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Ifigenia in Tauride

IFIGENIA IN TAURIDE

Dramma per musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Mattia VERAZI.
Musica di Gian Francesco (Ciccio) DE MAJO.

Prima esecuzione: 4 novembre 1764, Mannheim.


Personaggi:

TOANTE usurpatore del regno di Tauri nella Scizia

tenore

IFIGENIA figlia di Agamennone, re di Argo, sacerdotessa di Diana

soprano

ORESTE germano d'Ifigenia

contralto

PILADE principe greco, amico di Oreste

soprano

TOMIRI principessa ereditaria del soglio di Tauri

soprano

MERODATE re de' Sarmati

tenore


Cori di Guerrieri sarmati, Satrapi di Scizia, Sacri Ministri del tempio di Diana.

La scena si finge nella città, e vicinanze d'Anticira, capitale della penisola di Tauri nella Scizia.

Argomento

Fuggendo Ifigenia dal fanatismo superstizioso de' Greci, che in Aulide sacrificarla volevano, si procurò sconosciuta in Tauri di Scizia un asilo. Consacratasi quivi a Diana, sebbene estinta la compiangessero Clitennestra ed Agamennone, re d'Argo, suoi genitori, visse lungo tempo ignota fra le sacre vergini della casta dèa; e pervenne un giorno al supremo grado di gran sacerdotessa del famoso suo tempio. S'immolavano spietatamente in esso per cenno dell'inumano Toante, usurpator di quel regno, tutti gli sventurati stranieri, che a quella funesta spiaggia approdavano.

Pretese il tiranno di costringere Ifigenia ad incominciar l'esercizio di sì crudel ministero dal sacrificio del suo fratello Oreste.

Dal corso del presente dramma si potrà chiaramente vedere con qual disegno l'infelice in compagnia dell'amico Pilade si fosse trasportata nella Scizia: a quali rischi in quella barbara terra si trovasse miseramente esposto: come cessassero poi d'agitarlo i feroci rimorsi, che l'alterata fantasia gli turbavano colla rimembranza tormentosa della morte di Clitennestra, sua genitrice, che inosservata egli aveva di sua mano involontariamente uccisa: quando venisse riconosciuto da Ifigenia, che per averlo lasciato ancora bambino in Argo, non seppe rinvenirgli subito in volto l'adulte forme della smarrita sua fanciullezza: in che maniera gli riuscisse di sottrarsi uniti alla crudeltà di Toante: e quanto esemplarmente in fine volesse il cielo punita la barbarie, e l'empietà del tiranno.

I fondamenti principali, su cui fu da noi edificato, ci vennero somministrati da Pausan. Vall. Pater. Eurip. Sofoc. Apollodor. Hygin. ed altri.

Senz'alterar le più essenziali circostanze del fatto, ci siamo permesso l'arbitrio d'allontanarci in parte dalla comune favolosa opinione. Discostandoci così totalmente dall'inverosimilitudine d'ogni portentoso, e sovrumano accidente: e rettificando i caratteri di quegli attori, che nella nostra tragedia son destinati ad eccitar l'altrui pietà, e compassione, abbiamo tentato di renderne più interessante il soggetto; e meno incerto, e pericoloso il successo.

Atto primo
Scena prima

Bosco sacro a Diana. Facciata del tempio della dèa sulla destra. Spiaggia di mare in prospetto con dirupati pericolosi scogli a sinistra. Vedesi elevata nella sommità dello scosceso sasso un'alta impenetrabil torre, che difende il lido, e scopre di lontano i legni, che vengono per approdare al medesimo.
S'apre la scena subito che incomincia la sinfonia, qual esprime il rumore d'un'orrida, furiosa tempesta. Cielo ingombro d'oscurissime nuvole, pioggia, grandine, tuoni, baleni, e fulmini. Il mare è agitato, e sconvolto dal contrasto d'impetuosi venti, che scuotono, piegano, ed abbattono gli alberi della vicina selva. Comparisce da lunge una lacera, e sdrucita nave. Balzando lo smarrito legno qualche tempo incerto per l'onde, dal furor della procella è trasportato infine ad urtare, ed a infrangersi contro gli opposti scogli. Molti de' naviganti periscono nel burrascoso mare; alcuni pochi se ne salvano sullo scoglio medesimo.
Si dissipa nel tempo dell'andante della sinfonia la tempesta. Si calman l'onde: il cielo si rasserena.
Accorrono gli Sciti sul lido per far preda delle reliquie del naufrago naviglio. S'attacca sulla spiaggia un ostinato, e fiero combattimento, misurato, ed espresso dal secondo allegro della sinfonia. La resistenza degli assaliti non può tener lungamente contro la forza degli aggressori. Il maggior numero gli opprime. Eccoli tutti in catene, alla riserva d'un solo, che armato di scudo, e di spada, dall'intera turba ostinatamente si difende. Inoltrandosi così combattendo verso la sacra foresta, allo strepito inusitato delle armi esce dall'atrio del tempio la gran sacerdotessa di Diana. Il coraggio del valoroso straniero la riempie d'ammirazione. Comanda agli Sciti di non profanare il sacro recinto: e cessa al primo suo cenno il combattimento, colla sinfonia.
Ifigenia, e Pilade.

IFIGENIA

Stranier, cedi al tuo fato.

(agli sciti)

E voi fermate

l'incaute piante.

(accennando gli prigionieri)

La vil turba inerme

nella vicina torre

vadasi a custodir. Sol questo audace

meco rimanga. Udiste?

Sacra a Diana è questa

foresta inaccessibile. Non lice

a lui ritrarne il piè, ch'orme profane

qui temerario impresse. Il nume offeso

pria convien che si plachi.

(partono gli sciti, conducendo gl'incatenati greci verso la vicina torre)

PILADE

Infranta legge

mai reo non fece peregrino ignaro.

Ma tu, donna, chi sei, che in mio soccorso,

non attesa, t'affretti?

IFIGENIA

Io quella sono,

che di tua vita il filo

troncar dovrebbe. A me così del regno

la legge impone. Altro alla tua salvezza

scampo non vidi, che sottrarti all'ire

di quel popol feroce. Al mio disegno

del violato bosco

il pretesto giovò.

PILADE

Stelle! E pur queste

di Tieste non sono

le ree contrade!

IFIGENIA

Ah trema.

Misero, tu non sai qual ti sovrasti

terribile sventura! Odi. Tu premi

della Scizia crudele

le barbariche arene. Il soglio avito

alla real Tomiri oggi ne usurpa

l'inumano Toante.

PILADE

E che degg'io

da lui temere?

IFIGENIA

In questo

tempio nefando, il cenno è suo, si svena

chiunque ai nostri approda

lidi esecrandi.

PILADE

E al detestabil rito

chi s'opponga non v'è?

IFIGENIA

Per me soppresso

fu fin dal dì che scelta al grado eccelso

del sacerdozio io fui.

PILADE

Perché vuoi dunque

ch'ora io paventi?

IFIGENIA

Nuovamente accese

del tiranno i furori un greco insano.

PILADE

Un greco?

IFIGENIA

Sì.

PILADE

Né sai

com'ei s'appelli?

IFIGENIA

No. La patria, gli avi,

col nome suo persiste

ostinato a tacer.

PILADE

Ma l'ire antiche

come ha questi potuto un'altra volta

nel tiranno svegliar?

IFIGENIA

Congiunta crede

a un fatal simulacro

della triforme dèa

l'usurpator de' giorni suoi la sorte.

Pegno così geloso

il forsennato greco

vantarsi osò che a noi

rapir volea.

PILADE

(Numi, che intesi! Oh troppo

incauto amico!) E di costui che avvenne?

Qual supplizio?...

IFIGENIA

Fra poco

di fameliche belve

fiero pasto sarà.

PILADE

(Misero, oh dio!)

Né spettator poss'io

dello scempio crudel?...

IFIGENIA

Scitico ammanto

può solo agli occhi altrui

nasconderti. M'attendi;

te 'l prometto l'avrai. Ma se t'è caro

il viver tuo, ritorna

pronto a celarti in questo

inospite recinto.

Alla tua fuga poi propizio il cielo

qualche via ne aprirà.

PILADE

Quanto mai deggio

al tuo bel core.

IFIGENIA

Familiare affetto

è la pietà de' miseri nel petto.

PILADE

Tu misera! Ma come?

IFIGENIA

Anch'io straniera

abito questa terra. Esposta anch'io

d'un malvagio qui sono

alle voglie proterve... Ah che in pensarci

mi sento inorridire. A me destina

l'aborrito Toante,

per colmo d'empietà, delle sue nozze

il sacrilego laccio. E in tanti affanni

com'esser non potrei

di te pietosa? Per l'altrui periglio

ah facilmente a palpitare impara

chi gl'insulti provò di sorte avara.

De' tuoi mali esulterei,

forse un'alma avrei spietata.

Ma infelice ho anch'io provata

del destin la crudeltà.

La mia sorte, i casi miei

sventurata, oh dèi! rammento

e compiango un mal ch'io sento

nell'altrui calamità.

(parte)

Scena seconda

Pilade solo.

Oh tradite speranze! Il caso atroce

preveder chi potea? Così la fede

de' creduli mortali

dunque in ciel si delude? Oh male intesi

oracoli fallaci! Ecco la calma,

menzognere deità, che al caro amico

qui prometteste! Ecco qual fine avranno

le tue smanie funeste,

Oreste sventurato! Ah l'infelice

in che v'offese, o dèi? La destra ultrice

del parricida acciaro un vostro cenno

a lui già non armò? Non dirigeste

voi stessi il colpo? Sol d'Egisto il seno

ei trafigger pensò. Non osservata

Clitennestra s'oppose:

e per salvare altrui, sé stessa espose.

Ma folle ahimè! Di che mi lagno? Io solo,

Oreste amato, io fui

cagion di tue sciagure. All'onde in seno

perché rimasi, sconsigliato? Ah teco

dovea la spiaggia ignota

venirne ad esplorar. Forse... ma il fallo

emenderò. Nel tuo cimento estremo,

non dubitar, m'avrai compagno. E quando

il ciel mi neghi di salvarmi il vanto,

fedele almen saprò spirarti accanto.

Fra cento belve, e cento

m'avrai fedele a lato.

Se il ciel minaccia irato,

non mi vedrai tremar.

Non temo, non pavento

d'un sanguinoso artiglio,

l'idea del tuo periglio

sola mi fa gelar.

(parte)

Scena terza

Piccole terme nella reggia con fontane, giochi d'acque, e grotteschi.
Ifigenia, e Tomiri da diversi lati.

IFIGENIA

Indarno, o principessa,

sudai finor.

TOMIRI

Decisa

è dunque già del reo la sorte?

IFIGENIA

Or ora

nell'arena fatal convien ch'ei mora.

TOMIRI

E Toante?...

IFIGENIA

E Toante

nell'ira sua costante,

non ristette ch'è degno

di pietà chi delira, e non di sdegno.

TOMIRI

Né simular fallace

il contumace greco

potrebbe i suoi deliri?

IFIGENIA

Io la sua frode

scorger saprò. Condotto

qui a momenti ei sarà.

TOMIRI

Né della patria

forse troppo seduce

te l'amore a suo pro?

IFIGENIA

La patria ognuno

sia scita, o pur sia greco,

se reprobo non è, comune ha meco.

TOMIRI

Pur della Grecia in grembo

so che nascesti.

IFIGENIA

È ver. Ciascun l'ignora.

A te sola è palese. E sovvenirti

perciò dovresti...

TOMIRI

Sì: mi torna in mente

d'Aulide il sacrifizio: e so qual fola

accreditar convenne

per involarti alle commosse squadre.

IFIGENIA

Pietosa madre, in vita

Clitennestra serbarmi

così cercò. Ma...

TOMIRI

In breve

di sì tenera cura il dolce frutto

raccor potrà. Già prende

novella forma il tuo destino. Ignota

ai genitori, e al mondo ognor fra noi

non resterai. L'instabile fortuna

cangiò per te d'aspetto.

Oggi son io dell'ire sue l'oggetto.

IFIGENIA

Forse, chi sa?...

TOMIRI

Non giova

lusingarmi di più. Toante infido

vuol che in barbaro lido

soglio straniero a mendicare io vada.

Il sarmate s'attende,

che sua sposa mi chiede. A lui l'ingrato

la mia destra assicura. E ardisce intanto

l'usurpato mio trono

(con ironia amara)

a beltà più felice offrire in dono.

IFIGENIA

Quest'amara favella...

TOMIRI

In che t'offendo?

Non è tua colpa, il veggo,

se quel vezzoso ciglio

(con ironia amara)

l'altrui pace così mette in periglio.

IFIGENIA

(con risentimento)

Principessa, agli oltraggi

sappi ch'usa io non son.

TOMIRI

(con derisione acerba)

Ma tempo ancora

per me non è di tributarti omaggi.

IFIGENIA

Questi non chiedo: e quegli

meritar non credei.

TOMIRI

Un geloso timor...

IFIGENIA

La gelosia...

TOMIRI

È specie di follia.

(sempre ironicamente sino alla seconda parte)

La gelosia ~ lo so,

che non si può ~ soffrir,

e invece di languir,

fra le difficoltà ~

più amor s'accende.

(minacciosa sino alla fine)

Ma chi mi dà tormento,

no, non sarà contento.

Meco dovrà penar

a me provar ~ chi fa ~

sì rie vicende.

(parte)

Scena quarta

Ifigenia, indi Oreste fra le Guardie.

IFIGENIA

Quei trasporti perdono. Ogni aura, ogni ombra

fa gli amanti tremare, e pur ciascuno

di sé presume. E pur chi s'innamora

meritar da chi adora ingiusto crede

eterne prove di costanza, e fede.

Una beltà, che alletta, e che seduce

perciò sovente incolpa

dell'altrui leggerezza.

E cercando alla colpa

d'un infedel così pretesto, e scusa,

il reo difende, e l'innocente accusa...

(guardando verso la scena)

Ma già il Greco s'appressa. Oh qual tumulto

improvviso d'affetti a me nell'alma

sento destarsi! Oh come

incerto ei muove le dubbiose piante!

Che sguardi! Qual sembiante!

ORESTE

(viene muovendo incerto i vacillanti passi, e guardando smanioso d'intorno)

È questo il loco

del mio supplizio? È pronto

empi ministri, ancora il ferro, il foco?

Che si tarda? Ecco il petto.

Si finisca una volta...

(incontrandosi con Ifigenia, spaventato fa qualche passo indietro)

Ahimè che aspetto!

La madre!... Ove m'ascondo?

IFIGENIA

A me dinnanzi

perché fuggir Di che paventi? In viso

guardami. Non temer.

ORESTE

(guardandola sempre bieco senza fissarla in volto, e senza accostarsele)

Sì, ti ravviso,

ombra implacata. Ah lascia

di venirmi d'intorno.

Parti. Che vuoi? Non funestarmi il giorno.

IFIGENIA

Tu deliri, infelice.

ORESTE

Ancora di stragi

sazia forse non sei? Svenami: appaga,

barbara, il tuo furore.

Vieni, vieni, crudel; strappami il cuore.

IFIGENIA

Misero, questo seno

tu non miri...

ORESTE

(volgendo altrove inorridito lo sguardo)

T'intendo. Agli occhi miei

oh dèi! mostrar vorresti

aperta ancora, ancor di sangue immonda

l'aspra ferita... Ah no: ferma; che troppo,

troppo per mio tormento,

la tragedia funesta io mi rammento.

Per pietà deh nascondimi almeno

di quel seno ~ l'acerba ferita.

Non mi dir che ti tolse la vita

quell'ingrato, che l'ebbe da te.

IFIGENIA

Se de' furori tuoi,

se del tuo vaneggiar cagion qui sono,

calma pur le tue smanie, Io t'abbandono.

(parte)

Scena quinta

Oreste solo.

(con accompagnamento d'istrumenti sino al fine)

Grazie ai numi, partì... Ma come oh dio!

Ma qual rimasi?... E dove ora son io?

Che lamenti?... Quai voci

terribili, e feroci?

(dopo essersi guardato stupido d'intorno com'uomo, che sognando, improvvisamente si desti)

All'aer nero,

che m'ingombra, e circonda...

alla barca, al nocchiero,

riconosco di Lete alfin la sponda.

Sì: di morte io già sono

nel tenebroso regno. Ascolto il suono

de' queruli ululati,

de' tremendi latrati: e fremer sento

alla mia vista cento larve, e cento.

(ritirandosi spaventato come chi venga improvvisamente assalito)

Misero ahimè! Scuotendo

le nere faci, e le viperee chiome,

ecco le Furie ultrici!

Barbare, e quando, o ciel! Quando sarete

paghe di tormentarmi? Ah m'uccidete:

o per pietà lasciate

che un momento io respiri

(s'abbandona sopra un sedile)

nel pelago crudel de' miei martiri.

Ma stolto, a chi ragiono?... Io chiudo in seno

i carnefici miei. Rimorsi atroci,

vi sento sì, vi sento... Ah madre! Ah fiera

rimembranza molesta!

(si leva in piedi pieno d'agitazione)

Chi mi soccorre, oh dio! Che smania è questa!

Rimorsi tiranni,

nell'alma vi sento.

Che fiero tormento!

Che abisso d'affanni!

Che eccesso inumano

d'insano ~ dolor!

(nuovamente vinto dalla stanchezza, abbandonasi sopra un altro sedile)

Se manca la spene,

m'uccidan le pene;

che in mezzo ai rigori

di barbara sorte,

sollievo è la morte

d'un misero cor.

(parte)

Scena sesta

Vasto anfiteatro contiguo alla reggia. Palco reale con trono sulla destra. Serragli di fiere in prospetto. Cancelli nel fondo, che congiungono le due estremità dell'anfiteatro. A questo si scende da un'elevata collina circondata, ed adorna di magnifiche fabbriche. Dalla sommità della medesima s'inoltra Merodate, re de' Sarmati sopra fastoso carro tirato da quattro domite fiere. È preceduto da una marcia di militari istrumenti: dalle sue Guardie, e da molti Schiavi mori, che vengono conducendo in catene belve, Nani, e Giganti; nuziali doni, che alla real Tomiri destina il genio incolto del settentrionale stravagante monarca. Molti Paggi mori splendidamente vestiti circondano il carro. Altri Guerrieri sarmati lo seguono; e la curiosa turba della popolar moltitudine disordinatamente l'accompagna. Toante, ed Ifigenia scortati da' reali custodi vengon ad incontrarlo nell'anfiteatro.
Merodate, Toante, ed Ifigenia.

MERODATE

(a Toante, accennando Ifigenia senza discender dal suo carro, su cui resta sconciamente seduto)

Scita, la bella è questa,

che del regio mio letto

destinata è all'onor? Venga.

TOANTE

(Che orgoglio!)

MERODATE

Venga. Sieda al mio piè. S'avvezzi al soglio.

IFIGENIA

(Che strano fasto!)

TOANTE

(additando la reggia a destra del teatro)

La real donzella

dalla reggia vicina

qui a momenti sarà. Permetti intanto

che d'ospite sì degno in questo giorno

vada lieto, e superbo il mio soggiorno.

MERODATE

(con accompagnamento de' suoi militari istrumenti)

Vuoi così? T'appagherò.

(volgendosi a' suoi sarmati)

Pace al mondo, a voi riposo

per un dì negar non so.

(uno de' suoi paggi gli serve da scanno per discender dal carro)

CORO DI GUERRIERI SARMATI

(con l'istesso accompagnamento de' loro militari istrumenti)

Pace al mondo, a noi riposo

generoso ~ il re donò.

Fra il diletto, ed il piacer,

per un dì goder si può.

Lieto viva il nostro re,

che ~ la pace, a noi donò.

Per un dì goder si può.

Scena settima

Mentre cantasi il coro, si ritira il carro di Merodate: Tomiri venendo colle sue guardie dal fondo dell'anfiteatro, s'arresta ad osservar con ironica ammirazione lo strano corteggio, ed i mostruosi doni del sarmate regnante.
Tomiri, e detti.

MERODATE

(additando con vana soddisfazione i suoi doni)

Questi di mia grandezza

non lievi pegni, il genio mio cortese

far potranno a Tomiri oggi palese.

TOMIRI

(con ironica ammirazione)

Ne' mostruosi doni appunto adesso

il donatore io contemplavo espresso.

MERODATE

(a Toante, dopo aver dato uno sguardo bieco, e sprezzante a Tomiri)

Con chi parla costei?

TOMIRI

(senza avvicinarlesi)

Il sarmate sei tu?

MERODATE

(a Toante, dopo aver guardato Tomiri senza avvicinarlesi)

Questa è la sposa?

TOANTE

Sì.

IFIGENIA

(a Merodate)

Qual ti sembra?

MERODATE

Aspetta...

(dopo aver curiosamente considerata Tomiri da capo a piedi)

Aspra, e orgogliosa.

TOANTE

Quell'aria bellicosa

forse t'incresce?

MERODATE

No 'l so dir.

IFIGENIA

Ma pure?...

MERODATE

(ad Ifigenia con aria importante)

Un non so che nel volto

vagheggio a te, che molto

più piace agli occhi miei.

TOMIRI

(con ironia, guardando l'uno, e l'altra)

Degna è d'invidia inver parti con lei.

(con asprezza a Merodate)

Altrove pur contenta

(ironicamente ad Ifigenia)

l'illustre avventuriera

porti il piè vagabondo:

di sua presenza onori un altro mondo.

IFIGENIA

(Torna agl'insulti. Or si punisca.)

(a Tomiri, affettando mistero)

È nota

più che ad ogni altro, a te qual mi ritiene

sulle scitiche arene

alta cagion.

TOANTE

Fra noi

sacra interprete è questa

de' voleri del ciel.

MERODATE

Vano costume.

Ha in me solo il suo nume

il felice mio regno.

TOMIRI

(con ironia, accennando prima Merodate, indi Ifigenia)

Del nume invero il sacerdote è degno!

TOANTE

(Si tronchino le asprezze.)

Signor, trascorre l'ora

alle feste prescritta. Andiam. Vedrai

come lieta la Scizia oggi ti onora.

MERODATE

Si vada.

(s'incammina gravemente)

TOANTE

(a Tomiri)

E tu, più saggia, o principessa

di meritar procura

gli affetti suoi.

MERODATE

(tornando lentamente indietro)

M'ama. Lo so, lo veggo.

(a Tomiri)

Ma importuno m'offende,

se gelosa ti rende,

l'istesso amor. Fra mille

beltà rivali a chi te sola elegge,

brami tu di piacer? Senti la legge.

Di me s'accenda,

m'ami chi vuole.

Lascia che splenda

per tutti il sole.

La legge è questa.

Ti par molesta?...

Soffrila in piace;

che piace ~ a me.

Gli attori vanno ad occupar il palco reale, si sgombra l'anfiteatro, e si riempion le logge di spettatori. Dando quindi le trombe l'usato segno, sortono due schiere di lottatori: e colle sempre variate figure de' loro destri, e vigorosi combattimenti danno principio alle feste prescritte per onorar la venuta di Merodate.

Scena ottava

Gli attori della scena precedente, indi Pilade, e Oreste.

TOANTE

(dal palco reale)

Il reo s'esponga: e dalle ferree gabbie

sortan le fiere.

ORESTE

(sospinto dalle guardie, vien furibondo, e senza catene)

A trucidarmi uscite,

belve selvagge, dal tremendo speco.

PILADE

(da una delle logge gli getta l'armi, ind balza egli stesso nell'arena)

Difendi i giorni tuoi. Pilade è teco.

ORESTE

Pilade è meco? Ad assalirmi or venga

il ciel, l'inferno, se non basta il mondo.

Se Pilade è con me, non mi confondo.

(raccoglie l'armi)

TOANTE

Si disarmin gli audaci.

(al cenno di Toante si tornano a chiuder i serragli, de' quali s'erano aperti a metà i cancelli; e le guardie escono ad assalir Pilade, e Oreste. Attaccati dalle guardie reali, intrepidamente si difendono; ed incalzati gagliardamente dalla moltitudine, combattendo si disviano a destra verso la reggia)

PILADE

Ecco il cimento.

ORESTE

Se Pilade è con me, non mi sgomento.

Scena nona

Cortile nella reggia.
Pilade disarmato, e stretto fra le Guardie, che lo circondano. Oreste tentando aprirsi una strada col brando per soccorrer l'amico. Toante inseguendoli alla testa d'un'altra schiera di Sciti.

ORESTE

(gli si spezza il ferro, e rimane senza difesa)

Stelle inimiche! L'infedele acciaro

nel maggior uopo mi abbandona!

TOANTE

(alle guardie, che incatenan Pilade, e Oreste)

Avvinto

fra duri lacci, in carcere distinto

l'uno, e l'altro si serbi.

ORESTE

Al tuo furore

una vittima basti. Il reo son io.

Brami il sangue, o tiranno? Eccoti il mio.

TOANTE

Perfido...

PILADE

Ah no: m'ascolta. Io fui, che il trassi

meco all'audace impresa: io la sua fuga

tentai coll'armi: io solo

d'ogni eccesso son reo, son delinquente.

ORESTE

Barbaro re, t'inganni. Egli è innocente.

Amicizia lo sprona a offrir la sua,

per salvar la mia vita. I giorni tuoi

assicurar se vuoi, sol di mia morte

il cenno affretta. Ah se le mie ritorte

io potessi spezzar, quel core iniquo

a trafigger verrei

nel tempio, innanzi all'are, in braccio ai dèi.

TOANTE

Scellerato...

PILADE

A quell'ire

non ti fidar; che di pietà son figlie.

Di me solo paventa. Io non t'insulto

con simulati sdegni.

Di me ti guarda.

TOANTE

Ah questo è troppo, indegni!

Se la morte bramate,

saprò, saprò appagarvi. Empi, tremate.

(minacciando or l'uno, or l'altro)

Non m'irritate, o perfidi;

che già tuonando va.

A incenerirvi il fulmine

presto s'accenderà:

né l'innocente, o il reprobo

fra voi distinguerà.

Sì, sì: tremate, o perfidi;

che già tuonando va.

(parte)

Scena decima

Pilade, e Oreste fra le Guardie, che con violenza a separarli gli affrettano.

ORESTE

(con accompagnamenti di flebili istrumenti)

Pilade amato...

PILADE

Sventurato Oreste...

PILADE E ORESTE

Separarci dobbiam!

ORESTE

Dunque la vita

per me tu perdi?

PILADE

Oh dèi!

Contento io morirei, se almen potessi

il tuo sangue serbar, versando il mio.

Insieme

ORESTE

Oh generoso! Addio.

PILADE

Oh dolce amico! Addio.

(si abbracciano teneramente)

ORESTE

Che crudele addio funesto!

PILADE

Oh che addio fatale è questo!

ORESTE

(alle guardie, che con violenza gli affrettano a separarli)

Ah restate un sol momento,

mostri rei di crudeltà.

PILADE

(alle guardie come sopra)

Sì, fermate: il mio tormento

in voi desti almen pietà.

Insieme

ORESTE

Dammi, amico, un altro amplesso

forse l'ultimo sarà!

PILADE

Prendi, amico, un altro amplesso

forse l'ultimo sarà!

(s'abbraccian di nuovo)

ORESTE E PILADE

(a forza svelti, e divisi, partono smaniosi, ora volgendosi uno verso l'altro in atto d'abbracciarsi; ed ora prorompendo in invettive contro le guardie, che li dividono)

Degli affanni ~ miei tiranni

non vi muove il fiero eccesso?

Oh che barbara empietà!

Atto secondo
Scena prima

Cabinetto.
Ifigenia, e Toante.

TOANTE

Sì: mi rendo a' tuoi preghi.

Al sacro asilo

un de' complici io dono

ma meriti il perdono. A te palesi

la cagione, l'autore

dell'enorme attentato.

Cada l'empio svenato. Il sangue reo

si sparga di tua man. Così dobbiamo

il regio trono assicurar, su cui

la Scizia rispettosa

adorar ti dovrà regina, e sposa...

ma tu nulla rispondi?

IFIGENIA

(fa con muto disprezzo conoscersi avversa al proposto sacrilego nodo)

Un silenzio sagace

abbastanza si spiega allor che tace.

TOANTE

Ognor chi serve al suo signore applaude.

IFIGENIA

Spesso però fra intempestive lodi

germogliano le frodi.

E tardi, con suo danno,

dell'inganno s'avvede

chi presto a un labbro adulator dà fede.

TOANTE

D'animo dunque alle mie brame avverso

fu quel silenzio un segno?

Dunque allora che un regno

già donarti ho conchiuso?...

IFIGENIA

Perché grata ti sono, io lo ricuso.

E terra, e ciel nemici

col sacrilego nodo

ti renderei.

TOANTE

Che dici!

IFIGENIA

A te ragione

domanderebbe il vilipeso nume

de' casti voti miei. Sul fior degli anni

sai che nel tempio...

TOANTE

Semplice, t'inganni.

Sarian gli dèi tiranni,

se approvasser quei voti, a cui le leggi

repugnan di natura.

IFIGENIA

Ah se non temi

l'ira del ciel, paventa almen lo sdegno

d'un'amante delusa. E questo regno,

ch'usurparle tu vuoi,

suo paterno retaggio. I dritti suoi

colla sua destra al Sarmate cedendo

potresti...

TOANTE

Basta. Il tuo timor comprendo.

Ma lo prevenni. Pochi istanti a entrambi

avanzano di vita. Odi se arride

propizia a noi la sorte: a nozze io chiedo

l'orgoglio nemico; e il traggo a morte.

IFIGENIA

Come!

TOANTE

D'atro veleno

il nappo aspersi, che 'l solenne rito

necessario è a compir.

IFIGENIA

Che orror! Tradito

da te sarà chi placido riposa

sulla pubblica fede?

TOANTE

Non merita mercede

stupido re, che dalle insidie altrui

a custodir non veglia i giorni sui.

IFIGENIA

Ma le promesse?

TOANTE

Eh le promesse sono

mal sicure garanti

della fé de' regnanti. Abbiam sul trono

men rigidi costumi,

più comodi principi. Allor che giova,

a noi tutto è permesso.

L'utile, ed il piacer governa, e regge

ogni nostro voler. Serva è la legge

di chi agli altri l'impone: e fatta è solo

la licenza a frenar del volgo insano.

IFIGENIA

Anzi è sempre il sovrano

guida, regola, e norma

de' popoli soggetti. Ognun si forma

sui gran modelli. E se un monarca il primo

le leggi tollerar sdegna, e ricusa,

a mille falli un solo esempio è scusa.

TOANTE

Serba ad altri i tuoi dogmi. Inutilmente

io non vuò garrir teco...

Ma vien Tomiri a noi. Lasciami seco.

(Ifigenia parte)

Scena seconda

Toante, e Tomiri.

TOMIRI

(con ironia amara)

Della nobil tua fiamma i nuovi ardori

perdonami se vengo

importuna a turbar.

TOANTE

Saranno eterni

dunque i sospetti tuoi? Lascia, o Tomiri

i rimproveri ingiusti.

(non senza notabile affettazione)

Il sanno i numi

s'io t'amo, e se m'incresce

vederti ad altri in braccio.

Ma di rado, o non mai per man d'amore

d'un reale imeneo si forma il laccio!

Un affetto privato al comun bene

sacrificar conviene. Al regno giova

che al Sarmate la mano

da te si porga. Invano io m''opporrei

al voto universal. Troppo alla Scizia

esser potria funesto

di sì fiero nemico

lo sdegno pertinace.

Pace ognuno domanda.

TOMIRI

(con asprezza)

E tu chi sei,

che degli affetti miei

sì assoluto disponi?

TOANTE

Esecutor son io

del pubblico volere.

TOMIRI

(con asprezza)

E con qual voce

il pubblico i suoi sensi

a te spiegò?

TOANTE

Con quella

de' satrapi maggiori.

TOMIRI

(con disprezzo)

Un gregge imbelle

i tuoi satrapi son di schiavi abbietti.

Li rese a te soggetti ingorda sete

di guadagno servile.

Ascolta, anima vile:

lo scettro a te commesso

se tu regger non sai

(autorevolmente)

scendi dal soglio.

Tua sovrana io qui son: non tanto orgoglio

del popol, delle schiere

queste le voci son, questo è il volere.

Pensaci: e e insin ch'io t'amo,

se è ver che aspiri a conservarti il trono

(con passione)

torna, ingrato, ad amarmi; e ti perdono.

Tradita, abbandonarti,

aborrirti oltraggiata,

disleale, io dovrei.

(crescendo l'impeto della passione)

Ma oh dèi! Sento che a odiarti

non sa ridursi il core:

e in mezzo all'ire mie trionfa amore.

Ah lo sdegno degli amanti

è di paglia un lieve foco.

Presto avvampa: dura poco

quell'incendio passegger.

Si dilegua in brevi istanti,

se s'accende in un momento.

Basta a spegnerlo un accento,

uno sguardo lusinghier.

(parte)

Scena terza

Toante solo.

Che medito? Che fo?

(pensoso)

Deboli affetti

voi sedur mi vorreste...

(sprezzante)

tacete: io non vi ascolto.

Troppo alla mia grandezza,

troppo al nuovo amor mio saria funesta

questa molle pietà.

(risoluto)

Pera il nemico:

cada oppressa Tomiri: il tempio inondi

delle vittime il sangue. A me non resta

così più che temer. Lieve è ogni eccesso

se lo consiglia amor. Né di sé stesso

arbitro è il cor. De' moti suoi decide,

come di nostra sorte,

un'occulta cagion di noi più forte.

Ma che pro, se rubella

poi la sacra donzella?...

Ah no. D'amor nemica

donna già mai non fu, sebben pudica.

Tosto, o tardi ciascuna

a noi vinta si rende:

e spesso ad accordar ciò, che ricusa,

solo una scusa impaziente attende.

Pudico fu spesso

d'un sesso fallace

il labbro mendace,

che ostenta virtù.

Ma il core ~ d'amore

nemico ~ non fu.

D'amor si ricusa;

ma intanto si cede.

A sempre mercede

l'altrui servitù.

Chi pronta ha una scusa,

crudel non è più.

(parte)

Scena quarta

Magnifica sala regia splendidamente adorna d'illuminazione trasparente. Ara nel mezzo col simulacro della Concordia.
Ifigenia, e Tomiri.

TOMIRI

Troppo ingiusta fui teco, i dubbi miei

rammentando, arrossisco;

ma...

IFIGENIA

Non più. Compatisco

in te l'amante. So che amor travede,

che la benda ha sul ciglio.

Il tuo periglio intanto

pensa solo a evitar.

TOMIRI

Numi! Il cimento

dell'ingrato Toante, il crederesti?

Occupa tutti i miei pensier. Pavento

che il Sarmate sdegnato...

IFIGENIA

Non temer; che celato ho a colui l'arcano

dell'ascoso velen. L'iniqua trama

appieno ignora: e sol per mio consiglio

di giurar negherà, se pria non giura

Toante ancor... Ma simular procura.

Il tiranno avanza.

TOMIRI

Voi sostenete, o dèi, la mia costanza!

Scena quinta

Toante, Merodate, e dette.
Satrapi della Scizia.
Paggi, e Mori, che portan piumacci riccamente coperti d'oro, e d'argento. Custodi reali, e Guardie.

MERODATE

(con intolleranza)

Qui che si fa?

TOANTE

Ti piaccia

con noi seder.

MERODATE

Sia breve

la dimora però.

(ponendosi a sedere)

Già m'incomincio

de' vostr'ozi a stancar.

TOANTE

(siede, e fatto cenno ai Satrapi, siedono anch'essi)

Saprò spedirti

più presto ancor di quel che brami.

TOMIRI

(mettendosi a sedere)

(Indegno!)

IFIGENIA

(siede)

(Che il ciel lo soffra io mi stupisco!)

TOANTE

(alli satrapi della Scizia)

Udite,

voi, che di questo regno

salda base, e sostegno

foste finor. La pace

fu di già vostro voto

a Merodate offrire. Utile a noi

perché voi la credeste, io la proposi.

Gli odi antichi deposti, egli l'accetta.

Ma vuol che di Tomiri

io la destra gli ceda. È vostra mente

che da me se gli accordi?

Siete in questo parer fermi, e concordi?

CORO DE' SATRAPI DELLA SCIZIA

Ceder devi. Concordi noi siamo.

Pace tutti gridiamo ~ a una voce.

Il parer della Scizia feroce

se chiedesti ~ sapesti ~ qual è.

TOANTE

(con affettazione notabile)

Quanto mi costa, oh dio! D'un dolce amore

i legami spezzar!

TOMIRI E IFIGENIA

(Perfido!)

TOANTE

E pure

risolversi conviene. In me prevale

all'affetto d'amante

di regnante il dovere.

(ad un ufficiale nobile, che prende dall'ara la tazza, ed inginocchiandosi, la presenta a Merodate)

Olà, si rechi

la sacra tazza.

(a Merodate)

Il consueto rito

incominciar tu devi.

MERODATE

Qual rito è il vostro?

TOANTE

Invoca il nume: e bevi.

E giurando alla Scizia

concordia, e pace; alla reale erede

giura serbar costante amore, e fede.

MERODATE

E fra gli Sciti?...

TOANTE

Fra gli Sciti il modo

questo è il solo, con cui

s'usa giurar.

MERODATE

Sì?...

(all'ufficiale, che presenta nella stessa maniera la tazza a Toante)

Porgi il nappo a lui.

TOANTE

Come!

IFIGENIA

(Si perde.)

TOMIRI

(Che dirà?)

TOANTE

Non vuoi

della Scizia fra noi

seguire il costume?

MERODATE

No.

TOANTE

Ma perché?

MERODATE

Perché d'ogni tuo nume

è la fé de' miei pari

più sacra, e più sicura.

Se diversa è la tua, levati, e giura.

TOANTE

E ben: la varia legge

dal grand'atto ti assolva.

(a Tomiri)

Più nessun gliel' contrasta;

partir teco potrà.

MERODATE

(a Tomiri)

Ferma. Non basta

che tu meco ne venga.

(a Toante)

Il suo reame

assicurar mi devi.

TOANTE

Io te 'l prometto.

MERODATE

Invoca il nume. E bevi.

TOMIRI

(Si smarrisce l'infido.)

MERODATE

Bevi. Così pretendo

ch'ognun segua il suo stile.

TOANTE

Intendo, intendo.

Deludermi vorresti;

ma ti lusinghi invan. Col tuo rifiuto

libera già rendesti

la mia fiamma amorosa.

(fa porger la tazza a Tomiri)

Tomiri, ecco la tazza; e sei mia sposa.

TOMIRI

(Scellerato!)

IFIGENIA

(Fellon!)

TOMIRI

(imitando ironicamente la stessa affettazione di Toante)

Lo sanno i numi

se m'incresce vedermi ad altri in braccio,

ma di rado o non mai per man d'amore

d'un reale imeneo si forma il laccio.

TOANTE

Questo è dunque l'affetto?

TOMIRI

(imitando ironicamente la stessa affettazione di Toante)

In me prevale

all'affetto il dover. Poc'anzi udisti

che al sarmate regnante

dai satrapi si vuole

ch'io la mia destra accordi.

Son già in questo parer fermi, e concordi.

TOANTE

Ma l'arbitro io qui sono.

TOMIRI

E un tal arbitro miri

come riceve i doni suoi Tomiri.

(getta con disprezzo la tazza ai piedi di Toante; e levandosi, seco si levan tutti)

TOANTE

(verso Ifigenia)

Tanto ardire! Né il vieta,

né parla ancor chi della Scizia i riti

qui siede a custodir?

IFIGENIA

Se tu lo brami,

io parlerò; ma poi

non ti lagnar...

TOANTE

T'accheta;

ch'ugualmente m'irriti

col tacer, col parlare. Ai dèi lo giuro:

a rispettarmi, audaci,

v'apprenderò.

(a Ifigenia)

La vittima tu vanne

come imposi, a svenar.

(a Tomiri, accennandole di partir con Merodate)

Seco tu parti.

(a Merodate)

E se sposa non vuoi,

ne' regni tuoi Tomiri

venga, nulla m'aggrava,

barbaro discortese, esule, e schiava.

MERODATE

Tu m'insulti?

(volgendosi sprezzante altrove)

Va'; che sei

vile oggetto agli occhi miei

sol di riso, e di pietà.

IFIGENIA

Tu minacci?

TOMIRI

Tu mi scacci?

IFIGENIA

No, rammenta...

TOMIRI

Sì, paventa...

IFIGENIA E TOMIRI

(riprendendo)

Che non merta amore e fé

chi mercé ~ d'altrui non ha.

(minacciando)

Che se nasce dall'amor,

l'odio in noi furor ~ si fa.

TOANTE

(prima verso Merodate; indi alle donne)

Quel mi sprezza? Tu m'offendi?

Tu m'oltraggi, e mi riprendi?

Niun mi teme?

MERODATE

(prima alle donne, indi volgendosi altrove sprezzante)

Io non ti curo.

IFIGENIA

Sei crudele.

TOMIRI

Sei spergiuro.

TOANTE

(prima a Merodate; indi alle donne)

Stolto. Audaci.

TOMIRI

Anima imbelle.

Insieme

TOANTE

Giuro al ciel: giuro alle stelle,

saprò farvi impallidir.

IFIGENIA

(con orrore)

Ah rispetta il ciel, le stelle

più non farmi inorridir.

TOMIRI

(con furia)

Traditore, il ciel, stelle

ti sapran per me punir.

MERODATE

(con gravità, noncuranza, disprezzo)

(Troppo indegno ~ del mio sdegno

è quel vano, ~ insano ~ ardir.)

(partono le due donne insieme, insultando il tiranno: indi Merodate lo lascia con disprezzo. Infine Toante rimasto solo, parte minacciando)

Scena sesta

Cupo, ed orridissimo fondo di torre, chiuso da una cataratta, che aprendosi, serve di scala per discendervi. A destra, ed a sinistra cancelli praticabili, che introducono a diverse prigioni.
Pilade, e Oreste da diversi cancelli.

ORESTE

Pilade? Oh ciel! Qual mano

di quell'orrendo carcere le porte

a noi disserra?... Forse uniti a morte?...

PILADE

Anzi di tua salvezza

nunzio ne vengo.

ORESTE

E chi t'invia?

PILADE

Del tempio

la pietosa ministra. A te non volle

sola tornar, temendo un'altra volta

i tuoi deliri provocar. Concessa

d'un sol di noi la vita

a lei fu dal tiranno. A me rimessa

è la scelta fatale,

io salvarti ho deciso. E sol bramai,

perché possa contento

i miei giorni finire,

abbracciarti di nuovo, e poi morire.

Scena settima

Ifigenia, e detti.

IFIGENIA

Stranieri, a voi ritorno,

(a Pilade)

seco parlasti?

PILADE

Sì. Di più non bramo.

IFIGENIA

Oh quanto il vostro caso,

infelici, io deploro!

PILADE

Salvami il caro amico; e lieto io moro.

ORESTE

No 'l soffrirò.

PILADE

Tu déi

tornar libero in Argo.

IFIGENIA

In Argo?

PILADE

Quivi

egli già nacque.

IFIGENIA

E chi di voi sa dirmi

dell'invitto Agamennone la sorte?

PILADE

Saperla a te che giova?

ORESTE

Quel nome, oh dio! Le smanie mie rinnova!

IFIGENIA

Dimmi...

ORESTE

Deh taci per pietà.

IFIGENIA

(a Pilade impaziente, e timorosa)

Che avvenne?

Per lui parla. (Il core

mi presagisce, ahimè qualche sventura.)

PILADE

Dunque ignori i suoi casi?

IFIGENIA

Arsa, e distrutta

Troia superba, vincitor ritorno

so ch'egli fece alle contrade argive.

PILADE

Ma non sapesti poi che or più non vive.

IFIGENIA

(Ahi fiero annunzio!)

ORESTE

(Oh rimembranza amara!)

IFIGENIA

Ma la cagion qual fu, che il trasse a morte?

PILADE

L'empio furor della sua rea consorte.

IFIGENIA

(sorpresa, e spaventata)

Di Clitennestra!

PILADE

Sì: pensò, previde

che al tradito suo sposo invan celato

l'oltraggio avria d'un suo furtivo amore:

però l'infida a lui trafisse il core.

IFIGENIA

(impaziente)

E Oreste, il figlio?...

ORESTE

(agitato)

Ah l'infelice in vita

hanno a strazio maggior serbato i numi:

scherno d'astri inclementi:

obbrobrio de' viventi:

gioco dell'onde: fuggitivo, errante:

(crescendo sempre d'agitazione)

esule, disperato

scorre di lido, in lido: ed è il suo fato,

ed è la sorte sua barbara tanto,

che a scemar la sua pena

poiché morir gli giova,

d'una in un'altra arena

va una morte cercando, e non la trova.

IFIGENIA

Ed han sofferto i dèi?...

PILADE

No... vendicato

Agamennone è già. Già più non vive

l'infelice Clitennestra.

IFIGENIA

Stelle! E qual destra audace?...

ORESTE

(smanioso)

Non domandar di più. Lasciami in pace.

IFIGENIA

(a Pilade)

Segui. Narrami il fine

della storia funesta.

ORESTE

(disperato)

La man, che lei punì, mira,

fu questa.

IFIGENIA

Ah scellerato!

(furiosa)

Al mondo

da qual fiera nascesti?

ORESTE

Oblio profondo

lascia ch'eternamente

sparga l'infausto nome

di mia stirpe crudel.

IFIGENIA

Come potesti...

barbaro?...

ORESTE

Ah che purtroppo

ho del mio fallo, ho di me stesso orrore!

IFIGENIA

Perfido, traditore, e a incenerirti

fulmini il ciel non ebbe?

Ed io prima non seppi

l'anima rea vedere in volto espressa?

PILADE

(Che improvviso furore!)

IFIGENIA

(crescendo il furore)

Empio, s'appressa

già la tua pena.

(minacciando furibonda)

Le mie furie, indegno,

paventa, e trema. Liberar la terra

da un tal mostro io saprò.

ORESTE

(con impeto di disperazione)

Venga la morte:

venga, la bramo anch'io.

Può lei sola finir l'affanno mio.

PILADE

(tenero)

Senti, ah no: morir vogl'io.

Sciogli, oh dio! ~ le sue catene.

ORESTE

(tenero)

No: morire a me conviene.

Togli a lui le sue ritorte.

PILADE

Anderò contento a morte,

se per lui spirar potrò.

ORESTE

Me condanna. Il sangue mio

solo oh dio! ~ bastar ti può.

(con insistenza supplichevole a Ifigenia, che ora non gli ascolta, ora li rigetta)

Non m'ascolti?

PILADE

Ancor non cedi?

ORESTE

Vil mi chiedi?

PILADE

Udir non vuoi?

ORESTE

Guarda...

PILADE

Vedi...

ORESTE E PILADE

A' piedi ~ tuoi...

(s'inginocchiano)

IFIGENIA

Ah resistere non so!

(commossa si distacca da loro per nascondere il suo tenero turbamento. Oreste e Pilade levandosi in piedi, replicano a vicenda le insistenti loro preghiere)

ORESTE

(vedendo che ancora una seconda volta Ifigenia s'è allontanata per non ascoltar le sue preghiere)

(Non m'ascolta?)

PILADE

(guardando Ifigenia, come l'altro)

(Ancor non cede!)

ORESTE

Non mi guarda?

PILADE

Ancor resiste!

ORESTE E PILADE

(ciascheduno da sé con molta smania, mentre Ifigenia s'arresta in distanza ad osservarli compassionevolmente)

Venga, venga, o ciel, la morte

col morir l'affanno mio

solo, oh dio! ~ finir si può.

(tornano alle loro prigioni)

Scena ottava

Ifigenia sola.

(con accompagnamento d'istrumenti sino al fine del suo soliloquio)

Chi resister potria? Sento a quei detti

un palpito, un tremore,

ch'io stessa non comprendo. Eterni dèi

questo che mai sarà? Sarebbe forse

pietà la mia? Pietà! Di chi? D'un empio,

che del barbaro tuo funesto scempio,

Clitennestra infelice,

autor si vanta?... Ah non fia ver. Perdona,

amata genitrice:

vendicata sarai. Già sento in petto

l'ira destarsi ad infiammarmi il core.

Da questa man trafitto il traditore

dovrà cadermi al piè. Madre, raffrena,

sol per pochi momenti,

i rimproveri tuoi, le tue querele.

Lascia, ahi vita crudele!

(si figura presente l'ombra di Clitennestra)

Lascia di presentarti agli occhi miei

dolente, sbigottita,

pallida, scolorita,

lacera, insanguinata!

Taci: non dirmi ingrata, ombra diletta.

Sarai, sarai placata. Avrai vendetta.

Ombra cara, che intorno t'aggiri,

frena il pianto, sospendi i lamenti.

Quei sospiri, ~ quei flebili accenti

ah nel seno mi spezzano il cor!

Del tuo scempio se chiedi vendetta,

madre, aspetta. Sarai vendicata.

Figlia ingrata ~ mai più non chiamarmi

no, non darmi ~ sì acerbo dolor.

(parte)

Atto terzo
Scena prima

Ritiro delizioso ne' giardini reali.
Tomiri, ed Ifigenia da diversi lati.

IFIGENIA

Ah principessa!

TOMIRI

Amica!

Pur ti riveggo.

IFIGENIA

E il sarmate?

TOMIRI

A momenti

si dispone a partire.

IFIGENIA

E tu che fai?

TOMIRI

Mi lagno ahimè!...

IFIGENIA

D'inutili lamenti

tempo questo ti sembra? Ah più di tanto

se intraprender non sai,

tu spargi al vento e le querele, e il pianto.

Non ti perder così. Ne' casi estremi

necessario è l'ardire. Inerme, e sola

del tiranno in poter s'io qui rimango,

per te, per me che far potrò? Deh pensa

al periglio comun. Dal tuo letargo

destati per pietà. Sudditi, amici

raccogli, aduna: mille destre, e mille

s'armino in tua difesa.

TOMIRI

Già l'impresa tentai; ma spazio all'opra

maggior bisogna.

IFIGENIA

Eh ben: lusinghe adopra:

il sarmate s'arresti.

TOMIRI

Tanta viltà potresti

da me sperare, e mi conosci? Ah pria

che un barbaro orgoglioso,

ch'è l'odio mio...

IFIGENIA

Non ostentarlo almeno

in faccia a lui. Non veggo

come costar ti possa

pena sì grande il simular. Quest'arte

ignorar non dovresti. E pur la prima

ch'oggi fra noi s'apprenda,

è alternare a vicenda amore, e sdegno,

sforzo è legger d'un femminile ingegno.

TOMIRI

Cento fra lor contrarie forme, è vero,

prender può facilmente un labbro, un volto,

se da un laccio è il cor libero, e sciolto

ma non costa sì poco

un interno celar verace affetto.

E l'amoroso foco

tanto più presto agli occhi altrui si scopre,

quanto chi avvampa, più l'asconde, e copre.

Che mai non dice un mal sicuro sguardo,

un soverchio riguardo, un van ritegno?

Segno che s'ama è spesso

anche il disprezzo istesso. Infin non giova

né il parlar, né il tacer; che o parli, o taccia,

del più cauto amator gli arcani apprende

chi ben d'amor tutti i misteri intende.

IFIGENIA

Ma l'incolto monarca...

TOMIRI

Il men gentile

ai sospetti è il più pronto. Allor che a lui

chiederò d'arrestarsi, ei nel sembiante

mi leggerà che son d'un altro amante.

Eccolo appunto.

IFIGENIA

I detti miei seconda:

io per te parlerò.

Scena seconda

Merodate, e dette.

MERODATE

Tranquilla è l'onda,

sereno il ciel. Tomiri, al mar.

IFIGENIA

Già vuoi

spiegar le vele?

TOMIRI

L'usurpato soglio

pria Toante mi renda.

MERODATE

No. Più non si sospenda. Acquisto tale

la perdita non vale. Allor che puoi

nel mio petto destar fiamma gentile,

(con aria, e contegno grave)

il compenso d'un regno è abietto, e vile.

Vieni.

IFIGENIA

E vorrai che del tiranno esposta

io qui rimanga al temerario amore?

Della sua destra l'odioso laccio

come fuggir potrei?

MERODATE

Come?...

(un istante di pausa)

Correndo al folle amante in braccio.

IFIGENIA

Io?

MERODATE

Sì. Ma sol per trapassargli il core.

(a Tomiri, applaudendosi del suo ripiego)

Non ti piace l'idea? Così risparmia

un carnefice a noi,

che venga a vendicare i torti tuoi.

TOMIRI

(ironicamente)

Generoso è il pensier, sublime, e degno

d'un'anima gentile,

(contraffacendo il grave contegno di Merodate)

in confronto di cui per me d'un regno

esser dovria l'acquisto abietto, e vile.

IFIGENIA

Odi: se resti, i dritti suoi la Scizia

prenderà l'armi a sostener.

MERODATE

Vediamo.

Insin che sorga la novella aurora,

per compiacervi, io resterò. Ma quando

alla speme l'evento

non corrisponda, allora

e l'una, e l'altra meco

venir potrete.

(a Ifigenia)

Tu, la reggia, invece

del tempio, abiterai:

e forse un dì, chissà?

(con aria importante)

Forse potrai

se' miei reali affetti

all'onor aspirar.

IFIGENIA

Ma tu non ami

la principessa?

MERODATE

Sì; ma non per questo

è già mia sposa.

IFIGENIA

La promessa fede

così dunque tu serbi?

TOMIRI

(ironicamente)

Che cos'è questa fé? Dov'è quel forte,

ch'ama costante ognor sino alla morte?

MERODATE

Sentisti? In seno ogni amorosa fiamma

si scema amando, e si consuma: e solo

beltà novella ravvivar d'un core

può il già spirante, intiepidito ardore.

Fede in amor non v'è:

o fido è sol quell'amator sagace,

che porge spesso, variando oggetto,

nuovo alimento al suo sopito affetto.

MERODATE

Di mente aborto vana, e leggera

è una chimera ~ la fedeltà.

IFIGENIA E TOMIRI

Ogni incostante così la chiama;

ma chi ben'ama ~ cangiar non sa.

MERODATE

(a Ifigenia)

Doversi accender sol d'una bella?

(a Tomiri)

Sempre l'istessa trovar amabile?

(Che deplorabile stupidità!)

(compiangendole, e parte)

IFIGENIA

Qual aura lieve...

TOMIRI

Qual onda instabile...

IFIGENIA

Con questa fingere...

TOMIRI

Mentir con quella...

IFIGENIA

Che affetto insano!

TOMIRI

Che genio strano!

IFIGENIA E TOMIRI

Che detestabile malvagità!

Sì, chi ben ama sol d'una è amante.

Sempre è costante, ~ cangiar non sa.

(partono da diversi lati)

Scena terza

Sotterraneo del tempio di Diana, che rappresenta un cavernoso, e profondo speco. È questo illuminato soltanto dalla squallida, incerta luce dell'accese lampade, che tengono sospese in aria le misteriose sfingi, situate all'intorno per ornamento terribile della tenebrosa spelonca. Sacro tripode nel mezzo innanzi al fatal simulacro della dèa triforme, trasportato quivi per compire il crudel sacrifizio. Scala da un lato, per chi s'ascende al tempio. Oscuro vestibolo dall'altro, ove si conservan l'armi, e le spoglie de' miseri, che furon già barbaramente sacrificati.
Toante con funerea face nella destra. I sacri Ministri si vedono schierati al comparir della scena intorno all'ara del nume; e sostengono sopra bacili d'oro gli strumenti del sacrifizio.
Pilade, e Oreste preceduti da Ifigenia, lentamente s'avanzano tra i reali custodi nel tempo che cantasi il coro.

TOANTE

Con face lugubre

di luce torbida

sul sacro tripode

la fiamma accendo.

(accende il fuoco sull'ara)

Diva terribile!

Nume tremendo!

CORO DEI SACRI MINISTRI

Diva terribile!

Nume tremendo!

(prostrandosi innanzi al nume)

TOANTE

La vittima s'avanzi.

PILADE

(inoltrandosi)

Eccola.

IFIGENIA

Ah taci.

TOANTE

Qual di loro scegliesti?

IFIGENIA

(accenna a Oreste)

I lacci a questo

tolgansi; e all'ara innanzi

venga sciolto a prostrarsi.

PILADE

Ah no.

TOANTE

(ai sacri ministri, che tolgono le catene a Oreste)

Ministri, il cenno

pronti eseguite.

PILADE

Almen...

TOANTE

Non più.

ORESTE

(a Pilade)

Deh lascia

che 'l mio destin s'adempia.

Eccomi a piè dell'ara.

(s'inginocchia innanzi all'ara)

PILADE

Oh dio!

IFIGENIA

(ai sacri ministri, che coprono la vittima di bianco ammanto, e le cingono la fronte della sacra benda)

Le tempia

cingansi a lui della funerea benda.

CORO

Nume terribile!

Diva tremenda!

PILADE

Si sospenda: sentite...

TOANTE

Il sacro rito

quest'audace non turbi.

PILADE

A pro di lui

più non torno a pregar. Morirgli appresso

chiedo sol che da voi mi sia concesso.

IFIGENIA

Non l'otterrai. D'un innocente il sangue

io versar non saprei. Se lui condanno,

non servo d'un tiranno

alla legge inumana. Un reo punisco

d'un enorme attentato: un empio sveno

per man di cui tradita

spirò chi diede a Ifigenia la vita.

ORESTE

(restando inginocchiato ai piè dell'ara)

Uccidimi, crudel. Del viver mio

non rammentarmi, oh dio! sul punto estremo

le tragiche vicende

d'infausta famiglia.

IFIGENIA

Appagato sarai. Ma pria ravvisa

di colei ch'uccidesti in me la figlia.

PILADE

La figlia!

ORESTE

Eh sogna.

TOANTE

Io non comprendo.

IFIGENIA

Appieno

mi spiegherò.

PILADE

Tu sei?...

IFIGENIA

Misera! Io sono

la greca Ifigenia: da Clitennestra

in Aulide serbata

a punir di sua morte

lo scellerato autore.

PILADE

Io gelo!

TOANTE

Oh sorte!

ORESTE

Chi mi sostien? Mancar mi sento.

(sviene fra le braccia de' sacri ministri)

PILADE

Ah sappi...

IFIGENIA

T'accheta. Al patrio lido un dì potrai

tu libero tornar. Senti: ah se mai

ritrovi Oreste, il caro

l'amato mio german, lui che già tanto

ho invan finora e sospirato e pianto.

Tutta de' casi miei

tu la serie dolente

narragli per pietà: di' che presente

fosti allor che da me fu vendicata (prende la sacra scure)

la comun genitrice

su questo capo reo...

(in atto di ferir Oreste)

PILADE

(le arresta il braccio)

Ferma, infelice.

TOANTE

Che ardire!

IFIGENIA

(con accompagnamento d'istrumenti sino al punto del riconoscimento d'Oreste)

Ahimè! La mano

perché vacilla? In ogni fibra io sento

scorrermi un gelo inusitato e nuovo!

Che sarà, giusti dèi! Che smania io provo?

Tu tremi, Ifigenia? Ma donde nasce

quest'incognita pena?

PILADE

Ah il german riconosci, e poi lo svena.

IFIGENIA

Il germano!... Ah dov'è?... Barbari, e voi

agli occhi miei celarlo

come finor poteste?

(sorpresa dall'inaspettato annuncio, non riconosce subito in Oreste il germano, ma volgesi attorno agitata e commossa, cercandolo sul volto di tutti gli astanti)

Oreste, Oreste, ah vieni

fra le mie braccia.

ORESTE

(si leva, lasciando sulle braccia de' sacri ministri il sacro ammanto e la benda)

Io torno

a respirar. Lasciatemi.

IFIGENIA

(fissando attentamente Oreste)

Che avvenne!

Quel pallore improvviso

che mai vuol dirmi? Forse...

ORESTE

(non potendo frenare il tenero suo turbamento, si commuove e piange)

Oh dèi!

IFIGENIA

Che miro!

(contemplando fissamente Oreste)

Da quel ciglio, che tanto

fiero parea, perché prorompe il pianto?

Che lacrime son queste?

Insieme

IFIGENIA

Stelle! Ah tu sei lo sventurato Oreste.

ORESTE

Numi! Ah son io lo sventurato Oreste.

(corrono con impetuoso trasporto di tenerezza ad abbracciarsi)

PILADE

Così tenera scena a ciglio asciutto

ah mirar chi potria?

IFIGENIA

Per un istante

lascia, ohimè! Ch'io respiri. Opprime un cuore

l'eccesso del piacer.

TOANTE

(accennando Oreste)

Quest'impostore

ascoltar tu non déi. S'appressi all'ara:

compisci il sacrifizio.

IFIGENIA

Empio! E pretendi

che nel fraterno sangue?...

PILADE

Ah pria si versi

tutto il mio dalle vene.

TOANTE

Olà.

(alle guardie, che con violenza costringono Pilade a seguitarle)

Dinanzi

mi si tolga costui. Nel più profondo

carcere un'altra volta

sia condotto da voi.

PILADE

E vuoi?... Crudel... Perché?...

Amico, ahimè! ~ dovrò

lasciarti... Ah no. ~ Così?...

Ah quante volte oh dio!

Misero in un sol dì ~

morir degg'io!

(parte, condotto via a forza dalle guardie)

Scena quarta

Oreste, Ifigenia, e Toante.

IFIGENIA

(guardando fissamente Oreste nel volto)

Sì: tutte, a poco a poco

sul tuo volto rinvengo, e l'orme e i segni

delle tue fanciullesche,

a me note sembianze. È ver tu sei

il mio diletto Oreste,

ma in qual momento, o dèi, voi

me 'l rendeste?

Ah se è ver che di noi cura prendete,

da un ingiusto tiranno i giorni suoi,

santi numi del ciel, voi difendete.

TOANTE

E pur così crudele

non son qual credi. Ascolta:

da te sola dipende

la vita di costui. Salvo lo vuoi?

Vieni. Libero è già, se non ricusi

il proposto imeneo.

ORESTE

(con alto disprezzo)

La mia germana

d'Agamennone la figlia a te consorte!

TOANTE

(a Oreste)

Sì.

(a Ifigenia)

Decidi. A tal prova

chiaro vedrò se Oreste,

o un impostore egli è, che teco unito

a' miei danni congiura.

Che risolvi?

IFIGENIA

Eh rammenta

che a Tomiri giurasti,

che devi a lei serbar la fé.

TOANTE

Tomiri

già il lido abbandonò per cenno mio.

IFIGENIA

(Fiero colpo fatal! Speranze, addio.)

TOANTE

Non indugiar. Ti lascio

breve spazio alla scelta.

Pensaci. Al tempio ascendo.

Ivi or ora pretendo

meco vederti in sacro nodo avvinta:

o del fraterno sangue aspersa, e tinta.

(parte da quel lato, onde s'ascende al tempio)

Scena quinta

Oreste, e Ifigenia.

IFIGENIA

Oh decreto fatal! Sacri ministri,

lasciatemi con lui.

(i sacri ministri si ritirano nell'oscuro vestibolo)

ORESTE

Sol un istante

puoi dubbiosa ondeggiar? L'ombre onorate

degli avi nostri il vergognoso nodo

troppo arrossir farebbe. Eh ch'a' miei pari

un supplizio è la vita, allor che costa

il conservarla una viltà.

IFIGENIA

Ma credi

che al par di te fiamme di gloria in seno

Ifigenia non senta?

ORESTE

Dubitarne io non so. Ma la tua morte

necessaria non è. La mia domanda

una madre implacata.

IFIGENIA

Ed è pur vero

che l'uccidesti?

ORESTE

Sì. Ma parricida

innocente son io. Peccò la mano,

che non veduta lei ferì; ma il core

non approvò l'involontario errore.

Da rimorsi crudeli anzi trafitto,

per consiglio de' numi il mio delitto

qui venni ad espiar.

(additando la stanza di Diana)

Quel simulacro

mi fu imposto rapir. L'arcane voci

dell'oracolo adesso

comprendo appieno. Ecco per me dal tempio

già l'imago rimossa. Ecco il promesso

fin de' furori miei. Colla mia morte

tutto s'adempie...

IFIGENIA

No: vivrai. Già sento

un nume, che m'ispira. Al tempio io corro.

ORESTE

Là che pensi tentar?

IFIGENIA

La tua salvezza

vuo' che giuri il tiranno. Allor di sposa

fede a lui giurerò.

(impugna uno stilo)

Ma un breve acciaro

deluderlo saprà. Con questo a Dite

un varco io m'aprirò.

E pria che l'empio appaghi

la sacrilega voglia,

lascerò esangue l'incorrotta spoglia.

Di vendicarmi poi

tua la cura sarà.

ORESTE

Fatale errore!

A risorger chi muore

vendicato non torna.

IFIGENIA

Sì. Ma il dolor che resta in parte affrena

del ricevuto oltraggio.

ORESTE

Ecco l'inganno.

Dell'offensor la pena

mai non compensa dell'offeso il danno.

Cangia, cangia pensiero. A me quel ferro

porgi.

(se le accosta per toglierle il ferro dalle mani)

IFIGENIA

(in atto di ferirsi)

Resta, o m'uccido

sugli occhi tuoi.

ORESTE

Deh almeno...

IFIGENIA

(in atto di ferirsi)

Non appressarti, o ch'io mi passo il seno.

ORESTE

(smanioso)

Dunque...

IFIGENIA

Rimanti. I passi miei ti vieto

di seguitare. Accresca

pietoso al viver tuo quei giorni il cielo,

che a me scema il rigor d'avverso fato.

Vivi, amato germano. Io sol ti chiedo

che m'ami ancorch'estinta. Ah rammentando

della mia morte un giorno

la dolorosa istoria,

molle di pianto il ciglio,

forse dirai tal volta, almen lo spero:

povera Ifigenia m'amò davvero!

Se il labbro si lagna,

mi basta se dice:

per me l'infelice

la vita perdé!

Se il ciglio ti bagna

qualche umida stilla,

a morte tranquilla

già vado per te.

(con molta smania, vedendo Oreste che piange)

Ah il pianto!... Lo vedo

sì, m'ami; lo credo.

Di più non ti chiedo;

non pianger per me.

(s'incammina verso la scala per cui s'ascende al tempio)

Scena sesta

Tomiri col nudo acciaro nella destra e collo scudo sul braccio sinistro, e detti.

ORESTE

(smanioso verso Ifigenia)

E mi lasci così? Senti ah...

IFIGENIA

(s'arresta vedendo venir Tomiri)

Tomiri!

Tu qui? Ma non partisti?

TOMIRI

Assai giovato

m'ha che Toante il creda. Ecco delusa

la vigilanza sua. Del trono aperte

ecco per me le vie. Già la sua regina

mi saluta ciascun; tutto s'aduna

già il popolo per me.

IFIGENIA

Giungi opportuna

sappi che il mio germano

m'ha reso il ciel.

TOMIRI

M'è noto, e la tua mano

so che della tua vita

esser prezzo dovria.

Per cento bocche e cento

già sino a me la fama

sollecita ne giunse. In tuo soccorso

io però qui ne venni. Al mar potrete

sicuri andar per questo

incognito sentier. L'istessa nave

che a me servir dovea, di nuovo in Grecia

vi condurrà. Propizio il vento e l'onda

bramo al vostro cammino. Ecco a' tuoi cenni

de' miei fidi una scorta. Andate. Io corro

il Sarmate a osservar. Potrebbe a danno

dell'infido Toante

profittar dei tumulti. Ah per l'ingrato

palpitar non dovrei.

Ma un primo amore, oh dèi!

come scordar si può? Deh compiangete

qualche volta pietosi il caso mio.

Fausto vi scorga il cielo. Amica, addio.

(parte per l'incognito sentiero a cui si passa dall'oscuro vestibolo)

Scena settima

Oreste e Ifigenia.

ORESTE

Ma Pilade, l'amico?...

IFIGENIA

In un con gli altri

seguaci suoi dai lacci

a scioglierlo me n' vado. Uniti al mare

il simulacro poi

trasporterem con noi

per un momento solo tu qui m'attendi. Tornerò di volo.

(parte per l'istessa strada che tenne Tomiri)

Scena ottava

Oreste solo.

Qual cangiamento inaspettato! Oh come

provvido il ciel conduce

con mirabil catena

di or lieti, ora funesti,

non preveduti eventi,

il destin de' viventi!

Folle è chi si dispera

nelle sventure estreme.

Nasce e muore con noi la nostra speme.

Tornò la mia speranza

nel seno a germogliar.

Vinto ha la mia costanza

già corro a trionfar.

L'alma di nuovo è calma;

comincio a respirar.

(si ritira nell'oscuro vestibolo)

Scena nona

Veduta interna di vasto e splendidissimo tempio consacrato a Diana. Ara magnifica nel mezzo, senza la statua del nume.
Toante con i suoi custodi reali; indi i sacri ministri, che ascendono dal sotterraneo del tempio; poi Tomiri da un'altra parte alla testa d'una schiera d'armati.

TOANTE

(ai custodi reali, che s'incamminano, indi si arrestano)

E Ifigenia non vien? Custodi, andate

ad affrettarla... Qual rumor?... Fermate.

CORO DEI SACRI MINISTRI

(si sente incominciar di lontano il coro; indi si veggono venir i sacri ministri cantando smaniosi e spaventati)

Che sorte! Che fato!

Fu il nume involato,

tradito fu il re!

Che giorno è mai questo!

Che annuncio funesto,

Toante per te!

TOANTE

Ahimè! Che intesi Qual tremenda è questa

impensata sventura!

S'impedisca, s'accorra...

(in atto di partire)

TOMIRI

(trattenendolo)

Olà. T'arresta.

TOANTE

Come! Fra noi tu ancor soggiorni? E armata

osasti?...

TOMIRI

Anima ingrata,

sol per difesa tua l'acciaro impugno.

TOANTE

Per mia difesa? E il nume

chi m'involò?

TOMIRI

No 'l so. Ma Ifigenia

potrebbe...

TOANTE

Ifigenia!

TOMIRI

Sì. La sua fuga,

per salvar la tua gloria,

io stesso preparai. Col suo germano

forse le vele al vento

già dispiegò dal lido.

TOANTE

Oh tradimento!

(ai reali custodi)

Accorrete, miei fidi:

la coppia rea veloci

seguite, raggiungete,

assalite, arrestate; e ricondurla

se non si può fra lacci a queste sponde,

si sommerga nell'onde

la fuggitiva prora,

e con essa perisca il nume ancora.

TOMIRI

Inutile furor.

(accennando i custodi reali, che si arrestano)

Da queste soglie

de' tuoi custodi un solo

vivo non sortirà. Circonda il tempio

del sarmate crudele

un furibondo stuol, ch'arder minaccia

la sacra mole

prigioniero a lui

se non ti rendi.

TOANTE

Eh che gli sdegno sui

non mi fanno tremar.

(s'incammina)

D'Ifigenia

la contumace fuga

io stesso impedirò.

TOMIRI

(l'arresta)

Ferma. Ti perdi,

se ostinato ricusi

il mio soccorso. Ignora

Merodate del tempio

la sotterranea via. Questa difende

una schiera de' miei. Vieni, che al trono

già la Scizia in tumulto

esultando mi chiama. I torti miei,

l'ingiurie a vendicar m'invita, è vero,

il popolar favore;

ma come?... Oh dèi! No, non me 'l soffre il core.

Della vita e del regno

tu spogliar mi volesti. Il reo disegno

m'è noto. Eppure io voglio

conservarti pietosa e vita e soglio.

La fé, gli affetti tuoi

rendimi.

TOANTE

E allor ch'io perdo

tutto per tua cagion, mi chiedi amore?

Ah parlami di stragi e di furore.

TOMIRI

Torna, torna in te stesso.

TOANTE

Non è più tempo.

TOMIRI

Troppo tardi mai

de' falli suoi l'uom non si pente. E il cielo...

TOANTE

Che ciel? Che numi? Dagl'insulti altrui

voi stessi a garantir se inetti siete,

a sgomentarmi, o imbelli dèi, vi sfido.

Vano è il vostro poter di voi mi rido.

TOMIRI

Ah paventa, infelice.

Tanta empietà mi fa terror.

Scena decima

Merodate dal fondo della scena e detti.

MERODATE

Che dice?

Che fa Toante? Supplice al mio piede

ancor non viene ad implorar mercede?

TOMIRI

Ahimè! Che tardi? I miei consigli ascolta:

altra speme non hai.

Renditi.

MERODATE

Eh lascia omai

di pensar a colui

al talamo genial meco t'affretta.

Quelle fiamme saran la tua vendetta.

(additando l'incendio ch'incomincia nel fondo del teatro)

TOMIRI

Salvati. O ciel! Non miri

il fumo, le faville?

MERODATE

Andiam, Tomiri.

Al regio letto

condur ti voglio.

TOMIRI

(a Toante)

T'affretto al soglio,

ti guido al regno.

TOANTE

(Ardo di sdegno,

fremo, deliro.)

TOMIRI

(a Toante)

Guarda.

TOANTE

(volgendosi altrove)

Non miro.

MERODATE

(a Tomiri)

Che aspetti?

TOANTE

(a Tomiri)

Eh parti.

TOMIRI

(a Toante)

Abbandonarti,

crudel, non so.

TOANTE

(a Tomiri)

Non voglio amarti;

terror non ho.

MERODATE

(a Tomiri, minacciando Toante)

Vuoi vendicarti?

L'ucciderò.

TOANTE

(a Merodate)

Empio!...

TOMIRI

(a Merodate che fa mostra d'impugnar il brando)

Ah che fai?

MERODATE

La testa

troncargli io vuò.

TOMIRI

(volgendosi tutta verso Merodate in difesa di Toante) T'arresta.

Io lo difenderò.

MERODATE

(con meraviglia)

Tu!... Ma non sei?...

TOMIRI

Ti basti.

TOANTE

(minaccioso)

Venga: con me contrasti.

TOMIRI

(volgendosi verso Toante)

Io non lo soffrirò.

MERODATE

(a Tomiri)

Lascia?...

TOMIRI

(a Merodate con disprezzo ed autorità)

E partir non vuoi?

Torna ne' regni tuoi.

MERODATE

(con meraviglia)

Come!...

TOMIRI

(con intolleranza)

Non più.

MERODATE

Ma senti...

TOMIRI

Vanne.

MERODATE

E degg'io?

TOMIRI

Deh parti.

MERODATE

(con importunità)

Partir! Perché?

TOMIRI

Perché!...

(con invettiva furiosa)

Perché m'è insoffribile

l'aspetto terribile

d'un mostro, d'un barbaro,

che amar non si può.

MERODATE

(con altrettanto sdegno)

Sì?... Oltraggiami, offendimi:

io parto, ma attendimi:

quel fasto a confondere,

superba, verrò.

(parte cruccioso e minacciando)

TOANTE

Vil, tu fuggi?

(verso Merodate)

Ferma...

TOMIRI

Ah senti.

TOANTE

Vuò seguirlo.

(incamminandosi)

TOMIRI

Ahimè! Che tenti?

(lo trattiene, e gli addita il fuoco, che va crescendo)

Cresce il fuoco.

TOANTE

Io non lo temo.

TOMIRI

Per te, infido, io tremo, ~ io gelo.

TOANTE

Empio cielo! ~ Ingiusti dèi!

TOMIRI

Taci, inquo. I passi miei

pronto segui; o corro al trono;

e ti lascio in abbandono

nella tua funesta sorte

colla morte ~ a contrastar.

(parte e discende nel sotterraneo, seguita dagli Sciti, e da' sacri ministri, che s'affrettano a salvarsi dall'incendio)

Scena ultima

Toante solo.

(in atto di seguir l'orme di Merodate)

Andrò...

(s'arresta pensoso)

Ma senza aita,

che mai tentar?... Ma solo

all'inimico stuolo

come oppormi potrò?... Cedere alfine

a Tomiri m'è forza.

(incamminandosi per seguitar Tomiri)

Vadasi...

(si pente, e nuovamente si arresta)

E Ifigenia

ho da perder così?... Chi vide mai

destin del mio più fiero, e più spietato?

Sorte rea! Crudo fato! Astri tiranni!

Ed io respiro ancora in tanti affanni?...

ma fra miei dubbi, o stolto,

combattuto, agitato,

smarrito, irresoluto,

mi confondo, mi perdo... E Ifigenia?...

Che angoscia è questa!... E Ifigenia, l'ingrata

s'allontana, e mi sfugge... Ah non fia vero.

Raggiungerla saprò...

(in atto di partire. Vede le fiamme inoltrarsi e si ferma)

Folle! Che spero?

(guarda d'intorno, e si trova solo)

Sudditi, amici, sacerdoti... ognuno

partì, m'abbandonò! La fiamma intanto

stridendo a me d'intorno

(crescono le fiamme, ed incendiano tutto il tempio)

minacciosa s'avanza. Ahimè! che giorno!

Che spavento! Che orrore!... il suol vacilla...

mi trema il piè... La vista

m'ingombra il fumo... Ed anelando, il petto

con pena il fiato è ad alternar costretto.

Misero! Del mio scempio

il momento fatal già s'avvicina:

già crolla il tempio; e sopra me rovina!

Ah coraggio. D'ardire

facciam l'ultime prove.

Fuggasi...

(tenta fuggir; ma le fiamme l'impediscono)

Oh ciel!... Ma dove?...

(tenta in tre parti uno scampo; ma sempre spaventato ritorna indietro)

Qua... la fiamma!... Là...

il fumo!... Che inciampo!

Sì: uno scampo; ~ o una morte si tenti...

Ah mi perdo fra tanti spaventi!

E a pietade non v'è chi si muova?

Non si trova ~ soccorso per me?...

Pietà!... Soccorso?... Eh lo presume invano

un barbaro inumano, un traditore,

un sacrilego, un empio,

che gl'innocenti afflisse,

che offese i numi, e profanato ha il tempio.

Ah poiché non mi resta

più che sperar, del morir mio s'affretti

a dispetto del ciel l'ora funesta;

che chi reprobo visse,

meraviglia non è, non è stupore,

se disperato alfin perisce, e muore.

(nel proferir quest'ultimi accenti, furioso corre sull'ara, e dalla sommità della medesima gettandosi disperato nel fuoco, rimane oppresso, e sepolto sotto gli avanzi della distrutta mole, che al suono d'una terribile, e spaventosa sinfonia precipitosamente cadendo, presenta all'inorridito sguardo de' spettatori un ammasso enorme di fumanti rovine, con una parte di selva incendiata, ed ancora ardente da un lato; e prospetto di marina spiaggia in lontananza)

Fine del libretto.

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Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena ultima