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Farnace

FARNACE

Dramma per musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Antonio Maria LUCCHINI.
Musica di Antonio Lucio VIVALDI.

Prima esecuzione: carnevale 1727, Venezia.


Attori:

FARNACE re di Ponto

contralto

BERENICE regina di Cappadocia madre di Tamiri

soprano

TAMIRI regina sposa di Farnace

contralto

SELINDA sorella di Farnace

soprano

POMPEO proconsole romano

contralto

GILADE principe del sangue reale, e capitanio di Berenice

soprano

AQUILIO prefetto delle legioni romane

tenore


Un fanciullo, figlio di Farnace e Tamiri. Cori di Soldati romani, e asiatici.

Il luogo dell'azione in Eraclea.

Argomento

Farnace fu uno de' figlioli di Mitridate re di Ponto, e successe come maggiore d'età de' regni paterni da poi che l'armi romane obbligorno quel principe già sconfitto ad uccidersi con la propria sua spada. Insidiò Mitridate, vivendo, a Berenice regina di Cappadocia per l'avidità d'occupar anche quel dominio, e con l'occasione, che questa regina rimase vedova d'Ariarate suo sposo, non solamente le fece uccidere un figlio, che di questo avea avuto, ma le impedì, e frastornò le seconde nozze con Mitridate re della Bitinia di lei invaghito. In tale stato di cose aspirando Farnace all'unica figlia di Berenice per l'odio implacabile, ch'essa regina portava a Mitridate, la rapì, e la sposò ad onta della madre, la quale in vendetta di tali affronti, e violenze s'unì con l'armi romane contro Farnace, e contro la figlia medesima, che a maritarsi con esso avea consentito, e ne procurò con ogni suo sforzo la totale rovina.

Atto primo
Scena prima

Riviera dell'Eusino con folta selva, che ingombra tutta la scena.
Farnace con spada nuda in mano, poi Tamiri.

FARNACE

Benché vinto, e sconfitto

perfide stelle, io son Farnace ancora,

di Mitridate il figlio

ha in pugno ancor di Mitridate il brando,

ha in seno ancor di Mitridate il core.

Per lacerar i lauri in su la chioma

alla superba Roma

risorgerò, nemico ognor più crudo,

cenere anche sepolte, e spirto ignudo.

TAMIRI

Mio consorte, mio re, deh per le sacre

venerabili fiamme

d'amor, e d'Imeneo, per quella fede,

che annodò le nostre alme, arresta il piede.

FARNACE

Non ami ben, se l'onor mio non ami.

TAMIRI

Amo, sì, l'onor tuo, ma mi spaventa

l'orror dell'imminente alto periglio.

FARNACE

Dov'è più di periglio, è più di gloria.

TAMIRI

Vanne dunque, o crudel, e qui mi lascia

tra le fiere agonie de' miei timori.

Lascia in balìa del vincitor superbo

la sposa desolata,

e l'infelice, oh dio! tenero figlio,

perché vadano entrambi

tra le schiave più vili a torcer lane,

ed a baciar le clamidi romane.

FARNACE

(Questo solo pensiero

urta la mia costanza;

ma lo domi virtù robusta, e forte.)

Sposa Tamiri, ascolta.

TAMIRI

Il cenno attendo.

FARNACE

Quest'acciaro fatal prendi, o regina:

e sovra d'esso giura

d'eseguir quella legge,

che uscirà dal mio labbro.

TAMIRI

Eccomi pronta.

FARNACE

La tiranna del mondo

puote ancora esser vinta;

ma se l'empia fortuna

idolatra di lei per lei pugnando,

farà che sul mio capo

l'aquile abominate alzino il volo,

tutto nel cor del figlio, indi nel tuo

tu questo ferro immergi.

Dall'indegno servaggio esso vi sciolga,

e l'ingiurie del ferro il ferro tolga.

TAMIRI

Due gran prove mi chiedi,

signor, del mio coraggio.

L'una è degna di me perché son moglie,

l'altra è indegna di me perché son madre.

FARNACE

Anch'io son padre, e te 'l comando. A noi

questo nome non toglie

l'alta necessità d'oprar da grandi:

torna tosto in città, Tamiri, addio,

con quest'amplesso impegno

l'ubbidienza tua. Servi alla legge

che giurasti al mio amor, e alla mia gloria,

e pensa che consorte

di Farnace non sei se non sei forte.

Ricordati che sei

regina madre, e sposa,

che dell'onor gelosa

ti vuol la maestà.

Pria che soffrir la pena

d'una servil catena,

sì, sì questa tu déi

pietosa crudeltà.

Scena seconda

Tamiri sola.

Ch'io mi tolga col ferro

all'onta del trionfo

è giustizia, è ragione, e sì grand'atto

stabilito era già ne' miei pensieri.

Ma che col ferro stesso

io sveni il caro figlio, il figlio amato

è fierezza crudel d'ingiusto fato.

Combattono quest'alma

la gloria, la pietà,

l'amor, la fedeltà.

Lo sposo, il figlio.

Lo sposo tradirò?

Il figlio ucciderò?

Ah che l'ingiusta palma

non so di chi sarà,

cieli consiglio!

Scena terza

Escono Guastatori, che troncando in breve la selva la riducono ad un'aperta campagna, vedendosi in fondo il mare, e in esso l'armata navale di Berenice, e da una parte la città di Eraclea con ponte, che introduce nella medesima. Approdano le navi, e gettati i ponti sbarca sul lido l'Esercito, e dopo sbarcano da ricco naviglio Berenice, e Gilade con numeroso reale Accompagnamento.

CORO

Dell'Eusino con aura feconda

approda alla sponda

la guerriera, l'eccelsa regina.

Qui la gloria d'un'alta vendetta

invitta l'aspetta

del nemico all'estrema rovina.

GILADE

Del nemico Farnace

questo è l'impero, e quella

che là si vede torreggiar vicina

è la città de' regni suoi regina

ei se non mente della fama il grido

già ne' vicini campi

dal romano valor fu debellato.

BERENICE

Fu debellato, sì, ma non fu vinto.

GILADE

Se con l'armi di Roma

le tue congiungi il tuo trionfo è certo.

BERENICE

Sì, da Roma invitata

a guerreggiar contro Farnace io venni.

GILADE

Nunzi del nostro arrivo

al gran duce romano invia messaggi.

BERENICE

È già noto a Pompeo che Berenice

con cento amiche schiere

dell'Eusino guerrier preme le sponde.

GILADE

Ma qual gente improvvisa

a noi s'appresta?

BERENICE

Io vedo

nell'insegne ondeggiar l'aquila invitta.

Scena quarta

Pompeo, Aquilio con l'Esercito romano e detti.

POMPEO

Amazzone real dell'oriente...

BERENICE

Debellator de' più feroci imperi.

POMPEO

Berenice.

BERENICE

Pompeo.

POMPEO

Roma t'accoglie

con le mie braccia.

BERENICE

E con le mie riceve

l'Asia gli amplessi tuoi.

POMPEO

Contro i ribelli

della gloria romana

combatteremo uniti.

BERENICE

Mora Farnace. Altro da te non bramo.

POMPEO

Mora Farnace. Ad assalir le mura

ov'ei s'asconde io moverò le squadre

de' più scelti guerrieri,

tu l'assalto feroce

d'altra parte asseconda, e vendicato

a momenti sarai.

BERENICE

(a Gilade)

Principe udisti.

Sotto l'altro comando a tant'impresa

guida tu le nostre armi.

GILADE

Seguirò coraggioso

l'orme di sì gran duce.

BERENICE

Col suo esempio

o renderai maggior la mia fortuna,

o nell'opre ammirande

lascerai l'ombra almen d'un nome grande.

Scena quinta

Pompeo, Gilade, Aquilio.

POMPEO

Guerrieri, eccovi a fronte

la città più superba

ove regni Farnace, ove regnasse

il gran nemico Mitridate. In quella

è il più forte riparo

dell'Asia già cadente,

la difesa maggior dell'oriente.

CORO

Su campioni, su guerrieri

coraggiosi, arditi, e fieri

a ferire, a fulminar.

Con le fiamme, cogl'acciari

sdegno atroce si prepari

quelle mura ad atterrar.

Segue l'assalto della città, che viene attaccata sul ponte. Sortiscono gl'Assediati, e respingono sul campo gl'Assalitori, i quali incalzano nella città gl'Assaliti, e se ne impadroniscono. In questo esce dal bosco Farnace co' suoi Soldati.

FARNACE

In sì gran punto ancora

la fortuna si tenti, o almen si mora.

Investe alle spalle i Nemici, e dopo fiero contrasto Farnace co' suoi resta fugato.

Scena sesta

Aquilio con Selinda dalla parte della città, dall'altra Berenice con Séguito, Pompeo, Gilade, e Soldati sul campo.

SELINDA

Signor, s'anche fra l'armi

pietade ha luogo, e cortesia non toglie

punto di lena a marziali incendi,

me donzella non vile

dal militare ardir salva, e difendi.

AQUILIO

(Quanto è vaga costei!)

GILADE

(Quanto è gentile!)

POMPEO

Sorgi, e il grado palesa.

SELINDA

Io son Selinda.

BERENICE

Selinda di Farnace

la superba germana?

POMPEO

Avrai nel nostro campo

bella Selinda e sicurezza e scampo.

Gilade, a te consegno

l'illustre prigioniera.

BERENICE

Ben guardata ella sia

finché di Roma il fulmine fatale

sul fratel contumace oggi se n' cada.

POMPEO

Su l'abbattute mura

la vittoria ci chiama. Andianne omai.

BERENICE

(Di quel barbaro alfin mi vendicai.)

(entrano in città)

Scena settima

Selinda, Gilade, Aquilio, alcuni Soldati.

SELINDA

A' nostri danni armata

venne ancor Berenice?

E congiurò con le romane squadre

contro l'unica figlia ancor la madre?

GILADE

Non ha riguardi, o bella,

la ragion dello sdegno.

AQUILIO

E a questa cede

ogni ragion del sangue, e dell'amore.

SELINDA

(a Gilade)

E tu per lei pugnasti

di regina crudel duce peggiore?

GILADE

Pugnai per Berenice

pria di veder Selinda.

(Or che Selinda io vidi

aborro Berenice,

odio la mia vittoria

detesto il mio valor, e la mia gloria.)

Nell'intimo del petto

quel caro, e dolce sguardo,

mi va cercando il cor.

Non mi difendo, o guardo,

ma godo del diletto

che mi promette amor.

Scena ottava

Selinda, Aquilio, e alcuni Soldati.

AQUILIO

A sorprendermi il cor, bella Selinda,

splende nel tuo bel viso

la più serena idea, che mai scendesse

dall'alte sfere ad illustrar la terra.

SELINDA

Duce, me non alletta

aura di vana lode.

AQUILIO

Amor favella.

SELINDA

Amore

in un eroe romano?

AQUILIO

Che? Non amano forse anche gl'eroi?

SELINDA

Sì, ma non sono eroi se sono amanti.

Vanne; non è possibile che mai

Aquilio il maggior duce

dell'invitto Pompeo

vaneggi adornator del mio sembiante.

Sei guerriero nell'Asia, e non amante.

AQUILIO

Se guerrier son io,

come tale m'accogli, e mi concedi

generosa l'onor di tuo campione.

SELINDA

Senti: libera io nacqui, e nelle vene

ho un sangue, che più volte

fe' vacillar in fronte

alla tua Roma i combattuti allori.

Questo sangue mal soffre

l'onte della fortuna

qualche cosa tu ardisci

degna di te, degna di me; rifletti

su le mie voci, e su le mie vicende,

e se sprone bisogna al tuo valore,

sappi, che questo core

da' sereni occhi tuoi non si difende.

AQUILIO

Ma se tu non palesi il tuo desio...

SELINDA

Vanne, e pensaci bene Aquilio, addio.

AQUILIO

Begl'occhi io penserò.

Ma che risolverò?

Se ho già risolto, sì, di sempre amarvi.

Voi siete il pensier mio,

ad altro non poss'io

pensar che a vagheggiarvi.

Scena nona

Selinda con alcuni Soldati.

SELINDA

Qual sembianza improvvisa

in Gilade abbagliò le mie pupille?

Ah se mai fosse amore! Eh, no, Selinda

servi, servi al tuo grado. A entrambi lascia

con le lusinghe libertà d'amarti.

Nasceran dall'amor le gelosie,

e dalle gelosie l'ire, e gli sdegni.

Così forse amerai

Roma contro di Roma, e Berenice

contro di Berenice, e così forse

degl'occhi miei con la fatal saetta

io medesima farò la mia vendetta.

Al vezzeggiar d'un volto

al balenar d'un ciglio

giunge la piaga al cor

che non temea d'amor fatal il dardo.

E nella rete colto

resta così il valor

el lusinghiero ardor d'un dolce sguardo.

Scena decima

Luogo de' mausolei, in mezzo de' quali v'è gran piramide destinata per sepolcro dei re di Ponto.
Tamiri sol suo piccolo Figlio condotto a mano da un Servo.

TAMIRI

Figlio, non v'è più tempo:

l'empia Roma trionfa, e a noi de' numi

nessun più resta, o restano i men forti.

Morir si dée; l'ira fatal è giunta.

Or che farò? S'adempia

di Farnace il comando,

ma non s'adempia in questo

delle viscere mie parto innocente.

E poiché non rimane

d'un impero sì nobile, e di tante

città superbe un breve

spazio di terra, ove un bambin s'asconda,

disserra, o fido servo,

questo sacro, e feral tempio dell'ombre

ivi il figlio si celi.

(prende per mano il figlio, e 'l servo va ad aprir la piramide)

O figlio, o troppo tardi

nato all'afflitta patria, e troppo presto

alla madre infelice.

Io ti dono una vita.

Che il genitor condanna,

ma ti riserbo al rischio

d'una servil catena. Abbila in grado

s'ella è pietà, s'è crudeltà, perdona

andianne, o figlio.

(s'incammina, ma ripugnando il fanciullo torna indietro)

Ah tu ritiri il passo

e prendi a sdegno il vergognoso asilo.

Cedi alla tua fortuna,

diletto mio, cedi al destino, e vivi.

Tempo forse verrà che tu ripigli

l'indole generosa, e che ritolga

alla lupa tiranna

l'usurpato dominio. Oggi ti basti

d'ingannar la tua morte. Intanto, o caro,

questo bacio ricevi

del mio povero amor ultimo dono.

L'alma sen viene in esso

tutta sul labbro, ed a seguirti impara.

Vanne, fra pochi istanti

anch'io verrò. Mi chiuderà l'istessa

tomba, ch'ora ti chiude.

Ti starò sempre al fianco,

veglierò su' tuoi casi. Ombra gelosa

vanne, idol mio; colà ti cela, e posa.

(entra il fanciullo nella piramide, e il servo chiude la porta)

Ma se di madre abbastanza

si è serbato il costume,

tornisi a ripigliar quel di consorte.

(cava lo stile datole da Farnace)

Fiero ordigno di morte

delle sciagure mie rimedio estremo

aprimi il petto, e col mio sangue scrivi

che da regina io vissi, e da regina,

libera, e coronata

seppi ancor morir.

(mentre vuol uccidersi vien arrestata improvvisamente da Berenice)

Scena undicesima

Berenice con Guardie, e detti.

BERENICE

(togliendole lo stile)

Fermati ingrata.

TAMIRI

Qual ingiusta pietà?

BERENICE

Qual folle ardire?

TAMIRI

Usurparmi una morte,

che i miei disastri onora?

BERENICE

Arbitrar d'una vita

di cui Roma è signora?

TAMIRI

Ma tu di Roma amica,

dimmi, se giungi a me madre, o nemica?

BERENICE

Figlia di Berenice

in me madre or vedi,

me sposa di Farnace

vedi in me la nemica, e la tiranna.

TAMIRI

E in che peccò quell'infelice, amando

la tua prole in Tamiri,

e l'immagine tua nel mio sembiante?

BERENICE

In che peccò? Non ti rapì l'indegno

dalle mie braccia a mio dispetto?

TAMIRI

Ed io

qual oltraggio ti feci

con ubbidir al mio destin?

BERENICE

Dovresti

alla madre ubbidir pria che al destino.

TAMIRI

Ah regina...

BERENICE

Non più. Dove ascondesti

del mio fiero nemico

l'odiato germe?

TAMIRI

Oh dio!

Nella strage dell'Asia il cerco anch'io.

BERENICE

Nel pallor del tuo volto

la tua frode io ravviso.

Parla: il figlio dov'è?

TAMIRI

Dov'è il mio sposo?

Dove il mio regno? E dove

con la mia libertà la mia grandezza?

BERENICE

Non passeggia il dolor con tanto fasto

su le grandi sciagure

tu l'occultasti, iniqua;

ma i tormenti, e le fiamme

ti trarranno dal sen l'alma, o l'arcano.

TAMIRI

Pensi di spaventarmi? Io sono avvezza

a sfidar la mia morte.

Svenami, chi te 'l vieta?

Chi ti chiede pietà? Giunta all'estremo

delle miserie mie, nulla più temo.

Scena dodicesima

Pompeo con Séguito, e dette.

BERENICE

Signor: costei che audace empie le vene

del sangue mio, ma nel suo core impressa

ha l'immagine sol del suo Farnace,

sia pur tua prigioniera.

D'esserle madre io sdegno

da che l'empia sdegnò d'essermi figlia.

Il nome di regina

cangi in quello di serva, e de' suoi regni

abbia sol tanto appena

quanto può misurarne una catena.

TAMIRI

Signor, miri al tuo piede

dell'invitto Ariarate

una figlia infelice,

odiata così da Berenice

perché serba nel petto

pieno di fede, e di costanza il core

come l'ereditò del genitore.

POMPEO

Ben ti risplende in volto

la chiarezza del sangue, e in un dell'alma

nulla io chiedo da te. Sei prigioniera

della tua genitrice. A lei t'inchina,

ed in lei riconosci

la vincitrice tua, la tua regina.

BERENICE

No, no. Resti l'iniqua

resti pur ne' tuoi lacci,

finché riveli dove

ostinata nasconde il figlio indegno

ad onta del mio amore, e del mio sdegno.

Da quel ferro, ch'ha svenato

il mio sposo sventurato

imparai la crudeltà.

Nel mirar un figlio esangue

e bagnato del mio sangue

mi scordai della pietà.

Scena tredicesima

Tamiri, e Pompeo.

POMPEO

Donna, la tua fortuna

è comune al tuo amor. Ceda il tuo amore

dunque alla fortuna, e non contenda

al vincitor della vittoria il frutto,

in quel tenero tralcio

d'una pianta rubella

può germogliar un gran nemico a Roma.

L'Asia non è ancor doma,

e ben saria cagione

la mia stolta pietà d'alto periglio,

se risorgesse il genitor nel figlio.

Se si nasconde

tra verdi fronde

benché bambina

serpe insidiosa,

men velenosa

ella non è.

Nel pargoletto

tuo dolce oggetto

di quella serpe

temer si de'.

TAMIRI

Roma dunque ci teme? O fortunate

nostre cadute! Vive,

sì, vive il pargoletto

tanto da voi temuto eroi latini.

Vive, ma custodito

dai voti della patria, e dalle mie

diligenze amorose:

in esso io celo a Roma

la più nobil spoglia, in esso io tolgo

il suo maggior trofeo

al domator dell'Asia, al gran Pompeo.

Non trova mai riposo

l'anima sconsolata

se persa nello sposo

ha la sua pace.

Or che in spavento mira

il fiero vostro cor

ripiglia il suo vigor

e il duolo tace.

Atto secondo
Scena prima

Luogo spazioso d'architettura nella reggia.
Selinda, Gilade, e Aquilio.

GILADE

Principessa gentil, ciascun di noi

ha l'illustre ardimento

di sospirar per te. Ma le nostr'alme

rivalità soffrir non ponno. Eleggi

qual di noi più ti piace.

AQUILIO

Già in fortuna diversa ambo contenti

l'uno delle sue gioie,

e l'altro si godrà de' suoi tormenti.

SELINDA

Ambo dunque per me d'amore ardete,

ed ambo mi chiedete

ch'io rifiuti un di voi?

GILADE

Pende il nostro destin da' cenni tuoi.

SELINDA

Io goderei d'appagarvi,

ma...

GILADE

Qual dubbio?

AQUILIO

Qual tema?

SELINDA

Chi sarà poi l'escluso

si turberà? Si sdegnerà?

AQUILIO

Tranquillo.

GILADE

Sereno.

AQUILIO

Imperturbabile.

GILADE

Costante.

AQUILIO

Soffrirò la ripulsa.

GILADE

Al rival cederò.

SELINDA

(ad Aquilio)

Quest'è l'amore

che per me t'arde il core?

(a Gilade)

Mi potesti lasciar con tanta pace

e sospiri per me?

(ad Aquilio)

Finto.

(a Gilade)

Mendace.

(ad Aquilio)

Lascia di sospirar.

(a Gilade)

Lascia di vaneggiar.

(ad Aquilio)

Tu non intendi amor.

(a Gilade)

Tu amor non sai.

(ad Aquilio)

Se poi quando ti piace

snodar i tuoi legami.

(a Gilade)

Estinguer la tua face.

(ad Aquilio)

Non hai catene al cor.

(a Gilade)

Fiamme non hai.

Scena seconda

Gilade, Aquilio.

GILADE

Tempo miglior si scelga, onde la bella

meno schiva, e guardinga

a noi palesi il genio suo.

AQUILIO

Son queste

solite ripugnanze

di ritrosa beltà, che poi s'arrende,

già ch'altro non pretende

con quel tenero suo dolce rigore

che aggiunger essa ad un novello amore.

Mi sento nel petto

un certo diletto

che nasce da speme

di sorte miglior;

deride l'altera,

ma l'anima amante

però non dispera

contento l'amor.

Scena terza

Gilade, e Berenice con Séguito.

BERENICE

Di Farnace, e del figlio

cerchisi in ogni parte. Alto sospetto

mormora nel mio petto

ch'entro la reggia ascosi

vivano entrambi.

GILADE

Ubbidirò. Ma donde

donde contro Farnace odio sì fiero

sino a volerlo estinto?

Perdona al zelo mio. Tanto rigore

per esser giusto i suoi confini eccede.

BERENICE

Quai confini trovasti

nella rabbia crudel di Mitridate?

Egli oppresse sul campo

con empio tradimento

il mio sposo Ariarate. Egli recise

con ferro micidiale

il più eccelso rampollo

del mio trono reale;

egli tutto tentò per mio periglio.

GILADE

E le colpe del padre ascrivi al figlio?

BERENICE

Se non è reo Farnace

de' paterni delitti

altamente m'offese

allor che mi rapì la mia Tamiri.

Non più Gilade. Intanto giacché destino

guidò Selinda ne' lacci miei, io voglio

cominciar da costei la mia vendetta.

La vittima è ben degna.

GILADE

Ah mia regina...

(s'inginocchia)

BERENICE

Che pretendi da me? Levati, e parla.

GILADE

Dona al sangue, ch'io spargo

per la grandezza tua, dona al mio zelo

dona al mio amor.

BERENICE

Selinda?

GILADE

Ah l'innocente

parte non ha...

BERENICE

Gilade già m'avvedo

che divenuto sei un folle amante.

Sai pur che in cor guerriero

è fallo amor. Cangia però pensiero.

Langue misero quel valore

che in amore ~ al molle affetto

vaneggiando ~ sospirando

dà ricetto ~ alla piaga nel cor.

Vile ei perde e gloria, e nome,

poi volendo non sa come

riaccender marziale l'ardor.

Scena quarta

Gilade solo.

No che amor non è fallo in cor guerriero

anzi all'eroiche imprese

stimolo di valore

al pari della gloria è spesso amore.

Contro la mia diletta

Berenice non s'armi, o in pena attenda

ch'io crudeltà per crudeltà le renda.

Arsa da rai cocenti

io son misera pianta

in cui di speme il verde

perde l'agricoltor,

ma pur ancor avanza

speranza a questo cor.

Scena quinta

Mausolei con la piramide destinata per sepolcro dei re di Ponto.
Farnace.

No, che ceder non voglio. Ancor mi resta

un momento fatale

che renda memorabile, e tremendo

al gran giro de' secoli il mio nome.

Oppressa libertà ti devo ancora

l'ultimo sacrificio. Oggi s'adempia.

Son già scelte le vittime, e son tali

che ben ponno illustrar la mia sciagura.

Scenderò negli Elisi

con le spoglie superbe

di due tiranni trucidati, e carco

di trofeo sì pesante

stancherà l'ombra mia sul guado estremo

dell'antico nocchier il fatal remo.

Scena sesta

Tamiri, e detto.

TAMIRI

Pupillo, o voi sognate, o questi è certo

il diletto mio sposo.

FARNACE

(Cieli! Vive Tamiri, e al mio comando

non ubbidì?)

TAMIRI

Qual nume

mosso a pietà degli aspri miei tormenti

ti riconduce a consolarmi, o caro?

FARNACE

Quel nume spergiurato

da te vil donna.

TAMIRI

Ah che quel nume stesso...

FARNACE

Taci. Cotanto è dunque

dolce la vita ai miseri, che ponno

goderne ancora in servitù crudele?

TAMIRI

Io ben volea morendo

fuggir l'ingiurie della mia fortuna

ma Berenice...

FARNACE

Intendo.

Berenice ti diede

col sangue suo la sua viltà. Ma forse

al primo tradimento

il secondo accoppiasti,

e all'oltraggio del barbaro trionfo

il figlio mi serbasti.

TAMIRI

Ah lo serbai... (Deh secondate, o cieli,

l'amorosa menzogna.)

Ma lo serbai di quella tomba in seno.

Ivi è sepolta, oh dio!

l'unica tua delizia, e l'amor mio.

FARNACE

Dunque morì l'amata prole? Ah troppo,

troppo ottenne da me la mia sciagura.

Si è servito alla gloria, ormai si serva

alla paterna tenerezza. Parli,

parli alquanto il dolore,

poi la virtù il sommerga entro del core.

Perdona, o figlio amato,

perdona al genitor,

ah sol del troppo amor

io fui spietato.

S'io piango sol per te

non ti lagnar di me,

e negli Elisi, oh dio!

non dir, fu il padre mio

che m'ha svenato.

Scena settima

Berenice con séguito di Soldati, e Tamiri.

BERENICE

Olà? Queste superbe

memorie d'una stirpe

insidiosa a Berenice, e a Roma,

cadano a terra sparse.

TAMIRI

Oh dèi! Che sento?

BERENICE

E 'l cenere infedel disperda il vento.

TAMIRI

Ah regina, ah soldati, avida tanto

l'ira vostra è di sangue

che s'avanza a cercar nell'ossa ignude

de' reali sepolcri esca funesta.

BERENICE

Alla vendetta mia non basta il sangue.

Vive sempre l'offesa

fin che vive fra noi

dell'ingiusto offensor qualche memoria.

TAMIRI

Ah madre, ed è pur questo un sì bel nome

che raddolcir potria quel di nemica

per quei teneri amplessi, onde una volta

con braccia pargolette

ti circondava il sen, per quei soavi

vezzi, con cui dal collo

bambina ti pendea,

risparmia al mio dolore

risparmia alla tua gloria, e alla tua fama

un oltraggio crudele,

da cui degno di te frutto non cogli.

BERENICE

E pianger può la moglie

del gran Farnace? Pianga,

ma pietà non ottenga. Ite, atterrate.

TAMIRI

Sì ben dicesti. Il pianto

non è degno di me, di me più degno

sarà il furor, contrasterò feroce,

darà forza lo sdegno al braccio imbelle,

e forse alla difesa

del suo regale avello avrò compagna

l'ombra di Mitridate.

BERENICE

A voi guerrieri, cada

l'altera mole.

TAMIRI

(Oh dio!

Tutto invano ho tentato.) Empi fermate.

Odimi Berenice.

BERENICE

Che dirai?

TAMIRI

(Che farò? Materno amore

seguo, sì; le tue voci, e il tuo consiglio

mi trafigga lo sposo, e viva il figlio.)

BERENICE

A che pensi? A che badi?

TAMIRI

Oh con qual prezzo

la tua clemenza oggi a comprar m'accingo.

BERENICE

Spiégati.

TAMIRI

Il pargoletto,

che fin or t'occultai voglio svelarti.

Mia cara madre, hai ben di sasso il core,

s'ei la vita d'un figlio oggi mi niega

io lo darò; ma... poi...

BERENICE

Dallo, e poi priega.

TAMIRI

Apransi queste nere

stanze di morte. Esci dal tuo ricovro

flebile furto d'infelice madre.

TAMIRI

Ecco, o regina, il grande

terror di Roma, ecco l'avanzo estremo

di quel sangue, che che aborri.

Su via, piègati a terra

picciola fronte, e al piè regale imprimi

dell'ava eccelsa ossequiosi baci.

Non è viltà cor mio

ciò che comanda ai miseri fortuna.

Questi, o regina, è il tuo nipote. In esso

del suo genio guerrier l'indole osserva;

ma col tuo sangue il tuo rigor consiglia,

che alfin madre mi sei.

BERENICE

Non mi sei figlia.

(parte col fanciullo)

Scena ottava

Farnace, e Tamiri.

FARNACE

Questa è la fé spergiura

che tu serbi al consorte?

Così guardi a mio figlio

il prezioso onore

d'una libera morte? E quando mai

t'insegnò tal viltà la gloria mia?

Or vanne, e porgi ancora

al romano carnefice la spada,

perché fiero, e crudele

in quel tenero sen tutta l'immerga.

Vanne... anzi resta... Io tolgo agl'occhi miei

l'orror di quel sembiante

codardo, abominevole, funesto,

ma la pena dovuta

non fuggirai. T'attendo

spettro vendicator, larva sdegnata

là degli Elisi in su le nere soglie.

TAMIRI

Sposo... Farnace... Oh dio...

FARNACE

Non mi sei moglie.

Scena nona

Tamiri sola.

Dite che v'ho fatt'io, ditelo, o cieli?

È delitto sì grande

una giusta pietà che si punisca

in sì barbare guise?

Sol perché salvo un misero innocente

dalla rabbia crudel del mio destino.

Già mi niega la madre

il titolo di figlia,

già mi toglie lo sposo

il nome di consorte, e sol mi resta

per mia pena maggiore

di consorte, e di figlia in petto il core.

Dividere, o giusti dèi

gl'amorosi affetti miei

nella madre, e nello sposo

che pietoso

l'un, e l'altro allor sarà.

Date poi per mio ristoro

date a me gl'affetti loro,

che con quelli del consorte

il mio cor sarà più forte,

e con quelli della madre

più spietato diverrà.

Scena decima

Gabinetti reali.
Selinda, Gilade.

SELINDA

Ah s'egli è ver che m'ami,

principe generoso,

salva il figlio Tamiri,

salva il nipote a me, salva un erede

all'impero dell'Asia omai cadente,

salva un vendicator all'oriente.

GILADE

Qual periglio sovrasta al pargoletto?

Dunque estinto non è qual si dicea.

SELINDA

Il misero vivea

nel cavo sen d'oscura tomba ascoso,

e di là il trasse la regina ingorda

del sangue suo, e ad ogni pianto sorda.

GILADE

Per te cara mia fiamma

tutto farò, tutto ardirò, ma poi

di Gilade sarà l'opra, e la fede,

d'Aquilio il merto.

SELINDA

No, te n'assicuro,

e per lo stral, che mi piagò, te 'l giuro.

GILADE

Lieto della tua fede

parte contento il cor né di più chiede.

Scena undicesima

Selinda, Farnace.

SELINDA

Dove mai ti trasporta

signor, il tuo coraggio, e il tuo destino?

Queste di Berenice

son le soglie crudeli.

FARNACE

Io voglio or ora

trucidar l'inumana.

SELINDA

E donde speri

dopo il colpo fatal rifugio, e scampo?

Qui da folti custodi

è ristretto ogni passo.

FARNACE

Ai gran delitti

talor la sorte ammiratrice arride.

SELINDA

Ah con inutil prova

di valor disperato

te stesso perdi, e non racquisti il figlio.

A più sano consiglio

volgi, o signor, la mente.

Emireno il tuo duce

del fuggitivo esercito raccolte

le disperse reliquie, e degl'amici

radunati i soccorsi, a sé ti chiama.

FARNACE

Ad Emireno è noto

che in questa reggia io tento

di svenar Berenice

di dar morte a Pompeo. L'esito attende

della grand'opra, e poi

contro i nemici impetuose, e fiere

spingerà le sue schiere.

SELINDA

Maggior, ch'io non credea

è il tuo disegno, ed il tuo rischio. Vanne,

vanne german, dove Emiren ti attende,

e a me lascia il pensiero

d'eseguir ciò, che brami. Io già disposi

Gilade a secondarmi,

disporrò in breve Aquilio.

FARNACE

Ammiro il tuo

generoso, e magnanimo ardimento,

ma compagni non voglio al gran cimento.

Spogli pur l'ingiusta Roma

di corona la mia chioma,

e il mio piè di libertà.

Serbo ancor tanto orgoglio

che al mio nome il Campidoglio

di spavento tremerà.

Scena dodicesima

Berenice col Fanciullo, Pompeo con Aquilio, e Selinda.

BERENICE

Dell'iniquo Farnace eccoti il figlio

vedilo: ha nel sembiante

della madre l'orgoglio

del genitore la perfidia. Abbatti

il papavero infausto,

pria che spiegata la superba spoglia

di pestiferi semi ingombri il campo.

SELINDA

Duce regina, in che v'offese questa

pargoletta innocenza?

Che mai, che mai temete

da sì tenera età?

BERENICE

Spesso il torrente

che pria dimesso, e tacito correa,

sormontando superbo il suo confine,

mormorando rovine,

gregge, e pastori atterra,

e porta al mar tributo no, ma guerra.

AQUILIO

Eh l'aquile latine

non sono avvezze a lacerar colombe.

SELINDA

Ne bevono gl'eroi del Campidoglio

a mensa trionfale il latte, e 'l pianto.

POMPEO

Aquilio, sia tua cura

custodir quel fanciullo

finché di lui disponga, e del suo fato

l'autorità di Roma, e del senato.

Leon feroce,

che avvinto freme

mai non si teme

s'avvieti che spezzi

cancelli, e nodi,

i suoi custodi

tremar farà;

quel fiero dente

per monte, e piano

di brano in brano

spargerà l'erbe.

E sarà vano

gridar pietà.

Scena tredicesima

Berenice, Aquilio, Selinda.

SELINDA

Fra le libiche serpi

non nascesti, o regina.

AQUILIO

Perché mai l'innocenza

il tuo rigor condanna?

SELINDA

Perché se col tuo sangue ancor tiranna?

BERENICE

Sarò sempre crudel qual tigre irata

contro di chi m'offese.

Voglio il suo sangue, e allor sarò placata.

Ombra del caro sposo

tanto furor dimandi al mio dolore,

tiranna sembrerò, perché innocente

è il figlio, che ti sveno;

ma il sangue, che uscirà dalle ferite

è sangue di Farnace.

Inutile pietà soffrilo in pace.

Pensando allo sposo

la sola vendetta

quest'alma consola

se nasce nel core

un raggio d'amore

dal seno il mio sdegno

pietade ne invola.

Scena quattordicesima

Selinda, Aquilio.

SELINDA

Aquilio, e ben? Pensasti?

Pretendi più di mio campion la gloria?

AQUILIO

Giacché ho quella d'amarti

anche quella vorrei di meritarti.

SELINDA

A non volgar impresa

destinarti vorrei. Che mi rispondi?

AQUILIO

Ecco il braccio, ecco il ferro.

SELINDA

Guarda che il tuo periglio

non sarà lieve.

AQUILIO

Ei non sarà maggiore

o della tua bellezza, o del mio amore.

SELINDA

Aquilio, un giorno solo

non matura una mente, e un sol momento

non delibera mai d'un gran cimento.

Vattene, e pria che 'l mio pensier ti scopra

all'impegno rifletti, al rischio bada,

e consiglio il tuo cor con la tua spada.

AQUILIO

Io sento nel petto...

SELINDA

Io sento nell'alma...

AQUILIO

Sì grande l'affetto...

SELINDA

Sì dolce la calma...

SELINDA E AQUILIO

Che avvinto il mio core

ridirlo non sa.

SELINDA

Dal prode valore

mi nasce il contento.

AQUILIO

Dal tuo fido amore

acceso mi sento.

SELINDA E AQUILIO

Chi brama godere

s'adopri in piacere,

alla sua beltà.

Atto terzo
Scena prima

Piazza d'Eraclea con trofei, ed altri apparati di trionfo.
Pompeo, Berenice, Gilade, Aquilio seguìti da ambedue gl'Eserciti vittoriosi.

CORO

Giuliva rimbomba

dell'Asia già doma

la bella vittoria.

Sonora la tromba

la forza di Roma

divulga la gloria.

Il nemico è già sconfitto

così serve a Roma il fato

mai si volge il braccio invitto

senza un regno soggiogato.

D'ogni nemico è fulmine

il valoroso folgore

della romana spada.

Colpo giammai non videsi

vibrar la mano intrepida

che una città non cada.

BERENICE

Gilade.

GILADE

Gran regina.

BERENICE

Del già vinto Farnace

qual novella mi rechi?

GILADE

Entro la reggia

indarno io lo cercai.

AQUILIO

Tra fuggitivi

io l'ho seguìto invano.

POMPEO

È comun grido,

che nel bosco vicin perduto il campo

ei cercasse lo scampo.

BERENICE

Giacché, signor, non puoi

col sangue di Farnace,

col sangue almen del figlio

le tue promesse, e le mie brame adempi.

Appaga i voti della mia vendetta

e la metà d'un regno in premio aspetta.

Sposa afflitta, e madre offesa

chieggo a te che dar la puoi

in quel sangue la mia pace,

se me 'l nieghi, ed in difesa

di quel sangue esser tu vuoi

sveglierà l'ira la face.

Scena seconda

Tamiri con Servi, che portano molti preziosi doni. Pompeo col suo Séguito, e Aquilio.

TAMIRI

Signor, se la clemenza

non è l'ultimo pregio

d'un'alma grande, e generosa, rendi,

rendi un figlio innocente

a una madre infelice, e in ricompensa

dell'eroica pietà, gradisci in dono

quelli del mio Farnace

occultati tesori.

Un fanciullo io ti chiedo, e ti consegno

per un fanciullo la metà d'un regno.

POMPEO

Donna real, che in tal fortuna ancora

degna sei di tal nome,

l'ossequio accetto, e i doni tuoi rifiuto,

che a guerreggiar, non a cambiar qui venni

ma perché tu conosca

che in un petto romano

non è l'ultima gloria, anzi la prima

l'esser clemente, osserva

quanto dal tuo diverso è il mio consiglio.

Aquilio, olà, che tardi?

Rendi a costei coi suoi tesori il figlio.

(parte con Aquilio)

TAMIRI

Oh se quanto è pietoso

verso l'amato figlio il mio destino,

tal fosse ancor verso l'amato sposo,

ogni oltraggio più fiero

gli vorrei perdonar, ma non lo spero.

Scena terza

Farnace, e Tamiri.

FARNACE

Quanto mai fu crudele

la tua pietà nel dar la vita al figlio!

Sol così lo perdesti,

sol così l'uccidesti.

TAMIRI

Ma del ciel la clemenza

con la man di Pompeo a me lo rende.

Son rea però di mille morti, e mille

a te ne chiedo. Squarcia questo petto.

Ma caro sposo, allor che ai piedi tuoi

languirò moribonda

in questo petto stesso

ravviva la cagion dell'error mio,

e riconosci, oh dio!

che vivo il figlio al genitor serbai

perché nel figlio il genitor amai.

FARNACE

Ah Tamiri: pur troppo

nella tua tenerezza

riconosce il mio cor la sua fierezza.

Vivi, che forse il cielo

qualche raggio di luce, e di speranza

ben farà scintillar su i casi nostri.

E se pur fia che mostri

sempre armato di folgori il sembiante,

sappi che in ogni istante

libera è la nostr'alma,

e che al desio del forte

può la vita mancar, ma non la morte.

TAMIRI

Forse, o caro, in questi accenti

col tuo labbro mi favella

qualche nume; o qualche stella

che rigor più non avrà.

Qualche nume che vorrà,

qualche stella che saprà

raddolcir i miei tormenti

consolar la fedeltà.

FARNACE

Sì qualche nume, o qualche stella al fine

ne darà qualche aita. Il cielo sempre

d'atre saette armato

non fulmina sdegnato

d'uopo è soffrir fin ch'ei non cangi tempre.

Sorge l'irato nembo

e la fatal tempesta

col sussurrar dell'onde

e s'agita, e confonde

e cielo, e mar.

Ma fugge in un baleno

l'orrida nube infesta,

e placido, e sereno

il cielo appar.

Scena quarta

Stanze corrispondenti a giardini.
Selinda, e Gilade.

SELINDA

Gilade, il tuo pensiero

ali non ha da sollevarsi mai

su l'altezza d'un trono?

GILADE

E come?

SELINDA

Non sei tu d'Ariarate

il più vicino erede?

Non sono in tuo poter le forze, e l'armi

di Cappadocia?

GILADE

Io non intendo ancora.

SELINDA

Usa la forza tua. Scocca uno strale

al bersaglio d'un regno.

Temi forse una donna,

ch'è del tuo braccio armata?

Senti orror d'un delitto,

che ti porge un diadema?

Non parli? Non rispondi?

Ti sgomenti sì presto, e ti confondi?

GILADE

Ch'io sveni Berenice?

SELINDA

Vile che sei, non vedi

nel tuo rimorso i precipizi tuoi?

Stabilita nel regno

l'altera donna, e col favor di Roma

divenuta possente

t'insidierà col ferro, e col veleno.

E allor trafitto a te dinanzi anch'io...

GILADE

Ah pur troppo quell'empia

del tuo sangue ha desio...

SELINDA

E tu dormi, o crudel sul mio periglio?

E neghittoso, e irresoluto ancora...

GILADE

No, no; cangio consiglio.

Regni Selinda, e Berenice mora.

Son vaghi gl'allori,

che porge la gloria,

ma sono gl'amori

più vaghi al mio cor.

Io fui già guerriero

ed ebbi vittoria:

amante non spero

trionfar in amor.

Scena quinta

Selinda, e Aquilio.

SELINDA

Aquilio, il braccio forte

preparasti all'impresa?

All'opra dunque. Io voglio

che ritorni a regnar Farnace in soglio.

AQUILIO

Farnace?

SELINDA

Sì. Vive Farnace, e quando

ei racquisti per te la sua grandezza

ti promette in mercede i miei sponsali.

AQUILIO

Ciò da me non dipende.

SELINDA

E tu procura

che dipenda da te.

AQUILIO

Che mai far deggio?

SELINDA

Dove primo esser puoi

sdegna d'esser secondo.

Fa' che delle romane altere insegne

ricada in te l'autorità suprema,

e con libero impero allor farai

quanti re far vorrai.

AQUILIO

Contro Pompeo pretendi...

SELINDA

Quest'è il comando, è questo

il desiderio mio. Tu pensa il resto.

Ti vantasti mio guerriero,

intendesti il mio pensiero;

se ricusi d'appagarmi

sei codardo, o mentitor.

Non dovevi lusingarmi

a svelarti il mio disegno,

se bastante al grand'impegno

non avevi in petto il cor.

Scena sesta

Aquilio, poi Pompeo, e poi dall'altra parte Farnace.

AQUILIO

Oh stelle! Qual impresa

da romano guerriero, un tradimento?

Ma qual vile rimorso in cor amante?

Coraggio Aquilio. Un'anima feroce?

Dée preferir talora

l'error, che giova alla virtù che nuoce

io dunque... Ecco Pompeo. A lui mi celo.

(si ritira)

POMPEO

D'un regno soggiogato

nuovo riceverà Roma un trionfo.

FARNACE

(Oh numi! Ecco il superbo.

Fausta protegga il colpo mio la sorte.

Si trafigga Pompeo.)

AQUILIO

(Pompeo s'uccida.)

(s'avanzano ambedue co' le spade impugnate dietro Pompeo, e nell'incontrarsi restano. Pompeo frattanto si volge verso di loro)

FARNACE

(Incontro inopportuno!)

AQUILIO

(Evento strano!)

POMPEO

Aquilio? E tu chi sei?

Perché nudi gl'acciari ambo stringete?

Perché la guancia di pallor tingete?

FARNACE

Da fiero orribil angue

colà tra fiori uscito

fui dianzi assalito.

Quindi col ferro, che impugnai, fuggendo

attonito, e tremante

qua rivolsi le piante.

AQUILIO

Ed io che 'l vidi

minaccevole in atto

appressarsi al tuo fianco,

accorsi, e strinsi in tua difesa il brando.

FARNACE

(Or che farò?)

POMPEO

(ad Aquilio)

Costui dagl'occhi spira

non so, che d'ardimento, e di spavento.

AQUILIO

Come gli fu permesso

dalle guardie l'ingresso?

POMPEO

Stranier, dove nascesti?

FARNACE

In Cappadocia.

POMPEO

Sei guerrier?

FARNACE

Pugnai

sotto l'insegne d'Ariarate.

POMPEO

Ed ora?

FARNACE

Tra custodi reali

di Berenice ho luogo, e nome ancora.

POMPEO

Come t'appelli?

FARNACE

Ergildo.

POMPEO

(Il cor mi balza

con infelici moti.

Temo d'insidie.) Olà.

FARNACE

S'altro non chiedi

andrò...

(escono guardie)

POMPEO

Dell'esser tuo

vuò notizie più certe.

Berenice s'appressa. Ella ti vegga,

indi se tal sarai,

qual ti dicesti, a tuo talento andrai.

FARNACE

(Barbari dèi!)

Scena settima

Berenice, e detti.

POMPEO

Regina,

in costui riconosci un tuo custode.

BERENICE

Chi sei? Volgi la fronte.

FARNACE

Io son uno, che teme

nelle sorti seconde,

ma nell'avverse ha in un coraggio,

e speme.

POMPEO

E ben regina,

il guerrier chi è?

BERENICE

Non lo ravvisi?

Al favellar superbo, al volto audace,

all'orgoglio del cor? Egl'è Farnace.

POMPEO

E nella regia osasti

entrar furtivo, e contro me t'armasti?

BERENICE

Trucidatelo, o fidi.

FARNACE

Morirò, ma pugnando

finché avrà lena il braccio, e taglio il brando.

POMPEO

Renditi: si disarmi, e s'incateni.

FARNACE

Non è, non è Farnace

facil trionfo. Io solo...

Mentre Farnace è assalito dalle Guardie sopravviene, ed entra fra l'armi Tamiri.

Scena ottava

Tamiri, e detti.

TAMIRI

Oh dio! Fermate

fermati i colpi. Ah sposo,

a me quel ferro, a me lo cedi. Io sono

la tua Tamiri. Io te ne priego. Lascia

che trionfi il mio amore

almen del tuo valore,

se non può trionfar tutto il mio pianto

della fierezza d'una madre.

FARNACE

Prendi.

(getta la spada a' piè di Berenice)

Sazia pur la tua rabbia

nel sangue mio, ma quando

sparso l'avrai dalle feroci vene,

fera crudel, ne lambirai l'arene.

BERENICE

Io crudel? Giusto rigore

ti condanna, o traditore.

POMPEO

Non sei degno di mercé.

TAMIRI

Madre, duce, oh dio! Perché

così barbara sentenza?

FARNACE

È viltà chieder clemenza.

BERENICE

Tanto fasto?

POMPEO

Tant'orgoglio?

BERENICE

Morte attendi.

FARNACE

E morte io voglio.

TAMIRI

Madre, sposo, oh dio!

Insieme

BERENICE E POMPEO

Non è tempo di pietà.

FARNACE

Io non chiedo a voi pietà.

TAMIRI

Questa è troppa crudeltà.

Insieme

BERENICE E POMPEO

La costanza, e la fortezza

del tuo cor

la tua morte abbatterà.

TAMIRI E FARNACE

Il rigore, e la fierezza

della mia sorte

la mia morte appagherà.

Scena nona

Aquilio.

Che feci, ohimè! Che feci?

Con oppormi a Farnace

perdei la sua, perdei la mia speranza,

e lo stesso Farnace anco perdei.

Ah mia fatal sciagura?

Perfidissime stelle ingiusti dèi.

Furie dell'Erebo

volo ad ascondermi

fra voi all'orribile

mio cieco orror.

Troppo il rimorso

mi rode l'anima,

crudel mi lacera

nel petto il cor.

Scena decima

Padiglioni reali.
Berenice sedendo in sedile sopra alcuni gradini; Farnace incatenato fra Guardie.

BERENICE

Farnace. I numi alfine

mostrano d'esser numi, e d'esser giusti

FARNACE

Giusti li crederei, se dal mio piede

trasferissero al tuo queste ritorte,

e se quando io tentava

di trafigger Pompeo,

di svenar Berenice,

secondati essi avessero i miei voti.

BERENICE

De' tuoi misfatti intanto

a me ragion tu rendi.

Il tuo giudice io sono, a me Pompeo

sopra te diede autorità sovrana.

FARNACE

Non umilia Farnace

le sue ragioni al tribunal indegno

d'un giudice, ch'è servo

di cieche passioni,

e basso adulator della romana

tirannica fortuna.

BERENICE

Vanne dunque, e superbo,

vanne a morir con questa

temeraria baldanza. Al tuo delitto

il supplizio, che brami, è già prescritto.

(si leva)

Scena undicesima

Tamiri, e detti.

TAMIRI

Possibile, o regina,

che al dolor d'una figlia

inflessibile sia la tua grand'alma?

Io ti stanco coi prieghi,

io ti inondo coi pianti, e nulla impetro.

(la prende per mano, e s'inginocchia)

Ecco di nuovo io torno

a bagnar la tua destra

con le lagrime mie. Da questi amplessi

non uscirai, se pria

di Farnace la vita a me non doni.

Vendicata non sei? Non lo spogliasti

d'ogni tuo ben? Quanti supplìci ancora

vuoi d'un misero re?

BERENICE

Voglio che mora.

Eseguite il comando.

(alle guardie, che s'avanzano, uno de' quali con sciabola nuda)

Scena dodicesima

Pompeo con alcune Guardie, e detti.

POMPEO

Regina, il ciel talora

gran tempo si prepara

ad eleggere un re. Noi non dobbiamo

perderlo in un istante.

In perpetua prigion sia custodito.

BERENICE

No, no; non sarà mai

custodito abbastanza,

finché non ha per carcere un sepolcro.

Voglio che mora, ei di più colpe è reo.

Scena tredicesima

Gilade, e Selinda, con numeroso Séguito tutti con l'arme nude, e detti.

SELINDA E GILADE

Berenice morrà, morrà Pompeo.

Assaltano le poche Guardie di Berenice, e le fugano.

BERENICE

Qual fellonia?

POMPEO

Qual tradimento?

GILADE

A terra

quest'indegne ritorte.

(tronca le catene a Farnace, e Selinda porge al medesimo la sua spada)

SELINDA

Compisci di tua man la tua vendetta.

FARNACE

Amici, di Pompeo

si rispetti la vita. In Berenice

vadan tutti a ferir le nostre spade.

BERENICE

Traditori venite. Eccovi il petto,

non ricuso un castigo,

che meritai con ritardar la morte

al più fiero, e crudel de' miei nemici.

FARNACE

Voglio sol io l'onore

di questo scempio.

(vuol ferir Berenice, e Pompeo gli si oppone)

POMPEO

Ah principe, rifletti...

(in questo Tamiri preso il figlio, che da un servo era tenuto in disparte, s'avanza col medesimo)

TAMIRI

Rifletti, sì, che impiaghi

Tamiri in Berenice,

son io tanto infelice,

che difender non possa

dalla madre lo sposo,

dallo sposo la madre? Ah se in te resta

scintilla di pietà per chi t'adora

serba in vita colei...

FARNACE

Voglio che mora.

(Berenice presa per un braccio Tamiri le presenta al petto uno stile)

BERENICE

Perfido, o t'allontana, o squarcio il petto

della tua vaga.

POMPEO

O cedi, o del tuo figlio

vedrai la morte.

FARNACE

Invano, in van tentate...

(Pompeo sta in atto di ferir il figlio di Tamiri)

BERENICE

Vieni.

POMPEO

Appressati.

TAMIRI

Oh dèi?

FARNACE

Prence, germana,

or che farem?

(pensa)

SELINDA E GILADE

Non so.

POMPEO

Principi, è tempo omai, che in voi s'estingua

delle vostr'ire il fuoco. Alterna pace

dal generoso core

risorger faccia il già sopito amore.

FARNACE

Vuoi la mia morte?

Eccoti il ferro. Uccidimi.

(risoluto getta la spada a Berenice)

BERENICE

(getta lo stile)

Farnace,

finito è l'odio mio. Vedo, che il cielo

apertamente lo condanna. Vieni

accoglimi qual madre,

ch'io t'abbraccio qual figlio. Abbia Tamiri

un sì degno consorte, abbia il mio trono

un sì nobil sostegno. Omai vivere,

e felici regnate, e vostra sia

ogni fortuna, ogni grandezza mia.

POMPEO

Per sì lieti successi anch'io ti rendo

il tuo scettro, il mio amor. Con Berenice

vivi, e regna felice.

Ma d'Aquilio, che avvenne?

GILADE

(a Pompeo)

È prigioniero.

(a Farnace)

Emireno il tuo duce

mentr'ei passava dalla reggia al campo

lo rattenne per via.

SELINDA

Contro il romano

esercito già move

furibondo Emireno un nembo d'armi.

FARNACE

Si frastorni la pugna.

Rendasi Aquilio.

POMPEO

Ad Emireno andate,

e 'l comando recate.

SELINDA

A Gilade, che fabbro

fu della nostra sorte,

mostra la tua clemenza.

BERENICE

Io gli perdono,

e se Farnace assente,

ch'egli sii tuo consorte, a te lo dono.

FARNACE

Principe, il tuo gran merto

di maggior premio è degno.

Ti debbo oltre Selinda, e vita, e regno.

CORO

Coronata di gigli, e di rose

con gl'amori ritorni la pace.

E fra mille facelle amorose

perda i lampi dell'odio la face.

Fine del libretto.

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Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima