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L'incoronazione di Poppea

L'INCORONAZIONE DI POPPEA

Dramma per musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Giovan Francesco BUSENELLO.
Musica di Claudio MONTEVERDI.

Prima esecuzione: carnevale 1643, Venezia.


Interlocutori:

La FORTUNA

soprano

La VIRTÙ

soprano

AMORE

soprano

OTTONE cavaliero principalissimo

contralto

POPPEA dama nobilissima favorita di Nerone, che da lui viene assunta all'imperio

soprano

NERONE imperator romano

soprano

ARNALTA vecchia nutrice e consigliera di Poppea

contralto

OTTAVIA imperatrice regnante, che viene ripudiata da Nerone

soprano

NUTRICE di Ottavia imperatrice

contralto

SENECA filosofo, maestro di Nerone

basso

VALLETTO paggio dell'imperatrice

soprano

PALLADE

soprano

DRUSILLA dama di corte innamorata d'Ottone

soprano

MERCURIO

tenore

LIBERTO capitano della guardia de' pretoriani

tenore

DAMIGELLA dell'imperatrice

soprano

LUCANO poeta famigliare di Nerone

tenore

LITTORE

basso

VENERE

soprano

PRIMO SOLDATO pretoriano

tenore

SECONDO SOLDATO pretoriano

baritono


Coro dei famigliari di Seneca (contralto/tenore/basso), due Consoli (baritono/basso), due Tribuni (tenori), Coro di Amori (contralti/soprani). Romani, Danzatrici.



Argomento

Nerone innamorato di Poppea, ch'era moglie di Ottone, lo mandò sotto pretesto d'ambasciaria in Lusitania per godersi la cara diletta, così rappresenta Cornelio Tacito. Ma qui si rappresenta il fatto diverso. Ottone disperato nel vedersi privo di Poppea dà nei deliri, e nelle esclamazioni. Ottavia moglie di Nerone ordina ad Ottone, che sveni Poppea. Ottone promette farlo ma, non bastandogli l'animo di levar la vita all'adorata Poppea, si traveste con l'abito di Drusilla, ch'era innamorata di lui; così travestito entra nel giardino di Poppea. Amore disturba, ed impedisce quella morte. Nerone ripudia Ottavia, non ostante i consigli di Seneca, e prende per moglie Poppea. Seneca more, e Ottavia vien discacciata da Roma.

Prologo
Scena unica

Scena aerea con orizzonti bassi.
Fortuna, Virtù, Amore in aria sopra nuvole.

La Fortuna, la Virtù, ed Amor nell'aria contrastano di superiorità, e ne riceve la preminenza, Amore.

[Sinfonia I e II]

FORTUNA

Deh, nasconditi, o Virtù,

già caduta in povertà,

non creduta deità,

nume ch'è senza tempio,

diva senza devoti, e senza altari,

dissipata,

disusata,

aborrita,

mal gradita,

ed in mio paragon sempre avvilita.

Già regina, or plebea, che per comprarti

gl'alimenti e le vesti

i privilegi e i titoli vendesti.

Ogni tuo professore,

se da me sta diviso

rimane un vacuo nulla

destituto da numeri, che mai

non rileva alcun conto,

sembra un foco dipinto

che né scalda, né splende,

resta un calor sepolto

in penuria di luce;

né alcun de' tuoi seguaci speri mai

di conseguir ricchezze.

Chi professa virtù non speri mai

di posseder ricchezza, o gloria alcuna,

se protetto non è dalla Fortuna.

VIRTÙ

Deh, sommergiti, mal nata,

rea chimera delle genti,

fatta dèa dagl'imprudenti.

Io son la vera scala,

per cui natura al sommo ben ascende.

Io son la tramontana,

che sola insegno agl'intelletti umani

l'arte del navigar verso l'Olimpo.

Può dirsi, senza adulazione alcuna,

il puro incorruttibil esser mio

termine convertibile con dio,

che ciò non si può dir di te, Fortuna.

AMORE

Che vi credete, o dèe,

divider fra di voi del mondo tutto

la signoria, e 'l governo,

escludendone Amore,

nume, ch'è d'ambe voi tanto maggiore?

Io le virtudi insegno,

io le fortune domo,

questa bambina età

vince d'antichità

il tempo, e ogn'altro dio:

gemelli siam l'eternitade ed io.

Riveritemi,

adoratemi,

e di vostro sovrano il nome datemi.

FORTUNA E VIRTÙ

Uman non è, non è celeste core,

che contender ardisca con Amore.

AMORE

Oggi in un sol certame,

l'un e l'altra di voi da me abbattuta,

dirà, che 'l mondo a' cenni miei si muta.

Ad un cenno di Amore il cielo svanisce.

Atto primo
Scena prima

Si muta la scena nel palazzo di Poppea.
Ottone, due Soldati della guardia di Nerone, che dormono.

Ottone, amante di Poppea al schiarir dell'alba visita l'albergo della sua amata, esagerando le sue passioni amorose, e vedendo addormentate in strada le Guardie di Nerone, che in casa di Poppea dimora in contenti, compiange le sue miserie.

[Ritornello]

OTTONE

E pur io torno qui, qual linea al centro,

qual foco a sfera, e qual ruscello al mare,

e se ben luce alcuna non m'appare,

ah! so ben io, che sta 'l mio sol qui dentro.

Ritornello

Caro tetto amoroso,

albergo di mia vita, e del mio bene,

il passo e 'l core e ad inchinarti viene.

Ritornello

Apri un balcon Poppea

col bel viso in cui son le sorti mie,

previeni, anima mia, precorri il die.

Ritornello

Sorgi, e disgombra omai,

da questo ciel caligini e tenebre

con il beato aprir di tue palpebre.

Ritornello

Sogni, portate a volo,

fate sentire in dolce fantasia

questi sospir alla diletta mia.

Ma che veggio, infelice?

Non già fantasmi o pur notturne larve,

son questi i servi di Nerone; ahi dunque

agl'insensati venti

io diffondo i lamenti.

Necessito le pietre a deplorarmi,

adoro questi marmi,

amoreggio con lagrime un balcone,

e in grembo di Poppea dorme Nerone.

Ha condotti costoro,

per custodir sé stesso dalle frodi.

O salvezza de' prencipi infelice:

dormon profondamente i suoi custodi.

Ah, perfida Poppea,

son queste le promesse e i giuramenti

ch'accesero il cor mio?

Questa è la fede, o dio!

Io son quell'Ottone,

che ti seguì,

che ti bramò,

che ti servì,

che t'adorò;

che per piegarti o intenerirti il core

di lagrime imperlò preghi devoti,

gli spirti a te sacrificando in voti.

M'assicurasti alfine

ch'abbracciate averei nel tuo bel seno

le mie beatitudini amorose;

io di credula speme il seme sparsi,

ma l'aria e 'l cielo a' danni miei rivolto...

tempestò di ruine il mio raccolto.

Scena seconda

Ottone e due Soldati, che si risvegliano.

Soldati di Nerone si svegliano, e da' patimenti sofferti in quella notte malediscono gl'amori di Poppea, e di Nerone, e mormorano della corte.

PRIMO SOLDATO

Chi parla?

OTTONE

Tempestò di ruine...

PRIMO SOLDATO

Chi parla?

OTTONE

...il mio raccolto.

PRIMO SOLDATO

Chi va lì?

SECONDO SOLDATO

Camerata?

PRIMO SOLDATO

Ohimè, ancor non è dì!

SECONDO SOLDATO

Camerata, che fai?

Par che parli sognando.

PRIMO SOLDATO

Sorgono pur dell'alba i primi rai.

SECONDO SOLDATO

Su, risvegliati tosto...

PRIMO SOLDATO

Non ho dormito in tutta notte mai.

SECONDO SOLDATO

Su, risvegliati tosto,

guardiamo il nostro posto.

PRIMO SOLDATO

Sia maledetto Amor, Poppea, Nerone,

e Roma, e la milizia,

soddisfar io non posso alla pigrizia

un'ora, un giorno solo.

SECONDO SOLDATO

La nostra imperatrice

stilla sé stessa in pianti,

e Neron per Poppea la vilipende;

l'Armenia si ribella,

ed egli non ci pensa.

La Pannonia dà all'armi, ed ei se ne ride,

così, per quant'io veggio,

l'impero se ne va di male in peggio.

PRIMO SOLDATO

Di' pur che il prence nostro ruba a tutti

per donar ad alcuni;

l'innocenza va afflitta

e i scellerati stan sempre a man dritta.

SECONDO SOLDATO

Sol del pedante Seneca si fida.

PRIMO SOLDATO

Di quel vecchion rapace?

SECONDO SOLDATO

Di quel volpon sagace!

PRIMO SOLDATO

Di quel reo cortigiano

che fonda il suo guadagno

sul tradire il compagno!

SECONDO SOLDATO

Di quell'empio architetto

che si fa casa sul sepolcro altrui.

PRIMO SOLDATO

Non ridire ad alcun quel che diciamo.

Nel fidarti va scaltro;

se gl'occhi non si fidan l'un dell'altro

e però nel guardar van sempre insieme.

PRIMO SOLDATO E SECONDO SOLDATO

Impariamo dagl'occhi,

a non trattar da sciocchi.

PRIMO SOLDATO

Ma, già s'imbianca l'alba, e vien il dì.

PRIMO SOLDATO E SECONDO SOLDATO

Taciam, Neron è qui.

Scena terza

Poppea, Nerone.

Poppea, e Nerone escono al far del giorno amorosamente abbracciati, prendendo commiato l'un dall'altro con tenerezze affettuose.

POPPEA

Signor, deh non partire,

sostien, che queste braccia

ti circondino il collo,

come le tue bellezze

circondano il cor mio.

NERONE

Poppea, lascia ch'io parta.

POPPEA

Non partir, signor, deh non partire.

Appena spunta l'alba, e tu che sei

l'incarnato mio sole,

la mia palpabil luce,

e l'amoroso dì della mia vita,

vuoi sì repente far da me partita?

Deh non dir di partire

che di voce sì amara a un solo accento,

ahi perir, ahi spirar quest'alma io sento.

NERONE

La nobiltà de' nascimenti tuoi

non permette che Roma

sappia che siamo uniti,

in sin ch'Ottavia...

POPPEA

In sin che...

NERONE

In sin ch'Ottavia non rimane esclusa...

POPPEA

Non rimane...

NERONE

In sin ch'Ottavia non rimane esclusa

col ripudio da me.

POPPEA

Vanne ben mio...

[Sinfonia]

NERONE

In un sospir che vien

dal profondo del sen,

includo un bacio, o cara, ed un addio:

si rivedrem ben tosto, idolo mio.

Sinfonia

POPPEA

Signor, sempre mi vedi,

anzi mai non mi vedi.

Perché s'è ver, che nel tuo cor io sia,

entro al tuo sen celata,

non posso da' tuoi lumi esser mirata.

NERONE

Adorati miei rai,

deh restatevi omai!

Rimanti, o mia Poppea,

cor, vezzo, e luce mia.

POPPEA

Deh non dir di partire,

che di voce sì amara a un solo accento

ahi perir, ahi mancar quest'alma io sento.

NERONE

Non temer, tu stai meco a tutte l'ore,

splendor negl'occhi, e deità nel core.

POPPEA

Tornerai?

NERONE

Se ben io vo

pur teco io sto.

POPPEA

Tornerai?

NERONE

Il cor dalle tue stelle

mai non si disvelle.

POPPEA

Tornerai?

NERONE

Io non posso da te viver disgiunto

se non si smembra la unità del punto.

POPPEA

Tornerai?

NERONE

Tornerò.

POPPEA

Quando?

NERONE

Ben tosto.

POPPEA

Ben tosto, me 'l prometti?

NERONE

Te 'l giuro.

POPPEA

E me l'osserverai?

NERONE

E s'a te non verrò, tu a me verrai.

POPPEA

A dio...

NERONE

A dio...

POPPEA

A dio, Nerone, a dio.

NERONE

A dio, Poppea, a dio.

Scena quarta

Poppea, Arnalta.

Poppea con Arnalta vecchia sua consigliera discorre della speranza sua alle grandezze; Arnalta la documenta, e ammaestra a non fidarsi tanto de' grandi, né di confidar tanto nella Fortuna.

[Ritornello]

POPPEA

Speranza, tu mi vai

il cor accarezzando,

e di agitarmi non desisti mai.

Ritornello

Speranza, tu mi vai

il genio lusingando,

e mi circondi intanto

di regio sì, ma immaginario manto.

No, non temo, no, di noia alcuna,

per me guerreggia Amor, e la Fortuna.

Se a tue promesse io credo

già in capo ho le corone,

e già divo Nerone

consorte bramatissimo possiedo,

ma se ricerco il vero

regina io son col semplice pensiero.

Ritornello

ARNALTA

Ahi figlia, voglia il cielo,

che questi abbracciamenti

non sian un giorno i precipizi tuoi.

POPPEA

No, non temo, no, di noia alcuna.

ARNALTA

L'imperatrice Ottavia ha penetrati

di Neron gli amori,

ond'io pavento e temo

ch'ogni giorno, ogni punto

sia di tua vita il giorno, il punto estremo.

POPPEA

Per me guerreggia Amor, e la Fortuna.

ARNALTA

La pratica coi regi è perigliosa,

l'amor e l'odio non han forza in essi,

sono gli affetti lor puri interessi.

Ritornello

ARNALTA

Se Neron t'ama, è mera cortesia,

s'ei t'abbandona, non te n' puoi dolere.

Per minor mal ti converrà tacere.

POPPEA

No, non temo, no, di noia alcuna.

ARNALTA

Il grande spira onor con la presenza,

lascia, mentre la casa empie di vento,

riputazione e fumo in pagamento.

Ritornello

Perdi l'onor con dir: «Neron mi gode».

Son inutili i vizi ambiziosi,

mi piaccion più i peccati fruttuosi.

Ritornello

Con lui tu non puoi mai trattar del pari,

e se le nozze hai per oggetto e fine,

mendicando tu vai le tue ruine.

POPPEA

No, non temo, no, di noia alcuna.

ARNALTA

Mira, mira Poppea,

dove il prato è più ameno e dilettoso,

stassi il serpente ascoso.

Dei casi le vicende son funeste,

la calma è profezia delle tempeste.

POPPEA

No, non temo, no, di noia alcuna,

per me guerreggia Amor, e la Fortuna.

ARNALTA

Ben sei pazza, se credi

che ti possano far contenta e salva

un garzon cieco ed una donna calva.

Scena quinta

Si muta la scena nella città di Roma.
Ottavia, Nutrice.

Ottavia imperatrice esagera gl'affanni suoi con la nutrice, detestando i mancamenti di Nerone suo consorte. La Nutrice scherza seco sopra novelli amori per traviarla da' cupi pensieri; Ottavia resistendo costantemente persevera nell'afflizioni.

OTTAVIA

Disprezzata regina,

del monarca romano afflitta moglie,

che fo, ove son, che penso?

O delle donne miserabil sesso:

se la natura e 'l cielo

libere ci produce,

il matrimonio c'incatena serve.

Se concepiamo l'uomo,

o delle donne miserabil sesso,

al nostr'empio tiran formiam le membra,

allattiamo il carnefice crudele

che ci scarna e ci svena,

e siam forzate per indegna sorte

a noi medesme partorir la morte.

Nerone, empio Nerone,

marito, o dio, marito

bestemmiato pur sempre,

e maledetto dai cordogli miei,

dove, ohimè, dove sei?

In braccio di Poppea,

tu dimori felice e godi, e intanto

il frequente cader de' pianti miei

pur va quasi formando

un diluvio di specchi, in cui tu miri,

dentro alle tue delizie, i miei martiri.

Destin, se stai lassù,

Giove ascoltami tu,

se per punir Nerone

fulmini tu non hai,

d'impotenza t'accuso,

d'ingiustizia t'incolpo;

ahi, trapasso tropp'oltre, e me ne pento,

sopprimo e seppellisco

in taciturne angosce il mio tormento.

NUTRICE

Ottavia, Ottavia...

OTTAVIA

O ciel, deh, l'ira tua s'estingua,

non provi i tuoi rigori il fallo mio...

NUTRICE

Ottavia, o tu dell'universe genti

unica imperatrice...

OTTAVIA

Errò la superficie, il fondo è pio,

innocente fu il cor, peccò la lingua.

NUTRICE

...odi, odi.

Di tua fida nutrice odi gli accenti.

Se Neron perso ha l'ingegno,

di Poppea ne' godimenti,

scegli alcun, che di te degno,

d'abbracciarti si contenti.

Se l'ingiuria a Neron tanto diletta,

abbi piacer tu ancor nel far vendetta.

[Ritornello]

E se pur aspro rimorso

dell'onor t'arreca noia,

fa' riflesso al mio discorso,

ch'ogni duol ti sarà gioia.

OTTAVIA

Così sozzi argomenti

non intesi più mai da te, Nutrice!

NUTRICE

Fa' riflesso al mio discorso,

ch'ogni duol ti sarà gioia.

L'infamia sta gl'affronti in sopportarsi,

e consiste l'onor nel vendicarsi.

Han poi questo vantaggio

delle regine gli amorosi errori,

se li sa l'idiota, non li crede,

se l'astuto li penetra, li tace,

e 'l peccato taciuto e non creduto

sta segreto e sicuro in ogni parte,

com'un che parli in mezzo un sordo, e un muto.

OTTAVIA

No, mia cara Nutrice:

la donna assassinata dal marito

per adultere brame,

resta oltraggiata sì, ma non infame!

Per il contrario resta

lo sposo inonorato,

se il letto marital li vien macchiato.

NUTRICE

Figlia e signora mia, tu non intendi

della vendetta il principale arcano.

L'offesa sopra il volto

d'una sola guanciata

si vendica col ferro e con la morte.

Chi ti punge nel senso,

pungilo nell'onore,

se bene a dirti il vero,

né pur così sarai ben vendicata;

nel senso vivo te punge Nerone,

e in lui sol pungerai l'opinione.

Fa' riflesso al mio discorso,

ch'ogni duol ti sarà gioia.

Ritornello

OTTAVIA

Se non ci fosse né l'onor, né dio,

sarei nume a me stessa, e i falli miei

con la mia stessa man castigherei,

e però lunge dagli errori intanto

divido il cor tra l'innocenza e 'l pianto.

Scena sesta

Seneca, Ottavia, Valletto.

Seneca consola Ottavia ad esser constante. Valletto paggio d'Ottavia per trattenimento dell'imperatrice burla Seneca al quale Ottavia si raccomanda, e va a porger preghiere al tempio.

SENECA

Ecco la sconsolata

donna, assunta all'impero

per patir il servaggio: o gloriosa

del mondo imperatrice,

sovra i titoli eccelsi

degl'insigni avi tuoi cospicua e grande,

la vanità del pianto

degl'occhi imperiali è ufficio indegno.

Ringrazia la Fortuna,

che con i colpi suoi

ti cresce gl'ornamenti.

La cote non percossa

non può mandar faville;

tu dal destin colpita

produci a te medesma alti splendori

di vigor, di fortezza,

glorie maggiori assai, che la bellezza.

La vaghezza del volto, i lineamenti,

ch'in apparenza illustre

risplendon coloriti, e delicati,

da pochi ladri dì ci son rubati.

Ma la Virtù costante

usa a bravar le stelle, il fato, e 'l caso,

giammai non vede occaso.

OTTAVIA

Tu mi vai promettendo

balsamo dal veleno,

e glorie da' tormenti.

Scusami, questi son, Seneca mio,

detti di prospettiva,

vanità speciose,

studiati artifici,

inutili rimedi agl'infelici.

VALLETTO

Madama, con tua pace,

io vo' sfogar la stizza, che mi move

il filosofo astuto, il gabba Giove.

M'accende pure a sdegno,

questo miniator di bei concetti.

Non posso star al segno,

mentre egli incanta altrui con aurei detti.

Queste del suo cervel mere invenzioni,

le vende per misteri e son canzoni!

Madama, s'ei... sternuta o s'ei sbadiglia...

presume d'insegnar cose morali,

e tanto l'assottiglia,

che moverebbe il riso a' miei stivali.

Scaltra filosofia dov'ella regna,

sempre al contrario fa di quel ch'insegna.

Fonda sempre il pedante

su l'ignoranza d'altri il suo guadagno,

e accorto argomentante

non ha Giove per dio, ma per compagno,

e le regole sue di modo intrica,

ch'al fin neanch'egli sa ciò, ch'ei si dica.

OTTAVIA

Neron tenta il ripudio

della persona mia

per isposar Poppea. Si divertisca,

se divertir si può sì indegno esempio.

Tu per me prega il popol e 'l senato,

ch'io mi riduco, a porger voti al tempio.

VALLETTO

Se tu non dài soccorso

alla nostra regina, in fede mia,

che vo' accenderti il foco,

e nella toga, e nella libreria...

in fede mia.

Scena settima

Seneca.

Seneca fa considerazione sopra le grandezze transitorie del mondo.

Le porpore regali e imperatrici,

d'acute spine e triboli conteste,

sotto forma di veste

sono il martirio a' prencipi infelici;

le corone eminenti

servono solo a indiademar tormenti.

Delle regie grandezze

si veggono le pompe e gli splendori,

ma stan sempre invisibili i dolori.

Scena ottava

Pallade, Seneca.

Pallade in aria predice la morte a Seneca, promettendoli che se doverà certo morire glielo farà di novo intender per bocca di Mercurio, e ciò per esser come uomo virtuoso suo caro e diletto; venendo ringraziata sommamente da Seneca.

PALLADE

Seneca, io veggo in cielo infausti rai

che minacciano te d'alte ruine;

s'oggi verrà della tua vita il fine,

pria da Mercurio avvisi certi avrai.

SENECA

Venga la morte pur; costante e forte,

vincerò gli accidenti e le paure;

dopo il girar delle giornate oscure

è di giorno infinito alba la morte.

Scena nona

Nerone, Seneca.

Nerone con Seneca discorre, dicendo voler adempire alle sue voglie. Seneca moralmente, e politicamente gli risponde dissuadendolo, Nerone si sdegna, e lo scaccia dalla sua presenza.

NERONE

Son risoluto insomma

o Seneca, o maestro,

di rimovere Ottavia

dal posto di consorte,

e di sposar Poppea.

SENECA

Signor, nel fondo della maggior dolcezza

spesso giace nascosto il pentimento.

Consiglier scellerato è 'l sentimento,

ch'odia le leggi, e la ragion disprezza.

NERONE

La legge è per chi serve, e se vogl'io,

posso abolir l'antica e indur le nove;

è partito l'impero, è 'l ciel di Giove,

ma del mondo terren lo scettro è mio.

SENECA

Sregolato voler non è volere,

ma (dirò con tua pace) egli è furore.

NERONE

La ragione è misura rigorosa

per chi ubbidisce e non per chi comanda.

SENECA

Anzi l'irragionevole comando

distrugge l'ubbidienza.

NERONE

Lascia i discorsi, io voglio a modo mio.

SENECA

Non irritar il popolo e 'l senato.

NERONE

Del senato e del popolo non curo.

SENECA

Cura almeno te stesso, e la tua fama.

NERONE

Trarrò la lingua a chi vorrà biasmarmi.

SENECA

Più muti che farai, più parleranno.

NERONE

Ottavia è infrigidita ed infeconda.

SENECA

Chi ragione non ha, cerca pretesti.

NERONE

A chi può ciò che vuol, ragion non manca.

SENECA

Manca la sicurezza all'opre ingiuste.

NERONE

Sarà sempre più giusto il più potente.

SENECA

Ma chi non sa regnar sempre può meno.

NERONE

La forza è legge in pace...

SENECA

La forza accende gli odi...

NERONE

...e spada in guerra...

SENECA

...e turba il sangue...

NERONE

...e bisogno non ha della ragione.

SENECA

La ragione regge gl'uomini e gli dèi.

NERONE

Tu mi forzi allo sdegno; al tuo dispetto,

e del popol in onta e del senato

e d'Ottavia, e del cielo, e dell'abisso,

siansi giuste od ingiuste le mie voglie,

oggi, oggi Poppea sarà mia moglie!

SENECA

Siano innocenti i regi

o s'aggravino sol di colpe illustri;

s'innocenza si perde,

perdasi sol per guadagnar i regni,

che il peccato commesso

per aggrandir l'impero

si assolve da sé stesso;

ma ch'una femminella abbia possanza

di condurti agli errori,

non è colpa di rege o semideo:

è un misfatto plebeo.

NERONE

Levamiti dinnanzi,

maestro impertinente,

filosofo insolente!

SENECA

Il partito peggior sempre sovrasta

quando la forza alla ragion contrasta.

Scena decima

Poppea, Nerone, Ottone in disparte.

Poppea con Nerone discorrono de' contenti passati, restando Nerone preda delle bellezze di Poppea, promettendoli volerla crear imperatrice, e da Poppea venendo messo in disgrazia di lui Seneca, Nerone adirato gli decreta la morte, Poppea fa voto ad Amore per l'esaltazione delle sue grandezze, e da Ottone, che se ne sta in disparte, viene inteso e osservato il tutto. Questo passaggio, si riferisce al testo finale di Poppea non musicato.

POPPEA

Come dolci, signor, come soavi

riuscirono a te la notte andata

di questa bocca i baci?

NERONE

Più cari i più mordaci.

POPPEA

Di questo seno i pomi?

NERONE

Mertan le mamme tue più dolci nomi.

POPPEA

Di queste braccia mie gli stretti amplessi?

NERONE

Idolo mio, deh in braccio ancor t'avessi!

POPPEA

Dimmi signor, e come

t'arrivarono al core

tante mie tenerezze innamorate?

NERONE

O gioconde, o lascive, o delicate.

POPPEA

Tanti sospiri miei?

NERONE

Consolarli, o diletta, ognor vorrei.

POPPEA

I fervori dell'anima infiammata,

transumanta in estasi amoroso

NERONE

O graditi, mia luce, o dilettosi.

POPPEA

Languida ancora io sono,

e 'l mio spirito morto

dentro alle tue dolcezze

resuscitato per morire ancora

il mio caro Neron stringe, e adora.

NERONE

Poppea respiro appena;

miro le labbra tue,

e mirando recupero con gl'occhi

quello spirto infiammato,

che nel baciarti, o cara, in te diffusi.

Non è, non è più in cielo il mio destino,

ma sta dei labbri tuoi nel bel rubino.

POPPEA

Signor, le tue parole son sì dolci,

ch'io nell'anima mia

le ridico a me stessa,

e l'interno ridirle

necessita al deliquio il cor amante.

Come parole le odo,

come baci io le godo;

son de' tuoi cari detti

i sensi sì soavi, e sì vivaci,

che, non contenti di blandir l'udito,

mi passano a stampar sul cor i baci.

NERONE

Quell'eccelso diadema ond'io sovrasto

degl'uomini, e de' regni alle fortune,

teco divider voglio,

e allor sarò felice

quando il titol avrai d'imperatrice;

ma che dico, o Poppea!

Troppo picciola è Roma ai merti tuoi,

troppo angusta è l'Italia alle tue lodi,

e al tuo bel viso è basso paragone

l'esser detta consorte di Nerone;

e han questo svantaggio i tuoi begl'occhi,

che, trascendendo i naturali esempi,

e per modestia non toccando i cieli,

non ricevon tributo d'altro onore,

che di solo silenzio, e di stupore.

POPPEA

A speranze sublimi il cor innalzo

perché tu lo comandi,

e la modestia mia riceve forza;

ma troppo s'attraversa ed impedisce

delle regie promesse il fin sovrano.

Seneca, il tuo maestro,

quello stoico sagace,

quel filosofo astuto,

che sempre tenta persuader altrui

che il tuo scettro dipende sol da lui...

NERONE

Che? che?

POPPEA

Che il tuo scettro dipende sol da lui...

NERONE

Quel decrepito pazzo...

POPPEA

Quel, quel!

NERONE

...ha tanto ardire?

POPPEA

Ha tanto ardire.

NERONE

Olà, vada un di voi

a Seneca volando, e imponga a lui,

che in questo giorno ei mora.

Vo' che da me l'arbitrio mio dipenda,

non da concetti e da sofismi altrui;

rinnegherei per poco

le potenze dell'alma, s'io credessi

che servilmente indegne

si movessero mai col moto d'altre.

Poppea, sta di buon core,

oggi vedrai ciò che sa far Amore.

POPPEA

Se mi conduci, Amor,

a regia maestà,

al tuo tempio il mio cor,

voto si apprenderà

spirami tutto in sen

fonte d'ogni mio ben,

al trono innalza me,

Amor, ogni mia speme io pongo in te.

Le meraviglie, Amor,

son opre di tua man,

trascende gli stupor

il tuo poter sovran.

Consola i miei sospir,

adempi i miei desir,

al trono innalza me,

Amor, ogni mia speme io pongo in te.

Scena undicesima

Ottone, Poppea, Arnalta in disparte.

Ottone con Poppea palesa le sue morte speranze con lei, e da passione amorosa la rinfaccia, Poppea si sdegna, e sprezzandolo parte dicendo esser soggetta a Nerone.

[Ritornello]

OTTONE

Ad altri tocca in sorte

bere il licor, e a me guardar il vaso,

aperte stan le porte

a Neron, ed Otton fuori è rimaso;

sied'egli a mensa a satollar sue brame,

in amaro digiun moro, mor'io di fame.

Ritornello

POPPEA

Chi nasce sfortunato

di sé stesso si dolga, e non d'altrui;

del tuo penoso stato

aspra cagion, Otton, non son, né fui;

il destin getta i dadi, e i punti attende:

l'evento, o buono o reo, da lui dipende.

Ritornello

OTTONE

La messe sospirata,

dalle speranze mie, da' miei desiri,

in altra mano è andata,

e non consente Amor, che più v'aspiri;

Neron felice i dolci pomi tocca,

e solo il pianto a me bagna la bocca.

Ritornello

POPPEA

A te le calve tempie,

ad altri il crine la Fortuna diede;

s'altri i desiri adempie

ebbe di te più fortunato piede.

La disventura tua non è mia colpa,

te solo dunque e 'l tuo destino incolpa.

Ritornello

OTTONE

Sperai che quel macigno,

bella Poppea, che ti circonda il core,

fosse d'amor benigno

intenerito a pro del mio dolore,

or del tuo bianco sen la selce dura

di mie morte speranze è sepoltura.

Ritornello

POPPEA

Deh, non più rinfacciarmi,

porta, deh porta il martellino in pace,

cessa di più tentarmi,

al cenno imperial Poppea soggiace;

ammorza il foco omai, tempra gli sdegni;

io lascio te per arrivare, per arrivar ai regni.

OTTONE

E così, e così l'ambizione

sovra ogni vizio tien la monarchia.

POPPEA

Così, così la mia ragione

incolpa i tuoi capricci di pazzia.

OTTONE

È questo del mio amor il guiderdone?

POPPEA

Modestia, olà...

OTTONE

È questo del mio amor il guiderdone?

POPPEA

Olà, non più...

OTTONE

È questo del mio amor il guiderdone?

POPPEA

Non più, non più, son di Nerone.

OTTONE

Ahi, ahi, chi ripon sua fede in un bel volto,

fabbrica in aria, e sopra il vacuo fonda,

tenta palpare il vento,

ed immobili afferma il fumo, e l'onda.

ARNALTA

Infelice ragazzo!

Mi move a compassion il miserello;

Poppea non ha cervello

a non gl'aver pietà,

quand'ero in altra età

non volevo gl'amanti

in lacrime distrutti,

per compassion gli contentavo tutti.

Scena dodicesima

Ottone.

Ottone amante disperato imperversa con l'animo contro Poppea.

Otton, torna in te stesso,

il più imperfetto sesso

non ha per sua natura

altro d'uman in sé, che la figura.

Otton, torna in te stesso,

costei pensa al comando, e se ci arriva

la mia vita è perduta...

Otton, torna in te stesso,

ella temendo che risappia Nerone

i miei passati amori,

ordirà insidie all'innocenza mia,

indurrà co' la forza un che m'accusi

di lesa maestà di fellonìa,

la calunnia, da' grandi favorita,

distrugge agl'innocenti onor, e vita.

Vo' prevenir costei

col ferro o col veleno,

non mi vo' più nutrir il serpe in seno.

A questo, a questo fine

dunque arrivar dovea

l'amor tuo, perfidissima Poppea!

Scena tredicesima

Drusilla, Ottone.

Ottone di già amante di Drusilla dama di corte, vedendosi sprezzato da Poppea rinnova seco gl'amori promettendoli lealtà. Drusilla resta consolata del ricuperato suo affetto, e fornisse l'atto primo.

DRUSILLA

Pur sempre di Poppea,

o con la lingua, o col pensier discorri.

OTTONE

Discacciato dal cor viene alla lingua,

e dalla lingua è consegnato ai venti

il nome di colei

ch'infedele tradì gl'affetti miei.

DRUSILLA

Il tribunal d'Amor

tal or giustizia fa:

di me non hai pietà,

altri si ride, Otton, del tuo dolor.

OTTONE

A te di quanto son,

bellissima donzella

or fo libero don;

ad altri mi ritolgo,

e solo tuo sarò, Drusilla mia.

Perdona, o dio, perdona

il passato scortese mio costume;

benché tu del mio error non mi riprenda,

confesso i falli andati,

eccoti l'alma mia pronta all'emenda.

Infin ch'io vivrò t'amerà sempre, o bella

quest'alma che ti fu cruda e rubella;

già, già pentita dell'error antico

mi ti consacra omai servo ed amico.

DRUSILLA

Già l'oblio seppellì

gl'andati amori?

È ver, Otton, è ver,

ch'a questo fido cor il tuo s'unì?

OTTONE

È ver, Drusilla, Drusilla, è ver, sì, sì.

DRUSILLA

Temo che tu mi dica la bugia.

OTTONE

No, no, Drusilla, Drusilla, no.

DRUSILLA

Otton, Otton, non so, non so.

OTTONE

Teco non può mentir la fede mia.

DRUSILLA

M'ami?

OTTONE

Ti bramo.

DRUSILLA

E come in un momento?

OTTONE

Amor è foco, e subito s'accende.

DRUSILLA

Sì sùbite dolcezze

gode lieto il mio cor, ma non l'intende.

M'ami?

OTTONE

Ti bramo.

Ti dican l'amor mio le tue bellezze.

Per te nel cor ho nova forma impressa,

i miracoli tuoi credi a te stessa.

DRUSILLA

Lieta me n' vado: Otton, resta felice;

m'indirizzo a riverir l'imperatrice.

OTTONE

Le tempeste del cor tutte tranquilla;

d'altri Otton non sarà che di Drusilla;

e pur al mio dispetto, iniquo Amore,

Drusilla ho in bocca, (e ho Poppea nel core).

Atto secondo
Scena prima

Si muta la scena nella villa di Seneca.
Seneca, Mercurio dal ciel in terra.

Mercurio in terra mandato da Pallade annunzia a Seneca dover egli certo morire in quel giorno, il quale senza punto smarrirsi degl'orrori della morte, rende grazie al cielo, e Mercurio dopo fatta l'ambasciata se ne vola al cielo.

SENECA

Solitudine amata,

eremo della mente,

romitaggio a' pensieri,

delizia all'intelletto

che discorre, e contempla

l'immagini celesti

sotto le forme ignobili e terrene,

a te l'anima mia lieta se n' viene,

e lunge dalla corte,

ch'insolente e superba

fa della mia pazienza anatomia

qui tra le frondi, e l'erbe,

m'assido in grembo della pace mia.

MERCURIO

Vero amico del cielo

appunto in questa solitaria chiostra

visitarti io volevo.

SENECA

E quando, e quando mai

le visite divine io meritai?

MERCURIO

La sovrana virtù di cui sei pieno

deifica i mortali,

e perciò son da te ben meritate

le celesti ambasciate.

Pallade a te mi manda,

e t'annunzia vicina l'ultim'ora

di questa frale vita,

e 'l passaggio all'eterna ed infinita.

SENECA

Oh me felice, adunque

s'ho vissuto sinora

degl'uomini la vita,

vivrò dopo la morte

la vita degli dèi.

Nume cortese, oggi il morir m'accenni?

Or confermo i miei scritti,

autentico i miei studi;

l'uscir di vita è una beata sorte,

se da bocca divina esce la morte.

MERCURIO

Lieto dunque t'accingi

al celeste viaggio,

al felice passaggio,

t'insegnerò la strada,

che ne conduce allo stellato polo;

Seneca or colà su io drizzo il mio volo.

Scena seconda

Seneca, Liberto.

Seneca riceve da Liberto, Capitano della guardia di Nerone, l'annunzio di morte d'ordine di Nerone; Seneca costante si prepara all'uscir di vita.

LIBERTO

(Il comando tiranno

esclude ogni ragione,

e tratta solo o violenza, o morte.

Io devo riferirlo, e nondimeno

relatore innocente

mi par d'esser partecipe del male,

ch'a riferire io vado.)

Seneca, assai m'incresce di trovarti,

mentre pur ti ricerco.

Deh non mi riguardar con occhio torvo

se a te sarò d'infausto annunzio il corvo.

SENECA

Amico è già gran tempo,

ch'io porto il seno armato

contro i colpi del fato.

La notizia del secolo in cui vivo,

forestiera non giunge alla mia mente;

se m'arrechi la morte,

non mi chieder perdono:

rido, mentre mi porti un sì bel dono.

LIBERTO

Nerone...

SENECA

Non più, non più...

LIBERTO

A te mi manda.

SENECA

Non più t'ho inteso, e ubbidisco or ora.

LIBERTO

E come intendi, prima ch'io m'esprima?

SENECA

La forma del tuo dire, e la persona

che a me ti manda, son due contrassegni

minacciosi e crudeli

del mio fatal destino;

già, già son indovino.

Nerone a me t'invia

a imponermi la morte,

ed io sol tanto tempo

frappongo ad ubbidirlo

quanto basti a formar ringraziamenti

alla sua cortesia, che mentre vede

dimenticato il ciel de' casi miei,

gli faccia sovvenir ch'io vivo ancora,

per liberar l'aria e la natura

dal pagar l'ingiustissima angheria

de' fiati e giorni alla vecchiaia mia.

Ma di mia vita il fine

non sazierà Nerone;

l'alimento d'un vizio all'altro è fame,

il varco ad un eccesso a mille è strada,

ed è lassù prefisso,

che cento abissi chiami un sol abisso.

LIBERTO

Signor indovinasti;

mori, e mori felice,

che come vanno i giorni

all'impronto del sole

a marcarsi di luce,

così alle tue scritture

verran per prender luce i scritti altrui.

I nostri imperatori

diventan dopo morte eterni numi,

e trionfante Roma,

quando un principe perde, acquista in dio.

Ma tu morendo, o Seneca felice,

avrai la deitade.

Non l'avrà mai Nerone,

che non s'ammette in ciel nume fellone.

SENECA

Vanne, vattene omai,

e se parli a Nerone avanti sera,

ch'io son morto, e sepolto, gli dirai.

Scena terza

Seneca, e i suoi Famigliari.

Seneca consola i suoi Famigliari, i quali lo dissuadono a morire, e ordina a quelli di prepararli il bagno per ricever la morte.

SENECA

Amici è giunta l'ora

di praticare in fatti

quella virtù, che tanto celebrai.

Breve angoscia è la morte;

un sospir peregrino esce dal core,

ov'è stato molt'anni,

quasi in ospizio, come forestiero,

e se ne vola all'Olimpo,

della felicità soggiorno vero.

FAMIGLIARI

Non morir, Seneca, no.

Io per me morir non vo'.

[Ritornello]

FAMIGLIARE

Questa vita è dolce troppo,

FAMIGLIARE

II°

questo ciel troppo è sereno,

FAMIGLIARE

III°

ogni amar, ogni veleno

I TRE

finalmente è lieve intoppo.

Ritornello

FAMIGLIARE

Se mi corco al sonno lieve,

FAMIGLIARE

II°

mi risveglio in sul mattino,

FAMIGLIARE

III°

ma un avel di marmo fino,

I TRE

mai non dà quel che riceve.

Ritornello

FAMIGLIARI

Non morir, Seneca, no.

Io per me morir non vo'.

SENECA

Sopprimete i singulti,

rimandate quei pianti

dai canali degl'occhi

alle fonti dell'anime, o i miei cari.

Vada quell'acqua omai

a lavarmi dai cori

dell'incostanza vil le macchie indegne.

Altr'esequie ricerca,

che un gemito dolente

Seneca moriente.

Itene tutti, a prepararmi il bagno,

che se la vita corre

come il rivo fluente,

in un tepido rivo

questo sangue innocente io vo' che vada

a imporporarmi del morir la strada.

Scena quarta

La Virtù con un coro di Virtù, Seneca.

VIRTÙ E CORO

Lieto, e ridente

alfin t'affretta,

che il ciel t'aspetta.

SENECA

Breve coltello,

ferro minuto

sarà la chiave,

che m'aprirà

le vene in terra,

e in ciel le porte dell'eternità.

VIRTÙ E CORO

Lieto, e ridente

alfin t'affretta,

che il ciel t'aspetta.

SENECA

A dio grandezze,

pompe di vetro,

glorie di polve,

larve d'error,

che in un momento

affascinate, affascinate il cor.

VIRTÙ E CORO

Lieto, e ridente

alfin t'affretta,

che il ciel t'aspetta.

SENECA

Già già dispiego il volo

da questa mia decrepità mortale,

e verso il coro vostro

adorate virtudi innalzo l'ale.

Scena quinta

Si muta la scena nella città di Roma.
Valletto, Damigella.

Valletto, paggio, e Damigella dell'imperatrice scherzano amorosamente insieme.

VALLETTO

Sento un certo non so che,

che mi pizzica, e diletta,

dimmi tu che cosa egli è,

damigella amorosetta.

Ti farei, ti direi,

ma non so quel ch'io vorrei.

[Ritornello]

Se sto teco il cor mi batte,

se tu parti, io sto melenso,

al tuo sen di vivo latte,

sempre aspiro e sempre penso.

Ti farei, ti direi,

ma non so quel ch'io vorrei.

Ritornello

DAMIGELLA

Astutello, garzoncello,

bamboleggia amor in te.

Se divieni amante, affé,

perderai tosto il cervello.

Tresca Amor per sollazzo coi bambini,

ma siete Amor, e tu, due malandrini.

VALLETTO

Dunque amor così comincia?

È una cosa molto dolce?

Io darei per godere il tuo diletto

i cireggi, le pera, ed il confetto.

Ma se amaro divenisse

questo miel, che sì mi piace,

lo addolciresti tu?

Dimmelo luce mia, dimmelo, di'?

DAMIGELLA

L'addolcirei, sì, sì.

VALLETTO

Ma come poi faresti?

DAMIGELLA

Che dunque non lo sai?

VALLETTO

No 'l so, cara, no 'l so.

Dimmi, come si fa;

fa' ch'io lo sappia espresso,

perché se la superbia si ponesse

sul grave del sussiego

io sappia raddolcirmi da me stesso.

Mi par che per adesso,

se mi dirai, che m'ami,

io mi contenterò,

dimmelo dunque, o cara,

e se vivo mi vuoi, non dir di no.

DAMIGELLA

T'amo, caro Valletto,

e nel mezzo del cor sempre t'avrò.

VALLETTO

Non vorrei, speme mia, starti nel core,

vorrei starti più in su

non so, se sia mia voglia o saggia, o sciocca;

io vorrei, che 'l mio cor facesse nido

nelle fossette belle, e delicate,

che stan poco discoste alla tua bocca.

DAMIGELLA

Se ti mordessi poi?

Ti lagneresti in pianti tutto un dì.

VALLETTO

Mordimi quanto sai,

mai non mi lagnerò,

morditure sì dolci

vorrei sempre goderle,

purché baciato io sia da' tuoi rubini

mi mordan pur le perle.

Insieme

DAMIGELLA

O caro, godiamo!

VALLETTO

O cara, cantiamo!

DAMIGELLA E VALLETTO

Godiamo, cantiamo,

andiamo a godere.

Allunga il morire

chi tarda il piacere.

Scena sesta

Nerone, Lucano, Petronio, Tigellino.

Nerone intesa la morte di Seneca, canta amorosamente con Lucano poeta suo famigliare deliriando nell'amor di Poppea.

NERONE

Or che Seneca è morto,

cantiam, cantiam Lucano,

amorose canzoni

in lode d'un bel viso,

che di sua mano Amor nel cor, m'ha inciso.

LUCANO

Cantiam, signore, cantiamo...

NERONE E LUCANO

Di quel viso ridente,

che spira glorie, ed influisce amori;

cantiam di quel viso beato

in cui l'idea miglior sé stessa pose,

e seppe su le nevi

con nova meraviglia,

animar, incarnar la granatiglia.

Cantiam, di quella bocca

a cui l'India e l'Arabia

le perle consacrò, donò gli odori.

LUCANO

Bocca, che se ragiona, o ride,

con invisibil arme punge, e all'alma

dona felicità mentre l'uccide.

Bocca, che se mi porge

lasciveggiando il tenero rubino

m'inebria il cor di nettare divino.

NERONE

Oh destino.

LUCANO

Tu vai, signor, tu vai

nell'estasi d'amor deliziando,

e ti piovon dagl'occhi

stille di tenerezza,

lacrime di dolcezza.

NERONE

Idolo mio,

celebrarti io vorrei,

ma son minute fiaccole, e cadenti,

dirimpetto al tuo sole i detti miei.

[Ritornello]

NERONE

Son rubin preziosi

i tuoi labbri amorosi,

il mio core costante

è di saldo diamante,

così le tue bellezze, ed il mio core

di care gemme ha fabbricato Amore.

Ritornello

Son rose senza spine

le guance tue divine,

gigli, e ligustri eccede

il candor di mia fede,

così tra 'l tuo bel viso, ed il mio core

la primavera sua divide Amore.

TIGELLINO

O beata Poppea

signor nelle tue lodi.

PETRONIO

O beato Nerone

in grembo di Poppea.

TIGELLINO E PETRONIO

Di Neron, di Poppea, cantiamo i vanti.

LUCANO

Apra le cataratte il ciel d'amore.

PETRONIO E TIGELLINO

E diluvi, ed inondi a tutte l'ore.

TUTTI

Felicità sovra gli amati amanti.

Ritornello

NERONE

Son rose senza spine

le guance tue divine,

gigli, e ligustri eccede

il candor di mia fede,

così tra 'l tuo bel viso, ed il mio core

la primavera sua divide Amore.

Scena settima

Nerone, Poppea.

NERONE

O come, o come a tempo,

bella adorata mia, mi sopraggiungi.

Io stavo contemplando

col pensier il tuo volto,

or con occhi idolatri io lo vagheggio;

occhi cari, occhi dolci,

al cui negro amoroso

cede la luce del più caro dì,

da voi lo strale uscì,

che mi piagò soavemente il core,

per voi vive Nerone, e per voi more.

POPPEA

Ed io non trovo giorno,

dove tu non risplendi,

e non vuole il cor mio,

ch'alcun aria da me sia respirata,

se non è dal tuo viso illuminata,

viso che circondato

di maestà amorosa,

passando per quest'occhi al cor m'entrò,

ond'io per sempre avrò,

del tuo divin sembiante, o mio signore,

un ritratto negl'occhi, ed un nel core.

NERONE

Deh perché non son io

sottile, e respirabile elemento,

per entrar mia diletta

in quella bocca amata,

che passerei per uscio di rubino

a baciar di nascosto un cor divino?

POPPEA

Deh perché non son io

l'ombra del tuo bel corpo, o mio signore,

per assisterti sempre

in compagnia d'Amore,

deh faccia il ciel, per consolar mio duolo

di te, di me, signor, un corpo solo.

NERONE E POPPEA

Partiam partiamo,

ben tosto si unirà.

Né più si scioglierà la destra, e 'l core;

tu di là,

io di qua.

Ahi che di pianto omai le luci ho piene,

ma ben presto verran l'ore serene.

Scena ottava

Ottone solo.

Ottone s'adira contro a sé medesimo delli pensieri avuti di voler offendere Poppea nel disperato affetto della quale si contenta viver soggetto.

I miei subiti sdegni,

la politica mia già poco d'ora

m'indussero a pensare

d'uccidere Poppea?

Oh mente maledetta,

perché se' tu immortale, ond'io non posso

svenarti, e castigarti?

Pensai, parlai d'ucciderti, ben mio?

Il mio genio perverso,

rinnegati gl'affetti,

ch'un tempo mi donasti,

piegò, cadé, proruppe

in un pensier sì detestando, e reo?

Cambiatemi quest'anima deforme,

datemi un altro spirito meno impuro

per pietà vostra, o dèi!

rifiuto un intelletto,

che discorre impietadi

che pensò sanguinario, ed infernale

d'offendere il mio bene, e di svenarlo.

Isvieni, tramortisci,

scellerata memoria, in ricordarlo.

[Ritornello]

Sprezzami quanto sai,

odiami quanto vuoi,

voglio esser Clizia al sol de' lumi tuoi.

Ritornello

Amerò senza speme

al dispetto del fato,

fia mia delizia, amarti disperato.

Ritornello

Blandirò i miei tormenti,

nati dal tuo bel viso,

sarò dannato, sì, ma in paradiso.

Ritornello

Scena nona

Ottavia, Ottone.

Ottavia imperatrice comanda ad Ottone, che uccida Poppea sotto pena della sua indignazione, e che per sua salvezza si ponga in abito femminile, Ottone tutto si contrista e parte confuso.

OTTAVIA

Tu che dagli avi miei

avesti le grandezze,

se memoria conservi

de' benefici avuti, or dammi aita.

OTTONE

Maestade, che prega

è destin che necessita: son pronto

a servirti, o regina,

quando anco bisognasse

sacrificare a te la mia ruina.

OTTAVIA

Voglio che la tua spada

scriva gl'obblighi miei

col sangue di Poppea; vuò che l'uccida.

OTTONE

Che uccida chi?

OTTAVIA

Poppea.

OTTONE

Che uccida chi?

OTTAVIA

Poppea, perché?

Dunque ricusi

quel che già promettesti?

OTTONE

Io ciò promisi?

(Urbanità di complimento umile,

modestia di parole costumate,

a che pena mortal mi condannate?)

OTTAVIA

Che discorri fra te?

OTTONE

Discorro il modo

più cauto, e più sicuro

d'una impresa sì grande. (O ciel, o dèi,

in questo punto orrendo

ritoglietemi i giorni, e i spirti miei.)

OTTAVIA

Che mormori?

OTTONE

Fo voti alla fortuna,

che mi doni attitudine a servirti.

OTTAVIA

E perché l'opra tua

quanto più presta fia, tanto più cara,

precipita gl'indugi.

OTTONE

(Sì tosto ho da morir?)

OTTAVIA

Ma che frequenti

soliloqui son questi? Ti protesta

l'imperial mio sdegno,

che se non vai veloce al maggior segno,

pagherai la pigrizia con la testa.

OTTONE

Se Neron lo saprà?

OTTAVIA

Cangia vestiti.

Abito muliebre ti ricopra,

e con frode opportuna,

sagace esecutor t'accingi all'opra.

OTTONE

Dammi tempo, ond'io possa

inferocir i sentimenti miei,

disumanare il core!

OTTAVIA

Precipita gl'indugi.

OTTONE

Dammi tempo, ond'io possa

imbarbarir la mano;

assuefar non posso in un momento

il genio innamorato

nell'arti di carnefice spietato.

OTTAVIA

Se tu non m'ubbidisci,

t'accuserò a Nerone,

ch'abbia voluto usarmi

violenze inoneste,

e farò sì, che ti si stanchi intorno

il tormento, e la morte in questo giorno.

OTTONE

Ad ubbidirti, imperatrice, io vado.

O ciel, o dèi, in questo punto orrendo

ritoglietemi i giorni e i spirti miei.

OTTAVIA

Vattene pure; la vendetta è un cibo,

che col sangue inimico si condisce.

Della spenta Poppea sul monumento

quasi a felice mensa

prenderò così nobile alimento.

Scena decima

Drusilla, Valletto, Nutrice.

Drusilla vive consolata dalle promesse amorose di Ottone, e Valletto scherza con la Nutrice sopra la sua vecchiaia.

DRUSILLA

Felice cor mio

festeggiami in seno,

dopo i nembi, e gl'orror godrò il sereno.

Oggi spero ch'Ottone

mi riconfermi il suo promesso amore,

felice cor mio

festeggiami in seno,

festeggiami nel sen, lieto mio core.

VALLETTO

Nutrice, quanto pagheresti un giorno

d'allegra gioventù, com'ha Drusilla?

NUTRICE

Tutto l'oro del mondo io pagherei.

L'invidia del ben d'altri,

l'odio di sé medesma,

la fiacchezza dell'alma,

l'infermità del senso:

son quattro ingredienti,

anzi i quattro elementi

di questa miserabile vecchiezza,

che canuta e tremante,

dell'ossa proprie è un cimitero andante.

DRUSILLA

Non ti lagnar così, sei fresca ancora;

non è il sol tramontato

se ben passata è la vermiglia aurora.

[Ritornello]

NUTRICE

Il giorno femminil

trova la sera sua nel mezzo dì.

Dal mezzo giorno in là

sfiorisce la beltà;

col tempo si fa dolce

il frutto acerbo, e duro,

ma in ore guasto vien, quel ch'è maturo.

Ritornello

NUTRICE

Credetel pure a me,

o giovanette fresche in sul mattin;

bel sembiante gentil

passar non lasci april;

utile è luglio, e ottobre,

ma il frutto si raccoglie

tra secche paglie, e inaridite foglie.

VALLETTO

Andiam a Ottavia omai

signora nonna mia...

NUTRICE

Ti darò una guanciata!

VALLETTO

Venerabile antica.

NUTRICE

Bugiardello!

VALLETTO

Del buon Caronte idolatrata amica.

NUTRICE

Che sì, bugiardello insolente, che sì.

VALLETTO

Andiam, che in te è passata

la mezza notte, nonché il mezzo dì.

Scena undicesima

Ottone, Drusilla.

Ottone palesa a Drusilla dover egli uccider Poppea per commissione d'Ottavia imperatrice, e chiede per andar sconosciuto all'impresa gl'abiti di lei la quale promette non meno gl'abiti che secretezza, ed aiuto.

OTTONE

Io non so dov'io vada;

il palpitar del core

ed il moto del piè non van d'accordo.

L'aria che m'entra in seno, quand'io respiro,

trova il mio cor sì afflitto, che pietosa

ch'ella si cangia in subitaneo pianto;

e così mentr'io peno,

l'aria per compassion mi piange in seno.

DRUSILLA

E dove signor mio?

OTTONE

Drusilla, Drusilla!

DRUSILLA

Dove, dove, signor mio?

OTTONE

Te sola io cerco.

DRUSILLA

Eccomi a' tuoi piaceri.

OTTONE

Drusilla, io vo' fidarti

un secreto gravissimo; prometti

e silenzio, e soccorso?

DRUSILLA

Ciò che del sangue mio, non che dell'oro,

può giovarti e servirti,

è già tuo più che mio.

Palesami il secreto,

che del silenzio poi

ti do l'anima in pegno, e la mia fede.

OTTONE

Non esser più gelosa

di Poppea...

DRUSILLA

No, no.

OTTONE

...di Poppea.

DRUSILLA

Felice cor mio, festeggiami in seno.

OTTONE

Senti, senti.

DRUSILLA

Festeggiami in seno...

OTTONE

Senti, io devo

or ora per terribile comando

immergerle nel sen questo mio brando.

Per ricoprir me stesso

in misfatto sì enorme

io vorrei le tue vesti.

DRUSILLA

E le vesti e le vene io ti darò.

OTTONE

Se occultarmi potrò, vivremo poi

uniti sempre in dilettosi amori;

se morir converrammi,

nell'idioma d'un pietoso pianto

dimmi esequie, o Drusilla,

se dovrò fuggitivo

scampar l'ira mortal di chi comanda,

soccorri a mie fortune.

DRUSILLA

E le vesti e le vene

ti darò volentieri;

ma circospetto va', cauto procedi.

Nel rimanente sappi

che le fortune e le ricchezze mie

ti saran tributarie in ogni loco;

e proverai Drusilla

nobile amante, e tale,

che mai, l'antica età non ebbe uguale.

Felice cor mio, festeggiami in seno.

Andiam pur, ch'io mi spoglio,

e di mia man travestirti io voglio.

Ma vuò da te saper più a dentro, e a fondo

di così orrenda impresa la cagione.

OTTONE

Andiam, andiam omai,

che con alto stupore il tutto udrai.

Scena dodicesima

Si muta la scena nel giardino di Poppea.
Poppea, Arnalta.

Poppea godendo della morte di Seneca perturbatore delle sue grandezze prega Amor che prosperi le sue fortune, e promette ad Arnalta sua nutrice continuato affetto, ed'essendo colta dal sonno se fa adagiar riposo nel giardino, dove da Arnalta con nanna soave vien addormentata.

POPPEA

Or che Seneca è morto,

Amor ricorro a te,

guida mie spemi in porto,

fammi sposa al mio re.

ARNALTA

Pur sempre sulle nozze

canzoneggiando vai.

POPPEA

Ad altro, Arnalta mia, non penso mai.

ARNALTA

Il più inquieto affetto

è la pazza ambizione;

ma se arrivi agli scettri, e alle corone,

non ti scordar di me,

tiemmi appresso di te,

né ti fidar giammai di cortigiani,

perché in due cose sole

Giove è reso impotente:

ei non può far che in cielo entri la morte,

né che la fede mai si trovi in corte.

POPPEA

Non dubitar, che meco

sarai sempre la stessa,

e non fia mai che sia

altra che tu la secretaria mia.

Amor, ricorro a te,

guida mia speme in porto,

fammi sposa al mio re.

Par che 'l sonno m'alletti

a chiuder gl'occhi alla quiete in grembo.

Qui nel giardin, o Arnalta,

fammi apprestar del riposare il modo,

ch'alla fresc'aria addormentarmi io godo.

ARNALTA

Udiste, ancelle, olà!

POPPEA

Se mi trasporta il sonno

oltre gli spazi usati,

a risvegliarmi vieni;

né conceder l'ingresso nel giardino

fuor ch'a Drusilla, o ad altre confidenti.

ARNALTA

Adagiati, Poppea,

acquietati, anima mia:

sarai ben custodita.

Oblivion soave

i dolci sentimenti

in te, figlia, addormenti.

Posatevi occhi ladri,

aperti deh che fate,

se chiusi ancor rubate?

Poppea, rimanti in pace;

luci care e gradite,

dormite omai dormite.

Amanti vagheggiate

il miracolo novo:

è luminoso il dì, sì come suole,

e pur vedete, addormentato il sole.

Scena tredicesima

Amore.

Amore scende dal cielo mentre Poppea dorme per impedirle la morte, e si nasconde vicino a lei.

AMORE

Dorme, l'incauta dorme,

ella non sa,

ch'or or verrà

il punto micidiale;

così l'umanità vive all'oscuro,

e, quando ha chiusi gl'occhi

crede essersi dal mal posta in sicuro.

[Aria]

O sciocchi, o frali

sensi mortali

mentre cadete in sonnacchioso oblio

sul vostro sonno è vigilante dio.

[Ritornello]

Siete rimasi

gioco dei casi,

oggetti al rischio, e del periglio prede,

se Amor, genio del mondo, non provvede.

Ritornello

Dormi, o Poppea,

terrena dèa;

ti salverà dall'armi altrui rubelle,

Amor che move il sol e l'altre stelle.

Ritornello

Già s'avvicina

la tua ruina;

ma non ti nuocerà strano accidente,

ch'Amor picciolo è sì, ma onnipotente.

Scena quattordicesima

Ottone, Amore, Poppea, Arnalta.

Ottone travestito da Drusilla capita nel giardino dove sta addormentata Poppea per ucciderla, e Amor lo vieta. Poppea nel fatto si sveglia, e inseguito (Ottone creduto Drusilla) dalle Serventi di Poppea fugge. Amor, protestando voler oltre la difesa di Poppea incoronarla in quel giorno imperatrice, se ne vola al cielo, e fornisse l'atto secondo.

OTTONE

Eccomi trasformato,

d'Otton in Drusilla,

ma d'uom in serpe, al cui veleno, e rabbia

non vide il mondo, e non vedrà simile.

Ma che veggio infelice?

Tu dormi anima mia? Chiudesti gl'occhi

per non aprirli più? Care pupille,

il sonno vi serrò

affinché non vediate

questi prodigi strani:

la vostra morte uscir dalle mie mani.

Ohimè, trema il pensiero, il moto langue,

e 'l cor fuor del suo sito

ramingo per le viscere tremanti

cerca un cupo recesso per celarsi,

o involto in un singulto,

ei tenta di scampar fuor di me stesso,

per non partecipar d'un tanto eccesso.

Adunque, adunque ohimè

tu resterai da me così tradito

bell'idolo addormito?

Passeran le tue luci

dal dolce sonno, ch'è una finta imago,

al vero originale della morte?

E le palpebre tue, che fan cortina

a due stelle giacenti in grembo al sonno,

saranno or ora tenebrosi anelli

a due soli gemelli?

Ma che tardo? Che bado?

Costei m'aborre, e sprezza, e ancor io l'amo?

Ho promesso ad Ottavia: se mi pento

accelero a miei dì funesto il fine.

Esca di corte chi vuol esser pio.

Colui ch'ad altro guarda,

ch'all'interesse suo, merta esser cieco.

Il fatto resta occulto,

la macchiata coscienza

si lava finalmente con l'oblio.

Poppea, t'uccido; Amor, rispetti, addio.

AMORE

Forsennato, scellerato,

inimico del mio nume,

tanto adunque si presume?

Fulminarti io ti dovrei,

ma non merti di morire

per la mano degli dèi.

Illeso va' da questi strali acuti,

non tolgo al manigoldo i suoi tributi.

POPPEA

Drusilla, in questo modo,

con l'armi ignude in mano,

mentre nel mio giardin dormo soletta?

ARNALTA

Accorrete, accorrete,

o servi, o damigelle,

inseguir Drusilla, dalli, dalli,

tanto mostro a ferir non sia chi falli.

AMORE

Ho difesa Poppea,

vo' farla imperatrice.

Or al cielo me n' vado.

Vado, e fra poco d'ora a voi ritorno.

Se forse impazienti

delle dimore mie

voleste ritrovarmi,

cercatemi per l'orme

delle bellezze amate,

nel cor de' cavalieri,

negl'occhi delle dame,

se voi ben guarderete,

sempre con l'armi in man mi troverete.

[Sinfonia]

Atto terzo
Scena prima

Si muta la scena nella città di Roma.
Drusilla.

Drusilla gioisce sperando di breve intender la morte di Poppea sua rivale per goder degl'amori di Ottone.

O felice Drusilla, o che sper'io;

corre adesso per me l'ora fatale,

perirà, morirà la mia rivale,

e Otton finalmente sarà mio.

O che spero, che sper'io?

Se le mie vesti

avran servito

per ben coprirlo,

con vostra pace, o dèi,

adorar io vorrò gl'arnesi miei.

O felice Drusilla, o che sper'io?

Scena seconda

Arnalta, Drusilla, Littore con molti Simili.

Arnalta nutrice di Poppea, con Littore con molti Simili fa prender Drusilla, la quale si duole di sé medesma.

ARNALTA

Ecco la scellerata

che pensando occultarsi,

di vesti s'è mutata.

DRUSILLA

E qual peccato...

LITTORE

Fermati, morta sei.

DRUSILLA

E qual peccato mi conduce a morte?

LITTORE

Ancor t'infingi, sanguinaria indegna?

A Poppea dormiente

macchinasti la morte.

DRUSILLA

Ahi caro amico, ahi sorte,

ahi mie vesti innocenti!

Di me doler mi deggio, e non d'altrui;

credula troppo, e troppo incauta fui.

Scena terza

Arnalta, Nerone, Drusilla, Littore con molti Simili.

Nerone interroga Drusilla del tentato omicidio, lei per salvar dall'ira di Nerone, Ottone suo amante, confessa per odio antico (benché innocente) aver voluto uccider Poppea, ove da Nerone vien sentenziata a morte.

ARNALTA

Signor, ecco la rea

che uccidere tentò

la matrona Poppea;

l'innocente dormia nel suo giardino,

sopraggiunse costei col ferro ignudo,

se non si risvegliava in un momento

la tua devota ancella,

sopra di lei cadeva il colpo crudo.

NERONE

Onde tanto ardimento? E chi t'indusse

rubella al tradimento?

DRUSILLA

Innocente son io,

lo sa la mia coscienza, e lo sa dio.

NERONE

No, no, confessa omai, se t'indusse,

s'attentasti per odio, o se ti spinse

l'autoritade, o l'oro al gran misfatto.

DRUSILLA

Innocente son io,

lo sa la mia coscienza, e lo sa dio.

NERONE

Tormenti, funi e fochi

cavino da costei

il mandante e i correi.

DRUSILLA

Misera me, piuttosto

che un atroce tormento

mi faccia dir quel che ridir non voglio,

sopra me stessa toglio

la sentenza mortal, e 'l monumento.

O voi, ch'al mondo vi chiamate amici,

deh, specchiatevi in me:

questi del vero amico son gl'uffici.

ARNALTA

Che cinguetti ribalda?

LITTORE

Che vaneggi assassina?

NERONE

Che parli traditrice?

DRUSILLA

Mi contrastano in seno

con fiera concorrenza

amore e l'innocenza.

NERONE

Prima ch'aspri tormenti

ti facciano sentir il mio disdegno,

or persuadi all'ostinato ingegno

di rivelar gl'orditi tradimenti.

DRUSILLA

Signor, io fui la rea,

ch'uccidere tentò

l'innocente Poppea.

Quest'alma, e questa mano

fur le complici sole;

a ciò m'indusse un odio occulto antico;

non cercar più, la verità ti dico.

NERONE

Conducete costei

al manigoldo omai,

fate ch'egli ritrovi,

con una morte a tempo,

qualche lunga, amarissima agonia,

ch'inasprisca la morte a questa ria.

DRUSILLA

Adorato mio bene

amami almen sepolta,

e sul sepolcro mio

mandino gl'occhi tuoi solo una volta

dalle fonti del core

lacrime di pietà, se non d'amore;

ch'io vado vera amica e fida amante

tra i manigoldi irati

a coprir col mio sangue i tuoi peccati.

NERONE

Che si tarda, o ministri?

Con una atroce fine

provi, provi costei

mille morti oggi mai, mille ruine.

Scena quarta

Ottone, Nerone, Drusilla, Littore con molti Simili.

Ottone vedendo rea l'innocente Drusilla palesa sé medesimo, colpevole del fatto confessando aver voluto commettere il delitto per commissione d'Ottavia imperatrice, Nerone inteso ciò li salva la vita, dandoli l'esilio, e spogliandolo di fortune, Drusilla chiede in grazia d'andar in esilio seco e partono consolati, Nerone decreta il ripudio d'Ottavia imperatrice, e che oltre all'esilio sia posta in una barca nel mare a discrezione de' venti.

OTTONE

No, no, questa sentenza

cada sopra di me che ne son degno.

DRUSILLA

Io fui la rea, ch'uccider volli

l'innocente Poppea.

OTTONE

Siatemi testimoni, o cieli, o dèi,

innocente è costei.

DRUSILLA

Quest'alma, e questa mano

fur le complici sole;

a ciò m'indusse un odio occulto antico;

non cercar più, la verità ti dico.

OTTONE

Innocente, innocente è costei.

Io con le vesti di Drusilla andai,

per ordine d'Ottavia imperatrice

ad attentar la morte di Poppea.

Dammi signor, con la tua man la morte.

DRUSILLA

Io fui la rea, ch'uccider volli

l'innocente Poppea.

OTTONE

Giove, Nemesi, Astrea

fulminate il mio capo,

che per giusta vendetta

il patibolo orrendo a me s'aspetta.

DRUSILLA

A me s'aspetta.

OTTONE

A me s'aspetta.

DRUSILLA

A me.

OTTONE

A me.

DRUSILLA

A me.

OTTONE

A me s'aspetta.

Dammi signor, con la tua man la morte;

e se non vuoi che la tua mano adorni

di decoro il mio fine,

mentre della tua grazia io resto privo,

all'infelicità lasciami vivo.

Se tu vuoi tormentarmi

la mia coscienza ti darà i flagelli;

s'a leoni, ed a gl'orsi espormi vuoi,

dammi in preda al pensier de le mie colpe,

che mi divorerà l'ossa e le polpe.

NERONE

Vivi, ma va' ne' più remoti lidi

di titoli spogliato, e di fortune,

e serva a te mendico, e derelitto,

di flagello e spelonca il tuo delitto.

E tu ch'ardisti tanto, o nobile matrona,

per ricoprir costui

d'apportar salutifere bugie,

vivi alla fama della mia clemenza,

vivi alle glorie della tua fortezza,

e sia del sesso tuo nel secol nostro

la tua costanza un adorabil mostro.

DRUSILLA

In esilio con lui

deh, signor mio, consenti,

ch'io tragga i dì ridenti.

NERONE

Vanne come ti piace.

OTTONE

Signor, non son punito, anzi beato;

la virtù di costei

sarà ricchezza, e gloria a' giorni miei.

DRUSILLA

Ch'io viva, e mora teco: altro non voglio.

Dono alla mia fortuna

tutto ciò che mi diede,

purché tu riconosca

in cor di donna una costante fede.

LITTORE

Orsù, orsù finiamola, andate alla malora.

NERONE

Delibero e risolvo

con editto solenne

il ripudio d'Ottavia,

e con perpetuo esilio

da Roma io la proscrivo.

Sia pur condotta al più vicino lido.

Le s'appresti in momenti

qualche spalmato legno,

e sia commessa al bersagliar de' venti.

Convengo giustamente risentirmi.

Volate ad ubbidirmi.

Scena quinta

Poppea, Nerone.

Nerone giura a Poppea, che sarà in quel giorno sua sposa.

POPPEA

Signor, oggi rinasco, e i primi fiati

di questa nova vita,

voglio che sian sospiri

che ti facciano fede

che, rinata per te, languisco e moro,

e morendo e vivendo ognor t'adoro.

NERONE

Non fu, non fu Drusilla, no,

ch'ucciderti tentò.

POPPEA

Chi fu, chi fu il fellone?

NERONE

Il nostro amico Ottone.

POPPEA

Egli da sé?

NERONE

D'Ottavia fu il pensiero.

POPPEA

Or hai giusta cagione

di passar al ripudio.

NERONE

Oggi, come promisi,

mia sposa tu sarai.

POPPEA

Sì caro dì, veder non spero mai.

NERONE

Per il nome di Giove, e per il mio,

te l'affermo, e te 'l giuro,

di Roma imperatrice,

in parola regal.

POPPEA

In parola regal?

NERONE

In parola regal te n'assicuro.

POPPEA

Idolo del cor mio, giunta è pur l'ora

ch'io del mio ben godrò.

POPPEA E NERONE

Né più s'interporrà noia o dimora.

Cor nel petto non ho:

me 'l rubasti, sì, sì,

dal sen me lo rapì

de' tuoi begl'occhi il lucido sereno.

Per te, ben mio, non ho più core in seno.

Stringerò tra le braccia innamorate

chi mi trafisse... ohimè!

Insieme

NERONE

Non interrotte avrà l'ore beate,

se son perduto in te,

in te mi cercherò,

in te mi troverò,

e tornerà a riperdermi ben mio,

che sempre in te perduto esser vogl'io.

POPPEA

Non interrotte avrà l'ore beate,

se son perduta in te,

in te mi cercherò,

in te mi troverò,

e tornerà a riperdermi ben mio,

che sempre in te perduta esser vogl'io.

Scena sesta

Ottavia.

Ottavia ripudiata da Nerone deposto l'abito imperiale parte sola miseramente piangendo in abbandonare la patria ed i parenti.

Addio Roma, addio patria, amici addio.

Innocente da voi partir convengo.

Vado a patir l'esilio in pianti amari,

navigo disperata i sordi mari.

L'aria, che d'ora in ora

riceverà i miei fiati,

li porterà, per nome del cor mio,

a veder, a baciar le patrie mura,

ed io, starà solinga,

alternando le mosse ai pianti, ai passi,

insegnando pietade ai tronchi, e ai sassi.

Remigate oggi mai perverse genti,

allontanatemi dagli amati lidi.

Ahi, sacrilego duolo,

tu m'interdici il pianto

mentre lascio la patria,

né stillar una lacrima poss'io

mentre dico ai parenti e a Roma: addio.

Qui entra in barca.

Scena settima

Arnalta.

Arnalta, nutrice e consigliera di Poppea, gode in vedersi assunta al grado di confidente d'una imperatrice, e giubila de' suoi contenti.

Oggi sarà Poppea

di Roma imperatrice;

io, che son sua nutrice,

ascenderà delle grandezze i gradi:

no, no, col volgo io non m'abbasso più;

chi mi diede del tu,

or con nova armonia

gorgheggerammi il «vostra signoria»;

chi m'incontra per strada

mi dice: «fresca donna e bella ancora»;

ed io, pur so che sembro

delle sibille il leggendario antico;

ma ogn'un così m'adula,

credendo guadagnarmi

per interceder grazie da Poppea:

ed io fingendo non capir le frodi,

in coppa di bugia bevo le lodi.

Io nacqui serva, e morirò matrona.

Mal volentier morrò;

se rinascessi un dì,

vorrei nascer matrona e morir serva.

Chi lascia le grandezze

piangendo a morte va;

ma, chi servendo sta,

con più felice sorte,

come fin degli stenti ama la morte.

Scena ottava

Si muta la scena nella reggia di Nerone.
Nerone, Poppea, Consoli, Tribuni, Amore, Venere in cielo e Coro d'amori.

Nerone solennemente assiste alla coronazione di Poppea, la quale a nome del popolo, del senato romano viene indiademata da Consoli e Tribuni, Amor parimenti cala dal cielo con Venere, Grazie ed Amori, e medesimamente incorona Poppea come dèa delle bellezze in terra, e fornisse l'opera.

NERONE

Ascendi, o mia diletta,

della sovrana altezza

all'apice sublime;

circondata di glorie

ch'ambiscono servirti come ancelle;

acclamata dal mondo e dalle stelle;

siano del tuo trionfo

tra i più cari trofei,

adorata Poppea, gl'affetti miei.

POPPEA

La mia mente confusa,

al non usato lume,

quasi perde il costume,

signor, di ringraziarti.

Su quest'eccelse cime,

ove mi collocasti,

per venerarti a pieno,

io non ho cor che basti.

Doveva la natura,

al soprappiù degli eccessivi affetti,

un core a parte fabbricar ne' petti.

[Passacaglia]

NERONE

Per capirti negl'occhi

il sol s'impicciolì,

per albergarti in seno

l'alba dal ciel partì,

e per farti sovrana a donne, e a dèe,

Giove nel tuo bel volto,

stillò le stelle e consumò l'idee.

POPPEA

Dà licenza al mio spirto,

ch'esca dall'amoroso laberinto

di tante lodi e tante,

e che s'umili a te, come conviene,

mio re, mio sposo, mio signor, mio bene.

NERONE

Ecco vengono i consoli e i tribuni

per riverirti, o cara;

nel solo rimirarti,

il popol e 'l senato

omai comincia a divenir beato.

[Sinfonia]

CONSOLI

A te sovrana augusta.

CONSOLI E TRIBUNI

Con il consenso universal di Roma,

indiademiam la chioma.

CONSOLI

A te l'Asia, a te l'Africa s'atterra.

TRIBUNI

A te l'Europa, e 'l mar che cinge e serra.

CONSOLI E TRIBUNI

Quest'imperio felice,

ora consacra e dona

questa del mondo imperial corona.

[Sinfonia]

[Coro d'amori]

AMORE

Scendiam, scendiamo

compagni alati.

AMORE IIº, AMORE IIIº E AMORE

Voliam, voliamo

ai sposi amati.

AMORE

Al nostro volo,

risplendano assistenti i sommi divi.

AMORE IIº, AMORE IIIº E AMORE

Dall'alto polo

si veggian fiammeggiar raggi più vivi.

AMORE

Se i consoli e i tribuni,

Poppea, t'han coronato

sopra province e regni,

or ti corona, Amor, donna felice,

come sopra le belle imperatrice.

Madre, madre, sia con tua pace

in ciel tu sei Poppea,

questa è Venere in terra,

a cui per riverirla

ogni forma creata oggi s'atterra.

VENERE

Io mi compiaccio, o figlio

di quanto aggrada a te;

diasi pur a Poppea

il titolo di dèa.

AMORE, AMORE Iº, AMORE IIº E AMORE IIIº

Or cantiamo giocondi,

festeggiamo ridenti in terra, e in cielo

il gaudio sovrabbondi,

e in ogni clima, in ogni regione

si senta rimbombar «Poppea e Nerone».

[Ritornello]

POPPEA E NERONE

Pur ti miro, pur ti godo,

pur ti stringo, pur t'annodo,

più non peno, più non moro,

o mia vita, o mio tesoro.

POPPEA

Io son tua...

NERONE

Tuo son io...

Insieme

POPPEA

Speme mia, dillo, dì,

tu sei pur, l'idol mio,

sì, mio cor, mia vita, sì.

NERONE

Speme mia, dillo, dì,

tu sei pur, l'idol mio,

sì, mio ben, mia vita, sì.

POPPEA E NERONE

Pur ti miro, pur ti godo,

pur ti stringo, pur t'annodo,

più non peno, più non moro,

o mia vita, o mio tesoro.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 24/03/2016
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Locandina Prologo Scena unica Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava