www.librettidopera.it

Lucrezia Borgia

LUCREZIA BORGIA

Melodramma.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

Da qui accedi alla versione estesa del libretto.
Da qui accedi alla versione in PDF del libretto.

Codice QR per arrivare a questa pagina:
QR code

Libretto di Felice ROMANI.
Musica di Gaetano DONIZETTI.

Prima esecuzione: 26 dicembre 1833, Milano.


Personaggi:

Don ALFONSO duca di Ferrara

basso

Donna LUCREZIA Borgia

soprano

GENNARO

tenore

Maffio ORSINI

contralto

Jeppo LIVEROTTO

tenore

Don Apostolo GAZELLA

basso

Ascanio PETRUCCI

basso

Oloferno VITELLOZZO

tenore

GUBETTA

basso

RUSTIGHELLO

tenore

ASTOLFO

basso

Principessa NEGRONI

soprano


Cavalieri - Scudieri - Dame - Scherani - Paggi - Maschere - Soldati - Uscieri - Alabardieri. Coppieri - Gondolieri.

L'azione del prologo è in Venezia: quella del dramma in Ferrara L'epoca è sul cominciare del secolo XVI.

Avvertimento

Vittor Hugo, dal quale è imitato questo melodramma, in una tragedia assai nota aveva rappresentato la difformità fisica (son sue parole) santificata dalla paternità: nella Lucrezia Borgia volle significare la difformità morale purificata dalla maternità: il quale scopo, se ben si rifletta, rattempera la nerezza del soggetto, e non fa ributtante il protagonista. Era facile all'autore francese far risaltare il suo scopo, trattando l'argomento come gli dettava la fantasia, e sviluppandolo nello spazio che più gli cadeva in acconcio: difficilissimo a me che racchiudeva in poche pagine un volume, ed era inceppato dal metro e dall'orditura musicale: né vidi quanto scabrosa fosse l'impresa che dopo aver acconsentito di tentarla. Alla difficoltà del soggetto si aggiunga quella dello stile che, a mio credere, io doveva adoperare: stile di cui non ho modelli, almeno ch'io sappia; che tien l'indole della prosa in un lavoro in versi: che vuolsi adattare all'angustia del dialogo, alla tinta dei tempi, alla natura dell'azione, ai caratteri che la svolgono, più comici la maggior parte, che tragici; stile insomma conveniente in un'opera ove il poeta deve nascondersi, e lasciar parlare ai personaggi il loro proprio linguaggio. Per osservare in certo qual modo l'unità del luogo, intitolo prologo l'azione che succede in Venezia: e tale può veramente chiamarsi, se mal non mi appongo, poiché è questa la protasi del soggetto, e produce la catastrofe che si svolge in Ferrara.

Con questo avvertimento io non intendo por modo all'opinione del pubblico. Spetta ad esso il pronunciare, all'autore il rassegnarsi.

Felice Romani

Prologo

[Preludio]

Scena prima

Terrazzo nel palazzo Grimani in Venezia.
Festa di notte. Alcune Maschere attraversano di tratto in tratto il teatro. Dai due lati del terrazzo si vede il palazzo splendidamente illuminato: in fondo il canale della Giudecca, sul quale si veggono passare ad intervalli nelle tenebre alcune gondole; in lontano Venezia al chiaror della luna. All'alzar del sipario la musica esprime la festa, che ha luogo nel palazzo. Di quando in quando vanno e vengono Signori e Dame magnificamente vestiti co' la loro maschera alla mano. Alcune altre Maschere s'intrattengono parlando fra loro.
Entrano in scena lietamente Gubetta, Gazella, Orsini, Petrucci, Vitellozzo e Liverotto. Quindi Gennaro che, com'uomo affaticato, si riposa sovra un sedile appartato dagli altri.

[N. 1 - Introduzione]

GAZELLA

Bella Venezia!

PETRUCCI

Amabile

d'ogni piacer soggiorno!

ORSINI

Men di sue notti è limpido

d'ogni altro cielo il giorno.

TUTTI

E l'orator Grimani

noi seguirem domani!

Tali avrem mai delizie,

tai feste in riva al Po?

GUBETTA

(inoltrandosi)

Le avrem. D'Alfonso è splendida,

lieta la corte assai.

Lucrezia Borgia...

ORSINI

(interrompendolo)

Acquetati:

non la nomar giammai.

VITELLOZZO

Nome esecrato è questo.

LIVEROTTO

La Borgia! Io la detesto...

TUTTI

Chi le sue colpe intendere,

e non odiar la può?

ORSINI

Io più di tutti. Uditemi. ~

(tutti si accostano)

ORSINI

Un vecchio... un indovino...

GENNARO

(interrompendolo)

Novellator perpetuo

esser vuoi dunque, Orsino?

Lascia la Borgia in pace:

udir di lei mi spiace...

TUTTI

Taci... non l'interrompere...

breve il suo dir sarà.

GENNARO

Io dormirò: destatemi,

quando cessato avrà.

(si adagia, e a poco a poco si addormenta)

ORSINI

Nella fatal di Rimini

e memorabil guerra,

ferito e quasi esanime

io mi giaceva a terra...

Gennaro a me soccorse,

il suo destrier mi porse,

e in solitario bosco

mi trasse e mi salvò.

TUTTI

La sua virtù conosco,

la sua pietade io so.

ORSINI

Là nella notte tacita,

lena pigliando e speme,

giurammo insiem di vivere,

e di morire insieme. ~

E insiem morrete, allora

voce gridò sonora:

e un veglio in veste nera

gigante a noi s'offrì.

TUTTI

Cielo! Qual mago egli era

per profetar così?

ORSINI

Fuggite i Borgia, o giovani,

ei proseguì più forte...

Odio alla rea Lucrezia...

Dove è Lucrezia è morte...

Sparve ciò detto: e il vento

in suono di lamento

quel nome ch'io detesto

tre volte replicò!...

TUTTI

Rio vaticinio è questo...

ma fé puoi dargli?... No.

Tutti.

Insieme

ORSINI

Fede a fallaci oroscopi

l'anima mia non presta...

pur mio malgrado un palpito

tal sovvenir mi desta.

Spesso, dovunque io movo,

quel vecchio orrendo io trovo...

quella minaccia orribile

parmi la notte udir...

Te, mio Gennaro, invidio,

che puoi così dormir.

GLI ALTRI

Bando a sì tristi immagini...

passiam la notte in gioia.

Assai quell'empia femmina

ne diè tormento e noia.

Finché il leon temuto

ne porge asilo e aiuto,

l'arte e il furor de' Borgia

non ci potran colpir...

Vieni ~ la danza invitaci...

lasciam costui dormir.

(partono tutti traendo seco Orsini)

Scena seconda

Passa una gondola; n'esce una dama mascherata. È Lucrezia Borgia: s'inoltra guardinga. Vede Gennaro addormentato, e si appressa lui contemplandolo con piacere e rispetto. Gubetta ritorna.

[N. 2 - Romanza, duetto e Finale I]

LUCREZIA

Tranquillo ei posa. ~ Oh! sian così tranquille

sue notti sempre! E mai provar non debba

qual delle notti mie, quanto è il tormento!

(si accorge di Gubetta)

Sei tu!

GUBETTA

Son io. Pavento

che alcun vi scopra: ai giorni vostri, è vero,

scudo è Venezia; ma vietar non puote

che conosciuta non v'insulti alcuno.

LUCREZIA

E insultata sarei ~ m'aborre ognuno!

Pur per sì trista sorte

nata io non era ~ Oh! Potess'io far tanto

che il passato non fosse, e in un cor solo

destare un senso di pietà che invano

in mia grandezza all'universo io chiedo! ~

Quel giovin vedi?

GUBETTA

Il vedo,

e da più dì lo seguo in finte spoglie

e in simulato nome; e indarno io tento

scoprir l'arcano che per lui vi tragge

da Ferrara a Venezia in tanta ambascia...

LUCREZIA

Tu scoprirlo! ~ Non puoi. ~ Seco mi lascia.

(Gubetta si ritira)

Scena terza

Lucrezia e Gennaro addormentato. Mentre Lucrezia si avvicina a Gennaro non si accorge di due Uomini mascherati che passano dal fondo, e si fermano in disparte.

LUCREZIA

Come è bello!... Quale incanto

in quel volto onesto e altero!

No, giammai leggiadro tanto

non se 'l finse il mio pensiero.

L'alma mia di gioia è piena

or che alfin lo può mirar...

Mi risparmia, o ciel, la pena,

ch'ei mi debba un dì sprezzar.

(piange)

Se il destassi!... No: non oso...

né scoprir il mio sembiante.

Pure il ciglio lagrimoso

terger debbo... un solo istante.

(si toglie la maschera e si asciuga le lagrime)

ALFONSO

Vedi? È dessa...

RUSTIGHELLO

È dessa... è vero.

ALFONSO

Chi è il garzone?

RUSTIGHELLO

Un venturiero.

ALFONSO

Non ha patria?

RUSTIGHELLO

Né parenti,

ma è guerrier fra i più valenti.

ALFONSO

Di condurlo adopra ogn'arte

a Ferrara in mio poter.

RUSTIGHELLO

Con Grimani all'alba ei parte...

ei previene il tuo pensier.

LUCREZIA

Mentre geme il cor sommesso,

mentre io piango a te d'appresso,

dormi, e sogna, o dolce oggetto,

sol di gioia e di diletto...

ed un angiol tutelare

non ti desti che al piacer!...

Triste notti, e veglie amare

debbo io sola sostener.

(si alza: i due mascherati si ritirano. Lucrezia ritorna indietro, e bacia la mano di Gennaro. Egli si desta, e l'afferra per le braccia)

LUCREZIA

Ciel!

(per sciogliersi da lui)

GENNARO

Che vegg'io?

LUCREZIA

Lasciatemi.

GENNARO

No, no, gentil signora!

No, per mia fede!

(trattenendola)

LUCREZIA

(Io palpito.)

GENNARO

Ch'io vi contempli ancora!

Leggiadra e amabil siete;

né paventar dovete

che ingrato ed insensibile

per voi si trovi un cor.

LUCREZIA

Gennaro!... E fia possibile,

che a me tu porti amor?

GENNARO

Qual dubbio è il vostro?

LUCREZIA

Ah! Dimmelo.

GENNARO

Sì, quanto lice io v'amo.

LUCREZIA

(Oh gioia!)

GENNARO

Eppure... uditemi...

Esser verace io bramo.

Avvi un più caro oggetto,

cui nutro immenso affetto.

LUCREZIA

E ti è di me più caro!

Chi mai?

GENNARO

Mia madre ell'è.

LUCREZIA

Tua madre!... O mio Gennaro!

Tu l'ami?

GENNARO

Ah, più di me!

LUCREZIA

Ed ella?

GENNARO

Ah compiangetemi...

Io non la vidi mai.

LUCREZIA

Come?

GENNARO

È funesta istoria,

che sempre altrui celai.

Ma son da ignoto istinto

a dirla a voi sospinto,

alma cortese e bella

nel vostro volto appar.

LUCREZIA

(Tenero cor!) Favella...

tutto mi puoi narrar.

GENNARO

Di pescatore ignobile

esser figliuol credei:

e seco oscuri in Napoli

vissi i prim'anni miei... ~

quando un guerriero incognito

venne d'inganno a trarmi:

mi diè cavallo ed armi,

e un foglio a me lasciò.

Era mia madre, ahi misera!

Mia madre che scrivea...

di rio possente vittima,

per sé, per me temea...

di non parlar, né chiedere

il nome suo qual era

calda mi fea preghiera,

ed obbedita io l'ho.

LUCREZIA

E il foglio suo?...

GENNARO

Miratelo.

Mai dal mio cor non parte.

LUCREZIA

Oh quante amare lagrime

forse in vergarlo ha sparte!

GENNARO

Ed io, signora! oh quanto

su quelle cifre ho pianto!

Ma che! Voi pur piangete?

LUCREZIA

Ah! Sì... per lei... per te.

GENNARO

Alma gentil! Voi siete

ancor più cara a me.

Insieme

LUCREZIA

Ama tua madre, e tenero

sempre per lei ti serba...

prega che l'ira plachisi

della sua sorte acerba...

prega che un giorno stringere

ella ti possa al cor.

GENNARO

L'amo, sì l'amo, e sembrami

vederla in ogni oggetto...

una soave immagine

me n'ho formata in petto:

seco, dormente o vigile,

seco io favello ognor.

(si avvicinano da varie parti le maschere: escono paggi con torce, che accompagnano dame e cavalieri. Orsini entra dal fondo accompagnato da' suoi amici)

LUCREZIA

Gente appressa... io ti lascio.

GENNARO

(trattenendola)

Ah! Fermate.

ORSINI

(riconosce Lucrezia, l'addita ai compagni e seco loro favella)

Chi mai veggo?

LUCREZIA

Mi è forza lasciarti.

GENNARO

Deh! Chi siete almen dirmi degnate...

(sempre trattenendola)

LUCREZIA

Tal che t'ama, e sua vita è l'amarti.

ORSINI

Io dirollo.

(inoltrandosi)

LUCREZIA

Gran dio!

(si copre co' la maschera e vuole allontanarsi)

ORSINI

(opponendosi)

Non partite.

Forza è udirne...

(riconducendola)

LUCREZIA

Gennaro!

GENNARO

Che ardite?

S'avvi alcun d'insultarla capace,

di Gennaro più amico non è.

ORSINI

Chi siam noi sol chiarirla ne piace.

LUCREZIA

(Oh cimento!)

ORSINI

E poi fugga da te.

Maffio Orsini, signora, son io,

cui svenaste il dormente fratello.

VITELLOZZO

Io Vitelli, cui feste lo zio

trucidar nel rapito castello.

LIVEROTTO

Io nepote d'Appiano tradito,

da voi spento in infame convito.

PETRUCCI

Io Petrucci del conte cugino,

cui toglieste di Siena il domino.

GAZELLA

Io congiunto d'oppresso consorte,

che vedeste nel Tebro perir.

GENNARO

(Ciel! Che ascolto!)

LUCREZIA

(Oh malvagia mia sorte!)

CORO

Qual rea donna?

LUCREZIA

(Ove fuggo? Che dir?)

ORSINI

Or che a lei l'esser nostro è palese,

odi il suo...

GENNARO E CORO

Dite, dite.

LUCREZIA

Ah! pietade.

GENNARO, ORSINI, LIVEROTTO, VITELLOZZO E PETRUCCI

Ella è donna che infame si rese,

che l'orrore sarà d'ogni etade...

LUCREZIA

Grazia! Grazia!...

GENNARO, ORSINI, LIVEROTTO, VITELLOZZO E PETRUCCI

Mendace, spergiura,

traditrice, venefica, impura...

come odiata, è temuta del paro,

ché potente il destino la fa.

GENNARO

Oh! Chi è mai?

LUCREZIA

Non udirli, o Gennaro!...

(supplichevole a' suoi piedi)

GENNARO, ORSINI, LIVEROTTO, VITELLOZZO E PETRUCCI

È la Borgia... ravvisala...

(strappano la maschera)

TUTTI

(con grido d'orrore)

Ah!...

(Lucrezia sviene)

Atto primo
Scena prima

Una piazza di Ferrara.
Da un lato con un verone, sotto al quale uno stemma di marmo, ove è scritto con caratteri visibili di rame dorato: «BORGIA». Dall'altro una piccola casa coll'uscio sulla strada, le cui finestre sono illuminate di dentro. Notte.
Il duca Alfonso e Rustighello coperti da lungo manto.

[N. 3 - Cavatina]

ALFONSO

Nel veneto corteggio

lo ravvisasti?

RUSTIGHELLO

E me gli posi al fianco,

e lo seguii come se l'ombra io fossi

del corpo suo. ~ Quello è il suo tetto.

(addita la casa di Gennaro, ancora illuminata)

ALFONSO

Quello?

Appo il ducale ostello

Lucrezia il volle!

RUSTIGHELLO

E in esso ancora il vuole,

se non m'inganna di quel vil Gubetta

l'ire e il redir, e lo spiar furtivo.

ALFONSO

Entrarvi ci puote, non ne uscir mai vivo.

Odi?

(odonsi voci e suoni dalla casa di Gennaro)

RUSTIGHELLO

Gli amici in festa

tutta notte accoglieva in quelle porte

il giovin folle. Separarsi all'alba

essi han costume.

ALFONSO

E l'ultim'alba è questa,

che al temerario splende;

l'ultimo addio che dagli amici ei prende.

Vieni: la mia vendetta

è meditata e pronta:

ei l'assicura e affretta

col cieco suo fidar.

RUSTIGHELLO

Ma se l'altier Grimani

là si recasse ad onta?...

ALFONSO

Mai per cotesti insani

me non vorria sfidar.

Qualunque sia l'evento

che può recar fortuna,

nemico io non pavento

l'altero ambasciador.

Non sempre chiusa a' popoli

fu la fatal laguna:

e ad oltraggiato principe

aprir si puote ancor.

(le voci si fan più vicine, si spengono i lumi, ecc.)

RUSTIGHELLO

Prendon commiato i giovani...

meglio è partir, signor.

(si ritirano)

Scena seconda

Gennaro, Orsini, Liverotto, Petrucci, Gazella, Vitellozzo. Escono tutti lieti dalla casa di Gennaro. Egli solo è pensoso. Gubetta si fa vedere in disparte.

[N. 4 - Recitativo e coro]

TUTTI

Addio, Gennaro.

GENNARO

(con serietà)

Addio,

nobili amici.

ORSINI

E che? Degg'io sì mesto

mirarti ognor?

GENNARO

Mesto!... Non già. (Potessi,

se non vederti, almen giovarti, o madre!)

ORSINI

Mille beltà leggiadre

saran stasera al genial festino,

cui la gentil ne invita

principessa Negroni. Ove qualcuno

obliato avess'ella, a me lo dica:

di riparar l'errore è pensier mio...

TUTTI

Tutti fummo invitati.

GUBETTA

(inoltrandosi)

E il sono anch'io.

TUTTI

Oh! Il signor Beverana!

(tutti gli vanno incontro, tranne Gennaro e Orsini)

GENNARO

(ad Orsini)

Da per tutto è costui! Già da gran tempo

ei mi è sospetto.

ORSINI

Oh, non temer: uom lieto,

e, qual siam tutti, uno sventato è desso.

LIVEROTTO

Or via! Così dimesso

io non ti vo' Gennaro.

GAZELLA

Ammaliato

t'avria forse la Borgia?

GENNARO

E ognor di lei

v'udrò parlarmi? Giuro al ciel, signori,

scherzi non voglio. Uomo non v'ha che aborra

al par di me costei.

PETRUCCI

Tacete. È quello

il suo palazzo.

GENNARO

E il sia. Stamparle in fronte

vorrei l'infamia, che a stampar son pronto

su quelle mura dove scritto è «Borgia».

(ascende un gradino innanzi allo stemma, e col suo pugnale ne cancella la prima lettera. In quel mentre escono dal fondo due uomini vestiti di nero)

TUTTI

Che fai?

GENNARO

Leggete adesso.

TUTTI

Oh diamin! Orgia!

GUBETTA

Una facezia è questa,

che può costar domani

ben cara a molti.

GENNARO

Ove del reo si chieda,

me stesso a palesar pronto son io.

ORSINI

Qualcun ci osserva... separiamci.

TUTTI

Addio.

(Gennaro rientra in sua casa. Gli altri si disperdono)

Scena terza

Astolfo e Rustighello ambedue passeggiando, indi Scherani.

RUSTIGHELLO

Qui che fai?

ASTOLFO

Che tu te n' vada,

questo aspetto. ~ E tu che fai?

RUSTIGHELLO

Che tu sgombri la contrada

fermo attendo.

ASTOLFO

Con chi l'hai?

RUSTIGHELLO

Con quel giovane straniero

che ha qui stanza. ~ E tu con chi?

ASTOLFO

Con quel giovin forestiero

che pur esso alberga qui.

RUSTIGHELLO

Dove il guidi?

ASTOLFO

Alla duchessa.

E tu dove?

RUSTIGHELLO

Al duca appresso.

ASTOLFO

Oh! La via non è l'istessa.

RUSTIGHELLO

Né conduce al fine istesso.

ASTOLFO

Una a festa...

RUSTIGHELLO

L'altra a morte...

delle due qual s'aprirà?

ASTOLFO E RUSTIGHELLO

Del più destro, o del più forte

del voler dipenderà.

(Rustighello fa un segno dal cantone della strada. Entra un drappello di scherani, i quali circondano Astolfo)

RUSTIGHELLO E CORO

Non far motto: parti, sgombra.

Il più forte appien lo scorgi.

Guai per te se appena un'ombra

di sospetto a lui tu porgi!...

Solo Alfonso ancor qui regge:

somma legge è il suo voler.

ASTOLFO

Ma il furor della duchessa...

RUSTIGHELLO

Taci, e d'essa ~ non temer.

CORO

Al suo nome, alla sua fama

fe' l'audace estrema offesa:

vendicarsi il duca brama:

impedirlo è stolta impresa.

Se da saggio oprar tu vuoi,

déi piegar, partir, tacer.

ASTOLFO

Parto, sì... che avvenga poi

vostro sia, non mio pensier.

(Astolfo si ritira. Rustighello e gli scherani atterran le porte della casa di Gennaro)

Scena quarta

Sala nel palazzo ducale.
Gran porta in fondo. A diritta un uscio chiuso da invetriata. A sinistra un altr'uscio segreto. Tavolino nel mezzo coperto di velluto.
Alfonso, poi Rustighello, indi un Usciere.

[N. 5 - Recitativo e finale II]

ALFONSO

Tutto eseguisti?

RUSTIGHELLO

Tutto. Il prigioniero

qui presso attende.

ALFONSO

Or bada. A quella in fondo

segreta sala, della statua a piedi

dell'avol mio, riposti armadi schiude

quest'aurea chiave. Ivi d'argento un vaso

e un d'or vedrai. Nella propinqua stanza

ambi gli reca... né desio ti tenti

dell'aureo vaso: ~ Vin de' Borgia è desso. ~

Attendi. ~ All'uscio appresso

tienti di spada armato. ~ Ov'io ti chiami

i vasi apporta; ov'altro cenno intendi,

col ferro accorri.

USCIERE

(annuncia dalla porta di fondo)

La duchessa.

ALFONSO

Affretta.

(Rustighello parte; poco dopo si fa vedere passeggiando dall'invetriata)

Scena quinta

Lucrezia e detto, indi Gennaro fra le Guardie.

ALFONSO

Così turbata?

LUCREZIA

A voi mi trae vendetta.

Colpa inaudita, infame,

a denunziarvi io vengo. Avvi in Ferrara

chi della vostra sposa a pien meriggio

oltraggia il nome, e mutilarlo ardisce.

ALFONSO

Mi è noto.

LUCREZIA

E no 'l punisce

e il soffre Alfonso in vita?

ALFONSO

A noi dinanzi

tosto ei sia tratto.

LUCREZIA

Qual ei sia, pretendo

che morte egli abbia, e al mio cospetto; e sacra

ducal parola al vostro amor ne chiedo.

ALFONSO

E sacra io dolla. ~ Il prigionier.

(all'usciere)

(si presenta immantinente Gennaro disarmato fra le guardie)

LUCREZIA

(turbata al vederlo)

(Chi vedo!)

ALFONSO

(con un sorriso)

Noto vi è desso!

LUCREZIA

(Oh ciel! Gennaro! Ahi quale

fatalità!)

GENNARO

L'altezza vostra, o duca,

toglier mi fece dal mio tetto a forza

da gente armata. ~ Chieder posso, io spero,

dond'io mertai questo rigore estremo.

ALFONSO

Capitano, appressate.

LUCREZIA

(Io gelo... io tremo...)

ALFONSO

Un temerario osava

testé, di giorno, dal ducal palazzo

con man profana cancellar l'augusto

nome di Borgia. ~ Il reo si cerca.

LUCREZIA

Il reo

non è costui.

ALFONSO

Donde il sapete?

LUCREZIA

Egli era

stamane altrove... Alcun de' suoi compagni

commise il fallo.

GENNARO

Non è ver.

ALFONSO

L'udite?

Siate sicero, e dite

se il reo voi siete.

GENNARO

Uso a mentir non sono;

ché della vita istessa

più caro ho l'onor mio.

Duca Alfonso, il confesso... il reo son io.

LUCREZIA

(Misera me!)

ALFONSO

(piano a Lucrezia)

Vi diedi

la mia ducal parola.

LUCREZIA

Alcuni istanti

favellarvi in segreto, Alfonso, io bramo.

(Deh! Secondami, o ciel!)

(ad un cenno d'Alfonso Gennaro è ricondotto)

Scena sesta

Lucrezia ed Alfonso.

ALFONSO

Soli noi siamo.

Che chiedete?...

LUCREZIA

Vi chiedo, o signore,

di quel giovane illesa la vita.

ALFONSO

Come? E dianzi cotanto rigore?

L'ira vostra è sì tosto sparita?

LUCREZIA

Fu capriccio... A che giova ch'ei mora?

Giovin tanto!... Perdono gli do!

ALFONSO

La mia fede io vi diedi, o signora,

né a mia fede giammai fallirò.

LUCREZIA

Don Alfonso!... Favore ben lieve

voi negate a sovrana... a consorte!

ALFONSO

Chi v'offese irne impune non deve...

voi chiedeste, io giurai la sua morte.

LUCREZIA

Perdoniam: siam clementi del paro...

la clemenza è regale virtù.

ALFONSO

No, non posso...

LUCREZIA

E sì avverso a Gennaro

chi vi fa, caro Alfonso?...

ALFONSO

(prorompendo)

Chi?... Tu.

LUCREZIA

Io? Che dite?

ALFONSO

Tu l'ami...

LUCREZIA

Che ascolto!

ALFONSO

Sì, tu l'ami: in Venezia il seguisti.

LUCREZIA

(Giusto cielo!)

ALFONSO

Anche adesso nel volto

ti leggea l'empio ardor che nudristi.

LUCREZIA

Don Alfonso!

ALFONSO

T'acqueta.

LUCREZIA

Io vi giuro...

ALFONSO

Non macchiarti di nuovo spergiuro.

LUCREZIA

Don Alfonso!...

ALFONSO

È omai tempo ch'io prenda

de' miei torti vendetta tremenda;

e tremenda da questo momento

sul tuo complice infame cadrà.

LUCREZIA

Grazia, Alfonso!...

(inginocchiandosi)

ALFONSO

L'indegno vo' spento.

LUCREZIA

Per pietà...

ALFONSO

Più non odo pietà.

Insieme

LUCREZIA

(sorgendo)

Oh! A te bada... a te stesso pon mente,

di Lucrezia mal cauto marito!

Omai troppo m'hai visto piangente:

questo core omai troppo è ferito.

Al dolore sottentra la rabbia...

ti potria far la Borgia pentir.

ALFONSO

Mi sei nota: né porre in oblio

chi sei tu, se il volessi, potrei.

Ma tu pensa che il duca son io,

che in Ferrara, e in mia mano tu sei...

Io ti lascio la scelta s'egli abbia

di veleno o di spada a perir.

ALFONSO

Scegli.

LUCREZIA

(fuori di sé)

Oh! Dio! Dio possente!

ALFONSO

Trafitto

tosto ei sia.

LUCREZIA

Deh! T'arresta.

ALFONSO

Ch'ei cada.

LUCREZIA

Non commetter sì nero delitto...

ALFONSO

Scegli, scegli...

LUCREZIA

Ah, non muoia di spada!

Insieme

ALFONSO

Sii prudente: d'appresso io ti sono...

nulla speme ti è dato nutrir.

LUCREZIA

L'infelice al suo fato abbandono...

uom crudele!... Io mi sento morir...

(cade sopra una sedia. Alfonso accenna alle guardie)

Scena settima

Gennaro ritorna fra i Custodi. Indi Rustighello.

ALFONSO

Della duchessa ai preghi

che il vostro fallo oblia,

è forza pur ch'io pieghi,

e libertà vi dia.

LUCREZIA

(Oh! Come ei finge!)

ALFONSO

E poi

tanto è valore in voi,

che d'Adria il mar privarne,

e Italia insiem, non vo'!

LUCREZIA

(Perfido!)

GENNARO

Quai so darne,

grazie, signor, ve n' do!

Pur, poiché dirlo è dato

senza temer viltade...

in uom che l'ha mertato,

il beneficio cade.

Di vostra altezza il padre

cinto da avverse squadre

peria, se scudo e aita

non gli era un avventurier.

ALFONSO

E quel voi siete?

LUCREZIA

(sorgendo)

E vita

voi gli serbaste?

GENNARO

È ver.

LUCREZIA

Duca!...

ALFONSO

(L'indegna spera.)

LUCREZIA

S'ei si mutasse!

ALFONSO

(È vano.)

Seguir la mia bandiera

vorreste, o capitano?

GENNARO

Al veneto governo

nodo mi stringe eterno:

mia fede io gli giurai...

e sacro è un giuro.

ALFONSO

(volgendosi con intenzione a Lucrezia)

Il so.

Quest'oro almeno...

(presentandogli una borsa)

GENNARO

Assai

da' miei signori io n'ho.

ALFONSO

Almen, siccome antico

stile è fra noi degli avi,

libare a nappo amico

spero che a voi non gravi...

GENNARO

Sommo per me favore

questo sarà, signore...

ALFONSO

Gentil la mia consorte

coppiera a noi sarà.

LUCREZIA

(Stato peggior di morte!)

ALFONSO

(prendendola per mano)

Meco, o duchessa... Olà.

(esce Rustighello)

Insieme

ALFONSO

(Guai se ti sfugge un moto,

se ti tradisce un detto!

Uscir dal mio cospetto

vivo costui non de'.

Versa... il licor ti è noto...

strano è il ribrezzo in te.)

LUCREZIA

(Oh! Se sapessi a quale

opra m'astringi atroce,

per quanto sii feroce,

ne avresti orror con me.

Va'... Non v'ha mostro eguale...

colpa maggior non v'è.)

GENNARO

(Meco benigni tanto

mai non credea costoro...

trovar perdono in loro

sogno pur sembra a me.

Madre! Esser dée soltanto

del tuo pregar mercé.)

ALFONSO

Or via: mesciamo.

(si versa dal vaso d'argento)

GENNARO

Attonito

a tanto onor son io.

ALFONSO

A voi, duchessa...

LUCREZIA

(Il barbaro!)

ALFONSO

(Il vaso d'or.)

LUCREZIA

(Gran dio!)

(versa dal vaso d'oro)

ALFONSO

Vi assista il ciel, Gennaro.

GENNARO

Fausto a voi sia del paro.

(bevono)

Insieme

ALFONSO

(Trema per te, spergiura!

Vittima prima egli è.)

LUCREZIA

(Vanne: non ha natura

mostro peggior di te.)

GENNARO

(Madre! È la mia ventura

del tuo pregar mercé.)

ALFONSO

Or, duchessa, a vostr'agio potete

trattenerlo, oppur dargli commiato.

(si allontana con Rustighello)

LUCREZIA

(Oh! Qual raggio!)

(pensando)

GENNARO

(inchinandosi)

Signora, accogliete

i saluti di un cor non ingrato.

LUCREZIA

(sottovoce)

Infelice! Il veleno bevesti...

non far motto... trafitto saresti.

Prendi, e parti... una goccia, una sola,

di quel farmaco vita ti dà.

(gli dà un'ampolletta)

Lo nascondi, t'affretta, t'invola...

(T'accompagni del ciel la pietà.)

GENNARO

Che mai sento?... E tutt'altro che morte

aspettarmi io doveva in tua corte!

Un rio genio mi pose la benda,

m'inspirò sì fatal securtà.

Forse... ah! Forse una morte più orrenda

la tua destra, o malvagia, mi dà.

LUCREZIA

Oh! In me fida.

GENNARO

In te, cruda?

LUCREZIA

Sì, parti...

morto in te vuole il duca un rivale.

GENNARO

Oh cimento!

LUCREZIA

Ei ritorna a svenarti.

Bevi, e fuggi...

GENNARO

Oh! Dubbiezza fatale!

LUCREZIA

Bevi, e fuggi... Io te n' prego, o Gennaro,

per tua madre, per quanto hai più caro.

(s'inginocchia: dopo un momento di esitazioni Gennaro si decide)

GENNARO

Ti punisca s'è in te tradimento

chi più speri che t'abbia pietà.

(beve)

LUCREZIA

Tu sei salvo... Oh! Supremo contento!...

Quinci invòlati... affrettati... va'.

(Lucrezia lo fa fuggire per la porta segreta. Si presenta dal fondo Rustighello col duca... Ella dà un grido, e cade sovra una sedia)

Atto secondo
Scena prima

Piccolo cortile che mette alla casa di Gennaro. Una finestra della casa è illuminata. È notte.
Un drappello di Scherani entra spiando.

[N. 6 - Introduzione]

Coro.

Rischiarata è la finestra...

in Ferrara egli è tuttora...

la fortuna al duca è destra:

del rival vendetta avrà.

Inoltriam: propizia è l'ora...

buio il cielo... alcun non v'ha.

(si avvicinano alla casa di Gennaro. Odono rumore, e si arrestano)

Ma... silenzio. ~ Un mormorio...

un bisbiglio s'è levato ~

è di gente calpestio...

più distinto udir si fa.

Là in disparte, là in agguato

chi è si esplori, e dove va.

(si ritirano)

Scena seconda

Orsini, indi Gennaro, Scherani nascosti. Orsini bussa alla porta di Gennaro. Egli apre, ed esce.

[N. 7 - Recitativo e duetto]

GENNARO

Sei tu?

ORSINI

Son io. ~ Venir non vuoi, Gennaro,

dalla Negroni? Ogni piacer mi è scemo

se no 'l dividi tu.

GENNARO

Grave cagione

a te mi toglie. Per Venezia io parto

fra pochi istanti.

ORSINI

E me qui lasci? E uniti

fino alla morte non giurammo entrambi

esser in ogni evento?

GENNARO

È ver.

ORSINI

Mi tieni

così tua fede, come a te la tengo?

GENNARO

E tu vien meco.

ORSINI

All'alba attendi, e vengo.

Al geniale invito

mancar non posso.

GENNARO

Ah! Questa tua Negroni,

m'è di sinistro auspicio.

ORSINI

E a me piuttosto

il tuo partir così notturno e solo,

così pensoso e mesto.

Resta, Gennaro.

GENNARO

Odi: e se il chiedi, io resto.

Minacciata è la mia vita...

alla morte io qui son presso.

ORSINI

Chi t'insidia? A me lo addita.

Chi è costui?

GENNARO

Parla sommesso.

(parla sottovoce a Orsini, mentre gli scherani si fan vedere da lunge)

CORO

Vi par tempo?

IIº

No: si aspetti...

TUTTI

L'importuno partirà.

ORSINI

(ridendo)

Né d'inganno tu sospetti?

Quale è in te credulità!

GENNARO

Taci, incauto!

ORSINI

Sconsigliato!

Non sai tu di donna l'arti?

Insieme

ORSINI

Onde a lei ti mostri grato

ella ha finto di salvarti.

Di veleni che ragioni?

Dove fondi il tuo timor?

Gentil dama è la Negroni;

uomo è il duca d'alto cor.

GENNARO

Tu conosci, appien tu sai

se codardo io fui giammai,

se un istante in faccia a morte

mai fu manco il mio valor...

Pure, adesso, in questa corte,

m'è di guai presago il cor.

ORSINI

Va', se vuoi: tentar mi è caro,

afferrar la mia ventura.

GENNARO

Addio dunque...

ORSINI

Addio, Gennaro.

GENNARO

Veglia a te.

ORSINI

Ti rassicura.

(si abbracciano e si dividono, indi si arrestano entrambi e ritornano)

GENNARO

Ah! Non posso abbandonarti!

ORSINI

Ah! Non io lasciarti vo'.

GENNARO

Al festin vo' seguitarti.

ORSINI

Teco all'alba io partirò.

ORSINI E GENNARO

Sia qual vuolsi il tuo destino,

esso è mio: lo giuro ancora.

ORSINI

Mio Gennaro!

GENNARO

Caro Orsino!

ORSINI

Teco sempre...

GENNARO

O viva, o mora.

ORSINI E GENNARO

Qual due fiori a un solo stelo,

qual due frondi a un ramo sol,

noi vedrem sereno il cielo,

o sarem curvati al suol.

(partono)

Scena terza

Ritornano gli Scherani, Rustighello li trattiene.

RUSTIGHELLO

No 'l seguite.

CORO

A noi s'invola.

RUSTIGHELLO

Stolti! Ei corre alla Negroni.

CORO

Basta allora.

RUSTIGHELLO

Al laccio ei vola.

CORO

Non v'ha dubbio: al ver ti apponi.

TUTTI

È tenace, è certo l'amo,

che gittato al cieco è là.

Ir si lasci: ritorniamo.

Di ferir mestier non fa.

(partono)

Scena quarta

Sala nel palazzo Negroni illuminata e addobbata per festivo banchetto.
Sono seduti ad una tavola riccamente imbandita la principessa Negroni con molte Dame splendidamente vestite, Orsini, Liverotto, Vitellozzo, Gazella, Petrucci, ciascuno con una dama al fianco. Da un lato della tavola è Gubetta. Dall'altro è Gennaro.

[N. 8 - Pezzo concertato]

LIVEROTTO

Viva il Madera!

TUTTI

Evviva

il ben che scalda e avviva!

GAZELLA

De' vini il Cipro è re.

PETRUCCI

I vini, per mia fé,

tutti son buoni.

ORSINI

Io stimo quel che brilla,

siccome la scintilla,

che desta il dio d'amor

nell'occhio seduttor

della Negroni.

TUTTI

Ben detto. A lei si tocchi!

Si beva ai suoi begli occhi!

Amore la formò,

Ciprigna in lei versò

tutti i suoi doni.

(toccano e bevono)

GUBETTA

(Ebbri son già: conviene

tentar che restin soli.)

GENNARO

(Noiato io sono.)

(si allontana)

ORSINI

Ebbene?

Gennaro, a noi t'involi?

Odi il novello brindisi

da me composto un giorno.

GUBETTA

(ridendo)

Ah! Ah!

ORSINI

Chi ride?

GUBETTA

Ridono

quanti ci sono intorno.

ORSINI

Come?

GUBETTA

Oh l'esimio lirico!

ORSINI

M'insulteresti tu?

GUBETTA

S'egli è insultarti il ridere,

far no 'l potrei di più.

ORSINI

(alzandosi)

Marrano di Castiglia!

GUBETTA

Scheran trasteverino!

(Orsini afferra un coltello)

DAME

Cielo! Costor si battono!

TUTTI

Che fai? T'acqueta, Orsino.

(trattenendolo)

ORSINI E GUBETTA

Io ti darò, balordo,

tale di me ricordo,

che temperante e sobrio

per sempre ti farà.

TUTTI

(frapponendosi)

Finitela, cospetto!

All'ospite rispetto...

o tutta quanta accorrere

farete la città.

DAME

Si battono... si battono...

signore, usciam di qua.

(le dame si ritirano)

Scena quinta

Gubetta, Orsino, Liverotto, Vitellozzo, Gazella, Petrucci e Gennaro.

LIVEROTTO

Pace, pace per ora.

VITELLOZZO

Avrete il tempo

di battervi doman da cavalieri,

non col pugnal come assassin di strada.

TUTTI

È ver.

GENNARO

Ma della spada

che femmo noi?

ORSINI

L'abbiam deposta fuori.

TUTTI

Non ci si pensi più.

GUBETTA

Beviam, signori.

GAZELLA

Ma intanto sbigottite

ci han lasciate le dame.

GUBETTA

Torneranno:

ed umilmente chiederemo scusa.

(un coppiere vestito di nero porta in giro una bottiglia)

COPPIERE

Vino di Siracusa.

TUTTI

Ottimo vino, affé!

(tutti bevono: Gubetta versa il bicchiere dietro le spalle)

GENNARO

(Maffio, vedesti?

Lo spagnolo non beve.)

ORSINI

(Che importa? È naturale: ebbro esser deve.)

GUBETTA

(barcollando)

Or, se gli piace, amici,

può schiccherare Orsini versi a sua posta,

poiché poeta lo farà tal vino.

ORSINI

Sì: a tuo dispetto.

TUTTI

Una ballata, Orsino.

ORSINI

Il segreto per esser felici

so per prova, e l'insegno agli amici.

Sia sereno, sia nubilo il cielo,

ogni tempo, sia caldo, sia gelo,

scherzo e bevo, e derido gl'insani

che si dan del futuro pensier.

TUTTI

Non curiamo l'incerto domani,

se quest'oggi ne è dato goder.

(odesi un lugubre suono e voci lontane che cantano flebilmente)

VOCI LONTANE

La gioia de' profani

è un fumo passegger.

GENNARO

Quai voci!

ORSINI

Alcun si prende

gioco di noi.

TUTTI

Chi mai sarà?

ORSINI

Scommetto

che delle dame una malizia è questa.

TUTTI

Un'altra strofa, Orsin.

ORSINI

La strofa è presta.

IIº

Profittiamo degli anni fiorenti:

il piacer li fa correr più lenti.

Se vecchiezza con livida faccia

stammi a tergo, e mia vita minaccia,

scherzo e bevo, e derido gl'insani

che si dan del futuro pensier.

TUTTI

Non curiam l'incerto domani,

se quest'oggi ne è dato goder.

VOCI LONTANE

La gioia de' profani

è un fumo passegger.

(a poco a poco si spengono i lumi)

ORSINI

Gennaro!

GENNARO

Maffio! ~ Vedi?

Si spengono le faci.

ORSINI

A farsi grave

incomincia lo scherzo.

TUTTI

Usciam. ~ Son chiuse

tutte le porte! ~ Ove siam mai venuti?

Scena sesta

Si apre la porta dal fondo e si presenta Lucrezia Borgia con Gente armata.

LUCREZIA

Presso Lucrezia Borgia.

TUTTI

(con un grido)

Ah! Siam perduti!

LUCREZIA

Sì, son la Borgia. Un ballo, un tristo ballo

voi mi deste in Venezia: io rendo a voi

una cena in Ferrara.

TUTTI

Oh, noi traditi!

LUCREZIA

Voi salvi ed impuniti

credeste invano: dell'ingiuria mia

piena vendetta ho già: cinque son pronti

strati funébri per coprirvi estinti,

poiché il veleno a voi temprato è presto.

GENNARO

Non bastan cinque: avvi mestier del sesto.

(avanzando)

LUCREZIA

(sbigottita)

Gennaro! Oh ciel!

GENNARO

Perire

io saprò cogli amici.

LUCREZIA

Ite: chiudete

tutte le sbarre, e per rumor che ascolti,

nessuno in questa sala entrar s'attenti.

TUTTI

Gennaro!

(strascinati)

ORSINI

Amici!...

LUCREZIA

Uscite.

TUTTI

Oh noi dolenti!

(escono fra gli armati, e la gran porta si chiude)

Scena settima

Lucrezia e Gennaro.

[N. 9 - Rondò]

LUCREZIA

Tu pur qui?... Né sei fuggito?...

Qual ti tenne avverso fato?

GENNARO

Tutto, tutto ho presentito.

LUCREZIA

Sei di nuovo avvelenato.

GENNARO

Ne ho il rimedio.

(cava l'ampolla del contravveleno)

LUCREZIA

Ah! Me 'l rammento...

Grazie, grazie al ciel ne do.

GENNARO

Cogli amici io sarò spento,

o con lor io partirò!

LUCREZIA

Ah! Per te fia poco ancora...

(osservando l'ampolla)

Ah! Non basta per gli amici...

GENNARO

Ei non basta? Allor, signora,

morrem tutti.

LUCREZIA

Che mai dici?

GENNARO

Voi primiera di mia mano

preparatevi a perir.

LUCREZIA

Io! Gennaro?... Ascolta, insano...

GENNARO

Fermo io son.

(prende un coltello dalla tavola)

LUCREZIA

(sbigottita)

(Che far? Che dir?)

GENNARO

(ritornando)

Preparatevi.

LUCREZIA

Spietato!

Me ferir, svenar potresti?

GENNARO

Lo poss'io ~ son disperato:

tutto, tutto mi togliesti.

(risoluto)

Non più indugi.

LUCREZIA

(con un grido)

Ah! Un Borgia sei...

son tuoi padri i padri miei...

Ti risparmia un fallo orrendo...

il tuo sangue non versar.

GENNARO

Sono un Borgia! Oh ciel! Che intendo?

LUCREZIA

Ah! Di più non domandar.

M'odi... ah! M'odi... Io non t'imploro

per voler serbarmi in vita:

mille volte al giorno io moro,

mille volte in cor ferita...

per te prego... teco almeno

non voler incrudelir.

Bevi... bevi... e il rio veleno

deh! t'affretta a prevenir.

GENNARO

Sono un Borgia!...

LUCREZIA

Oh! il tempo vola.

Cedi, cedi...

GENNARO

Maffio muore.

LUCREZIA

Per tua madre!...

GENNARO

Va': tu sola

sei cagion del suo dolore...

LUCREZIA

No: Gennaro...

GENNARO

L'opprimesti...

LUCREZIA

No 'l pensar...

GENNARO

Di lei che festi!

LUCREZIA

Vive... vive... e a te favella

col mio duol, col mio terror.

GENNARO

Ciel! tu forse?...

LUCREZIA

Ah! sì, son quella.

GENNARO

Tu! gran dio!... Mi manca il cor.

(si abbandona sopra una sedia)

LUCREZIA

Figlio... figlio!... Olà! Qualcuno!...

Accorrete!... Aita! Aita!

Niun m'ascolta... è lunge ognuno...

dio pietoso, il serba in vita...

GENNARO

Cessa... è tardi... Io manco, io gelo...

LUCREZIA

Me infelice!...

GENNARO

Ho agli occhi un velo.

LUCREZIA

Mio Gennaro!... un solo accento...

uno sguardo, per pietà...

GENNARO

Madre!... io moro...

LUCREZIA

È spento... è spento.

Scena ultima

Si spalancano le porte del fondo e n'esce Alfonso con Rustighello. Guardie.

ALFONSO

Dove è desso?

LUCREZIA

(correndo ad Alfonso e additandogli Gennaro estinto)

Mira: è là.

Era desso il figlio mio,

la mia speme, il mio conforto...

Ei potea placarmi iddio...

me parea far pura ancor.

Ogni luce in lui mi è spenta...

il mio cor con esso è morto...

Sul mio capo il cielo avventa

il suo strale punitor.

(cade sul figlio)

TUTTI

Rio mistero! Orribil caso!...

ALFONSO

Si soccorra.

TUTTI

Oh! Ciel! Se n' muor.

Variante del finale

Finale modificato nella rappresentazione di Milano del 1840. Alla fine della scena VII del secondo atto, dopo le parole di Lucrezia «uno sguardo per pietà»:

GENNARO

Madre, se ognor lontano

vissi al materno seno,

che a te pietoso iddio

m'unisca in morte almeno:

madre, l'estremo anelito

ch'io spiri sul tuo cor.

Fine.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 14/05/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40 (W)

Locandina Prologo Scena prima Scena seconda Scena terza Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ultima Variante del finale