'l mondo.

(piano fra loro)

TEODORICO

Or che va sciolto 'l piede

volo a sbranarle 'l core.

TORISMONDO

Deh ferma genitore.

IRENE

Le grazie del mio re mi son catene.

(Turbato è l'idol mio.)

TORISMONDO

Partiam.

TEODORICO

Ahi pene.

Scena seconda

Viene Onoria levandosi a viva forza dalle mani di Liso; detti.

ONORIA

Lascia.

LISO

Non fuggirai.

ONORIA

D'Attila al piede

portarmi intendo.

ATTILA

Olà;

qual clamore importuno il cielo assorda?

ONORIA

Alto monarca, al regio piè m'inchino.

(Ohimè qui che rimiro!

Cesare!)

VALENTINIANO

(È questa Onoria!)

MASSIMO

(La sorella d'augusto!)

IRENE

(La mia nemica.)

ATTILA

Donna:

segui, che chiedi?

ONORIA

O reggitor del fato,

io del tuo duce Oronte

prigioniera rimasi:

or, ch'a i guerrieri avvinti

regia pietà la libertà concede,

frangi l'aspre catene anco al mio piede.

(Contro l'ira d'augusto Amor m'assista.)

IRENE

Abbia degno ricovero entro la reggia,

da' cenni miei dipenda.

ATTILA

E ragion vuole

che s'ha de l'alba i rai serva 'l mio sole;

Oronte alta mercede

in breve attenda.

IRENE

(Così al fin, di costei...

ONORIA

(De la rivale...

IRENE

...indagherò l'amor.)

ONORIA

...saprò lo strale.)

VALENTINIANO

(piano a Massimo)

Massimo, con lusinghe,

pria che scopra gl'inganni,

racchiudi Onoria in solitario albergo.

MASSIMO

Intesi.

ATTILA

V'idolatro pupille brune,

ombre amiche de' miei riposi.

Que' begl'occhi sì luminosi

sono i globi di mie fortune.

IRENE

Se del core l'aspra ferita,

è la cuna de' miei contenti,

se sì dolci sono i tormenti,

dio de' cori non chieggio aita.

Partono tutti al suono festivo di trombe, e ondeggiamenti di bandiere.

Scena terza

Appartamento regale.
Desba seguita da Teodorico, e Torismondo.

TEODORICO

(piano nell'uscire a Torismondo)

(Figlio, simula l'ira.)

DESBA

O mio signor, mio prence,

fuga da voi, ciò che non è contento.

La genitrice, e la consorte Irene

qui vi brama, e desia; qui tra momenti

porterà 'l passo:

ora del sen la speme

sorga da la caduta.

TORISMONDO

E vessillo di sé chioma canuta.

DESBA

Chi d'Amor fatto è nocchiero

dolce porto sol godrà,

se crin canuto per sorta avrà:

poiché solo annosa età,

per trar l'alme fuor di duolo

ne gl'occhi ha l'orse, e su le terga 'l polo.

Scena quarta

Teodorico, Torismondo, Irene. Desba, che sopravvengono.

TEODORICO

Scatenatevi, o furie de l'Erebo,

di Cocito le fiamme apprestatemi

e nel petto agitando quest'anima,

gl'angui orrendi del crine scagliatemi.

Animo Torismondo, è questi 'l giorno

sacro a Nemesi irata.

Da lontano qui sopravvengono Irene e Desba, e si fermano in ascoltare.

TEODORICO

Qui la Fedra lasciva

porterà 'l piè: tu a la nutrice infame

tronca in un tempo stesso

e la voce, e la fuga: io l'empio seno

d'Irene l'infedele

con questo ferro ignudo

isvenerò...

Qui Irene frapponendosi leva improvvisamente alle mani di Teodorico il ferro, lo getta a terra e Desba lo prende.

IRENE

Chi svenerai, crudele?

DESBA

(Schernì le sue furie.)

TEODORICO

Te perfida.

IRENE

Ah incostante.

TEODORICO

Tu sposa ad un tiranno?

IRENE

Tu d'una Taide amante?

TEODORICO

Qual Taide? quai pretesti?

TORISMONDO

Ah, genitrice,

tu ha l'inimico in seno?

IRENE

Figlio, per lunga storia

ogni gran giorno è breve.

TEODORICO

Perfida, in questo giorno

laverai col tuo sangue

le macchie de l'onor.

IRENE

Ascolta.

TEODORICO

Ah troppo

vidi, ed intesi.

IRENE

Almen...

TEODORICO

Taci lasciva.

TORISMONDO

Odi signor le sue discolpe.

TEODORICO

I' fuggo

la falsa iena.

TORISMONDO

Ferma padre.

Segue Teodorico, che parte.

IRENE

T'arresta idolo mio.

Amato sposo. Torismondo. (O dio.)

Scena quinta

Sopravviene Onoria, che veduta la fuga di Torismondo, e udito l'ultimo verso, segue tra sé, Irene, Desba.

ONORIA

(Amato sposo Torismondo!

Perché mi vide 'l traditor fuggì.)

DESBA

(Come lampo sparì.)

ONORIA

Regina.

IRENE

(È qui la cieca amante insana.)

ONORIA

Qual evento funesto

turba 'l regal sembiante?

IRENE

Chi sol nacque a servir non dée de' regi

investigar gl'arcani.

ONORIA

E concepirli ancor può questa mente.

DESBA

(Come audace risponde!)

IRENE

(Che favellar è questo!) E che ti rende

sì baldanzosa, parla?

ONORIA

La rotta fé d'un empio.

IRENE

Quai fantasmi? quai sogni?

qual fé? Rispondi!

ONORIA

La stessa fé, ch'intatta

serba a te quel guerrier, ch'in questo punto

appellasti tuo sposo.

DESBA

(Fu fugace in udir.)

IRENE

(È 'l mio consorte?)

Stolta, che parli?

ONORIA

Or ciò, ch'è mio pretendo.

IRENE

(Di costei Teodorico! o ciel ch'intendo!)

DESBA

(ad Irene)

Il tuo bel nume adora!

IRENE

(ad Onoria)

Forsennata del cor sana i deliri.

ONORIA

E tu raffrena i vaneggianti orgogli.

DESBA

(A se d'un sol marito ambo son mogli.)

IRENE

Ti punirò.

ONORIA

Nacqui a punir anch'io.

IRENE

D'un coronato sdegno

o proverai 'l rigore, o 'l foco ammorza.

ONORIA

Pari tra due regine oggi è la forza.

IRENE

(Tra due regine!)

Scena sesta

In questo viene da lontano Attila con Valentiniano. Onoria, Irene. Desba.

VALENTINIANO

Eccola appunto.

ATTILA

Onoria.

ONORIA

(Or son scoperta.)

VALENTINIANO

(O ciel che veggo!)

Onoria con Irene: ambedue vanno ad incontrar Attila.

IRENE

Sire.

ONORIA

Signor.

Attila abbracciando Irene si volta ad Onoria dicendole:

ATTILA

Tu che ricerchi?

ONORIA

Baciar l'ostro del manto.

(Meco non favellò.)

VALENTINIANO

(Temei, ch'a l'empio

si palesasse Onoria!)

ATTILA

(ad Irene)

Onoria mio tesoro.

ONORIA

(Costei d'Onoria ha 'l nome!)

VALENTINIANO

(ad Irene)

Adorata germana.

ONORIA

(E per sorella cesare l'accoglie.)

DESBA

(Bel laberinto è questo.)

ATTILA

Anima del cor mio, qual improvviso

infocato vapor nel tuo bel volto

turbò d'Amor il cielo?

DESBA

(ad Attila)

Rossor pudico è di modestia 'l velo.

IRENE

Quell'incendio, che m'arde

inalzò la sua vampa al dolce arrivo

del mio sposo adorato.

(Di Teodorico amato.)

ONORIA

(Di Torismondo ingrato.)

ATTILA

(D'Attila fortunato.)

Quella guancia vermiglia

è murice de' regi, e quell'aurora

de l'auriga nevoso il Plaustro indora.

Cesare addio rimanti.

VALENTINIANO

Vanne gran re.

ATTILA

Qual elitropio amante

il cieco dio m'insegna

seguir il sol.

IRENE

(Saprò punir l'indegna.)

ATTILA

È mio nume quel volto divino,

e mia stella quell'occhio brillante,

in quel labbro di vivo rubino

la sua sfera ha la diva incostante.

IRENE

S'io v'adoro pupille vezzose

sallo Amore, ch'il seno m'impiaga.

Con suoi baci una bocca di rose

entro 'l core m'infiori la piaga.

Scena settima

Resta Valentiniano, che dopo aver fissamente guardata Onoria, e ella lui, sdegnato segue.

VALENTINIANO

Nel sembiante d'augusto ardisci ancora

fissar le luci indegne?

ONORIA

Di cesare ne gl'occhi

novella Onoria a vagheggiar imparo.

VALENTINIANO

Che vorrai dir lasciva!

Chi porta Roma in petto

merta 'l cesareo alloro:

tu di latino sangue

germe non sei; né al fonte

virginale di Trivia il sozzo labbro

bevé i pudichi argenti.

ONORIA

Onoria son.

VALENTINIANO

Tu menti.

ONORIA

Sì, tua germana.

VALENTINIANO

No, crudel nemica.

ONORIA

Morirà l'impudica.

Vuol partir; le va dietro Valentiniano sdegnato dicendo:

VALENTINIANO

Chi?

ONORIA

Basta.

VALENTINIANO

Avrà in difesa

la porpora d'augusto.

ONORIA

Cesare più non è chi opprime 'l giusto.

Valentiniano che partiva, si volta, e minacciandola con atto di sdegno vuol partire; Onoria gli va dietro infierita, e segue:

ONORIA

Sì; recider saprò con destra ardita

il fil de l'altrui frode.

Si volta Valentiniano e dice:

VALENTINIANO

Io di tua vita.

ONORIA

Ne la morte di questo core

spietato amore

non riderà.

De la perfida rivale

l'alte moli i' struggerò;

tante fila troncherò,

quanti stami ella ordirà:

di Penelope la tela

vana frode oggi sarà.

Scena ottava

Regio cortile.
Oronte, Filistene, Massimo.

FILISTENE

Massimo che mi sveli?

Che mi racconti, amico!

ORONTE

Del goto re la sposa

è una lamia superba, e ingannatrice?

FILISTENE

A cesare sorella

è la beltà, ch'oggi a quell'empia è ancella?

MASSIMO

Amici un bel tacer vince la sorte.

ORONTE

Questi d'inganni, e tradimenti orditi

sono ignoti meandri.

MASSIMO

Remora a l'alte imprese è la tardanza,

dal dio del lume impari,

per illustrar sé stesso,

pigro mortale a far veloce 'l moto.

Un punto ad un eroe ruba un alloro.

Vanne; pria che ci rifugga

ferma Oronte l'augusta, e l'imprigiona

in sotterranea via; né men la scopra

luce di sole, io darò fine a l'opra.

(parte)

ORONTE

(Pria che scoprirla io goderò la preda.)

(parte)

FILISTENE

(Io svelerò la frode

al vandalo crudel dio de' tiranni!

Sincero cor non può tacer gl'inganni.)

Su' troni del mondo

risiede l'inganno,

con faccia bifronte

e nume tiranno:

e se cangiarsi anco il tonante gode,

de i più grandi nel sen regna la frode.

Scena nona

Desba sola.

Al fin l'ire, e gli sdegni,

che nel petto d'Irene

suscitò gelosia con le sue faci

cangiò Cupido in dolci amplessi, e baci.

Quant'è dolce d'Amor la guerra.

Duce in campo, è 'l cieco nume

che non porta usbergo, o scudo;

ma nel grembo a molli piume

sol combatte a petto ignudo,

e al suon de' baci il suo nemico afferra.

Scena decima

Teodorico, e Irene abbracciati, Torismondo, Valentiniano, Desba.

TEODORICO

Pace, mia vita pace

IRENE

pace, mio dolce amor

TEODORICO

gelosia spenga la face

IRENE

né più sorga ira, o furor.

TEODORICO

Pace, mia vita pace.

IRENE

Pace, mio dolce amor.

TORISMONDO

Genitrice t'abbraccio.

IRENE

Mio figlio, mio ristoro.

VALENTINIANO

Valentinian v'accoglie.

TEODORICO E TORISMONDO

Ed io l'adoro.

IRENE

(Simulo gioia, e pur gelosa io moro.)

Cesare, sposo, figlio a la vendetta.

Io novella Tomiri al goto Ciro

porto stragi, e ruine;

e col finger amori,

sovra palme d'olivi innesto allori.

TORISMONDO

Ei con la fredda polve

de la Gallia consunta,

precipitando a' ciechi regni, e oscuri,

del viver suo l'ultimo dì misuri.

DESBA

Squarceran mille strali

quel vago sen.

IRENE

Giove dal ciel m'è scudo,

ed è ancilla la fede a un petto ignudo.

VALENTINIANO

È teco augusto, o Ippolita guerriera.

IRENE

Attila cada.

TEODORICO E TORISMONDO

Attila pera.

IRENE

Teodorico idol mio, d'arco, e saetta

arma la destra forte,

nel giardin de le rose io fra momenti

col tiranno Porsenna

andrò a l'ombra d'un lauro a coglier l'aura.

Tu a l'or ne l'empio seno

tingi lo stral di sanguinose stille,

svena Paride franco il goto Achille.

TEODORICO

Oggi, eccelso campione,

tra vie fiorite ucciderò 'l pitone.

VALENTINIANO

(a Teodorico)

T'assisterà tra le più folte piante

cesare stesso; vanne.

(parte Teodorico)

IRENE

Chiudo un cor di pelide in breve gonna.

VALENTINIANO

Ciò che non fan gli dèi, faccia una donna.

(parte)

Scena undicesima

Restano Irene, Torismondo e Desba.

IRENE

Figlio, tu questo ferro

stringi animoso; uccidi

quell'indegna, che vanta

d'un capo coronato esser Minerva:

in questa reggia è mia nemica, e serva.

TORISMONDO

(Quest'è Onoria 'l mio core.)

DESBA

È un Falari crudele dio d'amore.

IRENE

Nei fioriti rosai Desba a momenti

la scorterà al tuo braccio.

Vittima a l'ira mia cada svenata.

(Tanto può gelosia, furia spietata.)

TORISMONDO

(Pellicano sarò della mia vita?

Eccola appunto; o cieli, amor consiglio:

spiegherò sul terreno 'l suo periglio.)

Mentre canta Irene, scrive sul terreno Torismondo.

Onoria sopravviene, e vede Torismondo che scrive; l'osserva in disparte.

IRENE

A gl'inganni, a le frodi o mio cor.

Cruda strage d'un empio farò.

Se femmina imbelle

su ciglia rubelle

il sonno inchiodò,

tu re delle stelle,

fa ch'io cinga la chioma d'allor.

Scena dodicesima

Onoria. Attila con Oronte, che sopravviene.

ONORIA

Ferma barbaro, ferma.

Fugge 'l crudel; ma sul terreno: ahi forte

Attila or qui se n' viene.

Sospenderò di questo cor le pene.

Si ritira da parte, inosservata.

ATTILA

S'un bel ciglio mi dà vita,

sempre un ciglio adorerò.

Amerò guancia fiorita;

già d'Aiace la ferita

in un fior si tramutò.

Oronte;

per celebrar de' miei sponsali 'l giorno

d'alte machine eccelse

si preparin le pompe;

il nostro Marte, a cui forte destra

spopolata di piante

diede l'Ercinia selva aste pungenti,

tratti armonica cetra.

Nel regio anfiteatro,

di lieti fochi al balenar vivace;

formi l'eroico ingegno

degl'architi di Roma archi di pace...

ma, che scorgo! Il terreno

di caratteri ignoti inscritto ha 'l seno?

ONORIA

Il traditor, che disegnò!

ORONTE

Che giace!

ATTILA

(legge le lettere)

«Minaccia a la tua vita

chi del destin tien ne la destra 'l vaso

ne l'orto delle rose eterno occaso.»

ONORIA

(Che senti Onoria.)

ORONTE

Alte congiure orrende.

ATTILA

Qual ignota cumana a la mia vita

osa nel suol vaticinar la morte?

ORONTE

Su candida parete

altri d'un re già presagì la strage;

e una mano fatale oggi destina,

sovr'arenoso suolo,

la funebre caduta a una reina.

Di Filistene 'l saggio

saran forse presagi.

ATTILA

E qual Diomede

a la Venere mia piaghe minaccia?

ONORIA

(Povero amor tradito.)

ATTILA

Ad eseguir del tuo signor gl'imperi

vanne mio duce;

sarò custode al mio bel sol ne l'orto.

ORONTE

(Nel mar de le sciagure io spero 'l porto.)

(parte)

ATTILA

De le poma d'un bel seno

sarò 'l drago vigilante,

ed un volto al ciel sereno

sarò un Giove fulminante.

Scena tredicesima

Onoria sola.

Torismondo crudel; da l'impudica

ape d'amor tra fiori

spera dolci alimenti, ed al mio piede

ei fabbricò, perché qui resti avvinto

di letterati giri un laberinto.

Ah non fia vero.

L'empie note calpesto, in un momento

di sentenza di polve

ministra è l'aria, esecutor il vento.

Prestami i vanni Amor.

Dammi l'ale o dio volante

svenerò la Frine amante,

sbranerò quell'empio cor.

Prestami i vanni Amor.

Scena quattordicesima

Giardino di rose con fiori.
Oronte. Liso tremante.

ORONTE

Vieni o fellon, t'accosta.

LISO

Pietà, perdon.

ORONTE

Tu in onta a le mie leggi,

da la tua man lasciasti

prigioniera fuggir la mia fortuna?

LISO

Tentai.

ORONTE

Taci, non più, sorgi, e s'in breve

sotto scure tagliente

provar non vuoi del tuo fallir la pena.

Trova la fuggitiva,

dille ch'il suo germano

il suo volto sospira.

Del giardino regal nell'empia grotta

ove il tesor de l'indica maremma

de la ruvida terra

l'antico dorso ingemma

rapido a me conduci

colei, che chiude in petto alma di fera.

LISO

La guiderò fin dove Pluto impera.

(parte)

ORONTE

Che non può,

che non fa,

chioma d'or?

Se per darci flagello

in un crin Niso novello

la sua forza ha bambino Amor.

Scena quindicesima

Desba. Torismondo.

DESBA

Non sospirar, rapporterò ad Irene,

che ne' regali alberghi

la straniera non vidi.

TORISMONDO

O fida Desba amata. (Un cor dolente

sua speme appoggia ad un'età cadente.)

DESBA

A labbro, che prega,

resister si può?

Chi a l'alme viventi

d'Alcide gl'accenti

catene chiamò,

no, no, non errò.

Scena sedicesima

Torismondo. Irene, che sopravviene.

TORISMONDO

È giardino d'Atlante un bianco sen.

Siepe d'oro è bionda chioma,

son due mamme argentee poma,

dove ogn'ora il nume infante

e quel drago vigilante

che vi sparge rio velen.

È giardino d'Atlante un bianco sen.

IRENE

L'orrenda Circe, o Torismondo, o figlio,

rese ad Ecate l'alma?

TORISMONDO

Desba non anco vidi: io già di ferro

armo la destra.

IRENE

Ecco t'arride 'l fato,

là dove paria selce

stilla da fredde, e lacerate vene,

acqua in vece di sangue: l'empia viene.

TORISMONDO

(Ah crudo amor.)

IRENE

E abbandonata, e sola,

tu a quell'infame sen, l'anima invola.

Scena diciassettesima

Onoria. Irene, Torismondo poco discosti.

ONORIA

Fonti gelide, co' vostri pianti

innaffiate a l'erbe 'l riso.

IRENE

Animo, o figlio.

TORISMONDO

(Ah; co' quegl'occhi amore

mi toglie 'l colpo, e 'l core.)

ONORIA

Voi con acque sì brillanti

fatte specchio al mio Narciso.

IRENE

Che tardi, su?

TORISMONDO

Bella pietà m'affrena.

ONORIA

E in quegl'occhi fiammeggianti

vagheggiate un sol diviso.

IRENE

Ancor vile, e codardo?

TORISMONDO

Ah, che ferir non può chi ha in petto 'l dardo.

(si lascia cader di mano lo stilo, quale si pianta sul terreno, e parte)

Scena diciottesima

Irene. Onoria.

IRENE

(Mi tradisce anco 'l figlio!)

ONORIA

(Ecco la Circe, avvampo d'ira.)

IRENE

Hai volto

di comparirmi inante?

ONORIA

Chi reina non è timor non reca.

IRENE

Che vorrai dir superba?

ONORIA

Dirò.

IRENE

Parla.

ONORIA

Direi.

IRENE

Non anco?

ONORIA

Ho detto.

IRENE

Lo dirai fra' tormenti.

ONORIA

(Mi scoprirò.)

Dirò, che degl'abissi

tu sei una furia.

Scena diciannovesima

Attila, detti, poi Liso.

ATTILA

Olà, cotanto ardisci

femmina vil?

ONORIA

Sire.

IRENE

Taci arrogante.

LISO

Alfin la trovo.

IRENE

Odi mio re, mia deità superna.

Mentre le luci al sonno,

chiudo colà, dove marmorea fonte

spruzzando a l'aure i vanni

solleva al ciel la rugiadosa fronte,

scuotermi sento, a l'or mi desto, e scorgo

costei ch'al sen mi vibra

quel confitto nel suol ferro pungente.

Stendo la destra al colpo; in sul terreno,

cadde 'l ferro, tu arrivi, ella, ch'audace

render tentò questo mio sen trafitto,

benché parli l'acciar niega 'l delitto.

ATTILA

In su l'inscritto suolo

lessi già la congiura.

LISO

È spedita.

ONORIA

Mio re, false è l'accusa.

IRENE

Mentite a una reina?

ATTILA

Olà.

LISO

Signor.

ATTILA

Da mille stral ancisa

piombi d'Eaco tra l'ombre.

ONORIA

Son innocente.

ATTILA

Eseguirai.

LISO

(D'Oronte

pria vo' ubbidir a' cenni:

de la colpa avrò 'l perdono.)

IRENE

(Con la rivale or vendicata io sono.)

ATTILA

Ritiratevi o servi.

Scena ventesima

Attila prende per mano Irene. Voce.

ATTILA

Bella bocca ti bacerò.

VOCE

L'uom, ch'è polve al fin sotterra.

Attila si volta indietro, non vede nessuno, segue:

ATTILA

Di quel volto le rose...

VOCE

Terra è l'uom, polve la vita.

ATTILA

...di quel volto le rose,

amorose

a languir per me vedrò.

Bella bocca ti bacerò.

VOCE

Vita d'uomo un fiato atterra,

s'ell'è terra a un soffio unita.

ATTILA

Qual temeraria voce?

VOCE

Così è 'l mortal, ch'il fato aggira, e volve

ombra, terra, sospiro, e fumo, e polve.

Attila segue la voce, e vede dietro una fonte Filistene, che studia con la sfera celeste.

Scena ventunesima

Attila. Filistene. Irene.

ATTILA

Sorgi, o de' neri abissi

spettro filosofante, ombra animata.

D'astri pellegrinanti

lascia d'errar tra i ciechi errori erranti.

(dà un calcio a la sfera)

IRENE

(Mi proteggono i cieli.)

FILISTENE

Calpesta l'orbe un cieco amante, e folle.

ATTILA

Son tonante, son dio, calco le sfere.

FILISTENE

Ignaro è l'uom, ch'insanamente preme

l'intelligenze eterne.

ATTILA

Cieco, e insano Talete:

mira in que' rai con istupor profondo,

le stelle, il ciel, l'intelligenze, e 'l mondo.

Scena ventiduesima

Teodorico con arco, e saette, dirimpetto ha Torismondo da lui non veduto; detti.

TEODORICO

Giove, tu drizza 'l dardo.

FILISTENE

Morrai per man di donna.

Pria dirò che costei...

IRENE

(Lassa mi scopre.)

Teodorico falla il colpo, e in vece d'Attila ferisce Filistene, che cade. Torismondo corre per levargli di mano l'arco.

FILISTENE

Con altro volto ahimè cado trafitto.

TEODORICO

Il colpo errò.

TORISMONDO

Mio genitor deh lascia.

ATTILA

Tanto ardir al mio aspetto? Olà, fermate...

Si volta e vede Teodorico, e Torismondo, che contendono per l'arco; segue:

ATTILA

...i ribelli uccisori; e ne la reggia

portisi Filistene.

IRENE

(Ah, ch'in periglio

veggo 'l consorte, e 'l figlio.)

Vien condotto via Filistene e Teodorico con Torismondo dalle Guardie guidate all'aspetto d'Attila.

TEODORICO

Morte non temerò.

TORISMONDO

Vita non curo.

ATTILA

E chi di voi felloni

scagliò 'l folgore alato?

TEODORICO E TORISMONDO

Io fui.

IRENE

(Perfido fato.)

ATTILA

Che vi spronò al delitto?

TORISMONDO

Stimolo di vendetta.

TEODORICO

Il core invitto.

ATTILA

Mia diva...

Valentiniano sopravviene, si ritira ad udire.

ATTILA

...tu di questi felloni, omai decida

qual sia l'alma, ch'è rea:

chi è Venere in beltà, divenga Astrea.

TORISMONDO

(piano ad Irene)

Io, genitrice.

TEODORICO

(piano ad Irene)

Io, sposa.

IRENE

(Lassa, che far degg'io... numi consiglio.

O dèi, che ascolto!)

VALENTINIANO

Monarca, e tu reina

vivano i traditori,

sia 'l viver pena a chi la morte apprezza.

ATTILA

Viver non de' chi toglie altrui la vita.

VALENTINIANO

Sian de l'orrenda morte

spettacoli animati, orridi oggetti:

(accenna Teodorico)

traggansi a questi le pupille.

IRENE

(Ahi stelle, cesare, a noi rubello?)

TEODORICO

(Ci tradisce anco augusto?)

VALENTINIANO

(S'apra a l'altro la vena, e perché estinto

egli non cada esangue,

gl'alimenti, la vita, 'l proprio sangue.

TORISMONDO

(Di tiranno latin cruda inclemenza.)

TEODORICO

(Bersaglio a la barbarie è l'innocenza.)

ATTILA

Al nostro genio altero

morte lenta, e penosa è assai più cara,

e da un latin la crudeltate impara.

VALENTINIANO

Eseguite o littori.

Vengono condotti altrove Teodorico, e Torismondo, e Valentiniano li segue.

ATTILA

Ed il mio ciglio

vegga le stragi.

(parte)

IRENE

O mio consorte, o figlio.

Alma mia se non sai fingere

fé tradita non vincerà.

Per dar morte a due cori tiranni

di lusinghe, di frodi, e d'inganni

più bell'armi vendetta non ha.

Alma mia se non sai fingere

fé tradita non vincerà.

Atto terzo

Regio anfiteatro.

In aria.

Apollo sopra il vivo Pegaso, attorniato da varie deitadi sopra nubi.

In terra.

La Fama con la tromba sopra un globo: dirimpetto Amore, che preme un Marte armato.

Scena prima

Escono da lontano Attila, Irene, Valentiniano, Massimo, Oronte, Desba.

ATTILA

È mio cielo un bel sembiante,

bionde chiome son l'auree sfere,

e una fronte alba lucente;

e in due luci, che son nere

bipartito è un sole ardente;

e una bocca iri vermiglia

vibran folgori due ciglia.

Dove siede qual Giove il nume infante

degno è un trono di stelle

bella al tuo piè; già che di lampi sparso

con lucido portento

chiudi ne' tuoi begl'occhi 'l firmamento.

IRENE

È un ciel terren, se un dio terren sostenta.

Vanno a sedere sopra eminente trono, in questo Valentiniano mentre anch'egli va a sedere, dice fra sé:

VALENTINIANO

(Quest'audace gigante

foriera al precipizio ha la salita.)

MASSIMO

(La tomba al soglio in questo dì va unita.)

Apollo sul Pegaso:

APOLLO

Giove primo tra dèi, nume di Giove,

de la cui spada al folgore tremendo

pallido 'l sol più volte

ne l'atlantica Teti

precipitò la sbigottita luce,

queste de l'Etra abitatrici eterne

a' tuoi regi sponsali

d'alta divinità porgon tributo.

O voi dive immortali

che su lucidi globi il piè volgete.

Del vandalico regnante

a le piante

omai scendete.

Versi che formano le deità:

DEITADI

Scrive disceso al suol piede superno

de la glorie il grido eterno.

Calano le Deitadi, e anco Apollo in questo.

ATTILA

Bella mia, da' tuoi begl'occhi,

per donar la luce al giorno,

nel suo lucido passaggio,

or viene 'l sole, a mendicarne un raggio.

VALENTINIANO

Lieto giorno, e felice.

(O superbia mortal l'empio Tifeo

ne' suoi pensieri gonfi

d'un espugnato ciel sogna i trionfi.)

Scesa delle Deitadi; segue Apollo sul Pegaso.

APOLLO

Cittadine celesti

or con danza leggiadra

l'alto imeneo s'onori.

Segue il ballo di Deitadi, che compongono i seguenti versi:

DEITADI

Scrive disceso al suol piede superno

de la glorie il grido eterno.

APOLLO

Diva di cento lumi, Argo volante

suona tu l'aurea tromba; e omai decanta

da l'Istro freddo a l'abbronzato Mauro

nodo così felice:

e per narrar l'alte bellezze immense

d'Onoria la vezzosa,

a ciel remoto, ed attonita parte

se n' voli Amore, e si profondi Marte.

Volano Amore e Fama, e Marte va sotterra.

APOLLO

Corsiero alato

dispiega 'l vol,

a bei lampi d'un ciglio aurato

rieda al mondo più chiaro 'l sol.

Scena seconda

Attila con Valentiniano, e Irene scendono dal trono; Massimo, Teodorico, Oronte, Desba.

ATTILA

Nudo arciero, che porta l'ali

nel mio seno 'l volo spiegò,

e scagliando strali.

IRENE

Fatali questo cor ei fulminò

MASSIMO

Già di Tespo il gran dio scuote la face.

ORONTE

E sul letto regal pronuba in cielo

la candida Lucina

spiegò l'argenteo velo.

VALENTINIANO

Di fortuna la chioma

a la coppia regal formi catena.

DESBA

(Che sarà mai.)

MASSIMO

(Giubila o core.)

TEODORICO

(Ahi pena.)

Vengono due Soldati e sopra due coppe portano due pupille, e una tazza con sangue.

VALENTINIANO

Ecco o gran re del temerario Edipo

le svelte luci, e del fellon, che langue

col rossor de la colpa eccoti 'l sangue.

IRENE

(Veggo ancor senza luci,

e sanza sangue io spiro!)

Attila guarda intanto.

Vengono deposte le coppe.

IRENE

(Finger saprò per vendicarmi un giorno.)

ATTILA

(mentre porge la destra ad Irene)

Quella mano del cui candore

è riflesso la via del latte

porgi...

Scena terza

Oronte presenta ad Attila un Soldato; detti.

ORONTE

Nuzio latino

al mio signor un chiuso foglio arreca.

Il Soldato porge ad Attila una carta, egli la riceve, e segue:

ATTILA

Parti.

Legge piano, poi guardando tutti ad uno ad uno con occhio severo, e minacciante parte senza parlare.

VALENTINIANO

Che veggo!

MASSIMO

E quai stupori!

ORONTE

Quai stravaganze iscorgo!

(parte)

IRENE

Desba noto è l'inganno.

DESBA

Ah, lo previdi.

VALENTINIANO

(a Massimo)

Onoria ci tradì.

MASSIMO

Rinchiusa giace;

del giardin ne lo speco

verrai signor.

VALENTINIANO

Amico

or, che mira tua se l'Italia gode.

(parte)

MASSIMO

(Sol per tradir io aggiungo frode a frode.)

Scena quarta

Desba. Irene.

DESBA

Ecco al fin o signora

le macchine distrutte; e figlio, e sposo

vivon de l'empietade

spaventevoli scempi: ah l'ardimento,

fa 'l perillo crudel del tuo tormento.

IRENE

Timoroso pensier di mente umana

con larve immaginate

suol delirar sovente; or tu sagace

vanne, osserva, e rapprova,

non può perir chi ha la ragion per scorta.

Scena quinta

Partiti tutti resta sola Irene.

Occhi d'un morto sol, soli eclissati,

sangue di questo core,

cor de la vita mia stillato in sangue,

a chi di voi col lagrimar mi volgo?

Luci squallide,

sangue tiepido,

miei tesori peregrini.

Del mio ciel spenti zaffiri,

liquefatti d'amor vaghi rubini.

Se spente in que' begl'occhi

son le mie cinosure, in van più spero

trovar porto a la vita, o amate luci

al vago ciglio o dio chi v'ha rapite?

Gl'archi voi, non avete, e mi ferite.

Ah, ch'in quel rio di sangue,

ebbe perpetuo occaso il nume biondo;

e in quegl'echi perì l'occhio del mondo.

Deh, chi mi porge un ferro?

Chi la vita mi toglie? e chi nel core

m'apre dolce ferita?

Con pupilla di sangue

piangerò, e sangue, e d'occhi, e core, e vita.

Sì, sì, se m'involò perfida sorte

occhi, cor, sangue, e vita, io volo a morte.

Mentre parte disperata, e piangente, incontra Teodorico, e Torismondo, ambo con abito mentito, e barba posticcia.

Scena sesta

Teodorico. Torismondo. Irene.

TEODORICO

Sposa.

TORISMONDO

Madre.

IRENE

Che miro; o pur raveggo:

o mio figlio, e consorte, e come i' torno

in que' begl'occhi a vagheggiar il giorno.

TEODORICO

Pria, che rieda sul Tago eto anelante

saprai qual caso ignoto

c'asconde in queste spoglie.

E come o cara,

come quest'occhi miei

potean cader, se tu mia luce sei?

IRENE

Fuggite, o dio fuggite.

In questo punto ad Attila 'l superbo

empio guerrier latino

in bianco foglio, ove gran fiamma è accesa,

rivelando la frode

spiegò vessil di resa.

TORISMONDO

Perfido cielo.

TEODORICO

Ah figlio,

fuggi il barbaro Pirro,

e qual de' parri è l'uso, or la tua sorte

vinci fuggendo, e tu, che sei de' Galli

speme sorgente; or ti nascondi, e cela

del giardin ne la grotta.

TORISMONDO

Madre ti lascio.

TEODORICO

Irene io parto.

IRENE

E dove

porti que' rai lucenti?

TEODORICO

D'incerta sorte a investigar gl'eventi.

IRENE

Se fortuna fu cieca sfera

incostante girando va.

Da le stelle sperar vo' pietà.

Cangia forme l'ignuda arciera:

dunque o core amando spera.

Scena settima

Grottesca adornata da squame, e conchiglie.
Massimo, con una squadra di Soldati vandali.

MASSIMO

Non speri vendetta chi finger non sa.

Porti 'l labbro di sirena,

di Nettuno abbia l'aspetto,

fera sia, ch'a vario oggetto

il color cangiando va.

Qui fermate le piante,

o del vandalo campo alti guerrieri.

(si ascondono i soldati)

Io qui cesare attendo.

In questa grotta

perirà,

caderà,

da più strali fulminato

il latin Polifemo al suol svenato.

Scena ottava

Valentiniano, Massimo.

VALENTINIANO

Diluviatemi pur, diluviatemi,

dèi dell'Etera,

i vostri folgori,

bersagliatemi pur, bersagliatemi,

ch'il mio alloro temer non può.

Cruda sorte non cederò,

ch'a domar d'una cieca l'orgoglio

ho un cor di selce, ho un'anima di scoglio.

MASSIMO

O regnator de la romulea fede,

se di mancante lume il debil raggio

nel suo pallido mondo

il pianeta lunar diffonder vuole,

si questo ciel, squamoso

tra i conavi d'argento Onoria splende

l'astro latino, e de l'Italia 'l sole.

VALENTINIANO

Massimo è la tua fé palladio al Tebro.

MASSIMO

Or scorgerai signore

l'opra di buon vassallo; olà seguaci

stringete fra catene

questo cesare indegno.

Escono gli Soldati, e afferrando Cesare, lo legano ad un sasso.

VALENTINIANO

Fermatevi o felloni.

Massimo, e come, il tuo signor tradisci?

MASSIMO

Chi l'onor mi rapì, perda la vita,

scrive in bronzo l'offese alma latina.

VALENTINIANO

Ah perfido.

MASSIMO

È da nume

de' lascivi tiranni

far sanguinoso scempio, e merta al crine

de i cesari l'alloro

chi a un cesare fellon reca 'l cipresso.

Ora da un nembo di strali

barbara morte aspetta,

che perdono non è tarda vendetta.

Scena nona

Liso con Onoria. Massimo, Valentiniano legato.

ONORIA

Dove odio mi conduci?

MASSIMO

(È questa Onoria?)

LISO

Vieni.

MASSIMO

Lascia fellone.

LISO

Attila...

MASSIMO

Parti.

O caderai trafitto

per quest'acciar.

LISO

Da Marte sì sdegnoso

rapido i' fuggo. (Udirò 'l tutto ascoso.)

ONORIA

Massimo, eroe del Tebro

tu romano Perseo, di crudo mostro

mi togliesti.

MASSIMO

Non più: partite amici.

Partono li Soldati.

MASSIMO

Cesare, or tu ravvisi

questa vergine eccelsa?

ONORIA

Che vedete occhi miei?

LISO

(È questa Onoria a cesare sorella?)

VALENTINIANO

Fulminatelo o dèi.

MASSIMO

A l'offensor qui renderò l'offesa;

su le tue luci stesse

o Tarquinio superbo

di questo seno i' macchierò 'l candore,

sforzerò la germana.

ONORIA E VALENTINIANO

Ah traditor.

ONORIA

Lasciami indegno.

MASSIMO

Taci,

o proverai di Filimena 'l duolo;

ti svellerò la lingua.

Scena decima

Sopravviene Torismondo, mentre Massimo è in atto di sforzare Onoria.

TORISMONDO

Ah lascivo, che tenti?

MASSIMO

Scostati, temerario.

ONORIA E VALENTINIANO

Ah Torismondo.

VALENTINIANO

Ah prence.

TORISMONDO

(a Valentiniano)

Signor.

MASSIMO

(ad Onoria)

Cedi.

TORISMONDO

(a Massimo)

Inumano.

ONORIA

Chi mi soccorre?

MASSIMO

Ogni soccorso è vano.

TORISMONDO

Torrò i lacci ad augusto.

Torismondo va a scioglier Valentiniano, Massimo denuda la spada con la destra per ucciderlo, con la sinistra tiene Onoria che fa forza per trattenerlo; in fine gli fugge: Torismondo scioglie Valentiniano e Massimo fugge mentre Valentiniano denuda il ferro.

MASSIMO

Fellone: ah mi fuggì.

TORISMONDO

Signor ti sciolgo.

MASSIMO E LISO

(Ad Attila tradito 'l piè rivolgo.)

(fuggono)

Scena undicesima

Valentiniano, Torismondo.

VALENTINIANO

Fido eroe tua desta sorte

le ritorte

al mio piede spezzò,

e l'Ausonia incatenò;

denno a te con doppia palma,

Roma 'l cesare suo, cesare l'alma.

TORISMONDO

Del ciel latino al porporato Atlante,

e a l'impero di Roma

assiste dio su la stellata mole?

(Ma retrogrado qui veggo 'l mio sole.)

Scena dodicesima

Torna Onoria. Valentiniano. Torismondo.

ONORIA

Mio cesare.

VALENTINIANO

Sopprimi

le temerarie voci.

TORISMONDO

Perdona, augusto.

VALENTINIANO

Empia Tarpea rubella

perdon non merta? O Torismondo amico,

vieni, lascia costei, ch'al re crudele

palesò la congiura.

TORISMONDO

Ahi, che sento.

ONORIA

È mendace.

VALENTINIANO

Ma quella lingua audace

spada d'irata Astrea troncar saprà.

ONORIA

Deh, ferma.

TORISMONDO

Ah no, pietà.

Scena tredicesima

Torismondo segue Valentiniano che sdegnato parte. Onoria sola.

ONORIA

Valentinian m'aborre?

Torismondo mi lascia? E neghittosa

per nutrir il mio duol, sarò a me stessa

qual vorace Saturno esca nascente?

No, no, contro l'amante

sorgerà in me 'l furor, di Fasi, e Colco

rinnoverò gli scempi; e fuor di Tebe

vedrasi ancora ir di fraterno sangue

gonfi e torrenti e mari: e che più tardo?

Al vandalo feroce

scoprirò l'esser mio, l'Italia vada

schiava tra laccio ingiusto:

non rida Onoria, e non trionfi augusto.

Sei mio core nel laberinto,

ti fu scorta un cieco alato:

tra gl'errori d'un crine aurato

novo Teseo sospiri avvinto.

Scena quattordicesima

Stanza di Filistene.
Filistene, sedente, e appoggiato ad un letto, tiene al canto sopra d'un tavolino istrumenti astrologici.

L'uom, che saggio può farsi eterno;

dominar può in ciel le stelle,

la virtù preme l'oblio,

e s'innalza fastosa al ciel superno:

tal, quasi eguale a' numi,

ebbe Alcide nel mondo ostie, e profumi.

Attila, 'l re del Caucaso nevoso,

non anco i' veggo: in suggellato foglio

io gl'accennai per cavalier latino,

che per troncar le teste

d'un'idra ribellante,

rivolga a questo suol ratto le piante.

Ma sento omai, che dal trafitto seno

prende l'alma congedo; ah contro il dardo

de l'arco onnipotente etneo ciclope

non tempra armi fatali: in chiare note

gli spiegherò, ch'in breve

intenderà di questa rota 'l giro

da Massimo romano.

(mentre scrive cade sul letto e muore)

Ahi cado, e spiro.

Scena quindicesima

Attila. Oronte. Filistene giacente sul letto.

ATTILA

Portò a l'Asia alta ruina

con suoi rai greca beltà;

e per Elena latina

tutto 'l mondo oggi arderà.

ORONTE

Mira o signor là: de le piume in seno

con le chiuse palpebre

l'aquila de le stelle, o dorme, o giace.

ATTILA

Fa che si desti.

ORONTE

O Filistene, amico,

apri le luci, e sorgi:

freddo, pallido, esangue, estinto al mondo

vive al regno de' morti.

ATTILA

Spirò?

ORONTE

Qui vergò un foglio.

ATTILA

Leggi.

ORONTE

(legge)

«Attila: i tradimenti

orditi già, da Massimo...»

Ch'intendo?

ATTILA

Segui.

ORONTE

Altro non scrisse.

ATTILA

Massimo dunque, è 'l traditor indegno?

Scena sedicesima

Sopravvengono Liso, e Desba, l'uno dall'una, l'altra da un'altra parte.

DESBA E LISO

Attila con Oronte!

ATTILA

Or proverà 'l fellone

d'un tradito monarca 'l fiero sdegno.

DESBA

(Parla di Teodorico.)

LISO

(Ah di Liso favella.)

ORONTE

È de la vita indegno

chi nimico al suo re mancò di fede.

DESBA

È Teodorico al certo.

(parte)

LISO

(Chi confessa 'l delitto acquista morte.)

Signor pietà, perdono.

(si prostra)

ATTILA

Parla tosto arrogante.

LISO

Massimo 'l reo latino, 'l folle amante

già rapimmi colei, che per tua legge

dovea cader con mille stral in petto.

ATTILA

Tanto ardì quell'audace?

LISO

Per la man del fellon vidi ad un sasso

cesare incatenato; e sappi o sire

che Onoria...

ATTILA

La sorella d'augusto?

LISO

Appunto.

ATTILA E ORONTE

La mia vita.

LISO

(Sa ch'è Onoria la schiava.)

Il reo lascivo

d'Onoria al sen tentò rapir l'onore.

ATTILA

Ah indegno.

ORONTE

Ah traditore.

LISO

Guerrier pietoso

frange i lacci ad augusto; Onoria fugge,

io con l'ali a le piante

venni a recar l'annuncio al regio piede.

ATTILA

Vanni, e attenda tua fé degna mercede.

Scena diciassettesima

Massimo, Attila. Oronte.

MASSIMO

Signor.

ATTILA

Sì baldanzosa

d'Attila al regio aspetto

porti ancora la fronte, empio romano?

MASSIMO

Sappi...

ATTILA

Chiudi quel labbro.

Oronte. Stringa ferro tenace

il temerario; al cesare latino

vadane incatenato;

trovi la prigioniera, e fra tormenti

scopra l'empio Sinone i tradimenti.

MASSIMO

Odi almen.

ATTILA

Sia eseguito.

ORONTE

Alti accidenti.

ATTILA

Miei spirti feroci sorgetemi in petto.

Farò strage de gl'empi ribelli

già ministre di crudi flagelli

portovi seno Megera, ed Aletto.

Scena diciottesima

Sala regale.
Irene. Teodorico. Torismondo e Desba, che sopraggiungono.

IRENE

Del mio petto o gradita costanza

stella fissa nel cielo d'Amore?

La tua luce ravviva 'l mio core,

e m'indora nel sen la speranza.

Del mio petto o gradita costanza.

TEODORICO

Sposa.

TORISMONDO

Madre.

DESBA

Signora.

TEODORICO

Siam palesi al nemico.

TORISMONDO

La congiura è già scoperta.

DESBA

È già noto il tradimento.

IRENE

Infelice, che sento?

O mio dolce consorte, o amato figlio:

ah che per voi carnefice esecrando

barbaramente arrota

la funesta bipenne.

TEODORICO

Animo, ardir: alma che grande nasce

può sottrarsi a l'infamia.

Generoso morir la vita onora:

e dopo morte, entro 'l feretro oscuro

non si riceve offesa.

Questo ferro omicida

di tre vite regali 'l fil recida.

TORISMONDO

Svenami o genitor.

Eccoti 'l seno.

Sarà felice sorte,

per man de la mia vita aver la morte.

TEODORICO

Chi è grande più, serva al minor d'esempio:

e de' primo morir chi già nel mondo

ebbe primo 'l natale.

IRENE

Cedi o sposo quel ferro.

Donna, ch'è nulla al mondo

pria dal mondo si levi.

TORISMONDO

A me si porga.

DESBA

(Io lo rifiuto.)

IRENE

Lascia.

TEODORICO

Lasciate.

DESBA

A chi: con duolo amaro

resta poco di vita è 'l viver caro.

Attila lunge io scorgo.

IRENE

Partite.

TEODORICO

O dio, sbranata al suol cadrai.

TORISMONDO

Ah, ch'il leon.

IRENE

Fuggite.

E a pro de la mia vita

col regnante del Lazio oprar vi caglia:

di lilibea sirena, io tra lusinghe

avrò a le labbra 'l canto,

e co' vezzi trarrò l'aspe a l'incanto.

DESBA E TEODORICO

Ti lascio.

IRENE

Addio. (Frenar non posso 'l pianto.)

Scena diciannovesima

Irene. Desba. Attila.

IRENE

Meste faci a la mia morte,

lagrimate occhi dolenti.

ATTILA

Da sì vaghe pupille amorose,

perché o bella 'l pianto cade?

Di quel volto le fresche rose

non han d'uopo di rugiade.

ATTILA

Ah, che stupido amor qui veder vuole

i pianti de l'aurora in faccia al sole?

IRENE

(Respiro.) Ha dal pianto 'l ristoro alma tradita.

Splendono in que' begl'occhi

le Pleiadi piovose.

ATTILA

Tergi i lumi dolenti.

Il romano gigante,

ch'ardì assalir del tuo bel volto 'l cielo

entro ferrea catena

fulminato a quest'or paga la pena.

IRENE

(Io non intendo 'l favellar.)

ATTILA

(alle guardie)

Partite.

DESBA

Or tu adopra o signora arte, ed ingegno.

IRENE

(M'assista 'l ciel contro 'l tiranno indegno.)

Scena ventesima

Attila, e Irene. Soli.

ATTILA

Da quel labbro di rubino,

ove dolci stilla i fauci

ape alata 'l dio bambino,

coglierò baci soavi.

IRENE

(Stelle non mi tradite.)

Odi questa qual sia beltà, ch'io porto

idolo, e idolatra.

ATTILA

Per segnar un dì sì beato

or mi presti l'arcier bendato

i bianchi marmi, del tuo sen.

Qui tra i lampi d'un volto seren,

andrà 'l mio cor, pria, che restarne assorto,

nel mar del duol su quelle poppe al porto.

IRENE

Lascia o mio re, che di ligustri, e rose

sparga sul crine un odoroso nembo.

ATTILA

Il Giove son de la mia Danae in grembo.

(le appoggia il capo sul seno)

IRENE

Quella dèa, ch'il polo indora

più non vanti al sol nascente

infiorar il crin, ch'è d'oro:

ch'io qui a scorno de l'aurora

d'un più bel sol le vaghe chiome infioro.

ATTILA

Dolce è il posar in bianco sen di latte.

IRENE

Ai corsieri frenando 'l morso

Febo in ciel stanco dal corso

posa, e dorme a l'onda in sen;

ma di Teti.

(vede che dorme, si leva piano)

Qui cade al fin a lusinghieri accenti

qual di Stige il trifauce a i dolci carmi

del gran cantor de' Traci,

addormentato 'l cerbero de' Goti.

Ma con cesare invitto

Teodorico non veggo: animo Irene;

l'ucciderò, ma come?

O nemica de gl'empi

alta deità; qui d'Orion la spada

prestami in sì grand'uopo

che risolvo! Che penso! Al fianco armato,

gl'involerò quel ferro.

Già l'impugno, e già l'afferro;

e qui son con destra invitta

del gotico Oloferne altra Giuditta.

L'uccide piantandoli 'l ferro su la fronte e cade.

Scena ventunesima

In questo vengono Valentiniano, Teodorico, Torismondo armati di spada. Irene.

TEODORICO

Qui 'l tiranno lasciai.

TEODORICO, VALENTINIANO E TORISMONDO

Mora.

IRENE

Fermate.

TEODORICO

Ah, l'infida Irene.

Tu fai scudo al nemico?

VALENTINIANO

E tu reina?

IRENE

Deponete que' brandi: un cor di donna

basta per un tiranno.

Ecco trafitto

l'empio per questo ferro; or tu calpesta

d'un superbo Golia l'orrida testa.

TEODORICO

Eroica fede.

TORISMONDO

O genitrice invitta.

VALENTINIANO

Godi o Arpalice altera, invitta Iole

io delusi 'l nemico, e con inganno

tolsi prole, e consorte,

al Mezentio tiranno.

IRENE

Rieda o sposo il riso al ciglio.

Insieme

TEODORICO

O adorata consorte.

IRENE

O adorato consorte.

IRENE

O dolce figlio.

Scena ultima

Mentre Irene abbraccia Torismondo, vede e ode Onoria che sopravviene, dalla parte d'Attila ucciso viene Oronte, che conduce Massimo legato.

ONORIA

Ciel che veggo!

ORONTE

Ch'osservo!

ONORIA

Come figlio l'abbraccia!

MASSIMO E ORONTE

Attila ucciso!

VALENTINIANO

Figlio sovente è di gran pianto 'l riso.

ORONTE

(Valga l'ingegno.) O domator de' mostri

Ercole de l'Italia; or che nel suolo

trofeo de la tua mano,

de la terra, e del ciel cade 'l flagello,

a te scorso 'l rubello.

MASSIMO

Mi balzò da la rota empia fortuna.

VALENTINIANO

Sdegno in quel volto infame

le luci profanar; al Campidoglio

su l'invitto Tarpeo fattone scempio

a la romana fé serva d'esempio.

ONORIA

Alto germano eccelso

si conceda ad Onoria

Torismondo in sposo.

TORISMONDO

Ell'è 'l mio core:

merta perdon, ch'è pargoletto amore.

TEODORICO

Che sento.

IRENE

Alti accidenti.

ORONTE

Cesare, anch'io quel vago volto adoro.

VALENTINIANO

Resti di Torismondo: avrai gran duce

Pulcheria, al grand'augusto

la seconda germana, e la catena

formi Imeneo su la romana arena.

IRENE

Miei spiriti ridete,

rallegrati o cor.

Mi brillino in petto

la gioia, e 'l diletto.

Di perfide stelle

cangiato è l'aspetto

cessato 'l rigor.

Fine del libretto.

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