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La Gierusalemme liberata

LA GIERUSALEMME LIBERATA

Dramma da rappresentarsi in musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Giulio Cesare CORRADI.
Musica di Carlo PALLAVICINO.

Prima esecuzione: 28 dicembre 1686, Venezia.


Interlocutori:

Dalla parte de' cristiani

GOFREDO

basso

RINALDO

contralto

TANCREDI

soprano

UBALDO

soprano

ARIDENO scudiero di Tancredi

tenore

Dalla parte de' saraceni

ARMIDA

mezzosoprano

CLORINDA

soprano

ARGANTE

tenore

RAMBALDO rinnegato

tenore


Personaggi muti:
Raimondo, Guelfo, Sigiero scudiero di Gofredo.

Personaggi che si tramutano per forza d'incanti:
Enrico, Guasco, Guglielmo, Artemidoro, Olderico, Eberardo, Ridolfo, Vincislao, Gherardo.



Illustrissimo

Illustrissimo, ed eccellentissimo signore,

le grand'azioni si consacrano a' gran personaggi. Tale è l'e. v. uno degl'astri più risplendenti dell'Inghilterra; il di cui raggio sfavilla per l'universo con tanta luce, che ormai tutti gli sguardi sono rapiti all'ammirazione. Contemplano il lume, che tramanda la nobiltà del sangue: quello, che esce dalla penna nell'esercizio delle dottrine; e quello, che riverbera dalla spada, tanto ne' finti, quanto ne' veri cimenti. In vostra eccellenza la natura ha depositate tutte le sue meraviglie. Fu ricompensa del merito, il quale vien riconosciuto fin dalle corone; mentre lo trattano con queste precise marche di stima. Molto confidente, e molto ben'amato cugino di sua maestà britannica. Altre prerogative rendono cospicua la persona di v. e. e per esser figlio di quel Ruberto, il più nobile, e più bel fregio, che mai avesse la camera regia, e per esser nipote di quell'Edoardo gran ciambellano d'Inghilterra, che generosamente contribuì e forza, e sapere per istabilire sul trono il suo Giove Carlo Secondo di felice memoria. Ad un patrocinio sì grande umilio dunque la mia Gierusalemme; implorando un benignissimo aggradimento, per poter dichiararmi sin alle ceneri

di v. e.

umilissimo, devotissimo et ossequientissimo servo

Giulio Cesare Corradi

Cortese lettore

Eccoti la Gierusalemme liberata. Non rimproverarmi per la qualità del titolo. Questo non è poema. È un drama estratto bensì dal più nobile di tutti i poemi. Per ridurlo a tale stato non ci ha voluto poca fatica. Lo conoscerà chi sa ben conoscere. Se in esso dal canto mio non ritroverai, che lodare: loderai almeno quel gran motivo, che ho avuto di farti vedere nelle presenti contingenze sulle scene dell'Adria il redivivo trionfo, che quanto prima vedrai non fintamente a camminare per le strade di Venezia. Credilo, e vivi felice.

La musica è del famoso sig. Carlo Pallavicino, e tanto basti.

L'architettura, e pittura del signor Ippolito Mazarini.

Gl'abiti del sig. Gasparo Pellizari.

Breve delucidazione

Non descrivo l'istoria del Buglione; sapendo, ch'a tutti è già nota. Dirò solo quello, che si suppone, e che si finge.

Si suppone, che già Gofredo si trovi all'assedio di Gierusalemme. Che Armida abbia sfiorato il di lui esercito de' principali capitani. Che fra Tancredi, e Argante sia seguito il primo duello.

Si finge, che Ubaldo dopo aver penetrato dal mago esser Rinaldo prigioniero d'Armida, ed avuto il modo di liberarlo, vadi a ragguagliarne Gofredo. Che Clorinda desiderando intraprendere in vece d'Argante il secondo duello stabilito con Tancredi il sesto giorno, ed essendoli negato, voglia servire il sudetto Argante d'araldo. Che Argante sia innamorato di Clorinda. Che Rinaldo sogni esser condotto via dagl'alberghi d'Armida, che Rinaldo si trovi prigioniero nello stesso castello dove si ritrovava Tancredi: questi, ed altri verisimili con qualche posposizione di tempo sono stati necessari per dar' intreccio al presente dramma, intitolato la Gierusalemme liberata.

Atto primo
Scena prima

Bipartita.
Da una parte fuga di padiglioni cristiani, dall'altra fortificazione esteriore difesa da un ammasso di saraceni sopra della quale vedesi Argante, e Clorinda con un cannocchiale nella destra, che guardano nell'esercito nemico. In lontano le mura di Gierusalemme.
Gofredo in atto malinconico assiso in mezzo al di lui padiglione circondato da Principi, e Capitani.

GOFREDO

Un'acerba rimembranza,

sforza l'alma a sospirar

perché scema la speranza

che tenea di trionfar.

Un'acerba rimembranza,

sforza l'alma a sospirar.

Duci, v'è noto come

una beltà lasciva,

de' più forti campioni,

trionfò col sol guardo: o di nostre armi

perdita vergognosa: almeno voi,

nell'esempio d'Armida,

riflettete più cauti,

che la voce di donna è sempre infida.

Scena seconda

Ubaldo con verga, e scudo fatale nella destra. Gofredo

UBALDO

Signor, ritorna al volto

la perduta allegrezza: io so qual aure

spira Rinaldo, e la possanza ottenni

di renderlo a Gofredo.

GOFREDO

(leva in piedi)

Ciò, ch'udisti dal mago espor ti chiedo.

UBALDO

Egli, che dagl'abissi

non invoca poter, ma che dagl'astri

tutto gli vien, mi disse,

che prigionier d'Armida

era l'invitto eroe.

GOFREDO

(Numi che sento?)

UBALDO

Allettato da certa

amenità di sito, in dolce sonno,

per opra dell'infida,

s'abbandonò l'incanto; e fissa l'empia

nel suo vago sembiante,

il trasse dove, or lo vezzeggia amante.

GOFREDO

Forse maga è costei?

UBALDO

Sì; ma d'inferno

usa l'arte esecranda.

GOFREDO

E come puoi,

vincere Ubaldo tu gl'incanti suoi?

UBALDO

A questa verga: a questo

scudo fatal, che miri

l'autorità fu data.

GOFREDO

Movi dunque ver lei la destra armata.

UBALDO

Già m'accingo al partir.

GOFREDO

Sappi, che lungi

dalle tende latine

erra Tancredi anch'esso.

UBALDO

D'un sì prode guerriero, o grave eccesso.

GOFREDO

Per tal cagion languisce

l'impresa di Sion.

UBALDO

Fa' core, e spera

con trionfo sì degno

di coronarti il crine:

tua si farà l'alta conquista alfine.

Chi pugna per il ciel,

in terra vincerà

combatta pur fedel,

che la vittoria avrà.

Chi pugna per il ciel,

in terra vincerà.

Scena terza

Gofredo, e suddetti.

GOFREDO

Alle voci d'Ubaldo

l'alma si riconsola, e quella speme,

che languida poc'anzi,

semiviva parea; cangiato aspetto,

torna il vigor a rinforzar nel petto.

Si cangia in ardire

la tema del cor.

Lo spirto guerriero,

al grado primiero,

richiama il valor.

Si cangia in ardire

la tema del cor.

Scena quarta

Argante, e Clorinda discesi a basso.

ARGANTE

Che ne dici?

CLORINDA

Raccolsi

dell'esercito franco, in questo vetro

le distinte notizie.

ARGANTE

Io vidi pure

l'assedio tutto: vidi

l'ordine delle tende,

de' nemici il comparto; e quasi quasi

ogni guerrier.

CLORINDA

Ma non Tancredi.

ARGANTE

Il guardo

cercollo invano.

CLORINDA

Ebbene?

Mi permetti, che seco

del sesto dì m'accinga

in tua vece al cimento?

ARGANTE

Oh dio! Condona,

se di novo m'oppongo

alla richiesta: il patto

a pugnar col superbo

obbliga solo Argante.

CLORINDA

Egli fe' già del tuo valor la prova.

ARGANTE

Ma rimase fra noi,

per cagion della notte

indecisa la palma.

CLORINDA

Deh la nova tenzon cedi a quest'alma.

ARGANTE

Non ti posso ubbidir.

CLORINDA

Chiaro argomento

di non amarmi.

ARGANTE

E vuoi,

che per anima vile

mi giudichi costui?

CLORINDA

Diversamente

parlano in lui le piaghe.

ARGANTE

Non fui senza di quelle.

CLORINDA

Lascia al mio braccio il vendicarle.

ARGANTE

Al mio

serbasi tal ragione.

CLORINDA

Di Clorinda non sei tu più campione.

(gli volta le spalle)

ARGANTE

Un fulmine m'avventi.

CLORINDA

Provocato da te.

ARGANTE

Tempra lo sdegno.

CLORINDA

Non opporti a mie brame.

ARGANTE

Necessaria repulsa.

CLORINDA

Or odi; almeno

piacciati, che d'araldo

servirti debba.

ARGANTE

O questo sì.

CLORINDA

Rimango

già soddisfatta.

ARGANTE

Ad Aladin, veloce

parto per annunciargli

sì bizzarro coraggio.

CLORINDA

Quando usciremo in campo?

ARGANTE

Tosto, che il primo sol pubblichi il raggio.

Dalle piaghe, che fan tuoi lumi

a far piaghe apprenderò:

ed i soliti lor costumi

nel dar morte imiterò.

Dalle piaghe, che fan tuoi lumi

a far piaghe apprenderò.

(entra in città)

Scena quinta

Clorinda, e Soldati.

CLORINDA

Il valor, che risplende

nella spada d'Argante

ad amarlo mi sforza;

ma se crede, che vasta

sia la fiamma, che m'arde: oh quanto cade

il misero in errore:

quell'amor, che m'accende è un altro amore.

Amo il dio, che sempre armato

sfida in campo a guerreggiar:

ma non quel, che faretrato

sa nell'ozio trionfar.

Amo il dio, che sempre armato

sfida in campo a guerreggiar.

Amo il dio, ch'ognor guerriero,

prove fa di gran valor,

ma non quel, che cieco arciero

sol dell'arme è feritor.

Amo il dio, ch'ognor guerriero,

prove fa di gran valor.

(entra ella pure in città)

Scena sesta

Finimento di selva sull'annottarsi che termina in un prato fiorito con il castello d'Armida.
Tancredi, e Arideno.

TANCREDI

Arideno.

ARIDENO

Signor.

TANCREDI

Nemmen qui s'ode

strepito, che m'accerti

l'esser per questa selva

inseguita Clorinda.

ARIDENO

Eh sallo il cielo

dove rivolga il piede.

TANCREDI

Il pericolo suo l'alma mi fiede.

ARIDENO

Avrà forse la notte

ricovrata costei.

TANCREDI

S'avvien, ch'offesa

dal germano d'Alcandro

resti la bella mia: giuro, o buon servo,

quel fulmine veloce

di portar nel suo cor vendetta atroce.

ARIDENO

E con ragion.

TANCREDI

Risolvo,

prima, che maggiormente

creschino l'ombre al bosco: a nostre tende,

far celere ritorno;

poiché col fiero Argante,

dimani appunto è della pugna il giorno.

ARIDENO

Andiam: ma qual se n' giunge,

sovr'alato destrier uom, che agl'arnesi

di messaggio ha sembianza.

Scena settima

Corriero a cavallo, e suddetti.

TANCREDI

Amico il corso

frena per cortesia:

al dubbio passo addita

ver il campo latin qual è la via.

CORRIERO

Non v'esorto fra l'ombre

ad incerto cammin: lungi non poco

l'esercito dimora:

me seguite agl'alberghi,

che là trarrovvi alla nascente aurora.

(gira il cavallo, e si invia verso il castello)

TANCREDI

(vuol seguitarlo)

Sì, sì.

ARIDENO

(lo trattiene)

Meglio rifletti: è mal sicura

sempre notturna guida.

TANCREDI

Ah non c'arretri

vile timor: a suo piacer ci volga

costui per l'aer cieco:

non dubitar mentre Tancredi hai teco.

(suona il corrier tre volte la tromba, e si vede calare un gran ponte dal castello, sopra di cui egli ascende con fretta)

ARIDENO

(Ahi che veggio!)

TANCREDI

(Che miro!) Al rauco suono

del ritorto strumento il ponte abbassa

temuto ampio castello!

ARIDENO

Orror infonde

l'inespugnabil sito.

TANCREDI

Entrisi.

(vuol di nuovo incamminarsi ver'esso, e il servo lo trattiene)

ARIDENO

No mal cauto: in me s'accresce

il sospetto di frode.

TANCREDI

Chi non vince i perigli è senza lode.

Con i rischi della morte

son avvezzo a contrastar.

E ne' rischi, il braccio forte

uso è sempre a trionfar.

Con i rischi della morte

son avvezzo a contrastar.

All'improvviso illuminatosi tutto il castello, e comparso il cielo stellato, si vede Rambaldo, che frettolosamente discende dal suddetto ponte con spada nuda nella destra, assistito da Armida che sovra il castello si trattiene invisibile.

ARIDENO

Ah duce duce: vedi

come con destra armata

all'apparir di mille faci ardenti,

rapido, e minaccioso

guerrier ver te se n' viene.

TANCREDI

In difesa l'acciar stringer conviene.

(mette mano alla spada)

Scena ottava

Rambaldo, e suddetti.

RAMBALDO

(verso Tancredi)

O tu qualunque sei, ch'ora qui giungi

tosto l'armi deponi.

ARIDENO

(Ohimè.)

TANCREDI

Che l'armi

io deponga o fellone?

RAMBALDO

Olà, così d'Armida

vilipendi un campione?

ARIDENO

(piano a Tancredi)

Flemma signor.

TANCREDI

Campione tu? diverso

ti dichiara la fama.

Scellerato Rambaldo

ti conobbi agli accenti:

e non sai, che sei quello,

che sacrilego, ed empio

il più vero de' riti

nel più falso cangiasti:

con obbrobrio del nome:

con infamia del sangue:

della patria con scorno: onde non merti

solo ch'esser chiamato

il peggior de' mortali:

il più tristo fra rei:

il ribelle de' numi:

e con titoli degni,

fregiarti ancor o traditor presumi?

RAMBALDO

A parlar troppo audace

non si dà la risposta,

che con lingua di ferro.

(vuol tirar una stoccata a Tancredi)

ARIDENO

(gliela ripara)

Ah guarda!

TANCREDI

Lascia,

ch'a momenti a' suoi piedi

lo svenerà Tancredi.

(si mette in guardia)

RAMBALDO

Tancredi tu?

(abbassa la punta della spada a terra)

TANCREDI

Tancredi sì: che forse

ti sgomenti a tal voce?

RAMBALDO

(Astri che sento!)

TANCREDI

(lo invita a combattere)

Su: via...

RAMBALDO

(Tropp'egli è prode.)

TANCREDI

(fa il medesimo)

Vibra l'acciar, che stringi

RAMBALDO

(Che deggio far?)

TANCREDI

Codardo

e tardi ancor?

(lo percuote con la spada sulla spalla)

RAMBALDO

Codardo a me? non posso

più sopportar l'oltraggio:

qui l'invisibil maga

forse al timido cor darà coraggio.

Un cieco ardimento

ti guida a morir.

Con pronto valore

saprò del tuo core

l'audacia punir.

Un cieco ardimento

ti guida a morir.

Segue il duello fra Tancredi, e Rambaldo.

ARIDENO

Giove pietoso assisti

al tuo duce fedel: fa' ch'ei rimanga

l'uccisor di quel mostro:

umile per tal grazia al suol mi prostro.

(incalzato Rambaldo da Tancredi fugge sul ponte nel castello)

TANCREDI

O vile, e fuggi? il brando

ti seguirà: ma qual inganno! tutte

s'estinguono le faci...

(spariscono i lumi)

TANCREDI

Resto fra l'ombre cieche:

più non miro l'indegno: o iniquo: questi

sono i maggior tuoi vanti:

per sottrarti alla morte,

in mancanza d'ardir usar gl'incanti?

ARIDENO

Partiam Tancredi.

TANCREDI

(va per la scena)

Voglio

prima tra questi orrori,

tracciar l'anima infida.

ARIDENO

Lo cerchi invan sei prigionier d'Armida.

(sparisce)

Tancredi all'improvviso si trova imprigionato con Arideno.

ARIDENO

Misero me che ascolto.

TANCREDI

Ah troppo è vero:

in carcere son io ferreo ritegno

sento, che fra catene

a rimaner mi sforza.

ARIDENO

Volesti aver ogni malan per forza.

TANCREDI

Assai mi pesa, o fido

l'impegno con Argante: e più che l'alma

smarrita ha la speranza

di riveder Clorinda: o fato, o sorte

quanto mi foste avversa.

ARIDENO

Di Clorinda, e d'Argante

a me più cal la libertà, ch'ho persa.

TANCREDI

Amor se non vedrò

il sol, che m'invaghì,

tu sai qual pena avrò.

Non potrò star così

al certo morirò.

Amor se non vedrò

il sol, che m'invaghì,

tu sai qual pena avrò.

Scena nona

Camera d'Armida alla turchesca con trasparenti, e volo d'otto amorini, che formando un padiglione per aria chiudono il prospetto della medesima.
Armida.

ARMIDA

Tutta giubilo, e tutta riso

è quest'anima, o dio d'amor:

resta quasi nel seno anciso

dalla gioia l'allegro cor.

Tutta giubilo, e tutta riso

è quest'anima, o dio d'amor.

Per opra di mie frodi

il famoso Tancredi

geme anch'esso tra ceppi: il fiore omai

de' latini campioni

in mio poter rimane:

or sì, che crede Armida,

che del prode Buglion l'arme sian vane.

Ma pria, che nel cammino

più s'inoltri la notte: irne compagna

vo' di chi fra le piume

solo qui posa, e giace;

voi scopritelo tosto:

l'alma senza il suo bene è senza pace.

Squarciato il padiglione dagli amorini che spariscono a volo, si scopre Rinaldo, che dorme sopra pomposo, e fiorito letto a cui s'avvicina Armida.

ARMIDA

Occhi chi non vi mira

non sa che sia beltà:

il sol dell'ombre è duce

se con la vostra luce

il paragon si fa.

Occhi chi non vi mira

non sa che sia beltà.

Scena decima

Rinaldo, che sognando balza dal letto ad occhi chiusi, e Armida.

RINALDO

Lasciami iniquo: e dove

dagli alberghi d'Armida

mi conduci lontano?

ARMIDA

(Sogna.)

RINALDO

Lascia ch'io torni

in seno all'idol mio.

ARMIDA

(Ei sogna sì.)

RINALDO

Lasciami dissi oh dio...

ARMIDA

(prendendolo per un braccio)

Rinaldo.

RINALDO

E ognor più stretto

osi afferrarmi o indegno?

ARMIDA

(lo scuote)

Svegliati, sono Armida.

RINALDO

Ti renderò delle mie furie il segno.

ARMIDA

(lo scuote con maggior empito)

Deh svegliati una volta.

RINALDO

(apre gli occhi)

Armida.

ARMIDA

E quale

violenza del sonno

a delirar ti sforza?

RINALDO

Ah sappi, o bella,

che da mano furtiva

lungi da queste soglie

ero condotto a viva forza.

ARMIDA

Il tutto

già per tua bocca intesi.

RINALDO

E il vero ancora

parmi sognar ad occhi aperti.

ARMIDA

Eh scaccia

dalla mente le larve.

RINALDO

Ecco l'audace,

che pur tenta involarmi.

ARMIDA

E dove o stolto?

RINALDO

Miralo.

ARMIDA

Tu vaneggi.

RINALDO

La fantasia ti fa veder quel volto.

ARMIDA

Dimmi ravviseresti

l'effige di costui?

RINALDO

Certo.

ARMIDA

Sarebbe

forse Latin?

RINALDO

Latino.

ARMIDA

In questo punto

uno de' tuoi, rimase

entro miei lacci avvinto:

s'egli è 'l ceffo aborrito

cader potrà dalle tue mani estinto.

RINALDO

In quel seno

qual baleno

l'ira accesa avventerò.

E d'un core

traditore

fiera strage or or farò.

In quel seno

qual baleno

l'ira accesa avventerò.

ARMIDA

Verrà fra poco il prigioniero intanto

ricomponi dell'alma

l'agitate potenze:

abbandona i timori

tutte richiama in viso

le perdute bellezze:

rallegra i rai: la smorta guancia innostra:

se mesta non mi vuol lieto ti mostra.

Su quel labro il dolce riso

fa' che torni a pullular:

senza il solito tuo brio

un dolor acerbo, e rio

mi costringe a lacrimar.

Su quel labro il dolce riso

fa' che torni a pullular.

Scena undicesima

Rinaldo cogitabondo.

Dalla torbida idea

scacciar invan procuro

l'immagine concetta:

par che debba avverarsi

ciò, che la mente ingombra:

per affligger quest'alma ha corpo un'ombra.

Mi lacera il timor

di perdere il mio ben.

Piuttosto, o cor vorrei,

che fra tormenti rei

tu mi mancasti in sen.

Mi lacera il timor

di perdere il mio ben.

Scena dodicesima

Tancredi, e Arideno incatenati condotti da Rinaldo.

TANCREDI

In qual parte, o felloni

fra pesanti catene

voi strascinate il piè?

ARIDENO

Un poco più di carità per me.

RINALDO

(Che rimiro!)

TANCREDI

(Che veggio!)

RINALDO

Questi è Tancredi.

TANCREDI

(verso Arideno)

Questi

è Rinaldo.

ARIDENO

È d'esso.

RINALDO

Amico.

(corrono ad abbracciarsi)

TANCREDI

Amico.

RINALDO

Come sei tra ritorte?

TANCREDI

L'arte dell'empia Armida

ordì poc'anzi al mio destin tal sorte.

ARIDENO

(Tremo per la paura della morte.)

RINALDO

Empia ad Armida? il nume

della beltà? quella, per cui sospiro?

Emèndati del fallo, o qui m'adiro.

TANCREDI

(Che sento?)

RINALDO

Il mondo tutto

non ha donna più degna:

prodiga nei favori

nelle grazie propensa:

affabile, gentile:

ricca d'ogni virtù: che generosa

mille volte mi fece

arbitra del suo trono:

e l'oltraggi così?

ARIDENO

(piano a Tancredi)

Chiedi perdono.

TANCREDI

(Tolgalo il ciel!)

RINALDO

M'avveggio,

che superbo ricusa

di correggersi il labbro;

pensaci bene: o forse

la stessa morte avrai

che serbavo ad altrui.

ARIDENO

(L'indovinai.)

TANCREDI

Amor accieca a tua ragione i rai.

RINALDO

In difesa del mio bene

l'armi sempre impugnerò.

Son dall'obbligo costretto

far ragione a quell'oggetto,

che quest'alma innamorò.

In difesa del mio bene

l'armi sempre impugnerò.

Scena tredicesima

Tancredi, ed Arideno.

ARIDENO

Signor, udisti quale

sciagura a noi sovrasta?

TANCREDI

Per superarla è in me valor, che basta.

ARIDENO

Come? se fra catene

d'ambo ristretto è 'l piè.

TANCREDI

Ma non ristretta

fra catene è la mano.

ARIDENO

L'adopra, o duce, un prigionier invano.

TANCREDI

Prima, che dalla morte

cada oppresso Tancredi

dell'uccisor vedrai

l'anima vile a traboccarmi ai piedi.

ARIDENO

E che giova? se teco

dopo simil bravura

dovrò chiudermi alfine in sepoltura.

TANCREDI

Fa' coraggio Arideno.

ARIDENO

Non posso.

TANCREDI

E quando ancora

fosse comune il fato

incontrisi animoso.

ARIDENO

E non t'affligge

il perdere Clorinda?

TANCREDI

Assai: ma l'alma

soffre invitta il tormento.

ARIDENO

È di tempra maggior quel duol, ch'io sento.

TANCREDI

Che gran pena è la tua?

ARIDENO

Che pena?

TANCREDI

Sì.

ARIDENO

Lascio... Mi scoppia il cor.

TANCREDI

Chi lasci? Chi?

ARIDENO

Lascio la cara moglie.

TANCREDI

Il ciel t'invola

dal maggior d'ogni impaccio.

ARIDENO

Lascio gl'amati figli.

TANCREDI

Un peso al mondo,

ch'il ricco aggrava, e ch'il mendico opprime.

ARIDENO

Lascio i parenti.

TANCREDI

Tutti

traditori al suo sangue.

ARIDENO

Gli amici.

TANCREDI

O non li trovi,

o che li trovi infidi.

ARIDENO

So che tu dici il vero:

già già l'anima ardita

più la morte non teme:

vadano alla malora

moglie, figli, parenti, e amici ancora.

TANCREDI

Se mi dà pena, o no

a perder il mio bene, amor lo sa.

Ma la crudel fortuna,

che tutti i mali aduna

così già destinò

né mai si cangerà.

Se mi dà pena, o no

a perder il mio bene, amor lo sa.

Scena quattordicesima

Armida anelante.

Dov'è Rinaldo? dove

fuori dalle mie stanze

uscì con tanta fretta? oh dio! qui venni

per intender da lui

l'esito con Tancredi

e non lo trovo... impazïente anelo

saper se della mente

all'inquieto spirto

recò pace, o più guerra.

Ratta da questo suolo

a rintracciar la cara effige io volo.

Non sa se debba ridere,

o piangere il mio cor.

Vol ridere,

vol piangere

vol gioia, vol dolor.

Non sa se debba ridere,

o piangere il mio cor.

Non sa se desta gemiti,

o giubilo il mio sen.

Vol gemiti

vol giubilo,

vol fosco, vol seren.

Non sa se desta gemiti,

o giubilo il mio sen.

Scena quindicesima

Colline nevicate sul far del giorno con padiglioni illuminati sopra di esse da' quali risvegliati al tocco di tromba nemica, escono le Milizie di Gofredo, ed egli stesso con molti altri Capitani.

GOFREDO

Da qual suono improvviso

di nemico oricalco

desto è Gofredo? e minaccioso intorno

riempiendo il suol di lutto

par, che sfidi a battaglia il campo tutto.

Ecco dal vicin colle

spuntar nemico araldo, e là fermarsi.

Guerrier, che nell'aspetto

sembrava un Marte gigante:

se non erro all'insegne è questi Argante.

Mi predice il core afflitto

ch'a penar ritornerò.

Già dal seno

qual baleno

il gioir si dileguò.

Mi predice il core afflitto

ch'a penar ritornerò.

Scena sedicesima

Clorinda in abito da araldo. Gofredo con suoi Capitani, ed Argante a cavallo che si ferma in lontano fra due colline assistito da buon numero di Saraceni.

CLORINDA

Signor, che ben dimostri

al venerando aspetto

esser il primo duce: a te m'invia

colui, che con Tancredi

già cominciò la pugna; eccolo: annuncia

or con le voci mia,

che secondo il concerto

venne per ultimarla al sesto die.

GOFREDO

(verso i suoi capitani)

S'avveraro i preludi: egli dal campo

manca, che son più giorni.

CLORINDA

È la disfida

comune a tutti: il prode Argante include

Tancredi pria, né però gli altri esclude.

GOFREDO

(verso Clorinda)

Intesi.

CLORINDA

E che rispondi?

GOFREDO

Il passo inoltri

chi vuol guerra con noi.

CLORINDA

Tu pur affidi

la di lui sicurezza?

GOFREDO

Non è quest'alma a tradimenti avvezza.

CLORINDA

Vieni, vieni o duce invitto

vieni in campo a trionfar.

Il rival cadrà trafitto

sol del brando al lampeggiar.

Vieni, vieni o duce invitto

vieni in campo a trionfar.

Scena diciassettesima

Argante che s'avanza a cavallo fino in mezzo l'esercito cristiano: ivi giunto discende, e per qualche spazio di tempo resta guardandosi attorno senza parlare.
Gofredo, e detti.

ARGANTE

Eccomi nell'arringo:

ma non spunta Tancredi? o gente invitta,

o popolo guerriero, e dove giace

il terror di vostr'armi? aspetta forse

la notte, ch'altre volte a lui soccorse?

GOFREDO

(Quasi con dura sferza

lo scherno di costui l'alma flagella.)

ARGANTE

Veng'altri s'egli teme.

Vengan le squadre intere:

i duci a stuolo, a stuolo:

ch'a pugnar con Argante

giurovi che non basta un uomo solo.

GOFREDO

Senza indugio, o Raimondo

fallo apparir mendace: ora o superbo

t'avvedrai ne' contrasti

se questo solo, o se tu sol non basti.

ARGANTE

Che fa dunque Tancredi?

fugge forse da me? ma fugga pure

nel centro anco d'abisso: il ferro mio

lo giungerà.

GOFREDO

Menti nel dir, ch'uom tale

fugga da te, ch'assai di te più vale.

ARGANTE

Riserbo ad altro tempo

il vendicar l'offesa: omai ci desti

la tromba alla tenzone.

GOFREDO

(fa moto a Raimondo che entri nello steccato)

A punir quell'audace esci, o campione.

ARGANTE

Al nume guerriero

non cedo al pugnar.

Di Marte più fiero

so l'arte vibrar.

Al nume guerriero

non cedo al pugnar.

Segue il duello alla vista dell'esercito nel qual tempo esce un vapore sotterraneo in guisa di nuvola, che si tramuta in Clorinda, quale s'arresta ad Oradino Sagittario, e fa, ch'egli scagli uno strale a Raimondo: dal che irato Gofredo così parla contro Argante.

GOFREDO

O scellerato: queste

son le prodezze tue? per man d'altrui

sopportar, ch'a Raimondo

voli pennuta morte? olà miei fidi

ecco rotta la fé: suvvia l'ardire

castigate degl'empi: all'armi, all'ire.

S'incontrano li Cristiani, e li Saraceni; fra i quali segue fierissimo combattimento.

Atto secondo
Scena prima

Giardino d'Armida in forma di labirinto con spelonca nel mezzo.
Rinaldo solo.

Voi ridete erbette, e fiori,

ma non rido io già così;

nel mio volto

dove il brio stava raccolto

la mestizia oggi apparì.

Voi ridete erbette, e fiori,

ma non rido io già così.

Scena seconda

Armida, e Rinaldo.

ARMIDA

O mio bel sole: appunto

te sospiravo: e come

al popolo odoroso

giri torbidi i rai, svelami: forse

dell'effige sognata

ritrovasti in Tancredi

alcun vestigio?

RINALDO

No.

ARMIDA

Perché rimane

l'alma sì trista ancora?

RINALDO

Perché misera teme

di perdere colei, che tanto adora.

ARMIDA

Chimere.

RINALDO

Ah che ben spesso

de' vicini accidenti

son precursori i sonni.

ARMIDA

Orsù: di quanti

cavalieri latini

trovansi ne' miei tetti orrenda strage

io ne farò.

RINALDO

Non tanto sangue...

ARMIDA

Almeno

dal timor, che t'ingombra

vo' liberarti. Olà custodi: tosto

disserrato lo speco

gl'itali prigionieri

venghino al mio cospetto.

Meco intanto qui siedi

ch'una scena vedrai di gran diletto.

Dalle Guardie viene aperta la porta della spelonca; intanto Armida preso Rinaldo per la mano lo conduce seco a sedere sopra un cespo di fiori.

ARMIDA

Voglio per forza, o caro,

che tu rallegri il cor.

L'occhio, la guancia, il labbro,

se di mestizia è fabbro

più non risveglia amor.

Voglio per forza, o caro,

che tu rallegri il cor.

Scena terza

Escono dalla spelonca Tancredi, Arideno, e tutti li Cavalieri imprigionati da Armida.

TANCREDI

Eccoci in libertà: su via compagni

tentisi, benché inermi

dar la morte ad Armida.

ARIDENO

Sì sì la rea con nostra man s'ancida.

Corrono per avventarsi ad Armida, e restano tutti immobili nel suolo.

TANCREDI

Ma come all'improvviso

immobile rimango?

ARIDENO

E come, o dio,

perde qui l'uso il passo?

TANCREDI

Sembra un tronco ciascun.

ARIDENO

Ciascuno un sasso.

ARMIDA

(levandosi in piedi)

O temerari: e tanto

(con furia)

contro di me s'ardisce? ignoto forse

v'è 'l mio poter? in tronco, e sasso: appunto

trasformarvi vogl'io: tosto si cangi

in virtù de' miei carmi

altri in belve, altri in piante, ed altri in marmi.

RINALDO

Meritato castigo.

TANCREDI

Omai di lupo

prese Enrico l'effige.

(si tramuta)

ARIDENO

Guasco è in tigre converso.

(fa il medesimo)

TANCREDI

In leone Guglielmo.

(fa il medesimo)

ARIDENO

Artemidoro in orsa.

(fa il medesimo)

TANCREDI

In cipresso Olderico.

(fa il medesimo)

ARIDENO

Eberardo in macigno.

(fa il medesimo)

TANCREDI

Ridolfo, e Vincislao

già divennero augei.

ARIDENO

Gherardo alfine

in altra specie ha tramutato il crine.

(fa il medesimo)

ARMIDA

(a Rinaldo)

Che dici?

RINALDO

Bizzarro.

TANCREDI

Io stesso in bruto

sento cangiarmi.

(diventa mezzo satiro)

ARIDENO

Io pure

prendo forma novella.

Almen cangiando sesso

divenisse Arideno una donzella.

(diventa mezzo cavallo)

TANCREDI

Perfida maga: queste

son l'opre tue? Della ragion al lume

simili oltraggi arrechi?

Nella mente dell'uomo

il ciel splender la fece, e tu l'acciechi?

RINALDO

(ad Armida)

Deh rendigli ti prego

la primiera sembianza.

ARMIDA

Volentieri.

RINALDO

E più tosto

mandali in ceppi altrove.

ARMIDA

Di mia possanza ora vedrai le prove.

(batte un piede per terra, e tutti ritornano nella prima sembianza)

RINALDO

O prodigiosa Armida!

ARMIDA

Immantinenti

ver Gaza al re d'Egitto

siano condotti in dono.

ARIDENO

Vo' guardar in disparte

se da quello, che fui diverso io sono.

TANCREDI

Donna rea di me tu ridi,

ma di te mi riderò.

Porgerò preci al tonante,

che con destra fulminante

arda un dì chi m'oltraggiò.

Donna rea di me tu ridi,

ma di te mi riderò.

Scena quarta

Armida, e Rinaldo.

ARMIDA

Ora da tuoi sospetti

libero pur sarai: meco di nuovo

siedi tra questi fiori;

qui scherzino, o Rinaldo i nostri amori.

(preso per una mano Rinaldo torna seco a sedere nel loco di prima)

Insieme

ARMIDA

Quel labbro

m'invita a goder.

Un sol de' tuoi baci,

contiene

immenso piacer.

Quel labbro

m'invita a goder.

RINALDO

Quel seno

m'invita a goder.

Un semplice amplesso

rinchiude

immenso piacer.

Quel seno

m'invita a goder.

(Rinaldo si lascia cadere nel seno d'Armida, ed ella gli pone una corona di rose sul capo)

Scena quinta

Ubaldo colla verga, e scudo fatale nella destra, che spunta da una siepe di rose.

UBALDO

Eccomi giunto alfine

a discoprir Rinaldo: o vista e giace

seco la sua diletta:

egli in grembo alla donna: essa all'erbetta.

Levandosi in piedi Armida, Ubaldo si ritira.

ARMIDA

Ai domestici affari

per poco o mio tesoro

partir degg'io: quivi rimanti: or ora

verran mie luci a rivederti ancora.

RINALDO

Deh non far, o mio sol lunga dimora.

ARMIDA

Bel labbro m'offendi

a dirmi così:

s'in petto a chi s'ama

più l'alma soggiorna,

per forza ritorna

con celere brama

da dove n'uscì.

Bel labbro m'offendi

a dirmi così.

Scena sesta

Rinaldo, e poi Ubaldo.

RINALDO

È tanta la gran fiamma,

che per Armida io sento,

che lontano da lei

un secolo mi par ogni momento.

Mi piace amar davvero,

e amar con fedeltà.

Così si deve far.

Amar per bene amar,

e non per vanità.

Mi piace amar davvero,

e amar con fedeltà.

UBALDO

Agl'occhi di Rinaldo

l'adamantino scudo

offrasi omai: già già rapito il guardo

viene dal fatal lampo

più non si tardi ad intimar lo scampo.

Rinaldo s'affissa nello scudo rappresentatogli agli occhi da Ubaldo

UBALDO

O grand' eroe pur vedi

qual sei: come nel terso

lucidissimo acciar: il manto: il crine

spira tutto lascivie? e come il ferro

da lusso effeminato

guarnito è sì, ch'inutile ornamento

sembra non militar ferro istrumento.

RINALDO

(Cieli! sogno! o son desto!)

UBALDO

Deh sorgi, o duce invitto:

va l'Asia tutta, va l'Europa in guerra,

te solo in ozio vile,

principe generoso

scioperato ne stai? dell'universo

te solo il moto, nulla

move egregio campion d'una fanciulla?

RINALDO

(O mia vergogna eterna!)

UBALDO

E qual letargo

tien l'anima sopita?

Su su fatal guerriero:

te 'l campo: te Gofredo:

te la sorte: il trionfo,

ansioso attende: vieni, e l'empia setta,

che già crollasti a terra estinta cada

sotto l'inestinguibile tua spada.

RINALDO

Non più: taci: a bastanza

tu mi festi arrossir: chiuso n'andrei

e sotto il mare: e dentro

il foco per celarmi, e giù nel centro.

UBALDO

Non ti smarrir hai tempo

di risarcir' il danno.

RINALDO

O dio! sin ora

in questa dimorai

stolida cecità? con questi arnesi

sciocco adornai me stesso? itene, o indegne

pompe di servitù, miserie indegne.

Si squarcia le spoglie d'intorno, e le getta a terra.

UBALDO

Generoso dispregio.

RINALDO

Ubaldo il cielo

qui ti condusse: ah sappi

ch'egli la tua venuta

femmi veder' in sonno.

UBALDO

Il cielo appunto

fu la mia guida, e volle

che meco ora t'accingi

a subita partenza.

RINALDO

Andiam: ma come

dall'incantato albergo

potrem fuggir?

UBALDO

Con la virtù di questa

verga fatal, ch'io stringo

vi penetrai: con la medesma ancora

ritroverem l'uscita.

RINALDO

Tu mi precorri, e intanto

e certa via nel laberinto addita.

UBALDO

Guarda non ti lasciar

vincere da beltà se più la miri.

Tu sai come diletta,

ma come tien ristretta

l'anima fra martìri.

Guarda non ti lasciar

vincere da beltà se più la miri.

Scena settima

Rinaldo.

No no: già son risolto

d'abbandonar Armida

conobbi già ch'ogni bellezza è infida.

Esser non voglio più

più schiavo o cor

d'amor

né star in servitù.

Non so se tu m'intendi

se pur m'intendi tu.

Esser non voglio più

più schiavo o cor

d'amor

né star in servitù.

Scena ottava

Armida, che torna per ritrovar Rinaldo.

Misera me che veggio?

Qui Rinaldo non trovo?

(lo va cercando per scena)

Rinaldo, anima mia, forse tra questi

laberinti frondosi

per ischerzo ti celi? esci: né lascia

di tua vista digiuni

i famelici rai: vieni: t'affretta:

ahi che quella partenza,

che poc'anzi sognasti ora è sospetta.

Se non trovo il mio sol son morta amore.

Già sento, che la tema

viene con doglia estrema

ad assalirmi il core.

Se non trovo il mio sol son morta amore.

Scena nona

Altre colline nevicate coperte di stragi con breccia nelle mura di Gierusalemme.
Gofredo levandosi un gran scudo, che tiene nel braccio precorso da Sigiero suo scudiere, e seguìto da molte Milizie.

GOFREDO

Recami, o buon Sigiero

l'altro scudo, che porti: ha d'uopo il brando

per trapassar sull'affollate stragi

di men gravoso incarco:

e tempo è ben ch'alcuna nobil'opra

della vostra virtude ormai si scopra.

Nell'andar verso la breccia, vien ferito da uno strale.

Ma qual invido telo

spinto da man nemica

divien remora al passo? ah che non toglie

piaga benché mortale

dal mio petto il coraggio: amici andiamo

delle mura all'assalto:

meco s'armi ciascun d'un cor di smalto;

ma l'acerba ferita

più s'inaspra nel duol: né mi sostenta

la gamba offesa ahi troppo: olà subentra

Guelfo nelle mie veci: io vado, e torno,

tu generoso assisti

che forse egli è del gran trionfo il giorno.

(viene sostenuto da due soldati sotto le braccia)

Il dio delle battaglie

invoca nel pugnar.

Nel ciel confida, e spera,

ch'ad umile preghiera

il ciel si suol piegar.

Il dio delle battaglie

invoca nel pugnar.

Scena decima

Mentre Guelfo con i Soldati va per assalire la breccia esce Clorinda, ed Argante con sabla alla mano seguitati da un grosso de' Saraceni.

CLORINDA

E dove, o folli

ir presumete? a terminar la vita

l'empito vi conduce.

Guelfo con le milizie fugge intimorito.

ARGANTE

Da tue voci atterriti

fuggono vili, e li soldati, e 'l duce.

CLORINDA

S'arresti

s'ancida

la turba, ch'infida

s'invola da me.

Più d'un rapido stral veloce ho 'l piè.

ARGANTE

Ferma Clorinda mira

come rimane aperto

qui l'arietato muro.

CLORINDA

Di vendicar un sì gran danno i' giuro.

ARGANTE

Vadasi a ripararlo.

CLORINDA

A miglior d'uopo

ho rivolto 'l pensier.

ARGANTE

Che tenti o bella?

CLORINDA

Arder in altra parte

torre, che fra nemici

co l'arti sue più la città flagella.

ARGANTE

Son teco all'alta impresa.

CLORINDA

Ama quest'alma

d'esser sola all'effetto.

ARGANTE

E in ozio vil me lascerai negletto?

CLORINDA

Abbondano gl'impieghi.

ARGANTE

No, no: se fui tra l'armi a te consorte,

esser vuo' nella gloria, e nella morte.

CLORINDA

Ciò, che tu vuoi.

ARGANTE

M'astringe

prima verso la dama

il debito comune.

CLORINDA

Sentimento cortese.

ARGANTE

L'obbligo, che privato

al merto di Clorinda

come amante professo.

CLORINDA

Maggior bontade.

ARGANTE

E poi

della città cadente

la ragione efficace

di salvarti al sostegno.

CLORINDA

Scusami Argante, e 'l difensor del regno.

ARGANTE

Orsù: tronchiam gl'indugi.

CLORINDA

Ascolta. In fretta

agl'alberghi d'Ismeno

rivolgi il piè: confida

l'opra imminente: digli,

ch'un misto egli componga

atto ai subiti incendi

tanto gli rappresenta, e là m'attendi.

ARGANTE

È pur dolce a chi ben ama

il comando del suo ben,

l'ubbidir è sì soave,

che per lui non sembra grave

l'accettar la morte in sen.

È pur dolce a chi ben'ama

il comando del suo ben.

Scena undicesima

Clorinda sola.

Che non fa? che non tenta

per gradir a Clorinda

l'innamorato Argante?

Ma non giova che poco,

poiché so che nel mondo

degl'uomini l'amar, è amar per gioco.

Son tutti traditori

gl'amanti d'oggidì.

Ognun vi dà speranza

di conservar costanza,

ma poi non è così.

Son tutti traditori

gl'amanti d'oggidì.

Son tutti menzogneri

gl'amanti d'oggidì,

vi giura ognuno in petto

d'aver un saldo affetto,

ma poi non è così.

Son tutti menzogneri

gl'amanti d'oggidì.

Scena dodicesima

Spiaggia di mare con molo, e la fortuna in nave dorata si trattiene al lido aspettando Rinaldo.
S'ode fierissimo combattimento dentro la scena poi esce Rinaldo, e Ubaldo con spada alla mano seguito da Tancredi, Arideno, e tutti li Cavalieri, che Armida mandava in Egitto.

RINALDO

Vittoria alfin sortimmi

liberarvi, o compagni

dalla turba, che schiavi

vi scortava in Egitto.

UBALDO

Cade nel suol ogni fellon trafitto.

RINALDO

Risvegliato il braccio mio

torna fulmini a vibrar.

Più non torpe in ozio vile,

non v'è forza in petto ostile,

che gli possa contrastar.

Risvegliato il braccio mio

torna fulmini a vibrar.

TANCREDI

Della vita a Rinaldo

son debitor due volte.

ARIDENO

Io non esprimo

gl'obblighi d'Arideno.

RINALDO

Te stringo amico, e te buon servo al seno.

TANCREDI

Scusami se d'Armida,

con tropp'ardir...

RINALDO

Taci: non più: di lei,

e dell'offesa insieme

la memoria svanì.

TANCREDI

Ma come il cielo

ti trasse in questa via.

RINALDO

Chiedilo a chi mi seppe

libero far'uscir di prigionia.

UBALDO

Or non è tempo è d'uopo

fugir da questa terra.

V'attende, o duci il pio Buglione in guerra.

TANCREDI

Andiamo.

UBALDO

A voi non lice

esser con noi; quella, che la mirate

è la Fortuna: e nel suo pin me solo

deve condur col buon Rinaldo a volo.

TANCREDI

(Ch'odo!)

ARIDENO

(Che sento!)

UBALDO

In campo

ite per altra parte:

né temete Armida;

poiché già della maga è vinta ogn'arte.

RINALDO

Per momenti, o Tancredi

ci divide il destin.

TANCREDI

Pazienza: in breve

ci rivedrem: prendi l'imbarco.

RINALDO

Prima

te movi alla partenza.

TANCREDI

È mio dover, ch'al lido

io t'accompagni.

RINALDO

È mia ragion, ch'io scorga

incamminato il passo.

TANCREDI

Eh via Rinaldo.

RINALDO

Eh via Tancredi.

ARIDENO

Ognuno

si divida in un punto.

TANCREDI

Prego.

RINALDO

Supplico.

UBALDO

Ubaldo

deciderà la lite:

parta prima Tancredi, e voi partite.

ARIDENO

Tutte le cerimonie

saran così finite.

TANCREDI

Partirò, ma teco resta

questo cor incatenato.

Finché vivo,

finché spiro

coll'affetto

del tuo petto

starà sempre il mio legato.

Partirò, ma teco resta

questo cor incatenato.

Scena tredicesima

Ubaldo e Rinaldo.

UBALDO

Noi pur senza dimora

partiam Rinaldo, acciocché l'empia maga

non sopraggiunga al lido.

RINALDO

Meco non ha più forza il suo Cupido.

Mi trovo in libertà,

e voglio starci affé.

Sarebbe una pazzia

condur quest'alma mia

in preda a una beltà,

che pene ognor mi diè.

Mi trovo in libertà,

e voglio starci affé.

Scena quattordicesima

Mentre Rinaldo s'incammina verso il lido sopraggiunge Armida.

ARMIDA

(Eccolo, che ver l'onda

drizza fugaci i passi.)

UBALDO

(a Rinaldo)

Armida.

RINALDO

(Dove

spunta costei.)

ARMIDA

Ferma o crudel: e soffri

lasciar me sola? aspetta almen fin tanto

che l'ultime mie voci

sian porte a te: non dico i baci: questi

altro più degna avrassi:

che temi empio se resti

potrai negar poiché fuggir potesti?

UBALDO

Guarda della sirena

non t'arrestar' ai detti.

RINALDO

Ubaldo a me conviene

trasgredir per momenti i tuoi precetti.

ARMIDA

Non creder già, ch'io porga

suppliche ad un amante:

tal fummo un tempo: ascolta

come nemico: i preghi

d'un nemico talor l'altro riceve.

Ben quel, che chieggio è tal, che dar lo puoi,

e integri conservar gli sdegni tuoi.

UBALDO

Temo.

RINALDO

Non dubitar.

ARMIDA

Se m'odi, e sprezzi

odiami quanto sai: le vostre genti

odiai anch'io, odiai te stesso: aggiungi

a questa ogn'altra colpa, e siano tutti

stimoli alla partenza:

vattene: passa il mar: pugna: travaglia:

struggi la fede nostra, anch'io t'affretto.

Che dico nostra? ah non più mia: fedele

sono a te solo idolo mio crudele.

UBALDO

(vuol condurlo via)

Basta così.

RINALDO

Pazienza.

ARMIDA

Solo mi si conceda,

ch'io ti segua fra l'armi

ch'il nome di regina

cangi in vil serva: solo

questo mi si conceda:

animo ho ben: ho ben vigor, che basta

a condurti i cavalli: a portar l'aste.

UBALDO

(fa il modo di sopra)

Oh dio partiam.

RINALDO

Son teco or ora.

ARMIDA

In campo

sarò qual più vorrai

o tuo scudiero, o scudo:

passerà pe 'l mio seno

pria, ch'a te giunga il ferro: e forse forse

non oserà piagarti

per non ferir me stessa.

Condonando il piacer della vendetta

a questa qual si sia beltà negletta.

UBALDO

Partiamo dico.

RINALDO

Aspetta. Armida invero

assai di te mi pesa: oh potess'io

dal malconcetto ardore

l'alma sgombrarti: e che li miei non sono

odii, né sdegni, o bella:

né vo' vendetta, né rammento offesa:

né serva tu, né tu nemica sei:

errasti è ver: e trapassasti i modi

esercitando ora gli amori, o gl'odi.

Ma che? son colpe umane, e colpe usate.

Scuso la natia legge, il sesso: e gl'anni.

Anch'io fallii, né condannar te posso

se non condanno anco me stesso: ascolta

sarò tuo cavalier quanto richiede

la guerra d'Asia, e con l'onor la fede.

UBALDO

Che dici?

RINALDO

Il fine omai

pongasi a nostri errori: e fia sepolta

la memoria di tanti

vergognosi delitti:

deh non voler, che segni ignobil fregio,

tua beltà, tuo valor, tuo sangue regio.

UBALDO

Rinaldo io qui non voglio

più soffrir una dimora...

RINALDO

Armida a dio;

rimanti in pace: io vado: a te non lice

meco venir: chi mi conduce il vieta

rimanti.

UBALDO

E ancor non giunse

il discorso alla meta?

RINALDO

Ci vol pazienza

convien partir.

La sofferenza

del mio dolore

non è minore

del tuo martir.

Ci vol pazienza

convien partir.

Scena quindicesima

Volendo correre Ubaldo ad imbarcarsi con Rinaldo viene arrestato da Armida.

ARMIDA

Contro di te: ch'affretti

Rinaldo alla partenza

m'avventerò.

UBALDO

Cotanto ardisci?

ARMIDA

Imponi

che si trattenghi.

UBALDO

Impongo

con la forza di questa

verga, che ti percote;

che restino nel suolo

fin che partiam, qui le tue piante immote.

Armida resta immobile.

UBALDO

Dovreste amanti tutti

le femmine lasciar.

Fuggir da tante pene,

ch'ognora vi conviene

per quelle in sen portar.

Dovreste amanti tutti

le femmine lasciar.

Scena sedicesima

Armida sola.

E si trovano incanti

che vincono li miei? Ma già ritorna

il passo in libertà.

(si muove)

Che miro i dogmi

del precettor indegno

l'uomo spietato ascolta.

Già mi lascia: mi fugge: o nato solo

dell'Ircania fra mostri: hai cor in petto

d'abbandonar Armida?

Dillo: parla: ragiona anima infida.

Ah tropp'è ver: già sordo

l'iniquo al par dell'onda

non ode i miei lamenti,

e lascia, che disperse

vadino la querele in braccio ai venti,

misera, che far deggio?

Qui che risolvo afflitta? omai la doglia

per l'anima disusa

al vital spirto ogni vigor invola

e già già mi costringe

sola a cader, ed a mancar qui sola.

(cade sopra d'un sasso)

Sì dammi la morte

o barbaro duol,

ch'a me più non lice

mirar infelice

i raggi del sol.

Sì dammi la morte

o barbaro duol.

Ma per maggior mia pena

vol riserbarmi in vita. E chi 'l direbbe?

Ito se n'è pur l'empio: un breve aiuto

senza, ch'al caso estremo

il traditor porgesse.

Ed io pur anco l'amo? e in questo lido

invendicata ancor piango? e m'affido?

che fa più meco 'l pianto? altr'arte, altr'armi

contro costui s'adopri:

già il giungo: il prendo: il cor gli svello: e quivi

le membra appendo, e s'egli è ver, che sia,

mostro di ferità vo' superarlo

nell'arti sue: ma dove son? Che parlo?

O stolta allor dovevi,

che prigionier l'avesti, in quel crudele

incrudelir: ma nella mente or nasce

novo pensier di vendicarmi: uscite

da Stige, o squadre orrende: uscite e meco

nelle tende latine

portate il vostro sdegno,

vuo', che senza dimora

cada l'empio fellon: pera l'indegno.

Escono molti Spiriti da sotto terra, portando seco un gran globo di fumo acceso.

I tuoi fulmini

ciel apprestami

per trafiggere un traditor;

lacerato

trucidato

cada sì d'un empio il cor.

I tuoi fulmini

ciel apprestami

per trafiggere un traditor.

Corre nel mezzo al globo accennato, e formatosi il ballo dagli Spiriti suddetti insieme con quelli si dilegua per aria.

Atto terzo
Scena prima

Di notte.
Macchine militari antiche nell'esercito di Gofredo con torre di legno nel mezzo, sopra di cui vi sono le Guardie. Clorinda in abito nero con visiera, e lume chiuso nella destra.

CLORINDA

Silenzi della notte

a voi ricorre il piè.

Celate quel desir,

ch'un generoso ardir

fe' risvegliare in me.

Silenzi della notte

a voi ricorre il piè.

Scena seconda

Argante che sopraggiunge con altro lume chiuso nella destra.

ARGANTE

Clorinda.

CLORINDA

Invitto duce.

ARGANTE

O dio sospendi

la meditata impresa.

CLORINDA

Perché?

ARGANTE

Troppo vicino

hai di morire il periglio.

CLORINDA

S'irritarmi non vuoi cangia consiglio.

ARGANTE

Vegliano sulla torre

le guardie esploratrici.

CLORINDA

E che rileva?

ARGANTE

Intorno

s'aggirano milizie.

CLORINDA

Argante: in petto

tu dai loco a timor?

ARGANTE

T'inganni: è zelo

sopra della tua vita.

CLORINDA

Beffasi d'ogni rischio un'alma ardita.

ARGANTE

Ad incendiar la mole,

lascia, che solo io vada.

CLORINDA

Questo fora un vietarmi

della gloria la strada.

ARGANTE

Non è così.

CLORINDA

Già son risolta.

ARGANTE

Il core

mi predice sciagura.

CLORINDA

Costante il mio gl'auguri tuoi non cura.

ARGANTE

Deh ferma.

CLORINDA

Invan t'opponi.

ARGANTE

Rifletti a tua salute

CLORINDA

Chi paventa s'arresti.

ARGANTE

Non pavento: ma...

CLORINDA

Che?

ARGANTE

Già già parmi ascoltar casi funesti.

CLORINDA

Il neghi, e di viltà moti son questi

Un amante sì codardo

non credevo mai d'aver.

Ho vergogna del tuo core,

che fa pompa di valore,

e poi teme d'un pensier.

Un amante sì codardo

non credevo mai d'aver.

(s'incammina verso la torre, osservando prima attentamente per tutta la scena)

Scena terza

Argante.

Eppur vol ostinata

al pericolo esporsi

sento, che nel mio petto

della sciagura sua cresce il sospetto.

Amore che farà?

Vorrei saper da te

se l'alma piangerà.

Non mi lasciar così:

rispondi no, o sì.

Rispondi per pietà.

Amore, che farà?

Vorrei saper da te

se l'alma piangerà.

(va egli pure a dar il foco alla torre insieme con Clorinda)

Scena quarta

Mentre arde, e cade la torre sopraggiunge Tancredi, Arideno, e molti Soldati alla di cui vista fuggono Argante, e Clorinda.

GUARDIE

(si precipitano dall'alto)

All'armi, all'armi.

TANCREDI

O trista coppia: indarno

tu procuri fuggir.

ARIDENO

Signor qual vento

uno di già sparì.

TANCREDI

(prende per un braccio Clorinda)

Quest'in sua vece

pagherà con la morte il tradimento.

CLORINDA

(si scuote mettendo mano alla sabla)

Farò, ch'a te costi la vita.

ARIDENO

Ancora

sì temerario sei?

TANCREDI

(gli tira una stoccata)

Prima perdi la tua.

CLORINDA

(cade ferita nel suolo)

Soccorso o dèi.

ARIDENO

Cade l'empio trafitto.

TANCREDI

Sciogli la fronte: voglio

riconoscer costui.

ARIDENO

(gli leva la visiera)

Pronto eseguisco.

TANCREDI

(Cieli! Chi tanto ardì?)

ARIDENO

Questa è Clorinda.

TANCREDI

(getta via la spada)

Clorinda? Ah tropp'è vero: io resto senza

e voce, e moto: ahi vista: ahi conoscenza.

CLORINDA

Tancredi, io ti perdono

perdona a me pur anche; e ciò, che bramo

concedimi pietoso:

opra in forma, che l'alma

sempiterno del ciel goda il riposo.

TANCREDI

Già da tue brame, o bella

ottennesti 'l lavacro: o potess'io

col rimaner estinto

qui renderti lo spirto.

CLORINDA

Assai m'appago

di sì buon genio.

TANCREDI

Eh tu non sai qual pena

finor per tua cagione

provai d'amor acceso.

CLORINDA

Io compatisco

l'acerba doglia.

TANCREDI

Eterni

in avvenir saranno

i pianti: i miei sospiri.

(si mette il panolino agl'occhi)

CLORINDA

Porgi porgi la man prima, ch'io spiri.

ARIDENO

Solleva in parte i crudi tuoi martiri.

CLORINDA

(tenendo per mano Tancredi)

Non pianger mio bene

non pianger per me.

Se manca la salma

ti lascia quest'alma

un pegno di fé.

Non pianger mio bene

non pianger per me.

Muore.

Scena quinta

Tancredi, ed Arideno.

TANCREDI

Io vivo? io spiro? e l'odïosa luce

rimiro ancor di questo infausto die?

Ah man timida, e lenta: or che non osi,

tu, che crudel sai del ferir ogn'arte:

tu ministra di morte empia, ed infame

di questa vita rea troncar lo stame.

(corre a pigliar la di lui spada per ammazzarsi)

ARIDENO

(lo trattiene)

Ferma signor che tenti?

TANCREDI

Lascia, che nel mio seno

corra veloce il ferro: e tutto 'l sangue

beva d'un traditor.

ARIDENO

Fermati dico.

TANCREDI

Assai più della morte

chi mi vieta la morte è mio nemico.

ARIDENO

Deh l'empito raffrena.

TANCREDI

E vuoi, ch'io resti

vivo fra miei tormenti? Ah se più vivo

qual forsennato errante

paventerò l'ombre solinghe: ogn'ora

temerò me medesmo: e da me stesso

sempre fuggendo avrò me sempre appresso.

ARIDENO

Che si può far?

TANCREDI

Se neghi

la giusta pena a' miei delitti: almeno

concedimi pietoso,

che per momenti, io serbi

entro le proprie tende

la vista del mio nume:

adorerò del sol estinto il lume.

ARIDENO

Volentieri.

TANCREDI

Deh mira,

come al bel viso intorno

piangono i mesti amori

o viso, o viso, che puoi far la morte

dolce, ma raddolcir non puoi mia sorte.

ARIDENO

Scostati.

TANCREDI

Ah no: che deve

solo del caro peso

Tancredi esser sostegno.

(vuol prenderla in braccio)

ARIDENO

(lo rigetta)

A te non lice.

TANCREDI

Mi sia lecito dunque

scorger più da vicino

le divine sembianze, e soffre il guardo

di vagheggiar chi uccise?

O di par con la man luci spietate

essa le piaghe fe', voi le mirate.

ARIDENO

Il cadavere tosto

meco, o genti involate.

Dai soldati vien portato via il corpo di Clorinda.

TANCREDI

Tesifoni d'abisso

volatemi nel cor.

Squarciatelo

sbranatelo

fu sempre in ciel prefisso

che mora un traditor.

Tesifoni d'abisso

volatemi nel cor.

Scena sesta

Esercito cristiano incamminato con diverse macchine per dar l'assalto a Gierusalemme.
Gofredo, e Rinaldo.

GOFREDO

Rinaldo omai si taccia

ogni trista memoria, e nell'oblio

restin l'andate cose.

RINALDO

A tua bontà m'inchino.

GOFREDO

In tempo giungi,

ch'alla città nemica

disposi un pieno assalto.

RINALDO

Lodato il ciel.

GOFREDO

Con questo

spero ottenerla: tutto

ver l'assediate mura

già l'esercito è in moto: e d'ogni intorno

s'invigila al grand'uopo.

RINALDO

A me, ch'imponi?

GOFREDO

Il duce

sarai di molte squadre,

ch'in breve accennerò: prima, ch'il sole

scopra nostri disegni: alle mie tende

fa' che si volga il piede.

RINALDO

Eseguirò quel tanto,

ch'in obbligo sarà della mia fede.

GOFREDO

Con la scorta di tua spada

parmi già di trionfar.

E ch'il piè festoso vada

palme ostili a calpestar.

Con la scorta di tua spada

parmi già di trionfar.

Scena settima

Rinaldo, ed Armida chiusa in un globo fiammeggiante per aria.

RINALDO

Ma! qual di fosca nube

vagabondo terror sugl'occhi apparve?

Vomita d'ogn'intorno

lampi d'acceso sdegno! Astri che mai

minaccia egli alla terra?

ARMIDA

Guerra guerra.

RINALDO

Guerra? chi mi risponde? ah che dal seno

di quel vesuvio errante

uscì l'orribil voce: intesi: il cielo

di mie colpe adirato

suoi fulmini disserra.

ARMIDA

Guerra guerra.

RINALDO

(prostrato nel suolo)

Perdono, pietà.

Placatevi o numi

sgorgar da' miei lumi

un mar si vedrà.

Perdono, pietà.

Giunto il globo a basso s'apre, e n'esce Armida con spada alla mano.

RINALDO

Ma che rimiro? è questa

la furibonda Armida.

Che deggio far? contro di me se n' viene

di crudo ferro armata.

(mette egli pure mano alla spada)

Scena ottava

Armida che s'avventa a Rinaldo.

ARMIDA

(gli tira un colpo)

Mori perfido mori.

RINALDO

(lo ripara, e andatole alle prese le toglie la spada di mano)

Eh forsennata.

Saprei come punir

di femmina l'ardir,

ma non lo vol amor.

Contro sì debil sesso

non fu giammai permesso

usar alcun rigor.

Saprei come punir

di femmina l'ardir,

ma non lo vol amor.

(parte gettandole la spada per terra)

Scena nona

Armida, e poi Ubaldo.

ARMIDA

Senti come ragiona

delle donne l'audace,

su di novo agl'incanti: errar non vista

per l'esercito franco

voglio in traccia dell'empio:

ma qui colui, ch'il trasse

dalla prigione: tosto

cangerà voce, e sesso.

E farò ch'ei mi creda

(per un novo pensier) Gofredo istesso.

UBALDO

(Che veggio!)

ARMIDA

Ubaldo a tempo

giungesti ai miei desiri.

UBALDO

(Come Gofredo è qui, s'in questo punto

parto da lui con fretta?)

ARMIDA

Olà tu non rispondi?

UBALDO

(Ma dove ita è la donna,

ch'in sembianza guerriera

appariva a mie luci?

ARMIDA

Ubaldo.

UBALDO

(E detto avrei

che fosse stata Armida.)

ARMIDA

Parla con chi ti parla,

se non vuoi, ch'io t'uccida.

UBALDO

(Certo è la maga infame.)

ARMIDA

Scortami senza indugio

di Rinaldo alle tende.

UBALDO

Iniqua, io ti conosco.

ARMIDA

In simil guisa

col tuo signor favelli?

UBALDO

Che mio signor? tu sei

femmina trista, e rea:

la scellerata Armida,

quella, ch'assai peggior è di Medea.

ARMIDA

O temerario.

UBALDO

E credi

sotto mentito aspetto

di rimaner occulta?

ARMIDA

Veggio che tu deliri:

ti lascerò con l'aure

a vaneggiar da stolto.

(Al primo inganno questo cor rivola.)

Povero forsennato

ti lascio a vaneggiar.

Sì che sei pazzo sì,

l'ingegno che sparì

procura d'acquistar.

Povero forsennato

ti lascio a vaneggiar.

(parte invisibile)

Scena decima

Ubaldo.

Dove n'andò? dove sparì? si rese

invisibile agl'occhi: ah certo certo

questa è la maga indegna,

che per forza d'incanti

qualche gran danno al vago suo disegna.

Basta dir che donna sia

per saper, che voglia far:

questa vol certo ingannar.

Patirebbe un gran tormento

se restasse un sol momento

senza frodi esercitar.

Basta dir che donna sia

per saper, che voglia far:

questa vol certo ingannar.

Scena undicesima

Gierusalemme con porta nel mezzo, e alberi dai lati.
Argante da una parte: Tancredi dall'altra senza vedersi.

Insieme

ARGANTE

Uccidetemi, o tormenti

poiché morto è 'l mio bel sol.

Più non amo

spirar l'aure in questo suol

TANCREDI

Trafiggetemi, o dolori

poiché morto è 'l mio bel sol.

Più non bramo

spirar l'aure in questo suol

ARGANTE

(Ma che veggio?)

TANCREDI

(Che scorgo?)

ARGANTE

(Tancredi?)

TANCREDI

(Argante?)

ARGANTE

O scellerato: appunto

te rintracciavo: indarno

benché sinor tentasti

fuggir da me: tu qui procuri uom forte

delle donne uccisor fuggir la morte.

TANCREDI

Tanta baldanza? teco

son pronto a riprovarmi:

che del lungo indugiar non fu cagione

tema, o viltà vedrai col paragone.

ARGANTE

Su via.

TANCREDI

Su via t'attendo

o solo de' giganti,

e degl'eroi più forti

terribile omicida:

l'uccisor delle femmine ti sfida.

Combattono.

ARGANTE

(gli tira un colpo)

Questo colpo ripara.

TANCREDI

(glielo ricambia)

A questo tu fa' schermo.

ARGANTE

Da subìta ferita ho il braccio infermo.

Ripigliato il duello Tancredi gli va alle prese.

TANCREDI

Cedimi, già sei vinto.

ARGANTE

Ch'io ti ceda? nel petto

per trucidarti ancora

avrò vigor bastante:

ed osi di viltà tentar Argante?

Se gli scuote, e torna a combattere.

TANCREDI

Già che pietà ricusi

sperimenta 'l mio sdegno

spirami a' piedi, o saraceno indegno.

Investitolo con più stoccate cade nel suolo precipitoso.

ARGANTE

Anime dell'abisso a voi ne vegno.

Dalla tomba a farti guerra

uscirò nemico ancor.

Che se cado in braccio a morte

fu voler dell'empia sorte,

non per opra di valor.

Dalla tomba a farti guerra

uscirò nemico ancor.

Spira.

Scena dodicesima

Tancredi.

Grazie al ciel, che mi diede

il bramato trofeo: ma lasso il fianco

per il lungo contrasto, e stanchi i lumi

per il continuo pianto

sparso sinor sovra Clorinda, ho d'uopo

d'alcun breve riposo:

m'adagerò sin tanto

che ritorni a svegliarmi il duol penoso.

(siede sopra il tronco d'un albero)

Lasciami in pace o sonno

per un momento almen:

accheta la tempesta,

che l'anima molesta,

con tante pene in sen.

Lasciami in pace o sonno

per un momento almen.

(s'addormenta)

Scena tredicesima

L'anima di Clorinda vestita di bianco sopra nuvola, e Tancredi addormentato.

CLORINDA

Dalla magion del riso

dove giammai si vide

orme segnar il suolo: in bianca vesta

Tancredi a te ne vegno;

candida apportatrice

che de' beni immortali io godo il regno.

Son felice, son beata

sono in braccio del piacer:

alma non più fortunata

della mia non so veder.

Son felice, son beata

sono in braccio del piacer.

Tale i' son tua mercé: col darmi morte

mi desti eterna vita:

spero de' miei contenti

renderti a parte un giorno: intanto questo

all'acerbo tuo duol sollievo apporta,

che t'amerà Clorinda ancor che morta.

Sì sì fedel mio caro

sì t'amerò sì sì.

E per maggior tua pace

l'affetto mio tenace

starà sempre così.

Sì sì fedel mio caro

sì t'amerò sì sì.

E per maggior contento

l'amor, che per te sento

sarà sempre così.

Sì sì fedel mio caro

sì t'amerò sì sì.

(sparisce)

Scena quattordicesima

Tancredi risvegliandosi balza in piedi con allegrezza.

TANCREDI

Che vidi? oh dio: ch'intesi?

L'anima di Clorinda?

Mi favellava in sonno: e 'l dolce labbro

esprimeva così.

Sì sì fedel mio caro

sì t'amerò sì sì.

Questo basta al mio duol: se pur mi lice

tal fortuna goder io son felice.

Scena quindicesima

Arideno, e Tancredi.

ARIDENO

Signor signor che fai

dalle schiere lontano

già per movere il campo

al general assalto

il capitan supremo

solo Tancredi attende.

TANCREDI

Già di lieto coraggio il cor s'accende.

Un motivo d'allegrezza

non mi lascia più penar:

già quest'alma al duol avvezza

diè principio a giubilar.

Un motivo d'allegrezza

non mi lascia più penar.

Scena sedicesima

Arideno solo.

Che novità? Sì presto

cangiò scena Tancredi?

Di tal gioia improvvisa

vo' saper la cagione:

già son un di que' servi

che comune il secreto han col padrone.

Senza dir altro

voi m'intendete.

Vado, e ritorno

di notte, e giorno

portando scaltro

novelle liete.

Senza dir altro

voi m'intendete.

Scena diciassettesima

Allo strepito di trombe, e tamburi si corre all'assalto della città, nel qual tempo esce dalla medesima una gran bomba per aria, che caduta nel mezzo de' nemici gli spaventa prima con foco, e poi spezzandosi escono dodici Mori armati di sabla, e scudo che combattono furiosamente, quali infine restano uccisi.
Mentre Rinaldo dà la fuga a molti Soldati Armida invisibile lo arresta per un braccio.

ARMIDA

Ferma, o crudel, e dove

volgi tue furie?

RINALDO

Olà chi mi trattiene?

ARMIDA

Quella,

che tu tradisti.

RINALDO

Odo la voce, e 'l guardo

alcun non mira.

ARMIDA

(È meglio,

ch'io mi discopra) Eccomi sono Armida:

giacché aneli alle stragi

empio dal ferro tuo questa s'uccida.

RINALDO

No 'l farò mai.

ARMIDA

Coraggio

avrò se tu lo neghi

per svenar me stessa.

RINALDO

L'anima di Rinaldo

vedrai nel suol prima a cader oppressa.

ARMIDA

Lascia libero il braccio.

RINALDO

Deh riserbati in vita.

ARMIDA

Viver non deve un'infelice.

RINALDO

Deve

viver colei, ch'adoro

ARMIDA

Tu m'adori, o bugiardo.

RINALDO

Sì bell'idolo mio: sì mio tesoro.

ARMIDA

Perfido tu ne menti.

RINALDO

Mira negl'occhi miei s'al dir non credi

ciò che t'esprimo: il pianto

mi sia specchio del vero: Armida ancora

degl'avi nella sede

ripor ti giuro: ed o piacesse al cielo

che della trista legge

abbandonasti i dogmi

come farei, ch'in orïente alcuna

non t'eguagliasse di regal fortuna.

ARMIDA

Posso dar fede alle tue voci?

RINALDO

I numi

in testimonio invoco.

ARMIDA

Ecco l'ancella tua: d'essa a tuo senno

disponi o caro, e le sia legge il cenno.

RINALDO

Più di quello, che voi credete

belle luci v'adora il cor.

Fra momenti voi, mi vedrete

a far prove d'un fido amor.

Più di quello, che voi credete

belle luci v'adora il cor.

Scena ultima

Gofredo, Tancredi, Ubaldo, Arideno, Soldati, e detti.

GOFREDO

Amici abbiamo vinto:

nostra è Gierusalemme il ciel ci diede

sì fortunato dono.

TANCREDI

Ha reso a noi dell'orïente il trono.

GOFREDO

Imparate, o voi mortali,

che mutabile è 'l regnar.

Come l'aura, il bene, ha l'ali,

è qual onda in mezzo al mar.

Imparate, o voi mortali,

che mutabile è 'l regnar.

GOFREDO

Ma qui che veggio!

RINALDO

Armida

che dolente, e pentita

piange sue colpe.

ARMIDA

A' piedi tuoi prostrata

d'ogni commesso errore

perdono invoco: e col perdono insieme

nella tua legge, o duce

implora esser ammessa.

GOFREDO

Quella grazia, che chiedi è omai concessa.

UBALDO

(Ch'odo?)

ARIDENO

(Ch'ascolto?)

RINALDO

(verso Armida)

O giorno

d'allegrezza infinita:

spera spera, che forse

sarai fra poco alle mie tende unita.

ARMIDA

Se rido, brillo, e godo

amor sa ben perché

ho ritrovato il modo

per consolar mia fé.

Se rido, brillo, e godo

amor sa ben perché.

RINALDO

Se godo, brillo, e rido

amor sa ben perché:

fu l'inventor Cupido

per dar al cor mercé.

Se godo, brillo, e rido

amor sa ben perché.

TANCREDI

Al pari di Rinaldo

pien di giubilo ho il sen: morta Clorinda

qui mi comparve in sonno:

e cinta di splendore

m'assicurò d'un sempiterno amore.

UBALDO

O prodigio ben grande.

ARIDENO

O gran stupore!

TANCREDI

Son lieto, e felice

non so che bramar.

In braccio al tormento

se n' vola il contento

per farmi brillar.

Son lieto, e felice

non so che bramar.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 29/07/2018
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Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Scena diciassettesima Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Scena diciassettesima Scena ultima