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L'isola disabitata

L'ISOLA DISABITATA

Azione teatrale.

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Libretto di Pietro METASTASIO.
Musica di Franz Joseph HAYDN.

Prima esecuzione: 6 dicembre 1779, Esterháza.


Personaggi:

COSTANZA moglie di Gernando

soprano

SILVIA di Costanza sorella minore

soprano

ENRICO compagno di Gernando

basso

GERNANDO consorte di Costanza

tenore






Argomento

Navigava il giovane Gernando co' la sua giovanetta sposa Costanza e con la piccola Silvia ancora infante, di lei sorella, per raggiungere nell'Indie Occidentali il suo genitore, a cui era commesso il governo di una parte di quelle; quando da una lunga e pericolosa tempesta fu costretto a discendere in un'isola disabitata per dar agio alla bambina ed alla sposa di ristorarsi in terra delle agitazioni del mare. Mentre queste placidamente riposavano in una nascosta grotta, che loro offerse comodo ed opportuno ricetto, l'infelice Gernando con alcuni de' suoi seguaci fu sorpreso, rapito e fatto schiavo da una numerosa schiera di pirati barbari, che ivi sventuratamente capitarono. I suoi compagni, che videro dalla nave confusamente il tumulto, e crederono rapite con Gernando la bambina e la sposa, si diedero ad inseguire i predatori; ma, perduta in poco tempo la traccia, ripresero il loro interrotto cammino. Desta la sventurata Costanza, dopo aver cercato lungamente invano lo sposo e la nave che l'avea colà condotta, si credé, come Arianna, tradita ed abbandonata dal suo Gernando. Quando i primi impeti del suo disperato dolore cominciarono a dar luogo al naturale amor della vita, si rivolse ella, come saggia, a cercar le vie di conservarsi in quell'abbandonata segregazion de' viventi; ed ivi dell'erbe e delle frutte, onde abbondava il terreno, si andò lunghissimo tempo sostenendo con la picciola Silvia, ed inspirando l'odio e l'orrore da lei concepito contro tutti gli uomini all'innocente che non li conosceva. Dopo tredici anni di schiavitù, riuscì a Gernando di liberarsi. La prima sua cura fu di tornare a quell'isola, dove aveva involontariamente abbandonata Costanza, benché senz'alcuna speranza di ritrovarla in vita.

L'inaspettato incontro de' teneri sposi è l'azione che si rappresenta.

Atto unico

Parte prima.

[Sinfonia]

Scena prima

Parte amenissima di picciola e disabitata isoletta a vista del mare, ornata distintamente dalla natura di strane piante, di capricciose grotte e di fioriti cespugli. Gran sasso molto innanzi dal destro lato, sul quale si legge impressa un'iscrizione non finita in caratteri europei.
Costanza, vestita a capriccio di pelli, di fronde e di fiori, con elsa e parte di spada logora alla mano, in atto di terminare l'imperfetta iscrizione.

Recitativo

COSTANZA

Qual contrasto non vince

l'indefesso sudor! Duro è quel sasso,

l'istromento è mal atto,

inesperta la mano; e pur dell'opra

eccomi al fin vicina. Ah sol concedi

ch'io la vegga compita,

e da sì acerba vita

poi mi libera, o ciel. Se mai la sorte

ne' dì futuri alcun trasporta a questo

incognito terreno,

dirà quel marmo almeno

il mio caso funesto e memorando.

(legge l'iscrizione)

«Dal traditor Gernando

Costanza abbandonata, i giorni suoi

in questo terminò lido straniero.

Amico passeggero,

se una tigre non sei

o vendica o compiangi... i casi miei.»

Questo sol manca. A terminar s'attenda

dunque l'opra che avanza

(torna al lavoro)

Scena seconda

Silvia frettolosa ed allegra, e detta.

SILVIA

Ah germana! Ah Costanza!

COSTANZA

Che avvenne, o Silvia? Onde la gioia?

SILVIA

Io sono

fuor di me di piacer.

COSTANZA

Perché?

SILVIA

La mia

amabile cervetta,

in van per tanti dì pianta e cercata,

da sé stessa è tornata.

COSTANZA

E ciò ti rende

lieta così?

SILVIA

Poco ti pare? È quella

la mia cura, il sai pur, la mia compagna,

la dolce amica mia. M'ama, m'intende,

mi dorme in sen, mi chiede i baci, è sempre

dal mio fianco indivisa in ogni loco:

la perdei; la ritrovo; e ti par poco?

COSTANZA

Che felice innocenza!

(torna al lavoro)

SILVIA

E ho da vederti

sempre in pianti, o germana?

COSTANZA

E come il ciglio

mai rasciugar potrei?

Già sette volte e sei

l'anno si rinnovò da che lasciata

in sì barbara guisa,

da' viventi divisa,

di tutto priva e senza speme, oh dio!

Di mai tornar su la paterna arena,

vivo morendo: e tu mi vuoi serena?

SILVIA

Ma per esser felici

che manca a noi? Qui siam sovrane. È questa

isoletta ridente il nostro regno;

sono i sudditi nostri

le mansuete fiere. A noi produce

la terra, il mar. Dalla stagione ardente

ci difendon le piante, i cavi sassi

dalla fredda stagion; né forza o legge

qui col nostro desio mai non contrasta.

Or di', che basterà, se ciò non basta?

COSTANZA

Ah tu del ben, che ignori,

la mancanza non senti. Atta del labbro

a far uso non eri, o del pensiero,

quando qui si approdò; né d'altro oggetto

che di ciò che hai presente

serbi le tracce in mente. Io, ch'era allora

quale or tu sei, paragonar ben posso,

(oh memoria molesta!)

con quel ben che perdei, quel che mi resta.

SILVIA

Spesso esaltar t'intesi

le ricchezze, il saper, l'arti, i costumi,

le delizie europee; ma con tua pace

questa assai più tranquillità mi piace.

COSTANZA

Silvia, v'è gran distanza

dall'udire al veder.

SILVIA

Ma pur le belle

contrade che tu vanti

d'uomini son feconde; e questi sono

la specie de' viventi

nemica a noi. Tu mille volte e mille

non mi dicesti...

COSTANZA

Ah sì, te 'l dissi, e mai

non te 'l dissi abbastanza. Empii, crudeli,

perfidi, ingannatori,

d'ogni fiera peggiori,

che sia pietà non sanno;

non conoscon, non hanno

né amor, né fé, né umanità nel seno.

(piange)

SILVIA

E ben, da lor qui siam sicure almeno.

Ma... tu piangi di nuovo! Ah no, se m'ami,

non t'affligger così. Che far poss'io,

cara, per consolarti?

(la prende per mano)

Brami la mia cervetta? Asciuga il pianto,

e in tuo poter rimanga.

COSTANZA

Ah troppo, o Silvia mia, giusto è ch'io pianga.

(abbracciandola)

[Aria - Se non piange un'infelice]

Se non piange un'infelice,

da' viventi separata,

dallo sposo abbandonata,

dimmi, oh dio, chi piangerà?

Chi può dir ch'io pianga a torto,

se né men sperar mi lice

questo misero conforto

d'ottener l'altrui pietà.

(parte)

Alla replica dell'aria si vede passar di lontano a vele gonfie una nave, dalla quale scendono sul palischermo Gernando ed Enrico in abito indiano che sbarcan poi sul lido.

Scena terza

Silvia sola.

Recitativo

Che ostinato dolor! Quel pianger sempre

mi fa sdegno e pietà. Prego, consiglio,

sgrido, accarezzo, ed ogni sforzo è vano.

Ma l'enigma più strano è che, qualora

consolarla desio,

il suo pianto s'accresce, e piango anch'io.

Seguiamo almeno i passi suoi...

(nel voler partire s'avvede della nave)

Ma... quale

sorge colà sul mar mole improvvisa?

Uno scoglio non è. Cangiar di loco

un sasso non potrebbe. E un sì gran mostro

come va sì legger! L'acqua divisa

fa dietro biancheggiar! Quasi nel corso

allo sguardo s'invola:

porta l'ali sul dorso, e nuota, e vola!

A Costanza si vada:

ella saprà se un conosciuto è questo

abitator dell'elemento infido;

e almen...

(nel partire vede non veduta Gernando ed Enrico)

Misera me! Gente è sul lido.

Che fo? Chi mi soccorre? Ah... di spavento

così... son io ripiena...

che a fuggir... che a celarmi... ho forza appena.

(si nasconde fra' cespugli)

Scena quarta

Gernando, Enrico in abito indiano dal palischermo, e Silvia in disparte.

ENRICO

Ma sarà poi, Gernando,

questo il terren che cerchi?

GERNANDO

Ah sì; nell'alma

dipinto mi restò per man d'Amore,

e co' palpiti suoi l'afferma il core.

SILVIA

(Potessi almen veder quei volti.)

ENRICO

È molto

facile errar.

GERNANDO

No, caro Enrico; è desso:

riconosco ogni sasso. Ecco lo speco

dove in placido oblio con Silvia in braccio

lasciai l'ultima volta

la mia sposa, il mio ben, l'anima mia,

e mai più non la vidi. Ecco ove fui

da' pirati assalito:

qua mi trovai ferito,

là mi cadde l'acciaro. Ah caro amico,

ogn'indugio è delitto;

andiam. Tu da quel lato,

da questo io cercherò. L'isola è angusta;

smarrirci non possiam. Poca speranza

ho di trovar Costanza;

ma l'istesso terreno

ch'è tomba a lei, sarà mia tomba almeno.

(parte)

Scena quinta

Enrico, e Silvia in disparte.

SILVIA

(Nulla intender poss'io.)

ENRICO

Tenero in vero

è il caso di Gernando. Appena è sposo,

dée con la sua diletta

fidarsi al mar. Fra gl'inquieti flutti

languir la vede; a ristorarla in questa

spiaggia discende; ella riposa, ed egli

da barbari rapito,

tratto a contrade ignote,

in servitù vive tant'anni, e senza

notizia più del sospirato oggetto.

SILVIA

(Pur si rivolse al fin. Che dolce aspetto!)

ENRICO

Parla a ciascun l'umanità per lui,

l'obbligo a me. La libertà gli deggio,

primo dono del ciel. Spietato ogni altro

sarebbe; ingrato io sono

se manco a lui. D'aborrimento è degna

ogni anima spietata;

ma l'orror de' viventi è un'alma ingrata.

[Aria - Chi nel camin d'onore]

Chi nel camin d'onore

stanco sudando il piede,

per riportar mercede

d'un nobil sudor,

non palpita, non langue,

per lui spargendo il sangue,

e cento rischi, e cento

va lieto ad affrontar.

(parte)

Scena sesta

Silvia sola.

Recitativo

Che fu mai quel ch'io vidi!

Un uom non è: gli si vedrebbe in volto

la ferocia dell'alma. Empii, crudeli

gli uomini sono, e di ragione avranno

impresso nel sembiante il cor tiranno.

Una donna né pure: avvolto in gonna

non è come noi siam. Qualunque ei sia,

è un amabile oggetto. Alla germana

a dimandarne andrò... Ma il piè ricusa

d'allontanarsi. Oh stelle!

Chi mi fa sospirar? Perché sì spesso

mi batte il cor? Sarà timor. No; lieta

non sarei, se temessi. È un altro affetto

quel non so che, che mi ricerca il petto.

[Aria - Fra un dolce deliro]

Fra un dolce deliro

son lieta e sospiro:

quel volto mi piace,

ma pace non ho.

Di belle speranze

ho pieno il pensiero;

e pur quel ch'io spero

conoscer non so.

(parte)

Parte seconda.

Scena settima

Gernando solo affannato, indi Enrico.

Recitativo

GERNANDO

Ah presaga fu l'alma

di sue sventure. In van m'affretto; invano

cerco, chiamo, m'affanno: un'orma, un segno

dell'idol mio non trovo. Ov'è l'amico?

Forse ei più fortunato... Enrico... Enrico?

Cerchisi... Oh dio, non posso: oh dio, m'opprime

la stanchezza e il dolor! Là su quel sasso

si respiri e si attenda...

(nell'appressarsi Gernando vede l'iscrizione)

Come! Note europee? Stelle! Il mio nome!

Chi ve l'impresse e quando?

(legge)

«Dal traditor Gernando

Costanza abbandonata, i giorni suoi

in questo terminò lido straniero...»

Io manco.

(s'appoggia al sasso)

ENRICO

Ah mi conforta!

Sai Costanza ove sia?

GERNANDO

(appoggiato al sasso)

Costanza è morta.

ENRICO

Come!

GERNANDO

Leggi.

(accennando l'iscrizione)

ENRICO

Infelice!

(legge piano le prime parole, e poi esclama.)

«I giorni suoi

in questo terminò lido straniero.

Amico passeggero,

se una tigre non sei

o vendica o compiangi...» Appien compita

l'opra non è.

GERNANDO

Non le bastò la vita.

(cade piangendo sul sasso)

ENRICO

Oh tragedia funesta! Ah piangi, amico;

le lagrime son giuste. Io t'accompagno,

t'accompagnano i sassi. Unico in tanto

dolor, ma gran conforto, è che rimorsi

almen non hai. Facesti

quanto da un uom richiede

e l'amore e la fede,

e la ragione e l'onestà. Non piacque

al ciel di secondarti. Or non ti resta

che piegar, come pio, la fronte umìle

ai decreti supremi; e, come saggio,

abbandonar questa crudel contrada.

GERNANDO

Abbandonarla! E dove vuoi ch'io vada?

Ove speri ch'io possa

più riposo trovar! Questo è il soggiorno

che il ciel mi destinò.

ENRICO

Ma che pretendi?

GERNANDO

Respirar, fin ch'io viva,

sempre quell'aure istesse

che il mio ben respirò; di questi oggetti

nutrire il mio tormento;

tornare ogni momento

questo sasso a baciar; viver penando;

compire il mio destino

col suo nome fra' labbri, a lei vicino.

ENRICO

Ah Gernando, ah che dici!

E la patria? e gli amici?

E il vecchio genitor?...

GERNANDO

L'ucciderei,

se in questo stato io mi mostrassi a lui.

Va'; per me tu l'assisti:

mi fido di te. Se del mio caso ei chiede,

raddolcisci narrando il caso mio.

ENRICO

E tu speri ch'io possa...

GERNANDO

Amico, addio.

[Aria - Non turbar quand'io mi lagno]

Non turbar quand'io mi lagno,

caro amico, il mio cordoglio:

io non voglio altro compagno

che il mio barbaro dolor.

Qual conforto in questa arena

un amico a me saria?

Ah la mia nella sua pena

renderebbesi maggior!

(parte)

Scena ottava

Enrico solo.

Recitativo

Non s'irriti fra' primi

impeti il suo dolor. Merita il caso

questo riguardo; e s'ei persiste, a forza

quindi svellerlo è d'uopo. Olà. Dovrebbe

colà sul palischermo alcun de' nostri

trovarsi pure.

(escono due marinari)

Olà. Conviene, amici,

rapir Gernando. Ei, di dolore insano,

non vuol con noi partir. V'è noto il sito

dove colà fra' sassi

scorre limpido un rio? Selvoso è il loco,

e all'insidie opportuno. Ivi nascosti,

ch'egli passi aspettate,

e alla nave il traete. Udiste? Andate.

(partono i marinari)

Scena nona

Enrico innanzi dalla sinistra, Silvia indietro dal medesimo lato, avanzandosi verso la destra senza vederlo.

SILVIA

Dov'è Costanza? Io non la trovo. A lei

tutto narrar vorrei.

ENRICO

(la sente e si rivolge)

Che miro! Ascolta,

bella ninfa.

SILVIA

Ah di nuovo

tu sei qui!

(in atto di fuggire)

ENRICO

Perché fuggi? Odi un momento.

SILVIA

(dalla scena)

Che vuoi da me?

ENRICO

Solo ammirarti, e solo

teco parlar.

SILVIA

(dalla scena)

Prometti

di parlarmi da lungi.

ENRICO

Io lo prometto.

(Che sembiante gentil!)

(scostandosi)

SILVIA

(avvicinandosi)

(Che dolce aspetto!)

ENRICO

Ma di tanto spavento

qual cagione in me trovi? Al fin non sono

un aspide, una fiera. Un uomo al fine

render non ti dovria così smarrita.

SILVIA

(turbandosi)

Un uom sei dunque?

ENRICO

Un uom.

SILVIA

(fugge spaventata)

Soccorso! Aita!

ENRICO

Ferma.

(la raggiunge e la trattiene)

SILVIA

Pietà, mercé! Nulla io ti feci:

non essermi crudel.

(inginocchiandosi)

ENRICO

(la solleva)

Deh sorgi, o cara:

cara, ti rassicura. Ah mi trafigge

quell'ingiusto timore.

SILVIA

(Ch'io mi fidi di lui mi dice il core.)

ENRICO

Di', se cortese sei come sei bella:

la povera Costanza

dove, quando restò di vita priva?

SILVIA

Costanza? Lode al ciel, Costanza è viva.

ENRICO

Viva! Ah Silvia gentil, ché al sito, agli anni

certo Silvia tu sei, corri a Costanza.

A Gernando io frattanto...

SILVIA

Ah dunque è teco

quel crudel, quell'ingrato?

ENRICO

Chiamalo sventurato,

ma non crudele. Ah, non tardar: sarebbe

tirannia differir le gioie estreme

di due sposi sì fidi.

SILVIA

Andiamo insieme.

ENRICO

No; se insieme ne andiam, bisogna all'opra

tempo maggior. Va. Qui con lei ritorna;

con lui qui tornerò.

(in atto di partire)

SILVIA

Senti: e il tuo nome?

ENRICO

(come sopra)

Enrico.

SILVIA

(con affetto)

Odimi. Ah troppo

non trattenerti.

ENRICO

Onde la fretta, o cara?

SILVIA

Non so. Mesta io mi trovo

subito che mi lasci; e in un momento

poi rallegrar mi sento allor che torni.

ENRICO

Ed io teco vivrei tutti i miei giorni.

(parte)

Scena decima

Silvia sola.

Che mai m'avvenne! Ei parte

e mi resta presente? Ei parte, ed io

pur sempre col pensier lo vo seguendo?

Perché tanto affannarmi? Io non m'intendo.

[Aria - Come il vapor s'ascende]

Come il vapor s'ascende

in aria a poco a poco,

così l'ardente foco

s'accresce nel mio cor.

Ohimè, che fuoco orribile,

che fiera smania è questa;

tiranno Amor, t'arresta,

non tanta crudeltà.

(parte)

Scena undicesima

Costanza sola.

[Aria - Ah che in van per me pietoso]

Ah che in van per me pietoso

fugge il tempo e affretta il passo:

cede agli anni il tronco, il sasso;

non invecchia il mio martir.

Non è vita una tal sorte;

ma sì lunga è questa morte,

ch'io son stanca di morir.

(finita la seconda parte dell'Aria, s'abbandona a sedere sopra un tronco alla sinistra, e ripete sedendo la prima parte)

Recitativo

Giacché da me lontana

l'innocente germana

mi lascia in pace, al doloroso impiego

torni la man.

(torna al lavoro)

Scena dodicesima

Gernando e detta.

[Arietta - Giacché il pietoso amico]

GERNANDO

(senza veder Costanza)

Giacché il pietoso amico

lungi ha rivolto il passo,

quell'adorato sasso

si torni a ribaciar.

Recitativo

(la vede)

Ma... Chi è colei?

Donde venne? Che fa?

COSTANZA

Tu sudi, e forse

resterà sempre ignoto,

infelice Costanza, il tuo lavoro.

GERNANDO

Costanza! Ah sposa!

(l'abbraccia: Costanza si rivolge e lo riconosce)

COSTANZA

Ah traditore! Io moro.

(sviene sopra il sasso)

GERNANDO

Mio ben!... Non ode. Oh dio!

Perdé l'uso de' sensi. Ah qualche stilla

di fresco umor... dove potrei... Sì; scorre

non lungi un rio; poc'anzi il vidi... E deggio

l'idol mio così solo

abbandonar? Ritornerò di volo.

(parte in fretta)

Scena tredicesima

Enrico, e Costanza svenuta.

ENRICO

Ignora il caro amico

le sue felicità. Da me s'asconde;

rinvenirlo non so... ma su quel sasso

una ninfa riposa!

(s'appressa e l'osserva)

Silvia non è; dunque è Costanza. Oh come

ha pien di morte il volto!

COSTANZA

(comincia a rinvenire)

Ahimè!

ENRICO

Costanza?

COSTANZA

(senza guardarlo)

Lasciami.

ENRICO

Ah del tuo sposo

vivi all'amor verace.

COSTANZA

(come sopra)

Lasciami, traditor, morire in pace.

ENRICO

Io traditor! Non mi conosci.

COSTANZA

Oh stelle!

(si rivolge e lo guarda con ammirazione e spavento)

Gernando ov'è? Tu non sei più l'istesso?

Ho sognato poc'anzi, o sogno adesso?

ENRICO

Non sognasti e non sogni. Il tuo Gernando

vedesti, a quel che ascolto:

di lui l'amico or vedi.

COSTANZA

E mi ritorna innanzi? Ei che ha potuto

lasciarmi in abbandono!

ENRICO

Ah l'infelice

non ti lasciò, ma fu rapito.

COSTANZA

Quando?

ENRICO

Quando immersa nel sonno

tu colà riposavi.

(accennando la grotta)

COSTANZA

Chi lo rapì?

ENRICO

Di barbari pirati

un assalto improvviso. Ei si difese,

ma, nella man ferito,

perdé l'acciaro; il numero l'oppresse,

e restò prigionier.

COSTANZA

Ma sino ad ora...

ENRICO

Ma sino ad or non ebbe

libero che il pensiero; e a te vicino

col suo pensier fu sempre.

COSTANZA

Oh dio, qual torto,

mio Gernando, io ti feci!

ENRICO

Eccolo al fine

sciolto da' lacci: eccolo a te. Ritorna

fido e tenero sposo

a renderti il riposo,

a calmare il tuo pianto,

a viver teco ed a morirti accanto.

COSTANZA

Ah mio Gernando, ah dove sei?

(incamminandosi alla sinistra)

Scena ultima

Silvia dalla destra e detti; indi Gernando dal lato medesimo.

SILVIA

Costanza,

Costanza? Il tuo Gernando

in van cerchi colà. Per te poc'anzi

quinci al fonte affrettossi, ed assalito

ritornar non poté.

(accennando alla destra)

COSTANZA

Stelle! Assalito?

Da chi? Perché?

ENRICO

Perdona;

il fallo è mio. Perch'ei ti tenne estinta

e qui restar volea, rapirlo a forza

a' nostri imposi.

COSTANZA

Andiamo

a toglierlo d'impaccio.

(vuol partire)

SILVIA

Aspetta: io tutto

già lor spiegai.

COSTANZA

Che aspetti ancor? Tant'anni

non attesi abbastanza? È tempo, è tempo

che di mia sorte amara

io trovi il fine.

(rivolgendosi per partire si trova fra le braccia di Gernando)

GERNANDO

In queste braccia, o cara.

COSTANZA

Ed è vero?

GERNANDO

E non sogno?

COSTANZA

Gernando è meco?

GERNANDO

Ho la mia sposa accanto?

ENRICO

Quegli amplessi, quel pianto,

quegli accenti interrotti

mi fanno intenerir.

SILVIA

(va ad Enrico)

Che pensi, Enrico?

Di te Gernando è più gentile. Osserva

com'ei parla a Costanza:

e tu nulla mi dici.

ENRICO

Eccomi pronto,

se pur caro io ti sono,

a dir ciò che tu vuoi.

SILVIA

(tenera e lieta molto)

Se mi sei caro?

Più della mia cervetta.

ENRICO

E ben, mi porgi

dunque la man: sarai mia sposa.

SILVIA

Io sposa?

Oh questo no! Sarei ben folle. In qualche

isola resterei

a passar solitaria i giorni miei.

COSTANZA

No, Silvia, il mio Gernando

non mi lasciò: tutto saprai. Non sono

gli uomini, come io dissi,

inumani ed infidi.

SILVIA

Quando Enrico conobbi, io me ne avvidi.

COSTANZA

A torto gli accusai. Dell'error mio

or mi disdico.

SILVIA

E mi disdico anch'io.

(porgendo la mano ad Enrico)

[Quartetto - Sono contenta appieno]

COSTANZA

Sono contenta appieno,

appresso al caro bene

mi scordo le mie pene,

mi scordo il sospirar.

GERNANDO

Che più sperar poss'io

or che il mio ben trovai,

accanto a suoi bei rai

io resto a giubilar.

SILVIA

Se del mio core i moti,

caro, vedessi oh dio,

vedesti, idolo mio,

quanto ti sappia amar.

ENRICO

Prendi d'amore in pegno,

cara, la man di sposo;

più fido ed amoroso

di me non puoi trovar.

COSTANZA E GERNANDO

Di due cori innamorati

serba Amore i lacci amati.

SILVIA E ENRICO

Ne' soffrir ch'entri lo sdegno

il tuo regno a disturbar.

GERNANDO

Cari affanni...

COSTANZA

Dolci pene...

GERNANDO

Ah Costanza!...

COSTANZA

Caro bene!

ENRICO

Silvia cara!

SILVIA

Oh, quai contento.

ENRICO

Cara sposa.

SILVIA

Oh, bel momento.

TUTTI

Oh giorno fortunato,

oh giorno di contento!

Andiamo le vele al vento,

andiamo a giubilar.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40 (W)

Locandina Atto unico Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena ultima