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Le nozze degli dei

LE NOZZE DEGLI DEI

Favola.

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Libretto di Giovanni Carlo COPPOLA.
Musica di Marco DA GAGLIANO, Jacopo PERI, Francesca CACCINI.

Prima esecuzione: 8 luglio 1637, Firenze.


Interlocutori:

IMENEO dio delle nozze

sconosciuto

ONESTÀ

sconosciuto

FECONDITÀ

sconosciuto

GIOVE

sconosciuto

MERCURIO

sconosciuto

DIANA

sconosciuto

NERINE

sconosciuto

CLORI

sconosciuto

VULCANO

sconosciuto

STEROPE

sconosciuto

BRONTE

sconosciuto

PIRAMMONE

sconosciuto

IRIDE

sconosciuto

PALLADE

sconosciuto

VENERE

sconosciuto

CUPIDO

sconosciuto

ADONE

sconosciuto

GIUNONE

sconosciuto

PLUTONE

sconosciuto

MARTE

sconosciuto

NETTUNO

sconosciuto

NEREO

sconosciuto

MELICERTA

sconosciuto

ANFITRITE

sconosciuto

PROSERPINA

sconosciuto

CERERE

sconosciuto


Tre Ninfe d'Arno. Quattro Ninfe di Diana. Quattro Venti. Le tre Parche. Cori Coro di Diana: 12 Ninfe. Coro di Vulcano: 17 Ciclopi e altri Ministri. Coro delle Muse. Coro di Venere: 14 Amorini, 3 grazie, Riso, Scherzo e Giuoco. Coro di Nettuno: 30 Numi marini. Coro di Giove: 40 Numi celesti. Coro di Plutone: 20 Numi infernali. Coro di Giunone: 14 Ninfe. Abbattimento tra Marte con 6 armati, e tra Vulcano con sei altri similmente.



Balli

Ballo di 6 Amorini con 6 Pastori di Adone nel giardin di Venere.

Balli del mare.

12 Ninfe sopra delfini con 6 Sirene.

13 Tritoni sopra 2 cavalli marini saltano, e poi ballano sopra uno scoglio.

Ballo dell'inferno.

8 Centauri usciti di bocca d'una chimera, con 8 Diavoli vomitati in 4 palle dal can Cerbero ballano orribilmente.

Nel cielo.

Ballo di Numi celesti a cavallo guidati da Castore, e Polluce.

Ballo di Amorini sulle nuvole.

Ballo del Sole con 12 Segni celesti, e della Luna con 12 Stelle.

Alla serenissima...

...gran duchessa di Toscana, mia signora e padrona colendiss. Vittoria della Rovere, principessa d'Urbino.

Avendo avuto questa opera fortuna di nascere sotto i benigni influssi del comandamento del serenissimo gran duca suo sposo, ho giudicato conveniente, che ella esca alla luce del mondo sotto quelli del nome, e della protezione di v. a. s. sicuro che guardata, e difesa da così favorevoli pianeti abbia a viver lungo tempo senza temere i contrari aspetti delle stelle maligne. Supplico v. a. sereniss. a gradire la mia confidenza, e devozione; effetti, l'uno della sua benignità, l'altro della sua grandezza; prego a v. v. serenissima ogni bene, e le fo umilissima riverenza. Di Firenze il dì 1 Agosto 1637.

Di v. a. s.

umiliss, ed obligatiss. servitore

Gio. Carlo Coppola

A' lettori: argomento

Sappia il benigno lettore, che io nel comporre, e stampar questa opera non ho avuto altro fine, che di ubbidire al comandamento del serenissimo gran duca, a cui servo; il quale mentre ch'io era con l'animo più che mai alieno da simili poesie, mi comandò, che componessi la commedia, la quale si dovea rappresentare in musica nelle sue felicissime nozze. Mi restrinse a breve spazio di tempo per condurla a fine, come quegli, che avea gusto di vederla compita avanti la sua partenza per Pisa. M'ordinò soggetto allegro, quale si conviene a nozze, e per dar maggior campo all'inventor delle macchine di abbellirla con varietà, e vaghezza di prospettiva; volle che contenesse festa in cielo, in mare, e nell'inferno. Ond'io presi per soggetto le Nozze degli dei, trattandone quattro più celebrate da' poeti; cioè quelle di Giove con Giunone; di Vulcano con Venere; di Plutone, e Proserpina, e di Nettuno con Anfitrite. Fingo dunque (seguendo l'opinione di coloro, che han detto, che Vulcano, e Marte sien figliuoli di Giunone senza marito, come Pallade di Giove senza moglie) che Giove per far una allegrezza universale nel mondo, voglia in un medesimo giorno celebrar queste nozze. Determina egli prender Giunone, dar Venere a Vulcano, Pallade a Plutone, e Diana a Nettuno. Manda a questo fine Mercurio in Terra, il quale trovata Diana, la invita al cielo, come nuova sposa, ella ricusa: risoluta di viver casta. Il medesimo fa Pallade, la quale era in Parnaso a sentir le muse rammentar le lodi della serenissima casa di Toscana: Venere al solo nome di Vulcano entra su le furie: Nettuno perduto d'Anfitrite sdegna ogn'altra consorte: Plutone non sapendo che Giove gli ha destinato moglie, arma l'inferno contro del cielo: Marte tutto rabbia minaccia danni, e rovine al sentir che Venere sia stata promessa a Vulcano. Così tutto si turba: ma questi scompigli terminano felicemente, perché Venere vien da Cupido confortata, ed essa prega lui a ferir con lo stral d'oro Anfitrite, che deposta la passata fierezza ami Nettuno. Giove per mezzo delle parche mandate da Plutone al cielo, ordina alla medesima Venere, che tragga fuori del guardato palazzo Proserpina, acciò che Plutone volando col carro la rapisca, e la prenda per moglie; il che fatto restano contente Diana, e Pallade, e soddisfatti Plutone, e Nettuno. Vulcano, e Marte combattono, e per premio del vincitore si propone Venere; ma Giove per mezzo di Mercurio spartisce la battaglia. Giunone placa Marte suo figliuolo, il quale a' preghi ancora della stessa Venere si ritira. Giove acquetate queste discordie, invia Imeneo nel mare, e nell'inferno a render felici quelle nozze. Si festeggia nel mare per le nozze di Nettuno con Anfitrite, nell'inferno per quelle di Plutone con Proserpina; nel cielo per quelle di Giove con Giunone, e di Vulcano con Venere.

Così pensai soddisfare alla volontà del serenissimo gran duca il quale tra sette giorni vide la commedia finita, l'udì letta da me, e mostrò non poco gradirla. Spero che la brevità del tempo, nel quale è stata composta scuserà le imperfezioni, che ci sono, e l'avere ubbidito al comandamento di s. a. s. e forse incontrato il suo gusto le arrecherà qualche lode.

Non tralascerò di dire, che per fuggir la lunghezza, che portan seco le musiche, e le macchine, e per la stagione molto calda, e poco atta agli spettacoli, e per la brevità delle notti, quella che si rappresentò fu in gran parte scemata, e variata da questa, che si stampa.

Ricordo ancora, che dove troveranno Fato, Destino, Fortuna, o simili parole della gentilità. Intendano che si parla favolosamente, e per leggiadria poetica, non per offender la pietà cristiana.

Prologo
Scena unica

La prima prospettiva è 'l mondo, quasi un caos, che distintosi appariscono le campagne di Firenze con Arno, e si vede scendere in una nuvola Imeneo, Onestà, e Fecondità, per colmare i serenissimi sposi de' loro beni.
Imeneo, Onestà, e Fecondità.

Cantano insieme.

IMENEO, ONESTÀ E FECONDITÀ

Questo è l'Arno sì gentile,

questa è Flora,

che s'infiora

nell'aprir del nuovo Aprile.

Fortunata, e nobil reggia

come splendi!

Come rendi

vago il dì, ch'in te lampeggia!

Quanta pompa orna il diletto!

Gioia spira

ciò, che mira

l'occhio intorno, o brama il petto.

Gode l'aria, e 'l ciel sereno;

ecco l'onde

tra le sponde

corron liete al mar Tirreno!

Piovan larghi a sì bei regi

nostri doni.

(giungono in terra)

Si coroni

sommo onor d'eccelsi pregi.

IMENEO

Io, che d'aurati stami ordisco i nodi,

a' più pudichi amanti,

che le voglie congiungo, e 'n dolci modi

l'anime lego in salda fé costanti:

fortunati legami

di quel, che pregia il ciel più lucid'oro

tesso a' chiari consorti,

e fuor dall'uso in loro

tutto spargo il mio bene, e 'l mio tesoro.

(canta il medesimo)

Questo laccio, e questa face

nodo intreccino d'amore,

che soave giunga al core

quanto fervido, e tenace.

Ami ardendo, ed arda amando,

e Vittoria, e Ferdinando.

ONESTÀ

Di candidi pensieri, e caste voglie

per me s'adorna de' mortali il seno,

e tra diletti suoi virtude accoglie.

Per me si stringe il freno

là ov'è amor d'ogni legge il cor discioglie.

(canta la medesima)

Quante glorie il ciel mi diè,

quante darne altrui so più

qui si diffondano,

qui, dove abbondano

gl'incliti sposi d'ogni virtù.

Santo foco, e puro affetto

l'alma invogli, infiammi il petto,

casto avvampi, e dolce spiri

d'Onestà sensi, e desiri.

FECONDITÀ

Io che rendo alla terra il sen fecondo

di quanti parti in lei produce il sole:

fo' gli uomini, e gli dèi ricchi di prole,

e con la mia virtù rinnovo il mondo.

(canta la medesima)

Io fecondo, ed io fo' degno

d'alti regi un sì bel regno,

mentre godi, ed ardi amando

o Vittoria, o gran Fernando.

Vengono sopra un'isoletta mobile per lo fiume insieme, e augurando infiniti beni a' serenissimi sposi.

TRE NINFE D'ARNO

Alla riva, alla riva, alla riva,

di qual gioia il petto inonda

per quest'onda,

come vago il ciel si gira,

come ammira

l'allegrezza, ond'Arno abbonda.

Sulla sponda, sulla sponda.

IMENEO

Fuor de' liquidi argenti

d'Arno beato in sulle rive erbose

escon ninfe, e gioiose

colman d'alta letizia i dolci accenti.

NINFA PRIMA

(canta sola)

Più pomposo che mai sorger non suole,

sorga dall'onde il Sole,

sparga l'aureo suo crin dal bel tesoro

lucidi velli d'oro,

corra festoso l'immortal sereno.

Oggi d'Arno in sulla riva

bella diva

giunge a sé Giove Tirreno.

Lieti noi

quali eroi

ne darà sì nobil seno!

TRE NINFE D'ARNO

(insieme replicano)

Oggi d'Arno in sulla riva

bella diva

giunge a sé Giove Tirreno.

NINFA SECONDA

Vesta i più fini azzurri, e rida intorno

l'aria in sì lieto giorno,

disusato favor piova ogni giro

dell'etereo Zaffiro,

goda ogn'alma quaggiù beata a pieno.

TRE NINFE D'ARNO

Oggi d'Arno in sulla riva

bella diva

giunge a sé Giove Tirreno.

NINFA TERZA

Vanne pur, vanne pur superbo o nume

del natio nostro fiume,

tra più famose, e riverite sponde

al mar volgerai l'onde,

e di più chiari merti andrai ripieno.

TRE NINFE D'ARNO

Oggi d'Arno in sulla riva

bella diva

giunge a sé Giove Tirreno.

IMENEO

Vaghe Ninfe, e gradite,

ch'a prova alzando i più soavi canti,

de' regi sposi i vanti

spiegate all'aura in somma gioia unite.

Seguite pur seguite,

d'egual diletto accesi

in versar nostre grazie, e nostri beni

ne' semidei tirreni,

qui godiamo ancor noi dal ciel discesi.

L'aureo legame lor, che pria natura

insolubile ordio

con più nobil ventura

fortunato si stringe al nodo mio.

NINFA PRIMA

Mertano i regi nostri

dello affetto di voi sì chiari segni

cortesissimi numi, e doni vostri.

E che non deggio a te d'Urania bella

germe gentil, che ne secondi i voti,

che nostre pompe del tuo lume onori?

Ed in qual parte mai giunsero ignoti

della tua face i desiati ardori?

NINFA SECONDA

Lodi a te dèa sovrana,

che onestà vera agli altrui petti infondi,

tu che i desir, tu che i pensier fai mondi

di voglia impura, e vana,

che puoi dov'arde amore

temprar la fiamma, e far sincero il core.

NINFA TERZA

Ed io m'inchino a te, per cui giocondo

di tanti eroi si pregia il ciel toscano,

onde n'andrà fecondo

dell'etrusca regina il nobil grembo,

e di famosi regi adorno il mondo.

IMENEO

E con quai glorie onora

l'altero festeggiar de' re tirreni

con l'altre ninfe sue la bella Flora?

NINFA PRIMA

Sovra scene dorate

oggi Urania, e Talia con nobil canto

tesson di sommi dèi nozze beate.

Oggi si scorgeran d'eccelsi numi

ricchi i teatri, e di splendor celesti,

e de' tuoi lacci eterni nodi intesti,

del ciel s'apprenderan sensi, e costumi.

IMENEO

Nobil soggetto a chiari sposi eguale,

mal potea pareggiar pompa terrena

il sovrano di lor pregio immortale.

Non è difforme al giubilar superno,

onde con lieto applauso il ciel risuona,

gode chi sovra il sol tiene il governo,

mentre l'eroe, che nell'Etruria impera

per VITTORIA gentil s'orna, e 'ncorona

di sua ROVERE altera:

né men gioisco anch'io,

cui lice vagheggiar feste sì belle.

NINFA PRIMA

Movi nume gentil col passo mio,

le bellezze d'Etruria oggi qui sono,

l'alme ninfe di Flora

del bel cielo toscan lucide stelle:

tra cui con FERDINANDO assisa in trono

sembra Cinzia, che splenda innanzi al sole

chi prima il bel Metauro, or l'Arno indora,

e qual dèa di beltà s'ammira, e cole.

Atto primo
Scena prima

S'apre il cielo, si vede Giove assiso nel suo soglio, e molti Numi intorno.
Giove, Mercurio, e Coro di Numi Celesti.

CORO

Gioia a te, gloria a te sovrano Giove,

al cui ciglio possente, al cui pensiero

il cielo, e 'l mondo intero

ad un punto si move.

Tu gli uomini, e gli dèi reggi, e destini

ogni somma virtude a te s'inchini.

GIOVE

Superni dèi, ch'in questa empirea reggia

del nettare divin l'onda bevete,

a cui d'ogni desio spegner la sete

lice nel mar, che di contenti ondeggia.

Oggi a nuovo gioir s'apran le porte,

e qual torrente, che l'usata sponda

frenar non vaglia, il proprio ben diffonda,

e gaudi suoi nell'universo apporte.

D'inusitato amor nodi immortali

stringo a nuovi imenei tra numi orditi:

sien gli eterni reami indi arricchiti

de' nostri figli, a noi medesmi eguali.

La dèa, che l'aria regge a me sia sposa,

come rotan congiunti i regni nostri:

Minerva al re de' più profondi chiostri:

Cinzia al rettor della provincia ondosa.

Perch'al saggio Vulcan deggio non poco

per mie saette, e 'l brama anco Giunone,

vo' che Venere prenda, ed a ragione

giungo la dèa d'Amor col dio del foco.

MERCURIO

Nobil pensier, del senno tuo ben degno,

re ch'imperi ove il crin s'ingemma il sole,

fia più possente, e per novella prole

splenderà d'altre fiamme il tuo gran regno.

GIOVE

Vesti l'ali Mercurio, e spiega il volo

sì ch'ogni nume il mio disegno apprenda,

chiama le muse, onde sonar s'intenda

fuor del costume suo l'etereo polo.

MERCURIO

Or ecco ad eseguir soave impero

sovrano genitor lieto m'accingo

ratti vanni apprestando al mio sentiero.

GIOVE

Rida di nuovi fregi il cielo adorno,

piova a' mortali di letizia un fonte,

e de' più vaghi rai ricco la fronte,

corra le stelle il portator del giorno.

La purpurea di lui furiera, e duce

sparga con l'aurea mano empirei fiori,

fuor del suo stile l'universo indori

nunzia d'alto gioir, più che di luce.

CORO DI DÈI

Padre del ciel come il desio t'invoglia,

quanto volge la mente, e quanto imperi

mirabil giunge a noi mai sempre, e caro.

Saggi move i pensieri

senno, ch'eterna luce ognor fa chiaro,

giusta il petto divin desta la voglia,

goda ogni sfera, e con un tuon giocondo

alle gioie del ciel prepari il mondo.

Scena seconda

La prospettiva si cangia in boschereccia; Diana con sei delle sue Ninfe cercano un cervo ferito.
Diana con sei delle sue Ninfe.

DIANA

Ahi ché 'l cervo è fuggito,

né so come lo sguardo

fisso pur dietro a lui, l'abbia smarrito.

NINFA PRIMA

Corsi ben io, ma 'l corre mio fu tardo,

pur se n' fugge ferito,

e cadrà forse in mezzo al corso esangue,

eccone il mio quadrel tinto di sangue.

DIANA

Va ferito egli è vero,

e porta anco nel seno un dardo mio:

ma che giova all'arciero

piagar la fiera, che poi

troppo lungi morrà dagli occhi suoi?

NINFA SECONDA

Ed io so ben il luogo, ove ricovra,

né dal bosco è lontano,

da cui Melampo tuo mosse pur ora,

s'ivi s'asconde, a me si cela invano.

DIANA

Se la piaga è mortale,

dove credi non giunge,

tra via l'arresterà l'acuto strale,

che mortalmente il punge.

NINFA TERZA

Forse l'altre compagne,

ch'eran lungi da noi di là dal monte,

furo a seguir più pronte

per quelle aperte, e sterili campagne.

Ma qual sento rumor tra quelle selve,

ove s'ergon più spesse?

È Melampo, o son belve?

No no, le nostre ninfe, elle son desse.

Scena terza

Nerine, Clori con quattro altre Ninfe, e le medesime.

NERINE

Io dèa la fiera ancisi, a me s'aspetta

della fronte il bel dono;

io nel cor gli avventai cruda saetta.

DIANA

Ne godo o mia Nerine,

come lieta qua giù mi fan sovente

l'opre tue pellegrine.

NERINE

Là su quel colle ascesa,

pronto fu l'arco il dardo,

selva cercava ad altra fiere intesa:

quando ferito il dorso

il cervo rimirai correr sì ratto,

che parea l'ali faticasse al corso,

scoccò l'alato ferro, e 'n quel momento,

felicissimo colpo,

cadde ferito, e spento.

CLORI

Il vero narra, ed io

più d'ogni altra vicina

ciò vidi, e ne stupì lo sguardo mio.

DIANA

Orsù ninfe gradite

di rose, e d'amaranti

pregiato dono alle sue chiome ordite.

CORO DI NINFE

(le ninfe colgon fiori)

Vaghi fiori, ed odorati,

che sorgete,

che ridete

per le piagge, e per li prati.

DIANA

(sola)

Quella ninfa, quella arciera

onorate,

coronate,

ch'atterrò fugace fiera:

CORO

(intessendo la corona)

Intrecciam fiorito serto,

ch'a Nerine

cinga il crine

giusto premio a tanto merto.

(danno la corona a Diana che tenendola in mano canta)

DIANA

Ecco intesta dei bei fiori

la corona,

che ti dona

quella dèa ch'in terra adori.

(la pone in testa a Nerine)

CORO

Sembran gemme e son più belli

su quest'oro

del tesoro,

ch'arricchisce i tuoi capelli.

Mercurio scende volando dal cielo.

DIANA

Nume a noi drizza il volo, a quei, che move

doppi e rapidi vanni,

Mercurio sembra il messagger di Giove.

Scena quarta

Mercurio, e le medesime.

MERCURIO

Ecco i boschi di Delo,

ecco le piagge avventurose, e belle,

dove ognor lieto i rai dispiega il cielo.

Qui Cinzia cercherò per queste selve,

se, quale è 'l suo costume,

ogni cura tien volta a piagar belve.

DIANA

A me nunzio se n' viene,

odo ben del mio nome

soavi risonar l'aure serene.

MERCURIO

Cresca a te bella dèa diletti il fato,

fortunato messaggio a te discendo.

DIANA

E qua dall'auree stelle,

apporti a' desir miei dolci novelle?

MERCURIO

Di giubilo sovrano

ardon gli eterni lumi,

né sia tanto piacer da te lontano;

destinata se' sposa

al dio, che 'l morso al mar turbato impone;

tal è del sommo rege

la voglia, che dal ciel tutto dispone.

DIANA

S'altro avviso non porti,

poco grato mi giungi,

troppo da' desir miei, troppo son lungi

quelle, che stimi tu somme sventure:

torna pur, torna al cielo,

al mio gran genitor di', che mia mente

lieta sfavilla di vergineo zelo.

Tra fidi veltri, e queste

selvagge ninfe accolta,

d'ogni laccio d'amor l'alma disciolta,

contenta scorrerò l'ampie foreste.

MERCURIO

Se conformi al voler son tue parole,

erri tu bella diva:

come restar vuoi priva

e di sposo, e di prole?

DIANA

Mercurio indarno speri

con l'arte, onde se' nume,

svolgere il mio costume,

e pudichi del cor fermi pensieri:

impenneran pria l'ali,

e cangiando natura

voleran per lo ciel cervi, e cinghiali:

arderà il gelo, agghiaccerà l'arsura,

che Cinzia a sposo mai pieghi la voglia.

Quel desio che m'invoglia

vivrà meco immortale,

ne fia che seco accoglia

altro parer, che a se medesmo eguale.

Questo impresso mi siede

nell'immutabil petto:

torna al mio padre, e spiega,

verace messagger, quanto io t'ho detto.

MERCURIO

Seconderò tue brame, i bei desiri

turbar non vo' di così salda mente:

sali ove di Piropi eterni ardente

luce il seren de' luminosi giri,

udrà Giove i tuoi sensi,

forse fia che cortese

al verginal desio teco dispensi.

DIANA

Ne' campi, ove suoi rai semina il sole

ascenderò con le mie ninfe or ora

col piè stellato a raddoppiar carole,

ove il sentier Piroo correndo indora.

Intatte verginelle

ché voti miei seguite,

quanto son più gradite

le grazie, che Onestà rende più belle?

Che val beltà, che vale,

se non è casto il core?

Perde il pregio e l'onore

fior, che l'aratro assale:

ne' boscherecci alberghi

quanto puri gli affetti Amor compone,

quindi fregi e corone

speri l'incolto crine,

onde meravigliando a' vostri onori,

e la terra v'adori, e 'l ciel v'inchine.

CORO DI NINFE

Sovra i prati, e tra le selve

più riluce castità,

fuor del cielo a piagar belve

vibra rai di purità.

Sprezza sicura

d'Amor l'arsura

la pudica sua beltà.

Mille fior nascono intorno,

dove posa un casto piè:

dove volge il guardo adorno

spira gioia e dà mercé:

risplenda il sole

più che non suole,

ch'appo lei chiaro non è.

Porta seco il suo diletto,

né più chiede, o brama più,

pregi accoglie il nobil petto

quanti godi o ciel mai tu:

come a regina

a lei s'inchina

ogni grazia, ogni virtù.

DIANA

(sola canta)

Vesta il sol più chiari lampi

più s'imgemmin l'auree stelle,

e germoglin di fiammelle

sparsi d'or gl'eterei campi:

non fia pur ch'io non avvampi

di far lieto in voi soggiorno

care mie delizie, e belle.

Qual contento il ciel mi fura

tra sue mura

mentre qui non fo ritorno.

Atto secondo
Scena prima

La prospettiva si cangia in montagne coperte di neve, nel mezzo apparisce la fucina di Vulcano, che dalla cima esala fiamme, ed aprendosi al suon di martelli esce Vulcano con sedici suoi ministri.
Vulcano, Sterope, Bronte, Pirammone, e Coro di Vulcano.

VULCANO

Orsù Sterope? E Bronte?

Pirammon? Dovete sete?

STEROPE

Qui tutti a' cenni tuoi presti ad ogn'ora.

VULCANO

Quante saette per lo ciel son pronte

a me ratti porgete.

L'aquila fa tra noi lunga dimora,

e forse Giove a fulminare aspetta.

BRONTE

Molte informi ne son, molte nel foco

d'arder prendono stile, una è perfetta.

PIRAMMONE

Questa formata è già, ma tersa è poco.

VULCANO

Più non serve tra voi come solea

l'usitato lavoro, e pur v'è noto,

come spesso lassù l'opre mortali

spingano il sommo padre

a doppiar contra lor fulminei strali.

O degli augei regina

questo fulmine or prendi,

e mentre ogn'altro al paragon s'affina

a darlo al gran tonante in cielo ascendi.

(lo dà all'aquila, ed ella col fulmine vola al cielo)

Tu Bronte indura in disusate tempre

l'ammirabile scudo,

opra di questo ingegno, e di mia mano;

quindi otterrà vittorioso alloro

ne' secoli avvenir eroe sovrano.

Nel mezzo intaglierò rovere d'oro,

che recisa germogli in nobil nesto,

e da' rami pregiati,

onde si veste, e dà ricovro, ed ombra,

pendan, cangiando stil, sei pomi aurati;

con caratteri d'oro, e di rubini

scriverovvi d'intorno:

rovere fortunata

mentre cadevi estinta,

a gran sostegno avvinta

sorgi a vita più cara, e più beata.

De' frutti d'alti eroi cresci feconda,

né perda il verde suo ramo, né fronda.

Scena seconda

Iride scende dal cielo, e i medesimi.

IRIDE

Ecco il mirabil monte

della Trinacria altera,

che sul tergo ha la neve, in seno il foco;

in così strano loco

a mille fabbri il gran Vulcano impera.

VULCANO

Iride messaggera

della mia genitrice a me discende,

ornamento del cielo iride bella

dall'eterea magione

qual mi rechi quaggiù grata novella?

IRIDE

Grata purtroppo, e cara,

della diva d'Amor s'è fatto sposo,

nell'Olimpo festoso

oggi le nozze tue Giunon prepara,

mille superbi doni

lassù t'appresta, a tanto onore ascendi.

VULCANO

Farò quanto m'imponi

dèa, ch'in vari color le nubi accendi:

ma di' nunzia gentil, la bella diva

sa pur d'esser mia sposa?

Rado somma beltà non è ritrosa,

e non disdegna altrui superba, e schiva.

IRIDE

Del fulminante dio moglie è Giunone,

ella da lui l'ottenne, e così vuole

chi 'l tutto al voler suo regge, e dispone.

VULCANO

Or venga il carro, ond'io

alle stelle me n' voli

felicissimo dio;

e voi mentr'io ritorno

delle più chiare pompe, e pregi miei

tutto rendete il cavo monte adorno,

celebrerò quaggiù gli alti imenei.

Esce un carro di fuoco tirato da due leoni, che spirano fiamme, dove, asceso Vulcano sale al cielo.

IRIDE

(canta)

Alla gioia infinita,

che sull'empireo tetto oggi t'aspetta,

sali felice o nume,

e fuor dal tuo costume

al carro fiammeggiante il volo affretta.

Sali gran dio del foco

alla diva d'amor, ch'in Cipro impera:

temprata col diletto

giungerà nel tuo petto

la fiamma, ond'arde in sulla terza sfera.

CORO DI CICLOPI

Sei possente, sei sovrano

Imeneo, maggior d'Amore,

se co' lacci, e con l'ardore

leghi Venere, e Vulcano.

STEROPE

(solo)

Senza raggi il sol non è,

senza amor non è beltà,

se consorte ugual non ha,

non ha legge, non ha fé.

BRONTE

Né soffiar d'atroci venti

debil fronda mai soffrì,

Onestà mai non s'aprì

a' sospir de' cori ardenti.

PIRAMMONE

Pronti ognor a provocarte

s'ornerà,

s'armerà

quindi Adone, e quindi Marte:

pugna pur, t'adopri invano.

TUTTI

(in coro)

Sei possente, sei sovrano

Imeneo, maggior d'Amore,

se co' lacci, e con l'ardore

leghi Venere, e Vulcano.

Scena terza

Apparisce il monte Parnaso, dove le Muse mentre van cantando, e suonando sono rincontrate da Pallade.
Pallade, e le Muse.

PALLADE

Qual chiaro nume, o di real corona

incomparabil vanto,

presta nobil soggetto al vostro canto,

che sì dolce in Parnaso oggi risuona?

CALLIOPE

Diva sai ben, che al variar degli anni

nulla sotto del ciel non cangia stile,

e che questa di noi fede gentile

barbari occuperan fieri tiranni.

Tardi gl'ingegno divenuti, e foschi

n'andremo ad abitar d'Arno le rive,

godendo in quelle sponde a cetre argive

peregrini accordar numeri toschi.

Ammirava il pensier con quale onore

la medicea virtù quivi n'accolga,

come lieta, e benigna a noi rivolga

tra gli aurei scettri suoi la mente, e 'l core.

E grate in parte agli aspettati doni

prendemmo ad animar dolci strumenti,

e temprando auree corde in vari accenti

innalzare a lor glorie i canti, e suoni.

PALLADE

Quanto a grado mi sia de' re toscani

udir canore dèe. Gli eccelsi merti,

e vagheggiar, pria ch'alla luce aperti,

de' secoli futuri onor sovrani.

Ed io dovrò non poco a gesti loro,

ch'abbandonata già l'estinta Atene,

liete soggiorno in quelle piagge amene

fortunata sarò tra 'l vostro coro.

CALLIOPE

E chi spesso iterar non ha diletto

di così amati regi e l'opre, e 'l nome,

e mostrar ne' loro vanti il proprio affetto?

Cantano le Muse.

POLIMNIA

Te lodo o Cosmo, alla cui larga mano

larghissimi tesor parranno scarsi,

oserà contro a te l'Invidia armarsi

d'empi veleni, e spargeralli invano:

sarai padre acclamato, e dal tuo ciglio

penderà dell'Etruria ogni consiglio.

CLIO

Che dirò del mio Lauro? E quando in terra

il sol vedrà giammai pari, o secondo!

O prudenza, o valor, ch'ogni altro atterra,

di quanti ei sosterrà gran regni il pondo!

Vedrassi a senno suo dar pace e guerra,

arbitro dell'Italia, anzi del mondo:

ornerà le virtudi, a Flora in seno

lieto accoglierà noi, Febo tirreno.

URANIA

Ove non splende il figlio, ove il nipote

di sovrumano onor cinti la chioma,

oh come liete allor l'Esperia, e Roma

correr vedranne a' sacri piè devote!

Generoso leon, parranne angusto

al tuo, l'ampio donar del grande Augusto.

TERSICORE

Beato accresci alle corone i pregi

su nobil trono asceso

genitor di regine, avo di regi.

E tu d'alto valor l'anima acceso,

ch'in breve di milizia i primi onori

torneresti all'Italia, e 'l nome andato,

s'in riva al Mincio il fato

non troncasse a tue glorie i sommi allori.

Ahi, ch'ove al grido tuo più nobil tromba

crede Manto sonar, t'apre la tomba.

MELPOMENE

Cede la patria, o grand'eroe, l'impero

a tue virtudi, al tuo valor dovuto:

gode vinto mirar Marte sì fiero,

ed a Flora venir nuovo tributo.

E te (l'opre d'Aletto oppresse, e dome)

di corona real cinto le chiome.

ERATO

Voi Castore, e Polluce, onde s'adorna

di novelli splendori il ciel tirreno,

il cui sguardo sereno

le tempeste de' suoi tranquille torna.

Tu secondo d'età, ch'al trace in seno

turbi, ed al lume suo scemi le corna

primo, oh come saprai con l'alto ingegno

stabil fondar per mille lustri il regno!

EUTERPE

Qual grido non ti aggiunge, o nobil fiume

del glorioso re l'inclita prole,

che sì tosto da te sciolte auree piume

orna le stelle, e porta luce al sole!

Gode arricchito il ciel d'un sì bel lume

quanto si lagneria la bassa mole

se più chiaro nel figlio, a lei sé stesso

non lasciasse, qual raggio in vetro espresso.

CALLIOPE

O d'eccelsa pietà mirabil dono

Ferdinando gentil, che 'l mondo onora,

quante glorie, e virtù la terra adora,

come in fede real tutte in te sono.

Tu con soave impero assiso in trono

in te reggi l'affetto, in altrui l'alma,

quindi più degna, e bella

corona eterna, e palma

germoglia a te nel ciel tra stella, e stella.

E tu vittoria, ond'ogni grazia è vinta

godi pure seco in doppio nodo avvinta.

TALIA

Con la face, ond'avvampa il sommo amore

dal ciel sacro Imeneo lieto discenda,

dolce gara d'amor felice accenda

di Ferdinando, e di Vittoria al core.

Santa Onestà col suo pudico ardore,

l'onesto grembo in lei gravido renda,

ond'Arno d'altri eroi chiaro risplenda,

e di nuove corone il capo indore.

Reggan tranquillo impero, e cresca in loro

qual pianta, ch'abbia il sol cortese, e l'onda,

ogni grazia, ogni gloria, ogni tesoro.

Benigno a' voti loro il ciel risponda,

e concordi le Parche al bel lavoro

stami tessan di vita aurea gioconda.

Tutte insieme, ed a parte.

CORO DI MUSE

A voi risplendano

nel cielo i lumi,

a voi discendano

dal cielo i numi

a bear vostri imenei

gloriosi semidei.

Scena quarta

Mercurio, Pallade, coro di Muse.

MERCURIO

Quanto bramar potea,

tua mercé bel Parnaso,

le muse io scorgo, e la più saggia dèa.

Bene immortal vi si raddoppi ognora;

a nuove gioie il gran rettor v'invita;

ite al ciel, che fia colpa ogni dimora.

PALLADE

Qual contento si aggiunge al gaudio eterno

del più felice nume,

ond'a chiamarne al giubilar superno

così veloci a noi spieghi le piume?

MERCURIO

S'è sposa al re, ch'impera

dove Cocito d'atre fiamme innonda;

quindi avvien ch'ogni sfera

di letizia maggior, lume diffonda.

PALLADE

Io sposa a Pluto in sorte?

Io con altrui legata?

La dèa d'ogni saper non ha consorte:

genera con sé stessa entro la mente

più nobil parto; e con più chiaro impero

non picciol regno in atre fiamme ardente,

ma l'uno, e l'altro regge ampio emisfero.

MERCURIO

Pallade invan t'adiri

s'io messagger del cielo

lungi da' tuoi desiri

quel, che Giove m'impose a te disvelo:

se l'avviso ti è grave

sulla reggia superna

apri i tuoi sensi al genitor davante,

e come saggia i tuoi pensier governa,

ch'inverso a Cipro al volo alzo le piante.

PALLADE

Vanne Mercurio ov'il desio ti guida,

onta non mi fai tu, né teco ho sdegno,

ma non può senza doglia

quel, che spiace sentir sublime ingegno.

Dal sovrano intelletto

unica nacqui, e pura,

l'alta del mio natal nobil ventura

non prenda ad oscurar l'altrui diletto:

come scaturir suole

fiume da fonte, o rio partir da fiume,

o sfavillando il lume

nascer dal foco, e 'l raggio suo dal sole,

tal parvi in cielo, e tale

sorsi dall'oriente, ov'io splendèa

da sommo dio gran dèa,

e da senno immortal saggia immortale:

s'al mio gran pregio eguale

lassù non fulge un nume,

gli altissimi imenei dell'onor mio

come sperar presume

chi sull'arso Acheronte arder sortio?

CORO DI MUSE

Lascia lo sdegno o dèa,

non avrai sposo no;

chi l'universo bea

consorte aver non può:

sposa non è chi crea

ogni bene, ogni pro.

In tre nuvole salgono al cielo; in quella del mezzo Urania, e Pallade, e nelle due de' lati l'altre otto.

URANIA

(sola)

Ad altri viva unita

chi sì pura non fu;

splenda a' cori gradita

beltà quanto può più,

che di gioia infinita

le menti empier sai tu.

CORO

Non è felice il petto,

che 'l pregio tuo non ha:

ogni vero diletto

da te nell'alma va:

chi mira ad altro oggetto

o ch'è folle, o non sa.

Scena quinta

Si volta la scena nel giardino di Venere.
Venere, Adone, tre Grazie, Riso, Scherzo, Gioco, Coro di 14 Amorini, e sei Pastori d'Adone.

(gli Amori scherzano e gli altri cantano)

VENERE

Amoretti

vezzosetti,

che scherzate,

che beate

con le gioie i nostri petti:

se ferite, la ferita

non dà morte, ma dà vita.

Son vitali

gli aurei strali,

le catene non dan pene,

ma contenti almi immortali,

se n'ardete, al vostro ardore

arde sì, ma gode il core.

Qui mutandosi la musica sei Amorini, e sei Pastori d'Adone fanno un vaghissimo ballo senza canto, e Venere nel fin del ballo dice:

Quanto felice in queste piagge amene

godendo in te d'amore,

teco sempre trarrei dolce mia spene

poste in bando le stelle, i giorni, e l'ore.

ADONE

Dèa immortal non fosse il tuo bel guardo,

direi quali il mio seno

faville accolga, ond'io gioisco, ed ardo;

ma per che 'l tutto al ciglio tuo si svela,

se i vaghi volgerai lucidi giri

nel profondo del core,

vedrai com'ei per te goda, e sospiri.

VENERE

Vivi lieto ben mio,

contenta, di tua fiamma avvampo anch'io;

mi vivo anch'io beata

dall'oro del tuo crin presa, e legata,

né fia mai forza, o voglia,

che da' bei nodi tuoi Venere scioglia.

ADONE

Se riguardi l'oggetto

nobil dèa del tuo foco,

dirai, che degno è poco

pregio mortal d'un immortale affetto:

ma se miri l'ardore,

ch'incenerisce il petto,

non negherai, che almeno

del tuo non sia maggiore

l'incendio, ch'ad ognor mi strugge il seno.

VENERE

Poi che tua bella imago

nell'alma m'intagliò con l'aureo strale

Amor possente mago,

che sa ben l'uomo trasformare in dio;

più non sembri mortale

idol di questo core, al guardo mio:

non è disuguaglianza,

ove Amor giusto impera,

il tutto agguaglia un'amorosa brama:

non ama no, non ama

chi all'amato tesor ceder non degna.

Scena sesta

Mercurio, e i medesimi.

MERCURIO

Oh quanto volo invano

te bella dèa cercando ho sparso intorno,

fa' tosto al ciel ritorno,

desioso t'aspetta il re sovrano.

VENERE

Perché tanto desire, e che t'appresta?

MERCURIO

Pompe superbe, e nuove

d'incomparabil festa

nel soggiorno immortal prepara Giove.

VENERE

Ond'è l'alta allegrezza,

ch'inusitata piove?

MERCURIO

Dir no 'l so dèa, ch'adorni ogni bellezza.

VENERE

E dir no 'l sa dell'eloquenza il dio?

Pria che tu di parole

scarso fia d'onde il mare,

e degli aurei splendor povero il sole.

Di' pur, non me 'l tacer Mercurio mio.

MERCURIO

Gli alti numi più vaghi

novi sposi felici

doppian fulgore alla natia beltade.

VENERE

Sarovvi a parte anch'io messo gentile?

MERCURIO

Nulla fia senza te, del vanto in cima

godrai tra le più degne

dove Grazia, e Beltà si loda, e stima.

VENERE

Ma chi sarà mio sposo?

MERCURIO

Giove tra cupi arcani il serba ascoso;

l'alta mente spiare

ogni guardo, o pensier s'adopra invano:

pur se fusse Vulcano

al paterno voler presumi ostare?

VENERE

Se dal seggio superno

la genitrice sua gettollo al mare,

io precipiterollo al basso inferno.

MERCURIO

Dèa scherzo teco, a tua vaghezza eguali

saran le nozze altere

movi all'ardenti sfere,

ch'al ritorno ancor'io batterò l'ali.

VENERE

Prendi l'alto sentiero,

verrò dietro al tuo volo.

ADONE

Ahi qual m'ingombra il petto atro pensiero;

ahi novella crudele. Ahi pena, ahi duolo.

VENERE

O mio bene, o mio lume

deh non ti giunga il mio partir sì greve,

il ritorno fia breve,

come tal fu mai sempre il mio costume;

senza te non è cosa

nel ciel, ch'agli occhi miei non fia noiosa.

CORO DI AMORINI

In ciel non fuggesi

quanto il cuor ha;

tra gioie struggesi

ch'in duol vi sta;

se la diva

del diletto suo fia priva

fia dolente ovunque va.

VENERE

(sola canta)

Sull'erbe tenere

si gode più

non trova Venere

pace lassù,

vago Amore

dove giungi con l'ardore

nulla piace se non tu.

CORO

I cieli spiacciono

s'Amor non v'è

gioie non piacciono

ch'Amor non diè;

pargoletto

teco porti ogni diletto

né si gode senza te.

Scena settima

Apparisce Giunone in aria sul carro tirato da' suoi pavoni.
Giunone, i medesimi, e quattro Venti.

GIUNONE

Ecco la dèa d'amore, e 'l vago accanto,

vi turberò ben io

i soavi diporti, e 'l dolce canto.

VENERE

Qual voce in ciel risuona?

GIUNONE

Da' vostri cupi alberghi

d'atri turbini armati

sorgete o venti a' miei desir cortesi;

movete in questi prati

a' lor diletti infeste

disusate tempeste.

(appariscono da quattro parti quattro venti)

Si oscura la scena, s'odono tuoni, si veggono lampi e grandine, e si dà fine al secondo atto.

NOTO

Eccone pronti a secondar tuoi sdegni

diva gentil, ch'a noi dai spirto, e vita,

e benigna n'accogli entro i tuoi regni.

Atto terzo
Scena prima

Si muta la scena, s'apre il palco, sorge Plutone sopra un drago con molti Numi, e mostri infernali.
Plutone, Coro di Numi infernali.

PLUTONE

Furie, Gorgoni, e Numi

del mio temuto impero,

all'armi, all'armi o fieri,

stragi, sangue, e rovine,

guerra al ciel, guerra a Giove.

CORO DI NUMI INFERNALI

Come brami eccone qui

degli abissi eterno re,

guerra a Giove, guerra al ciel.

Scena seconda

Parche, e i medesimi.

ATROPO

Qual ingiuria ti fere

l'infellonito cor, che rabbia spira,

e d'implacata ira

arma contro di Giove orride schiere.

PLUTONE

Poi che l'alto reame ottenne in sorte

superbo alzò la coronata fronte,

prese tosto a sdegnar chi di Cocito

l'onda governa, e la tartarea corte:

ma vedrà ben se da' profondi abissi,

se dal regno del pianto

saprò cingergli il sol d'oscure eclissi,

spegner sue glorie, e tutto

il giubilo del ciel cangiare in lutto.

ATROPO

Lungi deh lungi o regnator possente,

lungi il torto pensier, che 'l petto accora,

non è, non è negletto

tuo valor dove i raggi il sol s'indora.

PLUTONE

So ben, ch'oggi nel ciel godono i numi

fatti novelli sposi,

di repente Vulcano all'Etra ascese

di Venere consorte.

Sposa non merto anch'io? Sarà deluso

de' regni d'Acheronte il gran monarca?

Trarrò sterile gli anni, e fia il mio letto

privo d'ogni diletto?

Né mi vedrò d'intorno

coronato di figli, e di nipoti?

A mio danno, a mio scorno

s'empierà il cielo, e regni miei fian voti?

Furie, mostri d'inferno

infiammate gli sdegni, a fiera guerra;

rimiri il ciel le sue ruine in terra.

CORO DI NUMI INFERNALI

Come brami eccone qui

degli abissi eterno re,

guerra a Giove, e guerra al ciel.

ATROPO

Lascia dell'ira tua l'imprese orrende,

Pallade a te fia sposa,

tal per l'alto seren fama si stende.

PLUTONE

Or come con la nuova a me gradita

messagger non discende? Ella consente

d'esser d'Averno al gran rettor unita,

o del cielo invaghita

di ritrosi pensier colma la mente...

ATROPO

Se l'onor di tue nozze a lei promesso

o ricusa, o disprezza

superba sua bellezza,

scemo sarà di senno il senno stesso.

PLUTONE

Itene voi nello stellante impero,

se a me tanta allegrezza il cielo appresta,

lascerò d'esser fiero,

in gioia cangerò l'ira funesta.

Ratte dunque volate, io giù discendo,

là nel mio regio chiostro

dèe compagne del fato, al giunger vostro,

seconda al mio voler novella attendo.

Plutone, e i suoi mostri rientrano nell'inferno, e le Parche in una nuvola allora di sotto apparsa salgono al cielo così cantando:

(salendo al cielo)

Pargoletto, e vago Amore

quanto eccelsa è tua virtù!

Dove placido se' tu

non è sdegno, né furore.

ATROPO

Se sfavilla il cielo irato,

se sdegnato

vibra fulmini, e baleni,

tu 'l sereni

con la vista, e con l'ardore.

TUTTE

Pargoletto, e vago Amore

quanto eccelsa è tua virtù!

Dove placido se' tu

non è sdegno, né furore.

LACHESI

Se tempesta il regno ondoso,

s'orgoglioso

s'erge al ciel co' flutti suoi,

tu ben puoi

tranquillar tanto bollore.

TUTTE

Pargoletto, e vago Amore

quanto eccelsa è tua virtù!

Dove placido se' tu

non è sdegno, né furore.

CLOTO

Se Tesifone, e Megera

cruda infiera,

se l'Inferno freme, e Dite,

tu 'l fai mite,

tu gli alletti a' vezzi il core.

TUTTE

Pargoletto, e vago Amore

quanto eccelsa è tua virtù!

Dove placido se' tu

non è sdegno, né furore.

Scena terza

Marte.

Io sprezzato? Io schernito?

Della dèa, che nel cor m'impresse amore

il più deforme dio n'andrà felice?

E 'l soffrirò pur io, se tu 'l consenti

a' miei desir contrario o Giove, o Fato?

No, no, di sdegno, e di rovine armato

moverò cruda, insuperabil guerra;

con le mie Furie ardenti

turberò il ciel, tempesterò la terra.

No, no, strana vendetta

furibondo, e crudele

farò di chi l'ingiuria in me saetta.

Questa spada fatale

com piaga sì profonda

nel petto asconderò del mio rivale,

che bevrà sitibonda

nel trafitto suo cor sangue immortale.

Ma dove troverò Venere bella?

Cercato ho Pafo, e Gnido,

né pur odo di lei certa novella.

Scena quarta

Venere, suo Coro, e Marte.

CORO

(il coro canta dentro la scena)

Non è sdegno

nel tuo regno

bella dèa non ti sdegnar.

MARTE

Quali accenti canori

odo sonar da lunge?

Se pensier vano il petto mio non punge,

questa è Ciprigna, e pargoletti Amori.

Esce Venere col suo Coro.

CORO

Non è sdegno

nel tuo regno

bella dèa non ti sdegnar.

MARTE

Saprai diva, che 'l ciel novo consorte

già ti prepara, onde ne vai sì lieta:

se la tua voglia a' cenni suoi s'acqueta

poco, o nulla ti cal della mia sorte.

VENERE

Marte il so bene, e l'ira

mi temprano gli Amor cantando intorno,

folle troppo sarei s'in questo giorno

gioir pensassi ov'il mio ben sospira.

MARTE

Ma che volge il pensier? Vinto si rende

al paterno voler, ch'a ciò ti spinge:

o vestito d'ardir s'arma, e contende?

Se 'l legame ti spiace

astringer non ti può lo stesso Giove,

e s'altro affetto i desir tuoi non move,

all'aspra angoscia mia potrò dar pace.

VENERE

Non giunger novo affanno al mio tormento,

bramato mio conforto,

sai ben s'io t'amo, e se 'l tuo duolo io sento.

MARTE

Poco giova l'amor dolce mia vita

se con più stretti nodi

sarai, malgrado mio, con altri unita.

VENERE

Invan laccio più forte, il pensier finge

di quello onde talora affetto ardente

all'alme innamorate i sensi stringe:

ma stanca non ho già l'arte, e l'ingegno,

né s'arresta la voglia

finché il consiglio altrui turbi, e discioglia

l'odioso nodo di mia sorte indegno.

Tu vanne al cielo, e al genitor davante,

nell'amor, nella fede

forte pur come sai pugna, e costante;

là vedrai se 'l mio foco ogn'altro eccede.

MARTE

E tu s'io sappia in sugli eterei campi

sparger semi di risse,

o pur s'indarno il mio furore avvampi.

Io parto o bella dèa, e porto al core

tuo campion, tuo guerriero

sommo ardor, salda fede, invitto amore.

VENERE

Qual acerbo destin, qual empio fato

sì reo legame ordisce:

deh come Amor soffrisce

contro alla mia beltade il cielo irato.

Vaghi, e leggiadri Amori

se con dogliosi accenti

chieggio da voi quel, che saper desio;

rispondete cortesi al desir mio.

(canta)

Voi, che scherzando a me d'intorno gite,

che seguite

le vestigia del mio piè,

ditemi cari, dite

vede il sole in altrui dovunque va

l'infinita beltà,

ch'altera splende in me?

Rispondete

se sapete,

ch'io non so.

CORO DI AMORINI

(rispondono)

No, no, no, no.

Così bella come te

mirar altra il sol non può:

no, no, no, no.

VENERE

Ma lassa me

a che mi giovano

le bellezze, che in me risplendono,

se contento il cor non è,

s'altro sposo prenderò

di colui, ch'al cor mi sta,

ride invan tanta beltà,

che far lieto il cor non può.

Scena quinta

Cupido, e medesimi.

CUPIDO

Accresca tua beltà l'alto destino

dolce madre, qual noia, o qual dispetto

fere il seno divino.

VENERE

Non sinistra ventura

a me ti scorge o figlio,

rendimi lieto il cor, sereno il ciglio,

che improvviso dolor mi turba, e scura.

CUPIDO

Del regno mio disponi

cara madre gentil, come a te piace;

quel, che t'aggrada imponi,

ecco pronti al tuo dir l'arco, e la face.

VENERE

Non ho d'uopo di ciò, purtroppo lume

nell'altrui luci, ond'io m'accenda, hai sparso;

purtroppo m'hai ferita.

Ma non sai tu, ch'al più deforme nume

sarò malgrado mio consorte unita:

ciò mi duol, ciò ti prego, in ciò m'aita.

Di' pur conforto mio, non hai tu modi

d'involarmi all'affanno,

e di scior mia beltà d'indegni nodi?

CUPIDO

Tutto m'è noto, e sulle rote ardenti

Giove me 'l disse, onde a te sciolsi il volo;

brama che la sua mente anch'io secondi

nell'alte nozze, ch'ei nel cielo appresta,

e se le voglie tue pensier molesta,

ch'io da te il fughi e 'l tuo desir giocondi.

Già lo promisi, e 'l regnator sovrano

di render fortunato un sì bel giorno

nelle parole mie non spera invano.

VENERE

Non avrò dunque scampo

al duolo, e 'l soffri tu mia sola speme?

E pur sai di qual fiamma accesa avvampo.

CUPIDO

La face d'Imeneo non spegne il foco,

ond'hai calde le vene,

ama pur come sai, come t'aggrada,

segui pur tuo diletto,

o dall'onde risorga il giorno, o cada:

chi suda a fabbricar fulmini astretto

tuoi piaceri a turbar punto non bada.

VENERE

Mi consola il tuo dir, ma pace intera

non reca all'alma afflitta,

che legame sì reo fuggir non spera.

Scena sesta

Nettuno viene sopra un carro tirato da cavalli marini seguito da molti tritoni.
Nettuno, suo coro di Dèi marini, e medesimi.

NETTUNO

Ardi Nettuno entro quest'onde invano,

che ti giova esser dio del regno ondoso

s'una ninfa ti sprezza amante, e sposo,

la più bella, ch'ha in sen l'ampio oceano.

CUPIDO

Pon mente o madre al mar, non so qual voce

dolorosa risuona.

NETTUNO

Anfitrite crudel quanto gentile,

che quasi duro scoglio all'onde, a' venti,

al lungo sospirare, a' miei lamenti

non ti movi a pietà, né cangi stile.

CUPIDO

Egli è Nettun, che per amor si lagna.

NETTUNO

Se t'amai ninfa crudel

lo sai tu, sallo il mio cor,

sallo amor,

che di te

vieppiù fiero aspe non ha:

come cruda è tal beltà!

Deh non più,

non più, no,

vago mostro d'empietà.

CORO DI NUMI MARINI

Come cruda è tal beltà!

Deh non più,

non più, no,

vago mostro d'empietà.

NETTUNO

Se ti piace il mio martir

segui pur, ch'io soffrirò,

se potrò

più di te

sofferir la crudeltà.

CORO DI NUMI MARINI

Come cruda è tal beltà!

Deh non più,

non più, no,

vago mostro d'empietà.

NETTUNO

Lascia omai tanto rigor,

usa alfin qualche mercé

verso me,

quando mai

pensi tu d'aver pietà.

CORO DI NUMI MARINI

Come cruda è tal beltà!

Deh non più,

non più, no,

vago mostro d'empietà.

VENERE

Nettun qual ria cagione

trae dal divino sen dogliosi accenti?

NETTUNO

Eh diva i miei tormenti

ben sa chi teco move, ei ch'in me sciolse

tutte le sue quadrella,

e la ninfa crudel, di lui rubella,

ond'invano mi doglio, unqua non colse.

Aita o dèa gentil da lui m'impetra;

fa' ch'in me spenga il foco, o in lei l'accenda,

e nume ad ambo egual, di sua faretra,

o gli aurei dardi, o gl'impiombati spenda.

VENERE

Esperta al mio dolor pietade imparo,

scarsa non sono altrui di quell'ond'io

bramo, ch'altri al mio mal non sembri avaro.

Di' pur Nettuno a' tuoi desir son pronta.

NETTUNO

Amo ninfa, che m'odia, e prende ad onta

l'esser da me pregiata,

per consorte la bramo, ella ricusa

preghi, offerte, lusinghe, aspra, e spietata,

a' diletti d'amor non ancor usa.

Deh fa' ch'in questo dì con gli altri dèi

goda lieto pur io

sospirati imenei.

VENERE

Chi tra l'onde è si fiera?

NETTUNO

Anfitrite è la fiamma,

che nel mio petto impera;

ella dentro del mar, lasso, m'infiamma.

VENERE

Sai qual rigor nasconda il vago aspetto

della ninfa crudel, che l'addolora,

fa' ch'ella provi ancora

l'alta possanza tua, figlio diletto.

CUPIDO

Nettuno oggi avran fin l'acerbe pene,

or vedrai la mia face, e questo dardo

qual forza abbian tra l'onde, e sull'arene:

in questo lido il mio ritorno attendi.

Tu meco o bella madre

con le grazie, e gli amori il carro ascendi.

VENERE

Venite meco al mare,

amoretti, venite.

CORO DI AMORINI

Al mare. Al mare, al mare,

mille fiamme accendiamo ad Anfitrite.

CORO DI NETTUNO

Che farete o dèi marini,

che nel core

sì vicini

proverete il nuovo ardore,

che sì largo nel mar diffonde Amore!

ALCUNI DEL CORO

Arde in un la terra, e 'l cielo,

si disface

ogni duro, ed aspro gelo

alla dolce d'Amor possente face.

ALTRI

Infiammati

spiran sensi innamorati

i più freddi ghiacci alpini.

TUTTI

Che farete o dèi marini,

che nel core

sì vicini

proverete il nuovo ardore,

che sì largo nel mar diffonde Amore!

ALCUNI

Anfitrite, che gelata

pur non senti

gli amorosi strali ardenti,

ond'ogn'alma languisce arsa, e piagata;

ALTRI

Se ritrosa

esser neghi amante, o sposa,

forza è pur, ch'a lui t'inchini.

TUTTI

Che farete o dèi marini,

che nel core

sì vicini

proverete il nuovo ardore,

che sì largo nel mar diffonde Amore!

NETTUNO

Anfitrite crudel, quanto sei bella,

s'or non lasci l'orgoglio,

o 'l petto cingi di marmoreo scoglio,

o maligna per me ruota ogni stella.

Scena settima

Nereo, Anfitrite, Melicerta, ed i medesimi.

NEREO

Godi pur dio dell'ondeggiante impero

la ninfa, onde t'accese alto destino

lieta sovra un delfino

con Melicerta a noi tiene il sentiero.

NETTUNO

Invan gli Amori, ahi lasso,

sull'arene, e tra l'onde

disarmeran di strali ogni faretra;

oh sventura crudele: in quelle sponde

celati a' dolci rai moviamo il passo.

ANFITRITE

Caro delfino in sull'arena il piede

fermerò breve spazio, e fin ch'io torno

guizzando al lido intorno

fa' di minuti pesci avide prede.

Melicerta io non so qual nuovo affetto

dolcemente noioso

nasce in un punto, e mi s'avanza al petto;

e se le forze alla difesa accoglio,

e 'l cor di nuovo induro

ecco pur s'ammolisce

l'aspra durezza, in caldo umor mi scioglio,

e tra pena, e ristor l'alma languisce.

Sai ben s'ho preso a scherno

Nettuno, e le sue doglie;

misera, oh qual (ahimè) qual di mie voglie

fan gl'antichi ardor suoi crudo governo.

Come l'imago sua, lassa, il desire

nel cupo sen mi stampa;

Melicerta soccorri, aita al core,

ch'in un dolce martire

nell'incendio d'amor langue d'amore.

MELICERTA

Forse l'alato arciero,

che tu folle a sprezzar prendi sovente,

oggi contro di te fatto più fiero

vibrò nel duro sen dardo possente.

Nettuno, ove il piè movi,

deh qui fossi a mirar chi ti ferio

qual pietade in amore oggi ritrovi.

NETTUNO

Qui s'invoca il mio nome,

n'andrò verso il mio bene,

forse tante alterezze in lei son dome.

Melicerta gentil, ahimè, che miro!

Non è questa la bella,

idolo di mie voglie, ond'io sospiro?

Qual duol le ingombra il cuore?

MELICERTA

Inusitato amore.

NETTUNO

Ama pur la spietata, ama la cruda

d'ogni spirto d'amor sempre lontana?

MELICERTA

Ahi ch'ogni forza è vana,

dove Amor l'arco impiega;

che se contende, o niega,

come fiume ristretto

ruinoso prorompe il chiuso affetto.

NETTUNO

Ma chi dentro al mio regno

sortio così benigno il cielo, e 'l Fato,

che di tanto tesor fatto l'ha degno?

MELICERTA

Tu, ch'ove il passo stendi,

ove sfoghi i martiri

e l'aria, e l'onda accendi

di cocenti d'Amor sensi, e sospiri.

Scese misera appena

su questa arida arena, ove t'ascondi,

che iterando il tuo nome

gridò soccorso alla novella pena.

E come già ferita

con dilettevol piaga

mesta del proprio duol divenne, e vaga.

NETTUNO

Oh giorno avventuroso, o caro loco,

dove mirar m'è dato

quel duro sen di ghiaccio, ond'io son foco,

liquefarsi per me vinto, e piagato.

E tu bella Anfitrite

perché taci, e ti lagni?

Lasso me, perché bagni

d'amaro duol le guance scolorite?

Ti duol forse, ti duole,

che del mio lungo affanno Amor pietoso

spenda nel gelo tuo qualche scintilla

dell'incendio amoroso,

onde nel seno mio l'alma sfavilla?

Deh fa' sonar la voce a me sì cara,

che con dolce stupor l'onde innamora,

da' cui respiri impara

a sospirar soave, e l'aria, e l'ora.

ANFITRITE

Nube ch'ingombra il petto

di dolcissima doglia

non so come turbando in me l'affetto,

e la voce mi leghi, e 'l pianto scioglia.

NETTUNO

Quando ama, e di goder non ha la spene

l'innamorato cor, troppo sicura,

quanto cresce l'amor, crescon le pene;

ma se gode, e possiede, il duol non dura.

Se m'ami, e vedi ben quant'io t'adoro,

tosto sparito, e spento

fia qual nebbia al soffiar d'Austro, e di Coro,

o d'ombra a' rai del sole, ogni tormento.

Scena ottava

Venere, suo Coro, e i medesimi.

CORO

(torna cantando)

Non è gioia senza amore,

non lo crede chi no 'l sa,

chi non ama la beltà

non ha petto, o non ha cuore.

VENERE

(replica)

Non è gioia senza amore,

non lo crede chi no 'l sa,

chi non ama la beltà

non ha petto, o non ha cuore.

NETTUNO

Bella dèa, che fai lieto, e Cipro, e Gnido,

e tu sovrano arcier, che l'alme impiaghi

grazie vi rendo, i miei desir son paghi.

Anfitrite crudel su questo lido

mosse appena le piante,

ch'arse, mercé di voi, novella amante.

Ma l'insolito ardor, ch'in lei s'apprese,

e la piaga, che giunse,

dove dardo de' tuoi mai non discese;

così forte la punse;

così l'alma l'accese,

che del novello affetto ebbra, ed absorta,

come suol angue al canto

vinta soggiacque all'amoroso incanto.

VENERE

Fu grande oltre l'usato

nel mar l'incendio sparso,

né potea sen gelato

non restar di repente oppresso, ed arso.

Ma san l'armi d'amore

spegnere il duolo, e rinfrescar l'ardore.

Quando l'aurato strale

novello petto impiaga,

sembra cruda, e mortale

l'immedicabil piaga:

ma poi che l'alma i suoi diletti apprende,

conosce ben come dia gioia, e vita

l'amorosa ferita,

che tanto è dolce più, quanto più incende.

Ravviva o vaga ninfa il raggio spento

del leggiadro sembiante,

ama pregiata amante

il nobil dio del liquido elemento.

A fermar gli amori vostri

ricco de' suoi tesori

scenderavvi Imeneo da' sommi chiostri.

NETTUNO

Qual deggio lode a voi diva, ed Amore,

ch'in lei piagando il seno

in me sanaste il core:

vivrò devoto a voi sposo felice,

tratterò il gran tridente,

come per vostri cenni a me più lice.

(parte venere e gli Amori)

NETTUNO

Anfitrite mio ben l'alma dolente

al mio gioir fa lieta,

fuga ogni duolo, e fortunata appieno

nel mio fedele amor le voglie acqueta.

ANFITRITE

Così debil son io, che posso appena

reggere il piè tremante,

né di formar parola ho spirto, o lena.

MELICERTA

Movi all'onde le piante,

sulle molli del mar cerulee piume

un soave riposo

renderà al volto i fiori, agli occhi il lume.

NETTUNO

Vienne cara mia speme, e mio conforto,

e voi cantando a parte

la possanza d'amor lodate, e l'arte.

(si pongono nel carro)

CORO DI NUMI MARINI

Quando i petti impiagar vuoi,

vago arcier, che non fai tu!

Gran miracoli Amor son pure i tuoi.

Teco non giovano

forza, o virtù.

Invan si provano

quei, che san più,

schermo non trovano

gli dèi lassù.

ALCUNI

Tu gioia, e duol ne dai,

tu co' tormenti bei,

quanto picciolo sei?

Quanta ferita fai?

Ferire, e sanar puoi

gran miracoli Amor son pure i tuoi.

TUTTI

Vago arcier che non fai tu!

Teco non giovano

forza, o virtù.

Invan si provano

quei, che san più,

schermo non trovano

gli dèi lassù.

ALCUNI

Se' crudo insieme, e pio,

et innocente, e reo,

t'alzan gli eroi trofeo,

è tuo servo ogni dio;

quando fai, quanto puoi!

Gran miracoli Amor son pure i tuoi.

TUTTI

Vago arcier che non fai tu!

Teco non giovano

forza, o virtù.

Invan si provano

quei, che san più,

schermo non trovano

gli dèi lassù.

Atto quarto
Scena prima

Torna la scena della amenità di Venere, ma variata nel foro.
Parche scendono dal cielo cantando.

CLOTO

Quel che destina il cielo

invan si fugge,

in eterno diamante imprime il Fato,

e ciascun tra le fasce appena nato

di sua sorte il tenor col latte fugge.

ATROPO

Voglia, che 'l tutto sdegni aspra, e ritrosa

forza è pur, che del peggio alfin s'appaghi.

Quanti dèi sovra il sol di lei fur vaghi,

che del rettor d'Averno oggi fia sposa.

LACHESI

Chiudi quanto più puoi tra salde mura

il caro pegno tuo madre dolente,

che l'eterno destin, che non consente

fuor del chiuso lo tragge, e a te lo fura.

Scena seconda

Venere, suo Coro, e Parche.

VENERE

Odo per l'aria accenti

delle dive fatali,

liete scendono a noi da' cerchi ardenti,

numi, che de' mortali,

e la vita, e la morte

co' vostri stami ordite,

da' soggiorni immortali

che novelle arrecate a me gradite?

ATROPO

Chi tutto in cielo a suo poter dispone

a te diva ne invia.

VENERE

E che grand'opra il genitor m'impone?

ATROPO

Tutti i mostri d'abisso a crudo assalto

Pluto accampava, inver le stelle irato;

mal soffria l'orgoglioso

senza sposa restar, nume sprezzato.

Noi l'altero disdegno

placammo in parte, ed all'Olimpo ascese

il tartareo disegno

al sovrano signor femmo palese.

Ei destinata in sorte

gli avea Minerva, e per la stigia sponda

giurò costei di non voler consorte;

quindi l'eccelsa mente,

come i pensier col senno suo consiglia,

di Cerere la figlia

concede al crudo re del regno ardente!

È ben che in doppie mura

nelle trinacrie piagge altrui s'asconda,

pur degli ingegni tuoi mal fia sicura.

Vuol che fuor del Palagio, ov'è rinchiusa

nell'aperto la tragga a coglier fiori,

che 'l nume innamorato

impennando a' destrier di Flegetonte

rapido il volo, involeralla al prato.

VENERE

Proserpina gentil qual empio fato

tanta beltà soggetta

a giogo maritale al mio conforme!

Ite al fier che v'aspetta

dove infesta Acheronte,

dite che s'a venirne il corso affretta

vedrà s'ai suoi desir le voglie ho pronte.

(partono le parche)

Venere al duolo altrui presta provvedi,

e l'affanno, che 'l cielo a te prepara

trascurata che se' perché non vedi?

Che giova la bellezza, onde se' chiara

s'al più deforme dio l'ha data in sorte

la voglia altrui ne' tuoi desiri avara?

Non miri qual oltraggio a te s'apporte,

per un, ch'al foco i rozzi ferri affina

lasciando il bello Adone, e 'l dio più forte?

CORO

Bella dèa fuga le doglie,

che 'l ciel ti dà,

sai ch'Amor legge non ha,

ch'a suo senno e lega, e scioglie.

L'alme congiunge invano

laccio, che non serrò d'Amor la mano.

Scena terza

La prospettiva, e l'inferno.
Plutone, suo Coro, e Parche.

PLUTONE

Troppo lunga dimora

traggon le Parche in cielo,

e 'l mio furor s'avanza ad ora, ad ora.

Preparatevi pur crudeli schiere

se la novella è rea,

stragi a recar nelle stellanti sfere:

ma pur son giunte al fine;

or voi, ch'a me venite

apportate allegrezza, o sdegno a Dite?

ATROPO

Nuova bramata, e cara:

Giove a' gran merti tuoi

d'infinita beltà sposa prepara.

PLUTONE

Formidabil ruina

toglie il vostro venir nunzie gioconde:

ma chi sarà regina

dell'ampie, ond'io son re, sedi profonde.

ATROPO

Cerere è genitrice

della vergine bella.

PLUTONE

Oh quanto a me felice

giunge, o gradite dèe, l'alta novella;

ATROPO

Vanne dove Cariddi i legni assorbe,

sulle piagge feconde,

là 've la madre sua d'aurate spighe

cinge la fronte, il bel tesor s'asconde.

Quindi ratto lo fura, e non fia lenta

a trarlo fuor del suo natio soggiorno

ciprigna bella, alle tue prede intenta.

PLUTONE

Sorgano al carro avvinti

i più veloci mostri,

ed a volare accinti

adempian la bell'opra, e' desir nostri.

CORO DI NUMI INFERNALI

Se verrà

tra gli orror tanta beltà

meraviglie si vedranno,

che l'inferno ancor non sa.

Goderanno

tra la fiera crudeltà

quei, che gridano,

quei, che stridono,

che laggiù

sofferir non ponno più

tanto duolo, e tanto affanno.

Viene il carro, e Plutone salitovi sopra canta mentre va a rapir Proserpina.

PLUTONE

Amor che non puoi tu?

Dove non giungono,

dove non pungono,

quando non aprono

piaghe immortali

gli aurei tuoi strali?

E donde hai tu

tanta virtù?

Alla preda, alla preda,

alla preda gentil destrieri ardenti,

precorrete al volar gli augelli, e' venti.

Quanto diletto

m'aduni al petto;

come al pensier mi fingi,

come nel cor dipingi

la bella imago

di Proserpina mia, di cui son vago.

E donde hai tu

tanta virtù?

Alla preda, alla preda,

alla preda gentil destrieri ardenti

precorrete al volar gli augelli, e' venti.

Scena quarta

Si cangia la prospettiva e apparisce il palazzo di Cerere sopra un prato donde esce Proserpina con Venere, e suo Coro.
Proserpina, Venere, e suo Coro.

PROSERPINA

Con divieto sì stretto oggi m'avvinse

la genitrice mia perché non mova

il piè da queste mura,

ch'io non so qual pavento aspra sventura,

che dalle stelle ad ora, ad ora mi piova.

VENERE

Troppo rigido, e grave

fingi il materno affetto,

che tutto spira amor, tutto è diletto.

Va con il suo rigor pietà soave,

che sprezzata sovente

l'offesa sua non sente.

CORO DI VENERE

Vieni bella a coglier fiori

sovra i prati,

che odorati

rende Venere, e gli Amori;

ma rimira,

che d'Amor per te sospira

mostro rio, che si nasconde

sotto i fiori, e tra le fronde.

VENERE

Fanciulletta, che non miri

qual diletto

provi il petto,

che d'amor pianga, e sospiri.

Se 'l veleno

spargerassi nel tuo seno,

gusterai l'aurea saetta,

che ferisce, e 'l cor diletta.

CORO

Chiuse invan la genitrice

tua beltade;

quai contrade

cercherà l'egra, infelice!

Mille mura

non faran beltà sicura;

chi dall'alto il mondo vede

ti palesa all'altrui prede.

Scena quinta

Fugge Venere, e Coro; giunge Plutone a rapir Proserpina
Plutone, e Proserpina.

PROSERPINA

Ahimè soccorso, ahi lassa me soccorso,

Venere aita, o ciel cortese aita.

PLUTONE

(rapisce Proserpina)

Non dubitar mia vita.

Sciogliete l'ali o miei destrieri al corso.

(vola col carro)

Scena sesta

S'apre il cielo, e apparisce Giove con molti Numi celesti.
Giove, Diana, Mercurio, e coro di Dèi celesti.

GIOVE

La dèa, che cinge il crin di verde oliva,

ch'altra, che meditar gioia non sente,

per non piegare ad imenei la mente

giurò per l'onda della stigia riva.

Ma sposo tua sarà dèa delle selve

chi l'orgoglio del mar tra lidi affrena,

là su quei monti d'infinita arena

con lo stral piagherai squamose belve.

DIANA

Anch'io gran genitor candida, e pura

tra pudichi pensier la mente, e 'l core

serbar proposi, e 'l verginal candore

lungi d'ogni ombra, che 'l suo lume oscura.

Da mia tenera età quindi fui vaga,

non è pregio, ch'agguagli al suo gran merto,

questo è 'l bel varco a mie delizie aperto,

arridi a' voti miei, Padre, e t'appaga.

MERCURIO

Qual fu l'impero tuo disciolsi i vanni,

e de' ratti pensier precorsi il volo,

le dive, che godèan nel basso suolo

a questi rappellai superni scanni.

Giunsi ove d'altra fiamma acceso avvampa

chi regge a suo voler l'ampio oceano,

l'alte nozze proposi, e 'l dir fu vano,

ch'Anfitrite nel petto Amor gli stampa.

Scena settima

Venere, e' medesimi.

VENERE

Andai re delle sfere, ove celato

Cerere custodia l'amato pegno,

dal chiuso il trassi, e 'l dio del crudo regno

giunse qual vento, e lo rapio dal prato.

Nettuno ancor, che per amor languia,

ninfa seguendo a desir suoi nemica,

gode con lei, che la durezza antica

spogliò per opra di Cupido, e mia.

GIOVE

Poiché le voglie a novo amore ha volte

la ninfa, e per consorte il dio la chiede,

e contento è Pluton delle sue prede,

da' lacci d'imeneo le dèe sien sciolte.

Festeggi il ciel tra noi, festeggi il fondo

de' cupi abissi, e 'l dio del mar sull'onde,

fiume d'alta letizia in terra innonde,

e tutto goda a nostri gaudi il mondo.

CORO DI DÈI

Spargi tu per gli aurei calli

l'allegrezze tue più care,

e tra perle, e tra coralli

il signor dell'onde amare;

dove eterno il duol sospira

si sospenda il pianto, e l'ira,

ed in giubili sommerso

goda in un l'ampio universo.

Scena ottava

Marte, Vulcano, e medesimi.

MARTE

Padre del ciel, tra l'allegrezze io solo

ove lieto è ciascun resto dolente,

e pur nume son io chiaro, e possente

della sorella tua degno figliuolo.

Venere è già mia sposa, a me promessa

fu d'amor, che ben sai quanto in ciò vale,

ambo duo ne ferì con l'aureo strale,

ond'in foco, ed io mi sfaccio, ed essa.

GIOVE

Marte è già fermo, a' preghi suoi Giunone

ottenne Citerea per altro sposo,

né tu dovrai però fiero, orgoglioso

o di risse, o di noie esser cagione.

(si parte Giove)

CORO

Marte invitto, Marte fiero,

non turbar l'alto diletto,

smorza l'ira, ond'arde il petto,

frena l'animo guerriero.

(parte il Coro, e Vulcano partendo vien disfidato da Marte)

MARTE

Ferma, ferma Vulcan se le mie brame

liete non fian della gran dèa di Gnido,

turberò vostre gioie, or te disfido

a pugnar meco in singolar certame.

Se vincitor sovrasti, a te si dia

come Giove accennò, Venere in sorte,

s'io l'armi roterò di te più forte

com'ha promesso Amor Venere è mia.

VULCANO

Eleggi pur della battaglia il loco,

non mi spaventa il cieco tuo furore,

proverai qual avrà forza, e valore

quando pugnerà teco il dio del foco.

MARTE

Nella Sicilia tua discendo or ora;

ivi t'aspetterò presso al tuo monte.

VULCANO

Vanne pur, di seguir le voglie ho pronte,

ti giungerò, precorrerotti ancora.

Scena nona

Si serra il cielo ed apparisce in aria Cerere sul carro tirato da draghi, che va cercando la figliuola Proserpina.
Cerere.

CERERE

Proserpina gentil, pegno a me caro

dove più cercherò girando intorno,

infelice per me sorgesti o giorno,

che tutto il dolce mio rendesti amaro.

Dove se', dove se' cara mia spene,

qual furia, lassa me, qual mostro rio,

e te mi tolse, e teco in un rapio

tutte le mie delizie, ogni mio bene.

Quai sogni non turbarmi, e quai portenti

non predissero allor la mia sventura;

ma non so come a danno mio sicura

tenea, folle, i pensieri altrove intenti.

Ahi che quando gran duol sovrasta al core

dell'intelletto il lume in noi s'abbaglia,

sembra che d'ogni mal poco ne caglia

perché ne rechi poi pena maggiore.

Venere di sospir fabbra, e d'inganni,

che i primi errori alle donzelle insegni;

quali contro il mio parto ordisti ingegni,

onde, la vita mia colmi d'affanni.

Scena decima

S'apre la grotta di Vulcano.
Vulcano, e suo coro.

VULCANO

Or voi l'armi più fine

di durissime tempre a me recate

cari ministri a' miei servigi intenti:

oggi o saremo spenti,

o dal nostro valor vinto vedrete

chi doppia al mondo ognor guerre, e ruine.

Tre dunque, e tre più valorosi, e forti

vengan di ferro cinti al fiero agone,

perché 'l dio, che distrugge ogni ragione

non ardisca alla pugna aggiunger torti.

UN DEL CORO

Eccone qui siam pronti

a fiaccar l'alto orgoglioso

delle superbe fronti.

CORO

Non temere il fiero Marte,

che non ha se non furor,

cadrà vinto dal valor,

che la forza adopra, e l'arte.

Perditor

cederà,

giacerà

senza sposa e senza onor.

(ritornello di martelli)

Saggio dio, ch'al foco imperi

vesti l'armi, e prendi ardir,

recherai nuovi sospir

ove sdegni son più fieri.

Perditor

cederà,

giacerà

senza sposa e senza onor.

Scena undicesima

Appariscono due nuvole, una da man destra, e l'altra da sinistra, in una è il Coro di Venere in favor di Marte, nell'altra quel di Giunone per Vulcano.

(col medesimo ritornello rientrano nella grotta ad armarsi)

TUTTI DUE I CORI

(a vicenda)

Questo è il campo degli amanti,

che rivali,

che costanti

tratteran l'armi immortali,

palma altera

fia la diva

ch'ammirò l'ardente sfera

pargoletta in sulla riva

fuor de' flutti Citerea.

UN DEL CORO DI VENERE

Al glorioso agone ecco primiero

Marte il nume guerriero,

d'ardire, e d'armi cinto

generoso sfavilla a pugna accinto.

Vulcano e che farai

ch'inesperto rotar l'armi non sai?

(esce Vulcano con sei armati)

UN DEL CORO DI GIUNONE

Vienne di ferro, e di tue fiamme armato

fulminante Vulcano,

pugna, e renderai vano

l'orgoglioso desio di Marte irato.

Proverà quando avvampi

come struggano il tutto i tuoi gran lampi.

TUTTI DUE I CORI

(insieme)

Pugnate o sposi

numi famosi

di possa eguale, d'egual valore,

opri lo sdegno l'un, l'altro l'ardore.

All'armi, all'armi, all'armi, all'armi, all'armi.

Comincia la battaglia tra Vulcano e Marte, e poi si mischia tra tutti; dalla parte di Vulcano sono armi di fuoco, da quella di Marte armi di ferro.

Scena dodicesima

Mercurio, Giunone, e Venere.

MERCURIO

Prodi guerrieri a cruda pugna intenti

l'alto impero di Giove

vieta a voi l'armi di tant'ira ardenti.

Questo scettro di pace

al suon della mia lingua

l'aspre contese, e gravi sdegni estingua.

GIUNONE

Placa Marte il furore,

strano fora in mirar dell'armi il nume

giunto alla dèa d'Amore;

prender non dèe consorte

chi pugna, e ad ogn'or segue la morte.

Tranquilla pur, tranquilla

il cor turbato o figlio,

serena il torvo ciglio,

in cui l'eccidio altrui chiaro sfavilla.

VENERE

L'ostinata battaglia

lascia Marte a me caro,

della quiete del cielo oggi ti caglia.

Io te ne prego, e dono

ti farò grato sì, quant'io ti sono.

MARTE

Non senza alte ruine

dell'assalto crudel men lieto Giove

oggi vedrebbe il fine,

se non vietassi a me l'usate prove.

Or depongo a' tuoi preghi armi, e furore

diva, che del mio petto

o di sdegno, o d'amore

governi a voglia tua l'acceso affetto.

TUTTI DUE I CORI

(a vicenda)

Pace invitti, non più guerra,

gioia o numi, non più pena,

così vuol ch'il ciel serena,

e tra nubi irato il serra.

Pace invitti, non più guerra.

UN DEL CORO DI GIUNONE

Chi rota il ferro, e strugge

della pace i diletti,

e carco di dispetti

dagli angui di Megera i toschi fugge:

come fia che si stringa

in nodo marital con l'alma diva,

che dell'armi, e dell'ire odiosa, e schiva

con l'occhio, e con i vezzi i cor lusinga.

TUTTI DUE I CORI

Col dio d'ardore

la dèa d'Amore,

ALCUNI DEL CORO DI VENERE

Come col gioco

d'amor la cura,

così l'arsura

tempra del foco,

però dall'acque

Venere nacque.

TUTTI DUE I CORI

Col dio d'ardore

la dèa d'Amore.

ALCUNI DI TUTTI DUE I CORI

Spenta è l'ira, ond'ardèa il petto

di sì fervidi campioni:

d'altre risse ordir cagioni

mal potrà nuovo sospetto.

ALTRI

Come l'ombra al chiaro aspetto

d'aureo dì, che i rai disserra

nel profondo si risserra:

così fugga ogn'aspro affetto.

TUTTI

Pace invitti, non più guerra,

gioia o numi, non più pena,

così vuol ch'il ciel serena,

e tra nubi irato il serra.

Pace invitti, non più guerra.

Atto quinto
Scena prima

Tutta la scena divien mare, dal mezzo apparisce uno scoglio di coralli, e perle dove siede Nettuno, e Anfitrite, da ogni parte sorgono dèi, e Ninfe marine.
Nettuno, Anfitrite, Coro di Dèi marini.

NETTUNO

Oh come il petto di letizia immensa

arde tra l'onde mia bella Anfitrite,

mentre il sol di tue luci alme, e gradite

così benigni raggi a me dispensa!

ANFITRITE

Godi Nettuno, anch'io

a' tuoi diletti intenta

colmo d'alta allegrezza il seno mio.

Fui già d'Amor rubella,

ma or che son tua sposa

tutta son fatta alla tue voglie ancella.

Scena seconda

Imeneo, e medesimi.

IMENEO

(cantando vola dal cielo)

Il volo al mar la più serena, e pura

aura sospinga, ove Nettun m'attende,

poiché la ninfa sua fiamme gli accende,

che non può l'onda in lui temprar l'arsura.

NETTUNO

Ecco il dio, che di Persa orma, e corona

l'aurato crine, a noi spiega le piume.

Odi Anfitrite il canto, e mira il lume,

onde risplende il ciel vago, e risuona.

IMENEO

Fuor d'ogni noia gioisca il petto,

che sì lunga stagion tormento accolse,

e con dolci vicende ove si dolse,

più che 'l duolo non fu, cresca il diletto.

ALCUNI DEL CORO

Vieni pur caro Imeneo,

te sospira il dio del mare,

fa' più salde, e fa' più care

le fiamme, onde tra l'acque arder poteo.

ALTRI DEL CORO

Sì soave, sì gioconda

non è l'onda

alla bocca sitibonda,

che languisce,

che perisce

quando i sensi a viver più

non han forza, né virtù.

IMENEO

Regnator, che sull'acque innalzi il trono,

da fulgenti me n' volo eterni alberghi

a sparger ne' tuoi gaudi ogni mio dono.

Nobil nodo, e tenace

tra gli aurei lacci miei caro vi stringa;

piova ardor, questa face,

qual più dolce ad amor l'alme lusinga;

i tuoi desir giocondi, e ricompensi

ogni stilla di duolo,

versando di piacer pelaghi immensi.

NETTUNO

Gradisco i doni tuoi germe divino,

do grazie al re dell'Etra,

che lieto a secondar la voglia mia

di lassù, dove regge alto destino

prodigo di tuoi beni a me t'invia.

Deh ferma il piè tra noi,

orna le pompe mie co' pregi tuoi.

IMENEO

Farei teco dimora,

ma chi governa a suo voler gli abissi

il presto mio partir sospira ognora.

Non sì le rive sue Cocito infiamma,

come il foco d'Amor l'arde, e 'l divora.

E Proserpina sua per lui non sente

favilla ancor della mia face ardente.

NETTUNO

Va' d'Elicona abitator diletto,

fa' lieti d'Acheronte i mesti orrori,

e co' soavi ardori

alla gelata dèa scalda l'affetto.

(parte Imeneo)

E voi numi del mar, che i miei lamenti

sovente udiste, e del mio mal pietosi

vi doleste ancor voi de' miei tormenti.

Lieti meco, e festosi

coronati di perle, e di coralli

sovra l'onde guidate allegri balli.

Scherzo di Ninfe sopra delfini con Sirene.

TUTTI DEL CORO

Quanto soave, quanto gioconda

ride l'aria, ride l'onda

or che 'l mar di gioia innonda:

voi godete, voi gioite

gran Nettuno, ed Anfitrite.

ALCUNI DEL CORO

Care ninfe, ninfe belle,

che movete intorno il piè;

come grate,

come snelle vi girate.

Così vago in ciel non è

il danzar dell'auree stelle.

TUTTI DEL CORO

Quanto soave, quanto gioconda

ride l'aria, ride l'onda

or che 'l mar di gioia inonda:

voi godete, voi gioite

gran Nettuno, ed Anfitrite.

ALCUNI

Festeggiate voi delfini,

ch'Anfitrite sempre amò,

voi sirene

risonar fate l'arene,

l'onda, e 'l ciel quanto più può

di concenti pellegrini.

TUTTI DEL CORO

Quanto soave, quanto gioconda

ride l'aria, ride l'onda

or che 'l mar di gioia inonda:

voi godete, voi gioite

gran Nettuno, ed Anfitrite.

Ballo.

Sorgon dall'onde due cavalli marini, e tredici Tritoni, i quali dopo fatti vari salti, e giuochi su quei cavalli, ballano sopra uno scoglio.

Scena terza

Tutta la prospettiva mostra inferno.
Plutone, Proserpina, e coro di Numi infernali.

PLUTONE

Proserpina gentil serena il ciglio,

tra questi cupi orror vago risplenda

degli occhi il raggio, e renda

al volto scolorito il bel vermiglio.

Da' bando o bella a' pianti,

come ogni stigio nume a me s'inchina,

tal piegherassi al tuo cospetto avanti.

Dell'ampio mio reame, e soglio altero

reggerai dèa d'Averno, e mia consorte

formidabile impero,

dando col cenno tuo legge alla morte.

Tu del carcer tremendo,

che serra all'ombre inevitabil Fato

a tuo vole disserri il varco orrendo.

PROSERPINA

Avrei di marmo il core

se dal materno seno

verginella rapita al gran dolore

stringer potessi il freno.

Oh come, lassa me, come sovente

m'offre il pensier nel bel natio soggiorno.

Sconsolata, e piangente

la genitrice mia cercarmi intorno!

Scena quarta

Nel carro di Cerere, scende essa con Mercurio nell'inferno.
Cerere, e Mercurio.

CERERE

Tutto è fatal, pur che dal ciel discenda,

quanto ben, quanto mal ciascun riceve,

sofferenza gentil rende più lieve

sventura, che da noi non soffre ammenda.

PLUTONE

Odo soavi accenti

né so qual lingua all'armonia si scioglia.

CERERE

Prudenza è somma il moderar la voglia,

il voler quel, che forza a far n'astringe:

e se noia il pensiero a noi dipinge

col velo dell'oblio coprir la voglia.

PROSERPINA

Mia genitrice in me la pena amara

a consolar se n' viene,

non giunge ignota a me voce sì cara.

CERERE

Quando tranquilla in noi la mente apprende

ciò, che turba dell'alma il bel sereno,

qual fia cangiato in dolce ogni veleno,

nulla ne reca duol, nulla n'offende.

PLUTONE

Cerere godi pure, ecco tua figlia,

come il Fato dispose è mia consorte,

né di pena tu déi gravar le ciglia.

CERERE

Se mi spiacque, or mi piace, e non disdegno

ch'unisca il gran tonante

con Proserpina mia dio così degno.

E tu figlia a me cara

serena il bel sembiante,

ad esser diva, a regger numi impara.

PROSERPINA

Mi affliggea del tuo duolo,

e di star senza te madre soave,

or che ne giungi lieta

ogni noia consolo,

ogni pensier la vista tua m'acqueta.

MERCURIO

Re del tartareo fondo

messaggero del ciel qui movo il piede

a disvelar la legge,

onde Giove la sposa a te concede.

Che dentro a' regni tuoi teco or soggiorni,

or dove l'aria a' rai del sol s'indora

sua madre allegri, e 'l patrio tetto adorni:

così lieta egualmente

con vicenda gentil partendo i giorni

al materno desio giunga talora,

e più cara sovente

a dar nuovi diletti a te ritorni.

PLUTONE

Benché duro mi sia senza il tuo volto

viver breve momento

Proserpina mio ben, pur non consento,

ch'invano il tuo desir voli disciolto.

Scena quinta

Imeneo, e medesimi.

IMENEO

(scende dal cielo)

Oggi pur qualche conforto

tra gli acerbi lor tormenti,

sentiran l'alme dolenti,

che Stigie accoglie al doloroso porto,

CORO

Scendi Imeneo, t'aspettano

gli abitator dell'Erebo,

che l'allegrezza al gran Plutone affrettano.

IMENEO

Coppia immortal da miei legami unita

reggi lieta gli abissi,

e dove mai l'orror più largo aprissi

sparga la face mia luce gradita.

Nel cupo in voi del core

trapassi il lume, e 'l suo diletto apporte,

dono gentil del mio celeste ardore.

Né scioglia o spenga mai Fato, né Sorte

sì nobil foco, e nodo così forte.

PLUTONE

Desiato ne giungi

cortesissimo dio, ch'a noi discendi.

Soavi son le fiamme, onde n'accendi,

cari i lacci, onde noi leghi, e congiungi.

Mentre lieta a me suole

il vago sguardo suo volger sereno

la stella, che d'amor mi colma il seno,

non invidio all'Olimpo i rai del sole.

CORO DI NUMI INFERNALI

Godi Plutone, godi Proserpina

fatta regina de' regni lugubri,

e consorte al nostro re.

ALCUNI

Qui le furie non s'adirino,

tutti i numi insieme godano,

i lamenti oggi non s'odano,

i dogliosi non sospirino.

TUTTI

Godi Plutone, godi Proserpina

fatta regina de' regni lugubri,

e consorte al nostro re.

ALCUNI

Gusti i pomi, e beva Tantalo,

Ision dal giro sciolgasi,

del gran sasso oggi non dolgasi

chi sul monte indarno piantalo.

TUTTI

Godi Plutone, godi Proserpina

fatta regina de' regni lugubri,

e consorte al nostro re.

ALCUNI

Quanti al duolo altrui s'adoprano

al gran trono s'avvicinino,

alla nuova dèa s'inchinino,

tanto affetto a lei discoprano.

Vengono tre Furie, tre Gorgoni, tre Arpie, tre Sfingi per adorar Proserpina orribilmente scherzando.

TUTTI

Onoratela,

salutatela,

adoratela,

come il rege di quaggiù

più s'onora, o merta più.

Otto Centauri usciti di bocca d'una Chimera, e otto Diavoli vomitati in quattro palle dal can Cerbero fanno un mostruoso ballo.

CORO

Godete miseri

ridete flebili,

scherzate orribili

come si può.

Tra le miserie,

tra pianti, e gemiti

si sparga insolita

gioia, e mercé.

Qui dove corrono

fiumi di lagrime

torrenti inondino

d'alta pietà.

Risoni il Tartaro,

rimbombi l'Erebo,

Pluto, Proserpina

regina, e re.

Scena sesta

Diventa tutta la scena cielo aprendosi dalla destra, e dalla sinistra parte: in aria si vede una grandissima lontananza, e molti Numi che in aprirsi il cielo dalla parte di sopra cominciano a cantare.
Giove suo Coro, e Coro universale.

CORO UNIVERSALE

Di contenti un largo fiume

sparga il cielo,

senza nube, e senza velo

si discopra ogn'alto nume:

novo lume

vesta il giorno,

e spiegando l'auree piume

tanta gioia apporti intorno.

Imeneo, e molti Numi celesti vengono cantando innanzi a Giove, che segue il carro tirato da aquile.

Ecco giunge il gran tonante,

ch'ove lieto il guardo gira,

sparge doni, e gioia spira

novo sposo, e sommo amante.

GIOVE

(sopra il carro)

Lampeggi al mio gioir vago, e giocondo

de' più sereni rai l'empireo regno,

piovan le grazie mie senza ritegno,

e si colmi di beni il basso mondo.

Per gli aurati del ciel sonanti giri

di letizia sfavilli ogni pianeta,

e con vista laggiù benigna, e lieta

a pro d'ogni mortal la terra miri.

(intanto si scoprono quattro meravigliosi troni preparati agli sposi, e Giove sceso dal carro va a sedere nel suo)

TUTTI

Scintillate,

fiammeggiate

lumi eterni vaghi più,

che non fuste mai quassù.

Scena settima

Quattordici Ninfe di Giunone innanzi al carro di lei appariscono così cantando.

CORO DI NINFE

Vienne tu consorte a Giove

degli dèi nobil regina,

al cui cenno umil s'inchina

ciò, che in terra, e 'n ciel si move.

GIUNONE

(sul carro tirato da pavoni)

Per l'etereo di luce almo soggiorno

superbi alati i vaghi vanni aprite,

dove il mio trono di zaffiri adorno

alto risplende, i desir miei seguite.

Ivi n'attende il regnator superno

fatto a me nuovo sposo, ivi n'appresta

de' felici imenei la nobil festa

sparso delle sue pompe il giro eterno.

(Giunone scesa dal carro va a seder nel suo trono nella destra di Giove)

TUTTI

Scintillate,

fiammeggiate

lumi eterni vaghi più,

che non fuste mai quassù.

Scena ottava

Coro di Vulcano innanzi a lui, che va sul carro di fuoco tirato da leoni.

CORO DI VULCANO

Godi pur Vulcano ardente

già di venere marito,

che pugnar potesti ardito

col più fiero dio possente.

VULCANO

(sopra il suo carro)

Dopo la pugna perigliosa, e greve,

che incontro a Marte il braccio mio sostiene

Venere più gradita a me divenne,

mentre qual palma al mio valor si deve.

Così poi che procella ha scosso il mare

giunge il porto al nocchier tanto più caro,

ed alle labbra, che gustar l'amaro

vieppiù soave la dolcezza appare.

(egli intanto va a sedere nel suo trono)

TUTTI

Scintillate,

fiammeggiate

lumi eterni vaghi più,

che non fuste mai quassù.

Scena nona

Coro di Venere innanzi a lei, che va sul carro tirato da cigni.

CORO DI VENERE

Ecco vien la dèa d'Amore,

vaga sposa al dio del foco,

bella va tra 'l riso, e 'l gioco,

doppia fiamma, e nuovo ardore.

VENERE

(sul carro)

Dell'allegrezza altrui s'empia il mio petto,

il comune gioir lieto secondi,

scorra da Giove, e le mie noie inondi

fuor dell'uso immortal sommo diletto.

Fugga lungi il mio dolor,

rida in me,

come splende ogni beltà,

dèa del riso, e dèa d'Amor.

(Venere va a sedere nel suo trono)

TUTTI

Fugga lungi il mio dolor,

rida in me,

come splende ogni beltà,

dèa del riso, e dèa d'Amor.

IMENEO

Immortali consorti

fruite a prova in sì bel nodo uniti,

in sì bel foco accesi:

corran dolci, e graditi

secoli eterni a' cenni vostri intesi.

Più che mai quassù non suole

tra la gioia, e tra 'l diletto

cresca in voi l'acceso affetto

fin che d'aurei splendor s'adorna il sole.

GIOVE

Numi sovrani intenti a miei desiri,

alla letizia mia lieti, e festosi

movete in vari giri

sugli empirei sentier balli pomposi.

Luminose carole

traggan oltre l'usato

con le stelle, e con voi la luna, e 'l sole.

Voi Castore, e Polluce

sereni, e fiammeggianti

co' bei destrier di luce

percotete danzando i cerchi erranti,

s'odan tra voi più dolci i suoni, e canti.

In un medesimo tempo si fan tre balli; uno di Numi a cavallo, guidati da Castore, e Polluce innanzi a Giove; l'altro di Amorini sopra due nuvole in aria; il terzo nella parte più bassa del cielo, dove il Sole con dodici Segni, e la Luna con dodici Stelle danzano insieme.

Le Muse cantano.

CLIO

Da qualor trasse gli stami,

e legami

Imeneo sì chiari ordì?

Qual feo nodo, che ne' petti

così stretti,

d'alti numi i cori unì.

URANIA

Laccio stabile, e tenace

a gran pace

gli elementi in un legò:

ma più saldi nodi, e forti

gran consorti

il mio parto a voi serrò.

EUTERPE

Pria le sue catene eterne,

e superne

leggi il fato romperà,

sommi dèi che in voi si scioglia

quella voglia,

che felice il cor vi fa.

TALIA

Oh qual fiamma in voi s'apprese!

Qual v'accese

chiari sposi, Amore, e fé!

Vago dio, che in Elicona

hai corona

quanta forza il ciel ti diè!

MELPOMENE

Non sì tosto il sol produce

l'alma luce,

e l'ardor versa laggiù,

come in un, de' pregi suoi

sparse in voi

l'aurea face ogni virtù.

POLIMNIA

Stillan nettare, e soavi

son quei favi,

che beato il ciel sortì:

ma dolcezze in voi diffonde

più gioconde

caro ardor, che vi ferì.

ERATO

Che val Cinzia senza lume?

Che val fiume,

che tra sponde umor non ha?

Così perde i suoi splendori

tra gli ardori

d'Imeneo, steril beltà.

TERSICORE

Giunga fregi, e lampi al sole

vostra prole,

come il sol dà luce al dì.

Altri numi ammiri il mondo,

e giocondo

goda il ciel, che in voi fiorì.

CALLIOPE

L'altrui gaudio in un momento

più del vento

fugge, vola, e si disfà.

Ma letizia più sicura

tra voi dura

fin che vive eternità.

Tra questi balli, e canti si copre il cielo con una nuvola.

Fine del libretto.

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Locandina Prologo Scena unica Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Atto quarto Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Atto quinto Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona