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La bella verità

LA BELLA VERITÀ

Dramma giocoso per musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Carlo GOLDONI.
Musica di Niccolò PICCINNI.

Prima esecuzione: 12 giugno 1762, Bologna.


Personaggi:

PETRONILLA donna seria

soprano

LUIGINO uomo serio

soprano

ANGIOLINA prima buffa

contralto

LORANO Glodoci poeta

basso

ROSINA seconda buffa

soprano

TOLOMEO Nattagessi impresario

tenore

CLAUDIO parte buffa

tenore




La scena si rappresenta in Bologna.

Nobile ed eccelso signore

Giacché degnato vi siete, nobile ed eccelso signore, di accordare all'impresa nostra la vostra benignissima protezione, da cui ne abbiamo riportato onore, beneficio e vantaggio, vorremmo in qualche maniera dimostrarvi il nostro ossequiosissimo riconoscimento né sappiamo in qual altra maniera poterlo fare, se non se dedicandovi questo nuovo dramma che sotto i vostri auspici fu scritto ed ora al pubblico viene esposto. Scarsissima è l'offerta nostra al merito grande di voi, nobile ed eccelso signore, ma pure ci lusinghiamo che l'aggradirete, essendo opera di un autore da voi amato e protetto e che unicamente per venerazione ai vostri comandi si è qui trattenuto ed ha il libretto composto. Ecco un'altra ragione che ci stimola a tale offerta, dovuta a voi solamente, come unico mezzo che ci ha procurato, in mancanza di libri nuovi, un libro fatto per noi. Niuno certamente può dubitare se sia o non sia questo dramma precisamente per la nostra impresa composto. Egli ha per titolo La bella verità. L'autore si è divertito sul vero; ha unito in una semplicissima azione vari fattarelli verissimi, si è servito di caratteri veri e, col pretesto di lavorare sul vero, ha risparmiata la fatica d'inventare e d'immaginare. Non ha risparmiati gli attori nostri; non ha forse risparmiati noi stessi ma di buon cuore gli si perdona, poiché trattando da galantuomo ha posto in iscena anche sé medesimo e non ha avuto riguardo di farsi da sé stesso la critica. Il pensiero è nuovo, è stravagante, è bizzarro; desideriamo che piaccia al pubblico; e se avrà la fortuna d'incontrare e di condur la gente al teatro sarà per noi il più bel libro di questo mondo. Ci raccomandiamo pertanto umilmente a voi nobile ed eccelso signore, onde coll'esempio vostro nella generosa frequenza di onorarci alle nostre rappresentazioni ci faccia godere sempre più gli effetti dell'autorevole vostra protezione. Se mai in questa supplica si ravvisasse il nostro interesse, sarà per non staccarci dal titolo del libretto. Voi nobile ed eccelso signor marchese, che fra le innumerabili vostre virtù avete quella di amare la verità e di preferirla ad ogni umano riguardo, non isdegnarete che noi pure diciamo sinceramente il nostro umilissimo desiderio e ci permetterete benignamente che possiamo con profondissimo ossequio soscriverci

di voi nobile ed eccelso signore

umilissimi, ossequiosissimi, obbligatissimi servitori

gl'impresari.

Atto primo
Scena prima

Camera accomodata per la prova d'un'opera.
Petronilla, Luigino, Angiolina, Rosina, Claudio, tutti a sedere con carta di musica in mano; Tolomeo in disparte sedendo.

I cinque Personaggi suddetti cantano l'ultimo coro

del libro intitolato «Le nozze».

CORO

Amore discenda

co' prosperi auspici,

e renda felici

gli sposi così,

che mai non li turbi

geloso veleno,

che mai nel lor seno

non si spezzi lo stral che li ferì.

TOLOMEO

Bravi, bravi davvero, e viva, e viva.

Questo coro mi piace e mi ravviva.

CLAUDIO

Voglia il ciel che quest'opera

piaccia più di quell'altra.

TOLOMEO

Il ciel lo voglia,

n'ho bisogno davvero.

Maledetto mestiere

che è quel dell'impresario!

S'hanno mille pensieri e mille guai:

si perde sempre, e non si lascia mai.

LUIGINO

Quest'opera altre volte

in Bologna ha incontrato.

TOLOMEO

Un libro fortunato

certo è stato per me. Monsieur Lorano

me 'l fece in quattro dì, ma benedetto

sia il danaro ch'io spesi in tal libretto.

ROSINA

Dunque allor v'andò ben.

TOLOMEO

Così e così.

Mi fu d'un grande aiuto;

poco, è ver, ci perdei, ma ci ho perduto.

ANGIOLINA

Non vorrei questa volta

ci perdeste assai più.

TOLOMEO

Perché mi fate

un sì pessimo augurio?

ANGIOLINA

Vi dirò:

so che allora avevate

una buffa assai brava, e non vorrei

che ora per causa mia...

TOLOMEO

Zitto, signora;

non andate più avanti. Il vostro merito

tutto il mondo lo sa. Siete una giovane

che sa, che intende, che diletta e piace.

No 'l dico perch'io sia

di ciò molto intendente:

dico quel che dagli altri a dir si sente.

PETRONILLA

Ma, signor impresario,

dopo quest'operetta

che si fa per ripiego, ha destinato

il libro nuovo che ha di dar promesso?

TOLOMEO

Cospetto! ve 'l confesso,

questo è quel che m'imbroglia e mi molesta:

non so dove ch'i' abbia a dar la testa.

LUIGINO

Non vi è tempo da perdere.

ROSINA

Convien sollecitare.

CLAUDIO

Se l'abbiam da imparare,

il suo tempo vi vuole.

ANGIOLINA

E non è giusto,

come adesso si fa, che s'abbia sempre

da studiar con tal fretta e con tal pena,

e s'abbia a andar con precipizio in scena.

TOLOMEO

Io non so che mi fare. Oh, se qui fosse

quel galantuom che questo libro ha fatto

chi sa ch'egli ad un tratto

uno non ne facesse a' prieghi miei!

Oh, quanto pagherei... ma il dirlo è vano.

Egli forse da noi troppo è lontano.

ANGIOLINA

(con forza)

Risolvere convien.

CLAUDIO

(con sdegno)

Convien pensare...

TOLOMEO

Maledetto mestier! non so che fare.

Convien dir che il mio destino

mi costringa a delirar.

Il mestiere è malandrino,

ma no 'l posso abbandonar.

Fra sartori ~ e fra pittori,

fra cantanti e ballerini,

se ne vanno i miei zecchini,

e mi fanno disperar.

(parte)

Scena seconda

Petronilla, Luigino, Angiolina, Rosina e Claudio.

CLAUDIO

Ei dice e dice, e tocca a noi frattanto

la fatica maggior.

ANGIOLINA

Qual colpa abbiamo,

se il libro o se la musica non piace?

ROSINA

Anzi è nostra disgrazia:

se la parte cattiva è per natura,

noi non possiamo far buona figura.

PETRONILLA

Quando nel primo libro

mi è toccato di far quella partaccia,

credetemi, signori,

mi veniano i sudori. I studi miei

non li ho fatti pe 'l buffo. Io non presumo

d'essere virtuosa;

poco, è vero, ne so, son principiante,

ma quando una cantante

dal carattere suo si vede fuora,

tutto il poco che sa, si scorda ancora.

LUIGINO

È ver: perché un attore

comparisca un po' meglio, è necessario

che gli venga assegnata

una parte al suo stil bene adattata.

Io non dico di fare

da Cesare o Adriano,

ma non è il mio mestier far da villano.

La provida natura

comparte i doni suoi;

ma devonsi da noi

coll'arte coltivar.

Né mai sarà un pastore

un abile nocchiero,

né condurrà un guerriero

gli armenti a pascolar.

(parte)

Scena terza

Petronilla, Angiolina, Rosina e Claudio.

ROSINA

Io poi, per dir il vero,

non mi prendo di ciò verun pensiero.

Non so bene qual sia

l'abilitade mia; non so s'io riesca

nel serio o nel faceto,

ma senza aver di pretension l'inganno,

io faccio volentier quel che mi danno.

Fatemi fare

la vezzosetta,

qualche grazietta

forse averò.

E se ho da dare

nel sostenuto,

non lo rifiuto,

m'ingegnerò.

Farò di tutto

passabilmente,

onestamente

tutto farò.

(parte)

Scena quarta

Petronilla, Angiolina e Claudio.

PETRONILLA

Eh, si fa presto a dire:

«farò di tutto». Sulla scena poi,

il tutto che si sa passabilmente,

per soggezione si riduce al niente.

ANGIOLINA

Io certo a recitare

principiai di buon'ora,

sono avvezza al mestier, ma tremo ancora.

Specialmente in Bologna ho più che altrove

soggezione e timor. Qui si distingue

chi sa da chi non sa. Quivi non basta

un po' di cantucciar; ma è necessario

recitare a dover. Non v'è nel mondo

chi conosca il teatro,

e sappia quel che a' buoni attor bisogna,

più della dotta mia cara Bologna.

CLAUDIO

Sì, ma non v'è nel mondo

chi meglio sappia compatir di lei.

Anche i difetti miei

so che son tollerati

da questi illustri cittadin bennati.

PETRONILLA

Dunque anch'io mi lusingo

della stessa bontà. Si sa ch'io sono

debole principiante, e se cortesi

degneran compatirmi,

valerà il loro dono a incoraggirmi.

Ma vorrei, se potessi,

provar quest'aria mia, né c'è nessuno

che mi accompagni.

CLAUDIO

Che bisogno avete

d'essere accompagnata?

Non sapete suonar passabilmente?

PETRONILLA

Ne so poco o niente,

pure m'ingegnerò.

Bene o male, farò quel ch'io potrò.

(si mette al cembalo, e si accompagna da sé, e canta)

Fra le tempeste ancora

tenta il nocchiero ardito

di ritrovare il lito,

di superare il mar.

E del nemico fato...

ma il cembalo è scordato:

(s'alza)

la mano ~ tocca invano

i tasti ~ che son guasti,

e non si può sonar.

(parte)

Scena quinta

Angiolina e Claudio.

CLAUDIO

Per dir la verità, l'accompagnarsi,

in donna specialmente,

non è cosa comune.

ANGIOLINA

È ver, per camera

è un nobile ornamento.

CLAUDIO

È una prova d'ingegno e di talento.

ANGIOLINA

Ecco qui l'impresario.

CLAUDIO

Allegro è molto.

ANGIOLINA

Sì, così lieto in volto

anch'io, per dirla, non l'ho mai veduto.

CLAUDIO

Dei palchi e delle sedie avrà venduto.

Scena sesta

Tolomeo e detti.

TOLOMEO

Bone nuove, signori.

ANGIOLINA

E che vuol dire?

TOLOMEO

Sentite un'avventura,

un caso, un accidente,

che pare propriamente

di quei che i commedianti

fan nascere per via de' negromanti:

quello scrittor mio amico,

monsieur Loran, che tanto

era da me bramato,

di passaggio a Bologna è capitato.

CLAUDIO

Davver?

ANGIOLINA

Ci farà un libro?

TOLOMEO

Non so. Tentar conviene.

Io so che mi vuol bene,

forse dirà di sì.

ANGIOLINA

Io pur ne avrei piacere.

TOLOMEO

Eccolo qui.

Scena settima

Lorano e detti.

LORANO

Servo, padroni miei.

ANGIOLINA

Serva, monsieur Lorano.

CLAUDIO

Che buon vento, signor, vi ha qui guidato?

LORANO

Altrove incamminato

son per un certo affar ch'ora non dico:

ma già che il fato amico

riveder mi ha concesso

questo per me sì amabile soggiorno,

vo' in Bologna restar per qualche giorno.

TOLOMEO

S'accomodi, la prego.

(ad un servitore)

Dategli da seder.

LORANO

Bene obbligato.

TOLOMEO

Oh incontro fortunato!

ANGIOLINA

Oh bella sorte

di vederla da noi!

CLAUDIO

Miglior destino

non si potea bramar.

LORANO

(Oh via, ho capito:

han bisogno di me.)

TOLOMEO

Starà in Bologna

lungamente, o signor?

LORANO

Volesse il cielo

ch'io vi potessi star quanto desio,

ma a momenti è vicino il partir mio.

TOLOMEO

Me ne dispiace assai.

LORANO

Perché?

TOLOMEO

Per dirla,

le cose vanno mal. Non ci son libri

al bisogno adattati.

Sa quanto delicati

sono in questo paese, e sa l'amore

che quivi hanno per lei;

e un suo libro, signore, io bramerei.

LORANO

Sa il ciel quanto mi duole

non poterla servir. Sì, lo conosco,

quanto onor, quante grazie

quest'illustre città mi ha compartite,

quanto l'opere mie son compatite.

Ma io deggio partir.

CLAUDIO

Se vuol, sappiamo

quanto presto sa far.

LORANO

No, caro amico.

Ogni anno passa un anno;

il troppo faticar stanca la mente,

né più scriver poss'io sì facilmente.

TOLOMEO

Via, signora Angiolina,

parli anch'ella. Chi sa! Monsieur Lorano

non sa dire di no, ma specialmente

co' le donne suol esser compiacente.

ANGIOLINA

Non ho merito alcuno.

LORANO

Oh, cosa dice!

Mi chiamerei felice

s'io servirla potessi. In altri incontri

sa ben se di servirla ho procurato.

Ma non posso restar: sono impegnato.

ANGIOLINA

Pazienza! Il lusingarmi

di ottener tal finezza è cosa vana.

S'io fossi una romana,

forse l'ottenerei.

LORANO

Tant' e tanto davvero io partirei.

ANGIOLINA

Basta, vi vuol pazienza.

Signor, con sua licenza:

giacché vano è il parlar, vano è il pregarla,

dell'incomodo ancor vo' sollevarla.

Lo so ch'io non merito

sì grato favor:

non sono sì amabile

da vincerle il cor.

Se avessi un occhietto

languente, furbetto,

usar non saprebbe

cotanto rigor.

Perdoni, mi scusi;

(facendo qualche riverenza)

pazienza, signor.

(parte)

Scena ottava

Lorano, Tolomeo e Claudio.

LORANO

Cospetto! in verità

sono mortificato. Un certo effetto

nell'interno mi fa donna che prega,

che a resister patisco.

TOLOMEO

E bene, adunque,

si lasci persuader.

LORANO

Non vi è rimedio.

CLAUDIO

Quand'è così, gli leverem l'attedio.

TOLOMEO

Ma non avrebbe almeno

qualche cosa di fatto?

LORANO

Oibò; non soglio

scriver giammai senz'essere spronato.

Anzi i' aveva fissato

di mai più voler fare un dramma buffo,

tant'io ne sono stomacato e stuffo.

TOLOMEO

Ma so pur che in Venezia

ogni anno di tai libri

vossignoria soleva

comporne due o tre per ordinario.

LORANO

È ver, ma l'impresario

andò in collera meco, ed ha ragione.

Io ho la presunzione

d'esser, da chi mi vuol, pagato bene,

e alla sua economia ciò non conviene.

CLAUDIO

Ehi, signor impresario,

sentite il gergo?

TOLOMEO

Come?

CLAUDIO

Se bramate

ch'egli scriva per voi, non risparmiate.

TOLOMEO

Come?

LORANO

Non sono in caso

in veruna maniera. Ho da partire.

E poi, per vero dire,

a un tal componimento

ho preso aborrimento. Il libro buffo

è una noia, è un imbroglio,

non si finisce mai;

è un seminario di fastidi e guai.

Quando il libretto è fatto,

forse si è fatto il men:

s'ha da cambiare ogni atto

cinque o sei cose almen.

Vien via la canterina:

quest'aria non va bene.

E grida la mammina:

la parte non convien.

Son dieci che comandano;

comandano, e non pagano.

Io mando i libri al diavolo,

non me n'importa un cavolo.

No, no, non ne vo' far;

non voglio più impazzar.

(parte)

Scena nona

Tolomeo e Claudio.

CLAUDIO

Se non vuol, lasci stare.

S'egli di non far libri ha stabilito,

né anche il mondo per ciò sarà finito.

TOLOMEO

E che sì, signor Claudio,

ch'egli il libro ci fa?

CLAUDIO

Mi par difficile.

TOLOMEO

Aspettatemi qui. Vo' a ritrovare

un certo cavalier suo protettore,

di cui ho anch'io l'onore

d'essere servitor. So quanto egli ama

monsieur Loran. So qual Loran rispetta

quest'illustre signor. So qual potere

hanno del cavaliere

i comandi, i consigli e i detti usati

per far fare a suo modo i più ostinati.

Vo tosto, e se s'impegna

di parlare a Lorano

il cavalier che ha sì cortese il tratto,

Loran qui resta, ed il libretto è fatto.

(parte)

Scena decima

Claudio solo.

In fatti in questo mondo

più dell'autorità, più assai del grado,

val la dolce maniera. I più stimati

son sempre i più gentili, e chi buon uso

fa di sua nobiltade e del suo ingegno,

conoscer fa che di tal sorte è degno.

Un'anima altera

che impone severa,

esige rispetto,

ma sol per timor.

E un cor generoso,

cortese, amoroso,

con gioia ed affetto

rispettasi ancor.

(parte)

Scena undicesima

Angiolina sola.

Innocenti pastorelle,

quanto invidio il vostro stato!

Quanto a me saria più grato

l'umil greggia pascolar!

Un dì di bene

non dan le scene;

sempre si teme,

talor si freme.

Cento pericoli

s'han da passar.

La sorte instabile

mi fa tremar.

Dice talun che il nostro

è il mestiere miglior che diasi al mondo:

non è ver, non è vero, io gli rispondo.

Pria di tutto non sanno

quanta pena ci costi

la musica imparar. Non san che sia

sostener a dovere

un carattere in scena, e qual fatica,

e di petto, e di mente,

costi un'aria cantar passabilmente.

E poi, se per disgrazia

non si viene a incontrar, non san qual sia

la smania ed il rossore

di chi sente gli stimoli d'onore.

Certo, di cuor lo dico,

cambierei volentier lo stato mio,

e andrei la greggia a pascolar anch'io.

La mia pace, il mio riposo

sol godrei fra l'erbe e i fiori;

fra le ninfe e fra i pastori

potrei lieta respirar.

Scena dodicesima

Rosina, Claudio e la suddetta.

ROSINA

Oh, signora Angiolina,

la sapete la nuova?

ANGIOLINA

Io non so nulla.

ROSINA

Monsieur Loran compone.

ANGIOLINA

Sì? Ho piacere.

CLAUDIO

Fu obbligato a restar dal cavaliere.

ANGIOLINA

Dunque a fargli una visita

vo' andar col padre mio.

ROSINA

Vorrei andarvi anch'io.

CLAUDIO

Non c'è bisogno.

Lo conosco, lo so, de' complimenti

è pochissimo amante, e a far piacere

per natura è inclinato,

senz'esser da nessun sollecitato.

ANGIOLINA

Può esser, ma però

so ch'ei mi disse sulla faccia un no.

CLAUDIO

Lo disse, è ver, ma si vedea quai pene

gli costava il negar.

ROSINA

Zitto, ch'ei viene.

Scena tredicesima

Lorano, Tolomeo e detti.

TOLOMEO

Ecco, signori miei,

ecco monsieur Lorano,

che al protettore ha resistito invano.

LORANO

Scusatemi, madama,

se quel che ho a voi negato, ho altrui concesso.

Venero il vostro sesso,

della vostra virtude ho vera stima,

ma, vi chiedo perdono,

da un incanto maggior convinto io sono.

ANGIOLINA

Sì, sì, già ve lo dissi:

s'io fossi quella tal che più vi preme...

LORANO

Tutte le donne assieme,

tutte le grazie e le bellezze unite,

a fronte di un sì amabil cavaliere

avrian forza minor sul mio volere.

TOLOMEO

Orsù, pensiamo un poco

a ciò che si ha da far.

LORANO

Cosa direbbe

il signor impresario?

TOLOMEO

Io mi rimetto.

Faccia vossignoria quel che le pare.

LORANO

Bramerei d'incontrare

il genio delle attrici e degli attori.

TOLOMEO

Via, dicano, signori,

il sentimento loro, e dopo anch'io

dirò senza riguardo il pensier mio.

ANGIOLINA

Io vorrei un'operetta

sul mio stile e sul mio far;

che vi fosse in qualche arietta

qualche poco da cantar.

TOLOMEO

Che vi fosse in qualche arietta

qualche poco da cantar.

ROSINA

Bramerei la parte mia

disinvolta e spiritosa;

e una scena vi vorria

da brillare e da scherzar.

TOLOMEO

E una scena vi vorria

da brillare e da scherzar.

CLAUDIO

Un carattere novello

piacerebbemi di far.

Quel ch'è nuovo, è sempre bello

per piacere ed incontrar.

TOLOMEO

Quel ch'è nuovo, è sempre bello

per piacere ed incontrar.

LORANO

Necessario è sopra tutto

i caratteri adattar;

anche il bel diventa brutto,

se si vede a strapazzar.

TOLOMEO

Anche il bel diventa brutto,

se si vede a strapazzar.

TUTTI

Ma l'ore passano:

convien riflettere,

convien risolvere

che s'ha da far.

LORANO

(ad Angiolina)

Farà il carattere

d'un'affettata.

ANGIOLINA

Non son portata.

TOLOMEO

Non è portata.

LORANO

(a Rosina)

Farà una femmina

di stil audace.

ROSINA

No, non mi piace.

TOLOMEO

No, non le piace.

LORANO

(a Claudio)

Di farvi io medito

un prepotente.

CLAUDIO

No, certamente.

TOLOMEO

No, certamente.

LORANO

Ma se si oppongono,

non so che far;

dev'esser libero

chi ha da inventar.

TOLOMEO

Dev'esser libero

chi ha da inventar.

LORANO

(ad Angiolina)

La parte scaltra.

ANGIOLINA

La dia ad un'altra.

LORANO

(a Rosina)

La bacchettona.

ROSINA

Non ne son buona.

LORANO

(a Claudio)

Un impostore.

CLAUDIO

No, mio signore.

LORANO

Corpo del diavolo,

cos'ho da far?

TUTTI

Convien risolvere,

convien pensar.

TOLOMEO

(a Lorano)

Se mi permette.

LORANO

Parlate pure.

TOLOMEO

Faccia un libretto,

in cui succedano

degli accidenti

con dei portenti

che non s'intendano;

acciò che il popolo,

per meglio intendere.

La sera prossima

debba tornar.

ANGIOLINA, ROSINA E CLAUDIO

Eh, far lasciamolo

quel che gli par.

TOLOMEO

Poi faccia all'ultimo

quel che gli par.

TUTTI

Per ben comporre,

per riuscir bene,

l'estro che viene

s'ha d'abbracciar.

Allegramente,

concordemente,

s'ha per l'onore

da faticar.

Atto secondo
Scena prima

Camera nell'albergo di Lorano.
Lorano ed un Servitore.

LORANO

Venga chi sa venire,

non ricevo nessuno. È una miseria.

(il servo parte)

Quando s'ha da compor, voglion venire;

e non val loro il dire:

scusino, che ho da far. «Sì, mio signore,

non la voglio sturbar, vado via subito.»

«Vengo a congratularmi.»

«La prego a comandarmi.»

«Conoscerla bramai...»

E loda, e secca, e non finisce mai.

Poh! chi l'avria mai detto,

ch'io comporre un libretto

dovessi in questi dì! Su via, spicciamola,

al tavolino andiamo;

quest'arietta del buffo terminiamo.

Io smanio come un cane,

che per amor latrando...

(scrive pensando)

Sì, va bene.

Il mastro di cappella è un uom valente,

il latrar spiegherà perfettamente.

...che per amor latrando,

di qua, di là saltando...

Qui m'aspetto

il maestro sentir spiegare il salto

or di terza, or di quinta, ed or più in alto.

(viene il servo)

Che c'è? Non te l'ho detto,

che non voglio nessun? Di' al gentilissimo

signor dottor che lo ringrazio; digli

che, per grazia del cielo, ora sto bene

e il dolor mi è passato,

e che alla sua virtù sono obbligato.

(il servo parte)

Gran disgrazia! ogni volta

che con tanto piacer son qui venuto,

qualche male soffrir mi è convenuto.

Io smanio come un cane,

che per amor latrando,

di qua, di là saltando,

la cagna vuol brancar.

(torna il servitore)

(al servitore, con sdegno)

Diavolo! non intendi?

(ascoltando il servitore)

Come? la prima donna?

La donna seria? Non vorrei dicesse...

Guai, se non la ricevo,

mai più me la perdona.

Di' che resti servita, che è padrona.

(il servo parte)

Scortese co' le donne

essere non saprei,

ma almen quest'aria terminar vorrei.

La cagna a lui s'oppone,

e vedesi il barbone,

sbuffando ed abbaiando,

rabbioso diventar.

Scena seconda

Petronilla ed il suddetto.

PETRONILLA

Serva, monsieur Lorano.

LORANO

Oh mia signora;

scusi, sarei venuto

a far l'obbligo mio. Ma sa ch'io deggio

l'opera terminar che ho principiata.

Favorisca seder.

PETRONILLA

Bene obbligata.

(siedono)

LORANO

La sua signora madre

che fa? sta ben?

PETRONILLA

Non molto:

è un poco incomodata,

perciò senza di lei

ho dovuto adempire ai dover miei.

LORANO

Troppa bontà.

PETRONILLA

Ricordomi che in Roma

favorì di venire in casa mia;

so con qual cortesia

promise procurarmi

un teatro in Venezia, e s'ella poi

si è per gli affari suoi di me scordata,

alla sua esibizion sono obbligata.

LORANO

Scusi, scusi davvero,

sono mortificato;

eppure ho procurato,

ma fur mie cure vane...

(rileggendo l'aria composta)

«Io smanio come un cane,

che per amor latrando...»

PETRONILLA

Perdono gli domando

se la venni a sturbar.

LORANO

No, mi fa grazia,

desidero servirla.

In che posso obbedirla?

PETRONILLA

Ella saprà

ch'io fo la parte seria.

LORANO

Sì signora,

lo so, e me ne consolo,

che si fa grand'onor.

PETRONILLA

Fo quel ch'io posso,

e per grazia e bontà son compatita.

LORANO

Con estremo piacere io l'ho sentita.

Non mi fe' meraviglia

la nota abilità del suo talento;

ma mi sorprese invero

veder con qual bravura e con qual arte

e con qual pulizia fa la sua parte.

PETRONILLA

Oh signor, cosa dice?

Si sa, che principiando...

LORANO

«Di qua, di là saltando,

la cagna vuol brancar.»

PETRONILLA

La voglio sollevar...

(in atto di alzarsi)

LORANO

No, resti comoda.

La prego ad iscusarmi,

e s'io vaglio a servirla, a comandarmi.

PETRONILLA

Perdoni, in cortesia;

una grazia le chiedo, e vado via.

Giacché in opera buffa

m'impegnai di cantar, la prego almeno

far sì che le mie scene

dalle parti grottesche

siano disobbligate,

e quando agisco, non vi sian risate.

LORANO

Signora, io le prometto,

avrò tutto il rispetto

che a parte seria si convien; ma pure,

in simili operette,

per unire l'intreccio e l'argomento,

sa che per ordinario

qualche cosa soffrire è necessario.

PETRONILLA

Pazienza. Almen nell'arie

il carattere mio serbar procuri.

LORANO

Sì, certo, si assicuri

che di tutto farò per aggradirla.

Ma per meglio servirla,

se sapesse a memoria

qualch'aria favorita,

me la faccia sentir. Sarà servita.

PETRONILLA

E il mastro di cappella?

LORANO

È galantuomo:

non servirassi del motivo istesso,

ma farà poc'appresso

quello che si suol fare in casi tali,

servendola nei passi principali.

PETRONILLA

Giacché tanta bontà ritrovo in lei,

un'aria come questa io bramerei.

(s'alza)

Se infelice e sventurata

vuol ch'io viva il mio destino,

il rigor di sorte ingrata

son costretta a tollerar.

Pur mi resta la speranza

che, in mercé di mia costanza,

s'abbia il fato un dì a cangiar.

(parte)

Scena terza

Lorano, poi il Servitore.

LORANO

Che di men si può far per soddisfarla?

Ella alfine è discreta, e sono avvezzo

trattar con virtuose

che su tutto von far le schizzignose.

Orsù via, seguitiamo;

per stassera quest'atto almen finiamo.

Scena quarta: Fabrizio e Menichina.

(viene il servo)

(al servo)

La finiam stamattina?

Via di qua, temerario.

Che dici? è l'impresario?

Se faranno così, non farò nulla.

Venga. Il capo mi frulla;

quello che ho fatto straccerei di core,

ma non vo' disgustarmi il protettore.

Scena quarta

Tolomeo ed il suddetto.

TOLOMEO

Cosa si fa? si scrive?

LORANO

Sì signore.

Ho di già cominciato, e scrivo in fretta.

TOLOMEO

Per carità, perché il maestro aspetta.

LORANO

Ma lasciatemi star, non mi sturbate.

TOLOMEO

Vado via, vado via; non v'inquietate.

Son venuto soltanto

per saper lo scenario,

e per aver la lista del vestiario.

LORANO

Troppo presto, signor; non so ancor dire

quai saranno le scene e i personaggi.

TOLOMEO

Come! già principiaste,

e lo scheletro ancor non disegnaste?

LORANO

Che parlate di scheletro? Io non uso

quest'inutil fatica. Do principio

come mi salta in testa, e verseggiando

vo il pensier maturando, e giungo al fine

dell'opra e dell'azione

misurando le scene a discrezione.

Capite?

TOLOMEO

(Il cielo me la mandi buona.)

LORANO

Siete mal persuaso?

TOLOMEO

No, signore.

Di voi mi fido, ma mi raccomando,

perché il bisogno mio si va aumentando.

Grida, si lagna e strepita la gente

che l'opera finor non val niente.

LORANO

Questa ch'ora va in scena,

meglio vi riuscirà.

TOLOMEO

Lo voglia il cielo;

ma è vecchia, e gran fortuna io non mi aspetto.

Con un paolo al viglietto,

con tante spese, che sperar mi resta?

La perdita è sicura e manifesta.

LORANO

Per me certo farò

tutto quel ch'io potrò per riuscir bene,

ma chi vuol guadagnar, spender conviene.

TOLOMEO

Come?

LORANO

(Questa campana

gli piace poco.)

TOLOMEO

Almeno nelle scene

spendere non vorrei.

LORANO

No, no, ne' libri miei

non soglio gl'impresari

rovinar co' scenari. A poco servono

le mutazion, le macchine, gli addobbi;

ci vuol musica buona, e buon libretto.

TOLOMEO

Che siate benedetto!

Fatemi un libro bello

in cui molto da ridere vi sia,

e che tenga l'udienza in allegria.

LORANO

Farò quel che potrò.

TOLOMEO

Principalmente

fate che nelle ariette

non manchi novità.

LORANO

Lasciate fare.

TOLOMEO

Vi prego a procurare...

LORANO

Con licenza,

terminare vorrei...

TOLOMEO

Che nei finali

vi sia del movimento e dello strepito.

LORANO

Caro signor, lasciate...

TOLOMEO

Caro signor, badate

che l'atto terzo, come siete usato,

non sia per brevità precipitato.

LORANO

Ho inteso.

TOLOMEO

E se potesse...

LORANO

(Io ci patisco.)

TOLOMEO

Un duetto vorrei...

LORANO

La riverisco.

(parte)

Scena quinta

Tolomeo solo.

Servo suo. M'ha piantato,

e il meglio, per mia fé, mi son scordato.

Volea raccomandargli

l'aria pe 'l buffo. Vorrei pur che il buffo

avesse un'aria a gusto mio. Vorrei

una cert'aria... Non so ben spiegarmi.

Oh, se fossi poeta,

delle cose farei da immortalarmi!

Vorrei un'aria,

che principiasse

con una tenera

modulazion.

E poi che il musico

si riscaldasse

con della comica,

con dell'azion.

E poi, all'ultimo,

che si cambiasse

in una musica

da colascion.

Vorrei l'udienza

far giubilar,

vorrei dal ridere

farla crepar.

(parte)

Scena sesta

Camera di Angiolina con clavicembalo.
Angiolina e Claudio, ambedue con carta di musica in mano.

ANGIOLINA

Oh che rabbia maledetta!

Mi vien proprio la saetta,

quando si ha da trasportar.

La mia voce è voce umana,

le mie corde son di petto:

cogli acuti, col falsetto,

non mi vo' precipitar.

CLAUDIO

Per vero dir, quest'opere,

che al dosso degli attor non son tagliate,

riescon per ordinario impasticciate.

E poi, che in quattro giorni

s'abbia in scena d'andar, dove s'intese?

Questa parte a imparar ci vuole un mese.

ANGIOLINA

E pure in questa sera

in iscena s'andrà.

CLAUDIO

Si vada pure,

sia con buona fortuna;

dell'arie mie non ne dirò pur una.

ANGIOLINA

Dicono che han Le nozze

altre volte incontrato, e pur vi sono

dei difetti non pochi. Per esempio,

l'arie del primo buffo

sono male annicchiate, e le mie pure

considerar conviene

che cadono ancor esse poco bene.

CLAUDIO

Certo. Nell'atto primo

il primo buffo canta solo, e poi

l'aria del second'atto

la dice in mezzo delle parti serie.

Scusi il signor poeta mio garbato,

questa volta mi par ch'abbia fallato.

ANGIOLINA

Io pur dell'arie mie

col primo buffo non ne dico alcuna.

La prima per fortuna

qualche incontro può far, ma la seconda

è troppo indifferente,

e per dire quel ch'è, non val niente.

CLAUDIO

I finali son buoni.

ANGIOLINA

Sì, il secondo

è migliore del primo.

CLAUDIO

E del duetto

cosa vi par?

ANGIOLINA

Dirò:

non sarebbe cattivo,

ma è un poco stiracchiato.

Compìto, terminato

era già l'argomento,

quand'ecco in un momento

fa nascere il poeta

di pazza gelosia furor mendace,

un duetto per far di sdegno e pace.

CLAUDIO

Zitto; s'ei ci sentisse,

se ne avrebbe per mal.

ANGIOLINA

Non vi è pericolo:

è un uom schietto e sincero,

e soffre volentier chi dice il vero.

CLAUDIO

Quand'è così, se alcuno

si sentisse da lui pungere un poco,

non ha da lamentarsi

s'ei gli dà libertà di ricattarsi.

Quel che piace e che diletta,

e che sempre piacerà,

è la critica corretta

con modestia e carità.

Basta poi non si confonda

con la critica il libello,

perché il vero è sempre bello,

quando salva è l'onestà.

(parte)

Scena settima

Angiolina, poi Rosina e Luigino con carte di musica in mano.

ANGIOLINA

Dice il ver, ma è difficile,

quando di criticare un si compiace,

che non usi la satira mordace.

ROSINA

Permette?

ANGIOLINA

Resti comoda.

LUIGINO

Perdoni.

ANGIOLINA

Che si servino pur. Non son padroni?

ROSINA

Vorrei studiar la parte,

e siccome il mio cembalo è scordato,

mi valerò del suo, se mi è permesso.

LUIGINO

E anch'io la prego del favore istesso.

ANGIOLINA

Bravi, così mi piace.

Quando si studia insieme,

fra due che non si vedon di mal occhio

s'approfitta assai più per ordinario,

e le cose van ben per l'impresario.

ROSINA

A lei piace scherzar.

LUIGINO

Vuol divertirsi.

ANGIOLINA

Via, vadano a servirsi;

ecco lì il clavicembalo:

lo lascio al suo comando.

Perdono a lor domando.

Il parrucchier m'aspetta. Io vo di là,

e li voglio lasciare in libertà.

Serva divota, con sua licenza;

con confidenza pon qui restar.

(a Rosina)

Ehi, favorisca. Una parola;

(piano a Rosina)

non ha piacere di restar sola?

(a Luigino)

Dica, signore, per cortesia:

(piano a Luigino)

non ha piacere ch'io vada via?

Eh via, che serve? Già c'intendiamo,

né lo possiamo dissimular.

(parte)

Scena ottava

Rosina e Luigino.

ROSINA

Venite qui, Luigino,

passatemi la parte.

LUIGINO

Affé, Rosina,

questa parte a imparar che mi hanno dato,

io non sono di voi meno imbrogliato.

ROSINA

Sì, ma voi finalmente

la musica sapete a sufficienza,

ed avrete del bravo alla cadenza.

LUIGINO

Basta ch'io mi ricordi,

nella confusion nella qual sono,

di terminare la cadenza in tuono.

ROSINA

Eh via, sguaiaterie; badate a mene.

Dite s'io dico bene.

LUIGINO

Perdonate.

ROSINA

Siete pure svenevole.

LUIGINO

Scusate.

ROSINA

Mi viene proprio la saetta.

LUIGINO

Via,

siate bonina ancor, se siete bella.

ROSINA

Vi venga la rovella.

LUIGINO

Poveraccio

mi augurate del male?

ROSINA

Sguaiataccio!

Che serve che venite

a ganzare, a stuccare e a ristuccare,

se una finezza non si può sperare?

LUIGINO

Su via, vi servirò.

ROSINA

Signor no, signor no, non vuò più nulla.

Io sono una fanciulla

che presto si scorruccia e si bisticcia.

Già lo sapete che non c'è più caso,

allorquando mi vien la mosca al naso.

Io parlo come penso,

e penso come parlo,

e il ver non vo' celarlo,

e soggezion non ho.

Non sono bella bella,

ma sono tenerella,

e un giorno mi farò.

Voi, caro Luigino,

voi siete un amorino,

ma spennacchiato un po'.

(parte)

Scena nona

Luigino solo.

Mi sta ben, me lo merito;

mi servirà di regola,

s'io dovrò seguitare a far il musico,

a non trattar con femmine

virtuose nel serio, o pur nel comico.

Già si sa che per solito

servir di noi si sogliono,

quando meglio non trovano; e se vengono

cavalieri, milordi o genti simili,

addio, compagno amabile

se da voi mi distacco, io son scusabile.

Bel piacer saria l'amare,

se in mercede dell'amore

ritrovar s'avesse un core

che serbasse fedeltà.

Ma lo disse gentilmente

il drammatico felice,

che cotesta è la fenice

il cui nido non si sa.

(parte)

Scena decima

Camera delle prove.
Lorano, Tolomeo e Claudio.

TOLOMEO

Bravo, monsieur Lorano.

L'atto primo è finito?

LORANO

Certo, è quasi compito,

ma pria di terminarlo

leggere qualcosetta io bramerei;

in tutti i libri miei

procuro sempre soddisfar gli attori,

ma quando i protettori

metton di mezzo perch'io muti, allora,

se poco gli piacea, fo peggio ancora.

CLAUDIO

Veramente i' volea

venir da lei.

LORANO

Non serve;

di core io ve lo dico,

io son di tutto amico.

Le finezze gradisco cordialmente,

e chi non vien da me, servo egualmente.

TOLOMEO

Via, se vuol favorir.

LORANO

Vorrei che almeno

ci fossero le donne.

TOLOMEO

Sì, signore;

andiamo, signor Claudio,

voi dalla seria, ed io dalle due buffe,

e voglia il cielo non ci sian baruffe.

(parte)

CLAUDIO

Con grazia, signor mio,

sentirò volentier qualcosa anch'io.

(parte)

LORANO

Certo, partir dovendo,

e il libretto lasciar, mi spiacerebbe

che alcun si lamentasse,

e che il libro dopo s'impasticciasse.

Ma sono in buone mani;

chi me l'ha fatto fare,

ha spirito, ha potere ed ha ragione

per difender la mia riputazione.

TOLOMEO

(viene dalla scena)

Signor, la prima buffa

è sotto al parrucchier: non può venire.

LORANO

E ben, non so che dire;

vengano l'altre almen.

(Tolomeo parte)

CLAUDIO

(viene dalla scena)

Signor, la seria

venir non è disposta,

perché le preme di spedir la posta.

LORANO

Si serva pure.

TOLOMEO

(viene, come sopra)

La seconda buffa

di non voler venire si è ostinata,

perché con Luigino è indiavolata.

LORANO

Bella, bella, la godo. Favorite.

Son fra loro divise, o sono unite?

TOLOMEO

Sono per avventura

tutte tre in una stanza.

LORANO

Facciam dunque

quel prodigio oriental che a tutti è noto:

s'esse non vonno favorir da noi,

perché si salvi il femminil decoro,

andiam concordemente, andiam da loro.

La testa! la posta! la bile! Cospetto!

Ragioni son queste che fan sbalordir.

Che libro? che scene? vuol esser tuppè.

Che studio? che prove? carteggio ci vuol.

Che do re mi sol? che sol fa mi re?

Se accendesi una bella

di sdegno e di furor,

si sa per ordinario

che manda l'impresario,

e il mastro di cappella,

ed il poeta ancor.

(partono)

Scena undicesima

Sala comune.
Petronilla ad un tavolino, che scrive. Angiolina Che si fa assettare il capo dal Parrucchiere. Rosina a sedere ingrugnata. Luigino a sedere poco lontano da Rosina, mortificato.

LUIGINO

Quest'è il premio che si acquista

a servir con fedeltà.

ROSINA

Signor sì, ci metta in vista

la sua gran sincerità.

PETRONILLA

Stiano zitti, per finezza,

finch'io scrivo, in carità.

ANGIOLINA

Ahi, che fate? ~ mi stroppiate;

lavorate ~ come va.

TUTTI

Che giornata tormentosa!

Ciascun freme, ciascun pena,

e stassera si va in scena,

e la parte non si sa.

Scena dodicesima

Lorano, Tolomeo, Claudio e detti.

TOLOMEO

Servo di lor signori.

ANGIOLINA

Che grazie, che favori

degnasi d'impartir monsieur Lorano?

LORANO

Fo il mio dover. Ma non vorrei piuttosto

d'incomodo riuscirle.

TOLOMEO

Egli vorrebbe

leggerci qualcosetta

del novello libretto.

ANGIOLINA

È una finezza

che per la parte mia m'obbliga molto.

ROSINA

Anch'io ne godo, e volentieri ascolto.

TOLOMEO

Via, sediamo, ascoltiamo,

e tutti in confidenza...

PETRONILLA

Signori, con licenza.

Già lo so che per me ci sarà poco.

La lettera a finir vo in altro loco.

(parte)

LORANO

Servitor suo.

TOLOMEO

Via, zitto, non importa;

già siam tanti che basta. Principiamo.

CLAUDIO

Qualche cosa di bel noi ci aspettiamo.

TOLOMEO

Venga innanzi ella pur, signor Luigino.

LUIGINO

Signori, a voi m'inchino.

Mi par per questa sera

aver bastantemente a divertirmi;

né più di quel ch'io son, vorrei stordirmi.

(parte)

LORANO

Padron mio.

TOLOMEO

Non fa nulla.

Quando i buffi ci son, noi siam contenti.

Via, ci faccia sentir. Signori, attenti.

(tutti siedono in giro)

ANGIOLINA

La supplico, signore.

Questa nuova operetta,

che titolo averà?

LORANO

È il titol suo: La bella verità.

ANGIOLINA

Bello, bello davvero!

ROSINA

È un titol nuovo.

CLAUDIO

Veramente ci trovo

un non so che di brio...

TOLOMEO

Signor sì, signor sì, l'approvo anch'io.

LORANO

Se del poco che ho fatto

bramano rilevare il sentimento,

prima gl'informerò dell'argomento.

ANGIOLINA

Va bene.

ROSINA

Sì signore.

CLAUDIO

È necessario.

TOLOMEO

L'argomento ci vuol, per ordinario.

LORANO

Favoriscan sentir benignamente.

Questo dunque è l'argomento:

le notizie intorno vanno,

che a Bologna quest'altr'anno

il magnifico teatro

senza fallo si aprirà.

E i cantanti e i ballerini

in orgasmo se ne stanno,

per l'onor d'esser i primi

a buscarsi quei quattrini

che Bologna spenderà.

ANGIOLINA, ROSINA E CLAUDIO

Già dal titolo si sa,

ch'è La bella verità.

LORANO

Ehi, l'amico è addormentato.

CLAUDIO

Per l'impresa è affaticato.

ANGIOLINA

Dorma pur placidamente.

ROSINA

L'argomento intieramente

noi bramiamo di saper.

LORANO

Son qui pronto al mio dover.

Una certa virtuosa

ha una voglia inspiritata

d'esser prima ricercata,

ma però non vuol parer.

ANGIOLINA, ROSINA E CLAUDIO

Chi mai può essere?

Chi mai sarà?

LORANO

Da me perdonino,

non si saprà.

ANGIOLINA, ROSINA E CLAUDIO

Ma in cotal opera

che par sì semplice,

qual bell'intreccio

poi ci sarà?

LORANO

È fecondissima

la verità.

Vedransi in moto

di qua, di là,

i protettori

per la città.

Chi per la brava,

chi per la bella,

chi esclude questa,

chi esclude quella;

sentite all'ultimo

la novità.

(vengono degli uomini con due vestiti da donna)

ANGIOLINA

Ecco il sarto coi vestiti.

ROSINA

Ora è ben che sian finiti.

(s'alzano)

ANGIOLINA

Quest'è il mio?

ROSINA

Quest'è per me?

ANGIOLINA E ROSINA

(forte, con del rumore)

Questo straccio che cos'è?

TOLOMEO

(svegliandosi)

Bravo, bravo, bene, bene.

È un bel libro, per mia fé.

LORANO

V'è piaciuto?

TOLOMEO

Così è.

ANGIOLINA E ROSINA

Signor mio, badate a me.

Con un abito sì tristo

recitar come potrei?

Dalla rabbia piangerei.

Non lo voglio, signor no.

(gettano i vestiti in terra)

TOLOMEO

Corpo del diavolo,

costano un pavolo?

Così si gettano?

Che indiscrezion!

LORANO

(a Tolomeo)

Di contentarle,

via, procurate;

almen cambiate

la guarnizion.

ANGIOLINA

Voglio le maniche

alla persiana.

ROSINA

Vo' dei rapporti

su la sottana.

ANGIOLINA

Voglio dei veli.

ROSINA

Vo' dei lustrini.

TOLOMEO

E i miei zecchini

s'han da gettar?

LORANO

(a Tolomeo)

Via, signore, siate buono,

cose grandi poi non sono.

S'han le donne a contentar.

CLAUDIO

(a Tolomeo)

Via, signor, siate cortese.

Giacché fate tante spese,

anche questa convien far.

ANGIOLINA E ROSINA

(a Tolomeo)

Impresario bello bello,

e buonin come un agnello,

non mi fate lagrimar.

TOLOMEO

Sì signori, sì signore,

l'impresario di buon core

ci vuol poco a far cascar.

(va facendo delle riverenze in segno di ringraziamento)

ANGIOLINA, ROSINA, LORANO E CLAUDIO

Viva il buon core

dell'impresario,

per ordinario

sempre gentile,

sempre civile,

sempre cortese,

che mai s'intese

dire di no.

TOLOMEO

Non lo so dire,

non lo dirò.

Atto terzo
Scena prima

Camera.
Petronilla, Luigino, Angiolina, Rosina e Claudio.

TUTTI

Viva, viva, allegramente;

la nostr'opera ha incontrato;

l'impresario sconsolato

questa volta non sarà.

ANGIOLINA

Signora Petronilla,

mi consolo con lei.

PETRONILLA

Con lei di core

me ne consolo anch'io.

ROSINA

Bravo, Luigino mio.

LUIGINO

Brava, Rosina.

CLAUDIO

Tutti allegri siam noi questa mattina.

Scena seconda

Monsieur Lorano e detti.

LORANO

Vivano lor signori,

viva il merito lor; me ne consolo.

Son venuto di volo

a fare il mio dovere,

per eccesso di gioia e di piacere.

ANGIOLINA

(a Lorano)

Il libro è cosa sua.

LORANO

Sì, ma a che serve

che il libro sia passabilmente buono,

se le attrici e gli attor bravi non sono?

ANGIOLINA

Cosa le par, signore,

del primo buffo? Si è portato bene?

LORANO

Non saprei. Non conviene

a me dire opinion.

PETRONILLA

La parte sua

l'ha fatta a meraviglia.

LORANO

Il poveruomo

fa quel che può.

LUIGINO

Non si potea far meglio.

ROSINA

Non si può recitar più al naturale.

CLAUDIO

Egli è comico molto, e molto vale.

LORANO

Basta, basta, signori.

ANGIOLINA

Oh, quest'è bella!

Se a noi piace lodare il primo buffo;

cosa c'entrate voi?

LORANO

Dirò... per dirla...

è tanto amico mio,

e tanto son con lui medesimato,

che con esso mi par d'esser lodato.

CLAUDIO

Non è picciol vantaggio,

per un che fa la professione nostra,

esser amico del poeta. È vero

che ci vuol, per piacere,

talento, abilità, voce e natura,

ma quando per ventura

al suo dosso tagliato è il vestimento,

s'ha un vantaggio del trenta e più per cento.

Per ciò le virtuose

coltivano i poeti,

perché più mansueti

si rendano con lor.

Talvolta li regalano...

(Lorano fa cenno di no)

Che dite? non è ver?

Oh, in questo mi perdonino,

io parlo con rispetto:

un qualche regaletto

sarebbe di dover.

(parte)

Scena terza

Tutti i suddetti, fuori di Claudio.

ANGIOLINA

(a Lorano)

Che dite voi di un tal pensiere, indegno

del poetico onor?

LORANO

Dirò, madama;

non chiedo e non pretendo,

ma delle gentilezze io non mi offendo.

PETRONILLA

Parliam d'un'altra cosa.

ROSINA

Sì, del libro

parliam che s'ha da far.

LUIGINO

La parte mia

può sapersi, signor, che cosa sia?

Scena quarta

Claudio e detti.

CLAUDIO

Presto, presto, signori,

venghino di là in sala. Un gran rinfresco

di caffè, cioccolata e biscottini,

da quattro uomini carchi fu portato,

e non vogliono dir chi l'ha mandato.

ANGIOLINA

Chi esser può, che lo mandi?

ROSINA

Non saprei.

PETRONILLA

Per me giudicherei

che fosse l'impresario.

CLAUDIO

Oibò, quest'è un giudizio temerario.

ANGIOLINA

(a Lorano)

Che fosse il protettor?

LORANO

Saria capace;

generoso è, si sa; ma poiché sono

tai protezioni troppo spesso in uso,

ei non vorrà introdurre un tal abuso.

ANGIOLINA

Monsieur Loran, sarebbe mai pericolo

che fosse tal sorpresa

una vostra finezza?

LORANO

Io? Pensate!

I rinfreschi che io do, non son triviali:

son canzoni, sonetti e madrigali.

Ma non vien l'impresario, e intorno al libro

vorrei si concludesse in questo giorno.

Vo a veder se lo trovo, e poi ritorno.

(parte)

CLAUDIO

Via, signori, al rinfresco andiamo; andiamo,

io sarò il condottier.

(parte)

ROSINA

Per me son lesta.

(Chi sa che me non abbia regalata,

quel ch'al poeta mi ha raccomandata?)

(parte)

ANGIOLINA

(Chi sa che a me non faccia

il rinfresco mandare il primo buffo,

e che gli altri per me godino a uffo?)

(parte)

LUIGINO

Sia chi esser si voglia

l'autor di una finezza sì compita,

farò onor a chi manda, ed è finita.

(parte)

Scena quinta

Petronilla sola.

Ognun pensi a sua voglia, io per me credo

che accettare il rinfresco non convenga,

quando che non si sa da dove venga.

Non credo che tacciata

sarò per ciò di sostenuta. Io sempre

ho amato più dell'oro

un po' di convenienza e di decoro.

È un dono del cielo

l'onesto decoro,

che vale un tesoro,

che prezzo non ha.

O mal lo conosce,

o molto no 'l cura,

chi il dono trascura

con troppa viltà.

(parte)

Scena sesta

Sala.
Un Servitore, poi Rosina, poi Angiolina, poi Luigino.

ROSINA

(al servitor, con fretta)

Il rinfresco dov'è?

ANGIOLINA

(al servitor, come sopra)

Dov'è andato il caffè?

LUIGINO

(al servitor, come sopra)

Che fu del cioccolato?

ROSINA

(al servo)

Come?

ANGIOLINA

(al servo)

Che cos'è stato?

LUIGINO

(al servo)

E la biscotteria?

ROSINA

Che?

ANGIOLINA

Non c'è più?

LUIGINO

L'hanno portata via?

Scena settima

Claudio e detti.

CLAUDIO

Zitto, signori miei,

vi dirò quel ch'è stato:

gli uomini avean fallato, e il bel rinfresco,

ch'io credea per le nostre virtuosine,

fu trasportato dalle ballerine.

ANGIOLINA

Se lo godino pure.

ROSINA

A queste cose

io non ci ho verun senso.

LUIGINO

Poco ci penso anch'io, ma pur ci penso.

CLAUDIO

Se qua fossimo stati tutti uniti

allorquando è venuto,

a quest'ora saria bell'e bevuto.

ROSINA

In fatti ella è così; da questi giorni

le finezze maggiori,

i miglior protettori,

son per le ballerine. Affé di mio,

voglio ballare anch'io. Vo' un po' vedere

se è il cantare o il ballar miglior mestiere.

Mi par nella persona

d'averci abilità;

e poi, non sarò buona

per far la ra la ra?

Se non arrivo il salto

poter spiccar in alto,

farò com'altre fanno:

le spalle salteranno,

la testa ballerà.

(parte)

Scena ottava

Angiolina, Luigino e Claudio.

ANGIOLINA

Oibò; che gran pazzia! Si son vedute

bensì più ballerine

lasciar il ballo ed abbracciare il canto,

ma esempio non si è dato,

ch'abbian prima cantato e poi ballato.

Il ballo io non disprezzo, ma soltanto

mi fa un po' di dispetto

sentir, quando si canta,

parlar, rumoreggiar senza intervallo,

e silenzio poi far quand'esce il ballo.

(parte)

Scena nona

Luigino e Claudio.

CLAUDIO

Dica quel che sa dir, non vi è rimedio;

ora dello spettacol teatrale

la parte principale

la musica non è, ma per finezza

si vuol dall'uditorio,

che noi siamo del ballo un accessorio.

(parte)

Scena decima

Luigino solo.

Io poi, sia per timore, o sia per sdegno,

non mi lascio avvilir fino a tal segno.

Trionfi il ballo pur; del suo trionfo

la conquista qual è? Qual più perfetto

danzator eccellente

giungerà a conseguir nel suo riposo

le ricchezze e gli onor di un virtuoso?

Bella virtù del canto,

niuno ti usurpi il vanto;

amabile tu sei

agli uomini, agli dèi,

ed alle belve ancor.

(parte)

Scena undicesima

Lorano e Tolomeo.

LORANO

Che è, signor Tolomeo,

che vi veggio turbato?

TOLOMEO

Sono un poco agitato

perché la nostra prima donna seria

è chiamata a Palermo. Civilmente

me l'ha fatto avvisar. Mi chiede in grazia

ch'io la lasci partir. Non è possibile

ch'io lo possa accordare, e non vorrei

ch'ella se ne lagnasse,

e per dispetto e di mal cuor restasse.

LORANO

No, no, non dubitate:

è buona e mansueta,

e la sua genitrice è assai discreta;

e poi, se la spronasse

l'interesse a partire, ovver l'onore,

fate che il protettore,

che ha saputo far forza ai voler miei,

le stesse buone grazie usi con lei.

TOLOMEO

Basta, m'ingegnerò. Più che la forza,

mi piace in casi tali

usar la cortesia,

perché ognuno di me contento sia.

LORANO

Veramente voi siete

il fior degl'impresari. Galantuomo,

puntuale, civil, discreto, umano,

facile a far piacer. Sovvienimi ancora

della vostra amicizia

qual effetto n'ebbi io tre anni or sono:

solo per vostro dono

da un impegno fatal, molesto alquanto,

ebbi d'uscir felicemente il vanto.

TOLOMEO

Non parliamo di ciò. Ditemi in grazia:

si va innanzi col libro?

LORANO

Veramente

nulla ho fatto di più, poiché ci trovo

delle difficoltà.

TOLOMEO

Ma spicciatevi ormai, per carità.

LORANO

Contro al solito mio, par questa volta

ch'io fatichi a compor. Non so se venga

dalla poca salute, oppur derivi

dal sterile argomento

che a trattar cominciai...

TOLOMEO

Per dir il vero,

quell'argomento non mi piacque un zero.

LORANO

Lo sentiste?

TOLOMEO

L'intesi

fra il sonno e la vigilia, e poi narrato

dalle donne mi fu. Che mai volete

inventar, ricavare, e poter dire

da un teatro novel che s'ha d'aprire?

LORANO

Da ogni scarso argomento

può l'ingegno cavar dramma fecondo

d'intreccio e novità.

TOLOMEO

Ma questa volta

vi prego in grazia mia

l'argomento cambiar per cortesia.

LORANO

Vi servirò.

TOLOMEO

Ma quando?

LORANO

Un po' di tempo,

datemi da pensar.

TOLOMEO

Vi lascio solo.

Torno da qui a mezz'ora, e son sicuro,

se davver ci pensate un sol momento,

che lesto al mio ritorno è l'argomento.

LORANO

Sì facil non è sempre...

TOLOMEO

Eh via, che serve?

Quando che voi vogliate,

per far le cose in fretta

avete una testaccia maledetta.

Vedeste in sul terreno

cader le piogge estive,

e tosto in un baleno

le rane belle e vive

e nascere, e saltar?

Tal nella vostra testa

d'Apollo la tempesta

fa nascere in momenti

le scene e gli argomenti,

degli ranocchi al par.

(parte)

Scena dodicesima

Lorano, e poi Angiolina.

LORANO

Sì, qualche volta, è vero,

mi guizzano le idee per il cervello,

come i pesci nel mar. Ma ora, per dirla,

non so che cosa sia,

pronta non è al voler la fantasia.

ANGIOLINA

Serva, monsieur Loran.

LORANO

Servo di lei.

ANGIOLINA

Supplicarla vorrei

di una grazia, signor.

LORANO

Comandi pure.

ANGIOLINA

Intesi a dir, così per accidente,

che in quest'opera nuova

ch'ella deve compor, non v'abbia ad essere

il solito duetto. Un tal pensiero

bramerei di saper se è vero.

LORANO

È vero.

ANGIOLINA

E chi ha il merto, signore,

di questa novità?

LORANO

Non lo so dire.

ANGIOLINA

Ed un simile torto io ho da soffrire?

LORANO

Non si fa, me lo creda,

per far torto a nessun; ma vi è chi crede

che, in luogo del duetto,

faccia meglio un terzetto od un quartetto.

Ciò altre volte si è fatto.

ANGIOLINA

È ver, si è fatto

quando la prima buffa, o il primo buffo,

non son buoni da nulla. Io non mi vanto,

ma faccio il mio dovere, e il mio compagno

lo fa al pari di me.

LORANO

Sì, non v'è dubbio.

Ma io, signora mia,

arbitrare non posso.

ANGIOLINA

Oh, quest'è bella!

Chi è che non vuole? il mastro di cappella?

LORANO

No certo. È un galantuomo,

e capace non è...

ANGIOLINA

Dell'impresario

forse è il pensier?

LORANO

Né meno.

ANGIOLINA

E di chi, dunque,

il consiglio sarà?

LORANO

Non lo so dire.

ANGIOLINA

A che serve coprire

la verità? Se un uom sincer voi siete,

dite che siete voi che non volete.

LORANO

No davver, v'ingannate.

ANGIOLINA

Su via, dunque,

se non viene da voi, da galantuomo

datemi la parola

che farete il duetto.

LORANO

In tutto io vi prometto

obbedirvi, servirvi: in questo no.

ANGIOLINA

Non lo volete far?

LORANO

Non lo farò.

Deh, vi chiedo umil perdono,

se indiscreto e ingrato sono:

ho per voi tutto il rispetto,

ma il duetto ~ io non farò.

ANGIOLINA

Ah, pazienza; io non son degna,

per me in voi bontà non regna;

di più dir non ho coraggio,

e l'oltraggio ~ io soffrirò.

LORANO

Lo sa il ciel quanto mi duole.

ANGIOLINA

Io non credo alle parole.

ANGIOLINA E LORANO

Qual rossore, ~ qual dolore

mi cagiona un crudel no!

ANGIOLINA

Serva sua.

(in atto di partire)

LORANO

Dove se n' va?

ANGIOLINA

Vado via.

LORANO

Si fermi qua.

ANGIOLINA

Ingrataccio!

LORANO

Poveraccio!

ANGIOLINA

Perché tanta crudeltà?

LORANO

(Ah, resister

più non posso.

Vengo rosso;

mi tormento,

e mi sento

fin le gambe

a vacillar.)

ANGIOLINA

(Io ci gioco

ch'ei s'arrende,

ch'ei s'accende

a poco a poco,

e il duetto

gli fo far.)

E così, padron mio bello?

LORANO

Fra l'incudine e il martello

io mi sento ad agitar.

ANGIOLINA

Il duetto non vuol far?

LORANO

Ah, la prego a perdonar.

ANGIOLINA

Orsù via, facciam così.

LORANO

Mi comandi, eccomi qui.

ANGIOLINA

Mi contento ch'ella scriva

quel che adesso abbiamo detto;

ed in luogo del duetto,

potrà il dialogo bastar.

LORANO

Lo farò, glielo prometto,

ma duetto ~ non vo' far.

ANGIOLINA

Non importa, son contenta.

LORANO

Mi rallegro, mi consolo.

ANGIOLINA

Scriva tutto.

LORANO

Tutto, tutto.

ANGIOLINA

E il duetto lasci star.

LORANO

No, duetto non vo' far.

ANGIOLINA E LORANO

Sia ringraziato

l'amico fato,

che alfin contenti

ci fa restar.

Ripien di giubilo

mi sento il petto,

che più al duetto

non s'ha a pensar.

(partono)

Scena tredicesima

Altra sala.
Petronilla, Rosina, Luigino e Claudio.

CLAUDIO

(a Petronilla)

Siete dunque chiamata

a Palermo a cantar?

PETRONILLA

Sì, mio signore,

per prima donna seria

m'invitano a Palermo, e v'è Mazzanti,

e vi è una compagnia che mi fa onore.

Domando per favore

che mi lascino andar, e se negata

mi verrà la licenza,

manterrò la parola, e avrò pazienza.

LUIGINO

Brava, così va fatto.

Dell'altrui stima ci rendiam più degni,

quando si sa che manteniam gl'impegni.

ROSINA

Né si deono accettar nuovi trattati,

se non è terminato

il trattato primier ch'è incamminato.

CLAUDIO

Pur tai delicatezze a' nostri dì

si veggono osservar così e così.

Scena ultima

Angiolina, Lorano, Tolomeo, e detti.

TOLOMEO

Ecco, signori miei.

Ecco monsieur Loran, che si è pentito

del primiero argomento,

e un novel ne ha trovato in un momento.

ANGIOLINA

Senza il duetto?

TOLOMEO

(a Lorano)

Sì, per questa volta

tollerare convien. Non vi ha da essere,

non vi sarà.

LORANO

(a Tolomeo)

Non lo farò, ve 'l giuro.

ANGIOLINA

(a Lorano)

Tralasciatelo pur, non me ne curo.

TOLOMEO

(a Lorano)

Su via, sentiamo un poco

l'argomento novello.

LORANO

Eccomi lesto;

stravagante è il pensier, facile e presto.

Tutto quel che è succeduto,

dopo ch'io son qua venuto,

perch'io faccia un tal libretto,

in iscena si vedrà.

TUTTI

Quest'è un'altra novità.

LORANO

Libertà da tutti imploro

di parlare un po' di loro,

che di pormi in scena anch'io

non avrò difficoltà.

TUTTI

Quando sia discretamente,

noi vi diam la libertà.

LORANO

E così del mio libretto

che sincero vi prometto,

giusto il titolo sarà:

della Bella verità.

TUTTI

Ed il ver, che sempre piace,

anche adesso piacerà.

ANGIOLINA E ROSINA

La signora Petronilla

necessario è che ci sia;

s'ella manca, se va via,

questo libro non si fa.

PETRONILLA

All'impegno ~ mi rassegno,

e restar mi converrà.

TOLOMEO

Presto, via, monsieur Lorano,

al libretto si dia mano.

LORANO

Sì signore, presto presto

terminato si vedrà.

TUTTI

Sarà un libro capriccioso,

sarà forse spiritoso,

e diletto recherà

co' la Bella verità.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 14/01/2016
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