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L'Orfeo

L'ORFEO

Dramma per musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Aurelio AURELI.
Musica di Antonio SARTORIO.

Prima esecuzione: 14 dicembre 1672, Venezia.


Interlocutori:

ORFEO figlio di Calliope, e d'Apollo

soprano

EURIDICE ninfa di Tracia moglie d'Orfeo

soprano

ARISTEO fratello d'Orfeo figlio d'Apollo, e della ninfa Coronide allevato da Bacco

soprano

AUTONOE figlia di Cadmo re di Tebe

soprano

CHIRONE dotto centauro

basso

ERCOLE discepolo di Chirone

basso

ACHILLE discepolo di Chirone

contralto

ESCULAPIO fratello d'Orfeo, e d'Aristeo addottrinato ne la medicina da Chirone

basso

ERINDA vecchia nutrice d'Aristeo

tenore

ORILLO giovanetto pastorello di Tracia

soprano

Deità

BACCO

basso

PLUTO

basso

TETIDE

soprano






Illustrissimo

...ed eccellentissimo signore, signore e padrone colendissimo.

Discepolto da le tombe di Tracia dovea risorger sotto il patrocinio di v.e. su le scene dell'Adria quell'Orfeo, che flagellando una lira, trar sapea da i canori tormenti d'una corda la dolcezza d'un canto, mentre nel glorioso stipite di v.e. campeggiando il leone, chi non sa esser proprio lo stillar ex forti dulcedo? e folgorandovi dentro una spada: io meglio non potea armarmi contro il tempo, che accoppiando il filo canoro d'un carme al tagliente filo d'un brando. E proprietà d'una porpora l'imprimer i rossori in chi s'accosta ai raggi del di lei riverbero; ma rammentandomi poscia, che nell'armonia d'un politico governo n'è v.e. in questo serenissimo cielo una intelligenza motrice, ben dovea sotto l'ombra luminosa del di lei ostro ricovrarsi quell'Orfeo, che con un'armonica dolcezza fu bastante ad inserir sensi ne' tronchi, e registrar leggi ne' sassi. E s'egli germe d'Apollo vantò già per genitore il nume de letterati, era ben anco di ragione rinascesse accolto da l'e.v. ch'è un fecondo Giove di minerve. Quindi è, che non fu sol dell'Egitto il trar pellegrini ammiratori a le regali soglie dei sapienti salomoni, quando su le sponde adriatiche inarca un mondo le ciglia per dar il varco a lo stupore in ammirando ne i palagi cornelii rinate le faconde carmene, e l'eloquenti polimmmie, che stancando la dorata tromba della Fama, più che con cento lingue ne parla di esse con una spada questa dea. E però sin da un tempo prevedendo gli spartani dover esser non men faconda d'una lingua una spada, archittetorono le spade in figura di lingue.

Arroti pur dunque su la mole d'una malevole Fortuna mordace Momo d'armi l'armi sue feritrici, che il mio Orfeo tra le famose pareti di v. e. (dove Pallade recisi i più fini allori ne compose eruditi serti a quelle fronti litterali) non paventerà il fulmine d'una lingua; e s'egli è vero, che da un lieve, e picciolo tributo può argomentarsi ciò che chiude di vasto un'animo ossequioso, cioè a dire ex ungue leonem, nulla può temere de' cinnici i latrati chi nel petto porta per cuore un leone.

Degnisi per tanto l'e. v. di accogliere con sereno ciglio sotto il di lei manto porporato il parto d'un cigno il più debole tra i canori di Pindo. E se tra i popoli pennuti dell'aere solo questi gloriasi d'una dolce morte cantando, sia mia gloria col canto del presente drama il poter sino al sepolcro rassegnarmi

di v. e. illustrissima

umilissimo devoto ed ossequiosissimo servo

Aurelio Aureli

Venezia li 14 dicembre 1672.

Argomento

Orfeo figlio di Calliope, e d'Apollo invaghitosi d'Euridice bellissima ninfa di Tracia l'ebbe per moglie. Di questa innamoratosi Aristeo fratello d'Orfeo tentò più volte, ma in vano la di lei costanza. Finalmente mentre ella un giorno con alquante ninfe sue amiche passaggiava per l'amenità d'un verde prato molestata da l'importunità d'Aristeo nel voler fuggirlo premé inavedutamente col piede fiera vipera dal cui morso velenoso mortalmente ferita esalò fra l'erbe l'anima in seno dell'ombre. Scese l'addolorato trace all'inferno per liberarla; e con l'armonia del suo canto, e col suono della sua lira placò le Furie di Flegetonte, ed ottenne da Pluto l'amata consorte; ma con tal condizione, che non dovesse mai rivolgersi a mirarla, se prima non era giunto fuor dal regno dell'ombre alla luce. Promise Orfeo d'osservar sì dura legge; ma vinto da l'affetto non puote trattenersi di mirarla, ed al primo guardo, che rivolse a Euridice gli fu questa dalle Furie rapita, e ricondotta in Averno. Pianse in vano la perdita della sua adorata consorte, e perduta la speranza di mai più riaverla tornò disperato alla luce del mondo con fermo proponimento di fuggire le donne per non mai più innamorarsi d'alcuna; e perché Aristeo fu marito d'Autonoe figlia di Cadmo re di Tebe,

si finge,

che Autonoe tradita ne gl'affetti da Aristeo, e penetrate le di lui nuove fiamme amorose verso Euridice, sdegnosa abbandoni il padre, e la reggia, e si porti sconosciuta in abito di zingara nel regno di Tracia per ritrovar il suo infido.

Che Chirone dotto centauro, qual insegnò la medicina ad Esculapio, ad Ercole l'astrologia, e la geometria, e la musica ad Achille, siasi dal monte Pelio della Tessaglia trasportato ad abitar ne le campagne di Tracia; averti cortese lettore, che l'autore di questo drama per maggiormente arrichirlo d'intreccio s'ha presa poetica licenza di commettere un condonabile anacronismo coll'unire Ercole con Achille in un tempo medesimo discepoli di Chirone.

E per darti succintamente ad intendere tutte le azioni del medesimo drama, nella sua tessitura vi scorgerai:

Nella persona d'Orfeo; un marito altrettanto geloso, quanto della moglie invaghito.

In Aristeo; un'amante appassionato, e pertinace, ma finalmente pentito.

In Euridice; una moglie affettuosa, e fedele.

In Autonoe; un'amante spiritosa, e costante.

In Chirone; un maestro di saggi documenti morali.

In Ercole; i generosi impulsi d'un'anima forte.

In Achille; i teneri affetti d'un nobile eroe.

In Esculapio; le rigidezze d'un filosofo.

In Erinda; l'amorose follie d'una vecchia.

In Orillo; la sagacità d'un giovane pastorello.

Il drama principia ne le nozze d'Orfeo con Euridice, e termina con l'arrivo di Tetide dèa del mare a le spiagge di Tracia, qual giunge a levar Achille suo figlio per condurlo all'isola di Sciro al re Diomede, dove in abito femminile tra le di lui figlie lo pose per preservarlo dalla morte, che gli minacciava il destino nella guerra di Troia.

Atto primo
Scena prima

Sala del palagio d'Orfeo illuminata in tempo di notte per le di lui nozze con Euridice.
Euridice, Orfeo, Esculapio, coro di Ninfe, di Cavalieri di Tracia, e d'Eunuchi.

Insieme

EURIDICE

Cara, e amabile catena

che mi stringe al mio tesoro.

ORFEO

Cara, e amabile catena

che m'unisce al ben ch'adoro.

ORFEO

Imeneo

fausto, e felice!

EURIDICE

Son d'Orfeo.

ORFEO

Io d'Euridice.

EURIDICE

Lieta godo.

ORFEO

Sì bel nodo

radolcisce ogni mia pena.

EURIDICE E ORFEO

Cara, e amabile catena.

ORFEO

Brilla il ciel, Tracia esulta, e gode il mondo

al mio gioir. Solo Esculapio solo

ne' suoi torbidi lumi

lieto il cor non dimostra.

ESCULAPIO

E che presumi?

Ch'io con ciglio sereno

applauda a le tue tede?

ORFEO

Sì.

ESCULAPIO

T'inganni.

Un principio d'affanni,

un ben, ch'a l'uomo è fonte d'aspri mali,

un diletto,ch'ha l'ali,

un piacer lusinghiero,

ch'in superficie tien poca dolcezza

non può infondermi in sen gioia, e allegrezza.

ORFEO

Filosofo severo.

ESCULAPIO

Scusami Orfeo: saggia virtù m'insegna

liberi accenti e se già mai tu credi,

che voci adulatrici

m'escan dal labbro, i sensi tuoi deludi.

ORFEO

Ferma 'l passo: ove vai?

ESCULAPIO

Torno a' miei studi.

So, che nodo sì acerbo

recar non può giorni di riso al core,

né sa donar lungo piacer la sorte:

mentre d'ogni consorte

il primo don con cui la sposa onora

è di perle, che son pianti d'Aurora.

(qui parte)

ORFEO

Non offuschino, o bella

accenti sì mordaci

il fulgido seren del tuo sembiante;

ch'il ben d'amor a intender poco vale

fisico avvezzo a conversar co'l male.

EURIDICE

Mio sole, mio nume

qual nova fenice

rinasco al tuo lume.

Adoro felice

i rai tuoi cocenti.

Ninfe danzate

festeggiate

a' miei contenti.

Scena seconda

Erinda, Orfeo, Euridice.

ERINDA

Aita,

soccorso,

correte.

Signore

perdi Aristeo, dal duol trafitto ei more.

ORFEO

Come? Cieli, che sento!

ERINDA

Da fiero svenimento

d'improviso assalito

par, ch'al suo mal rimedio alcun non giovi.

ORFEO

Esculapio si trovi.

La pietade, e l'affetto

al germano mi chiama. Idolo mio

qui resta il cor.

EURIDICE

Tu parti, o caro? Oh dio!

ORFEO

Luci belle non piangete

presto a voi ritornerò.

Qual farfalla volerò

a quel lume, onde m'ardete.

Luci belle non piangete

presto a voi ritornerò.

Scena terza

Euridice, Erinda.

EURIDICE

Da qual duolo improvviso

vive appresso Aristeo?

ERINDA

Par, che languendo

porti il misero in petto il cor diviso.

Notte, e giorno sospirar,

lacrimar,

chieder mercé,

dimmi tu che male egl'è?

EURIDICE

Già mai sentii simil tormento in me.

ERINDA

Dir, che s'arde in dolce ardor,

che s'ha 'l cor

lunge da sé;

dimmi tu che male egl'è?

EURIDICE

Io non t'intendo a fé.

ERINDA

Molto semplice sei.

EURIDICE

Del duol suo cura n'avran gli dèi.

Perché voli a l'idol mio

ratto il piè, come il pensier,

prestami i vanni o faretrato arcier.

Perché annodi in fede eterna

l'alma sua con questo cor

porgimi i lacci o pargoletto Amor.

Scena quarta

Erinda.

Arde per Euridice

l'infelice Aristeo:

ma quella non avvezza

a conversar ne l'amorose scole

o non l'intende, o pur capir no'l vuole.

S'io potessi ritornar

su 'l bel fior de gl'anni miei,

senza far alcun penar

contentar tutti vorrei:

va con l'età beltà fugace a volo,

si pente al fin d'aver goduto un solo.

Quando biondo era il mio crin

bella fui, ma semplicetta;

mi piaceva ogni zerbin,

ma facea la ritrosetta;

or, che nel sen accoglierei ciascuno

io prego altrui, ma non m'ascolta alcuno.

Scena quinta

Montuosa con bocca dell'antro di Chirone.
Autonoe in abito di zingara.

Ruscelletti, che sciogliete

qui d'intorno il piè d'argento

serpeggiando in dolce rio,

le mie lacrime accogliete,

mentre al vostro mormorio

vengo a unir il mio tormento.

Per l'infido Aristeo

lunge dal ciel natio

indovina mi fingo;

ma nel predir altrui sorte opportuna

provo barbara in me la mia fortuna.

Qual spirto dannato

raminga me n' vo

girando

cercando

chi'l cor mi piagò.

Ma de l'idolo mio

per queste vie romite

chi l'albergo m'adita? ove son io?

Antri scoprite ove il crudel s'asconde!

Ah che solo a mie voci Eco risponde!

Scena sesta

Orillo, Autonoe.

ORILLO

O care selve! o libertà gradita!

Pastor, ch'è povero

in vil ricovero

non teme insidie,

né desta invidie

nell'alme nobili:

tra cure ignobili

traggo felice una gioconda vita.

O care selve! o libertà gradita!

AUTONOE

Fortunato pastor, s'il ciel benigno

le tue gioie secondi.

ORILLO

Ahimè!

AUTONOE

Che temi?

ORILLO

Quest'abito m'è noto, e non mi quadra.

A le mandre pastori; è qui una ladra.

AUTONOE

Non paventar.

ORILLO

Sta' pur lontana.

AUTONOE

Amico

qual timor ti sovrasta?

ORILLO

So, che zingara sei: questo mi basta.

Scena settima

Ercole, Achille escono combattendo contro fiero cignale.
Autonoe, Orillo in disparte stanno ammirando il coraggio dei due giovani eroi.

ERCOLE E ACHILLE

S'atterri, s'ancida

con destra severa

la belva, ch'altera

a guerra ci sfida.

S'atterri, s'ancida.

(qui fugge il cignale ferito dal dardo di Alcide)

AUTONOE

Coraggioso valor.

ORILLO

Colpo d'eroe.

AUTONOE

Quei duo giovani fieri

dimmi chi sono?

ORILLO

L'uno,

che ne la destra armato ferro impugna

di Teti è figlio. L'altro,

l'altro che la fera trafisse

con saetta volante

è il gran germe d'Alcmena, e del Tonante.

(osservano Autonoe)

ACHILLE

Che bellezza!

ERCOLE

Che vaghezza!

ACHILLE

Che pupille!

ERCOLE

Saldo Achille.

ACHILLE

Mira Alcide

come ride

su quegl'occhi, la vivezza,

che bellezza!

AUTONOE

Invitti semidèi, deh se nel petto

pari al valor la cortesia nutrite

per questo pianto onde le guance aspergo

additatemi dove

sia del tracio cantor l'ignoto albergo.

ACHILLE

Che amoroso sembiante!

ERCOLE

Odi bella vagante

(se non isdegni) ove il tuo piè si porta

noi serviremo al tuo cammin di scorta.

AUTONOE

Tanto non chiedo.

ACHILLE

Io così voglio.

ORILLO

Intendo.

Ercole e Achille in breve

vogliono divenir, e con ragione

discepoli d'Amor, non di Chirone.

ACHILLE

Ma dimmi tu, che nel vestir ti vanti

predir le sorti altrui, sapesti mai,

ch'a i cor recar doveano, e lacci, e pene

quelle del tuo bel crin auree catene?

AUTONOE

Signor tu scherzi. Io ben so dir, che voi

stancar dovrete a immortal fama il volo,

e che da l'Austro al gelido Aquilone

ella dovrà con indorata tromba

eternar l'opre vostre, e i fiati suoi

v'ergeranno a le stelle illustri eroi.

Da le linee, che chiare

vi risplendono in fronte

veggo voi nati a glorïose imprese

per recider co 'l ferro e lauri, e palme.

ACHILLE

E tu nascesti a trionfare de l'alme.

ERCOLE

Andianne ovunque brami

ti scorgeremo.

AUTONOE

Il rifiutar gl'onori

è scortesia: le vostre grazie accetto.

ACHILLE

Che sembianze.

ERCOLE

Che brio!

ACHILLE

Che vago aspetto.

AUTONOE

Se la speme non m'inganna

godrò lieta un dì seren;

la fortuna mia tiranna

al fin placida divien.

Se la speme non m'inganna

godrò lieta un dì seren;

la fortuna mia tiranna

al fin placida divien.

Il suo verde sospirato

darà pace a questo cor;

con ristoro sì bramato

nutro l'anima nel sen.

Se la speme non m'inganna

godrò lieta un dì seren;

la fortuna mia tiranna

al fin placida divien.

Scena ottava

Orillo.

Oh che zingara astuta!

Fra i duo giovani forti ella è partita,

i semplici allettando

con racconti di fama, e d'alta gloria,

ma so qual fine avrà sì bella istoria.

Una guancia ch'è di rosa

è l'april d'ogni amator;

bella donna ch'è vezzosa

è la Circe d'ogni cor.

Vago labbro di rubino

è il tesoro d'ogni sen;

serve d'arco al dio bambino

ogni ciglio, ch'è seren.

Scena nona

Chirone, Orillo.

CHIRONE

Alcide! Achille Achille!

Dove mai tratti v'avete

o discepoli sfrenati?

Sempre d'arco,e strali armati

alle fere

più severe

mover guerra voi vorrete?

Ove siete alteri figli?

Incontrar sempre perigli

voi godete a mille, a mille.

Alcide! Achille! Achille.

ORILLO

Chirone indarno esclami,

Ercole, e Achille in vano or qui tu chiami.

CHIRONE

E dove sono!

ORILLO

Incatenati!

CHIRONE

Ahimè!

ORILLO

Da le trecce dorate

di scaltra e bella egizia, in suo trofeo

quella seco li ha tratti

alle mura d'Orfeo.

CHIRONE

Da femminil bellezza

vinto Achille, ed Alcide! Ah non son questi

di Chirone i precetti.

ORILLO

Deh scusali signor. Son giovanetti.

CHIRONE

È gioventude un'esca,

ch'a ogni piccol favilla

del focile d'amor tosto s'accende;

fulmina l'alme una beltà, che splende.

Ma qual sentiero, dimmi

calca il lor piede?

ORILLO

Il più vicin, che vedi.

CHIRONE

Scortami tu.

ORILLO

Teco verrò: ma sappi

ch'ho sol due piante, e ch'hai tu quattro piedi.

CHIRONE

Non vo', che Tetide

di me querelisi,

né Alcmena dolgasi,

ch'io troppo incauto

trascuri assistere

a la custodia

de' figli amabili;

non vo', che labili

né lacci inciampino

del dio Cupidine,

né ch'essi avampino

di rea libidine.

ORILLO

T'inganni a fè, se credi

con le tue rigidezze

che i duo giovani scaltri

non vogliano (e anco in breve)

amar vaga beltà come fan gl'altri.

CHIRONE

Chi ama non gode

un'ora di pace.

L'augello, che rode

Prometeo nel core

non è quanto amore

spietato, e vorace.

È folle chi segue

l'arciero bendato.

Alletta, ma inganna

con falsi diletti,

e stilla ne' petti

piacere fugace.

È folle chi segue

l'arciero bendato.

Alletta, ma inganna.

Scena decima

Stanza d'Aristeo.
Erinda, Aristeo.

ERINDA

Riedi riedi al riposo

figlio non ti stancar:

se brami risanar

il duolo tuo penoso,

figlio non ti stancar,

riedi, riedi al riposo.

ARISTEO

Sofferenza mio core,

vuol Cupido così.

Chi spergiuro tradì

prova l'ire d'amore.

Sofferenza mio core,

vuol Cupido così.

Son dovuti flagelli

ad un petto infedel.

Alma cruda di gel

merta pena d'ardore.

Sofferenza mio core.

Scusa Autonoe la fiamma

che nel mio sen per Euridice ascondo;

un raggio sol di que' bei lumi ardenti

qual portò a l'Asia una beltà rapita

recar potrebbe un nuovo incendio al mondo.

ERINDA

Signor a visitarti

giunge Esculapio.

ARISTEO

Venga.

S'avedrà, che non giova

per risanar d'amor le piage acerbe

o fisico valor, o virtù d'erbe.

Scena undecima

Esculapio, Aristeo, Erinda.

ESCULAPIO

Aristeo, che t'affligge?

ARISTEO

Un male intenso

ch'or in foco, or in gelo

fa cangiarmi ogni senso.

ESCULAPIO

Porgimi il braccio.

ARISTEO

Ah che del polso al moto

tu t'inganni, se credi

poter scoprir il mio tormento interno:

le Furie ho in petto, e porto un vivo inferno.

Ardo.

ESCULAPIO

Non più: t'intendo,

a le tue voci il male tuo comprendo.

Amor spietato arciere

nel core ti ferì.

Per risanar la piaga

convienti di godere

il bel, che t'invaghì.

Amor spietato arciere

nel core ti ferì.

Quest'è la medicina,

ch'ad ogni amante io do.

Per ammorzar l'ardore

è d'uopo aver vicina

la bella, ch'infiammò.

Quest'è la medicina,

ch'ad ogni amante io do.

(qui Esculapio parte)

ERINDA

Consolati Aristeo: vien Euridice.

ARISTEO

Alma mia che farai,

or, che lassa vedrai

la soave cagion de' tuoi tormenti?

Svelerai le tue fiamme, o tacerai?

Alma mia, che farai?

ERINDA

Io partirò: fa' core, a lei discopri

l'interna tua ferita;

va' con l'ardir felice sorte unita.

Amante non è,

chi chieder non sa.

Pregata beltà

non niega mercé.

Chi chieder non sa

amante non è.

Scena duodecima

Euridice, Aristeo.

EURIDICE

Riverito signor qual duol t'opprime?

ARISTEO

Un labbro, un occhio, e un crine

congiurati a' miei danni

sono i fieri tiranni,

che co'l viso, co'l guardo, e con catene

danno a l'anima mia tormenti, e pene.

EURIDICE

Dunque l'autor de le tue doglie è Amore?

ARISTEO

Quel nume, ch'è bambino

in petto mi destò foco gigante;

ardo: ma basta dir, ch'io vivo amante.

EURIDICE

Né puoi temprar questa tua fiamma?

ARISTEO

Il core

non prova altro ristoro,

che vagheggiar ogn'ora

sotto quella cortina

l'effigie di colei, che m'innamora.

EURIDICE

Lice vederla?

ARISTEO

E perché no? Vedrai

celeste idea, ne' cui begl'occhi ha il sole

divisi i suoi splendori,

e su le guance ha sparsi l'alba i fiori.

Scopri il ritratto.

(qui Euridice sorta in piedi leva la cortina pensando veder qualche vaga pittura; ma vede se stessa in un lucido specchio)

ARISTEO

Ti conturbi?

EURIDICE

(Intendo

i sensi d'Aristeo:

ma saggia nell'udirlo

fingerò non capirlo.)

ARISTEO

Deh contempla Euridice, osserva, o vaga

l'effigie di colei, ch'il sen m'impiaga.

EURIDICE

Meco scherzi signore:

quest'è uno specchio, e non ritratto.

ARISTEO

Eh mira,

se vuoi veder per chi 'l mio cor sospira.

EURIDICE

Lascia d'amar, se sospirar non vuoi.

ARISTEO

Complici del mio ardor son gli occhi tuoi.

Bella t'adoro.

Scena tredicesima

Orfeo, che sopraggiunge improviso, e si ferma in disparte, Aristeo, Euridice.

ORFEO

Cieli, ch'ascolto!

ARISTEO

M'arde il tuo volto,

sol per te moro,

bella t'adoro.

EURIDICE

Vivi, ch'io parto.

ARISTEO

Ferma.

EURIDICE

Che tenti?

Lasciami.

ARISTEO

Non sdegnar almen d'udirmi.

ORFEO

Scelerato german! Voglio scoprirmi.

Aristeo?

EURIDICE

Godi, o cor.

ARISTEO

Molesto arrivo.

ORFEO

Come ti senti?

ARISTEO

In mezzo al foco io vivo.

ORFEO

Sei pirausta? fenice! o salamandra!

ARISTEO

Son un mostro d'ardori:

una furia son io: fiamme, e ceraste

de l'inferno d'amor raccolte ho in seno.

Ogn'alito, ch'io spiro

è letale veleno;

e crederei

co' fiati miei

s'io più qui stassi

infettar l'aure e avvelenar i sassi.

(qui parte furioso)

ORFEO

Da delirio amoroso

agitato è Aristeo, ben lo comprendo.

Euridice saprà da qual bel crine

incatenato il di lui cor si trova.

EURIDICE

Io? Nulla so. Finger così mi giova.

ORFEO

Né penetrar potesti

l'idol, ch'adora?

EURIDICE

Ignota

m'è la cagion del suo amoroso foco.

ORFEO

Parti mio ben. Deh cangia stanze, e loco.

EURIDICE

Orfeo, ben'io m'avveggio,

che gelosia crudele

volò a pungerti il cor. Ti son fedele.

S'io t'amo cor mio

amore lo sa.

Quel dio pargoletto,

che spesso al tuo petto

stringendo mi va.

S'io t'amo cor mio

amore lo sa.

Non esser geloso

amato mio ben,

la fè, che giurai

a' vaghi tuoi rai

non manca nel sen.

Non esser geloso

amato mio ben.

Scena decimaquarta

Orfeo.

Chi geloso non è non vive amante.

So, che fido, e costante

è il mio vago tesoro

ma geloso son io perché l'adoro.

Cerco pace, e mi fa guerra

gelosia co'l dio d'amor.

Cinto l'un d'acceso telo

porta il foco, e l'altra il gelo

per far breccia in questo cor.

Cerco pace, e mi fa guerra

gelosia co'l dio d'amor.

La bellezza a far rapine

sino a Giove anco insegnò.

Non han freno accese voglie,

e più bella, ch'è la moglie

il sospetto anco è maggior.

Cerco pace, e mi fa guerra

gelosia co'l dio d'amor.

Scena decimaquinta

Campagna di primavera fiorita con maestoso palagio in prospettiva.
Autonoe, Ercole, Achille.

AUTONOE

Fu questo il fin della mia fè tradita:

del mio schernito amore

il perfido Aristeo fu il traditore.

Qual io mi sia saper a voi non caglia,

solo dirò, che sebben fato averso

di me si prende gioco, e si trastulla,

ebbi illustre il natal, nobil la culla.

ERCOLE

Quel nobile palagio

che torreggiar superbo

là poco lunge all'erbe in sen tu vedi

è d'Aristeo l'albergo.

Farò, che l'inumano

a tue piante prostrato

con anima pentita

resti trofeo di tua beltà tradita.

ACHILLE

Che pentimento! Alcide

grave offesa ricerca alta vendetta,

cadrà Aristeo per questa man trafitto,

e vedrà chi al suo petto

nel piagarlo vibrò colpo più fiero

o la destra d'Achille, o 'l nudo arciero.

AUTONOE

Tal barbarie non chiedo.

Viva Aristeo: de' miei traditi affetti

serbo ancora nel sen dolci faville.

ERCOLE

Scusa, o bella i suoi detti;

parlò come rival, non come Achille.

ACHILLE

Ti tradì?

AUTONOE

Mi schernì.

Fu il crudel Proteo di fé.

ACHILLE

Pera dunque l'infido: e se spergiuro

offese tua beltà

provi l'ira d'Achille: ei morirà.

Scena decimasesta

Autonoe, Ercole.

AUTONOE

Seguilo Alcide, arresta

gl'impeti suoi. Deh la tua forte destra

sia scudo (io così bramo)

al mio crudel, che se ben crudo io l'amo.

ERCOLE

Io d'Achille a lo sdegno

remora diverrò; farò, che torni

l'infido amante al tuo bel seno a unirsi,

e sia gloria d'Alcide

bella donna servir senza invaghirsi.

AUTONOE

Vanne: t'arrida il ciel. Io là t'aspetto.

ERCOLE

Bellezza, che strugge

baleno è, che fugge.

Sua pompa è di vetro,

e culla, e ferétro:

un fiato le dà:

e stolto chi pena per frale beltà.

Scena decimasettima

Euridice, Erinda, coro di Ninfe.

EURIDICE, ERINDA E CORO

Vaghi fiori

ameni prati

verde pompa

d'odorosa primavera,

freddo Borea co' suoi fiati

mai non soffi in voi procelle:

ma serene in ciel le stelle

vi risplendano, e cada

ad animarvi il sen dolce rugiada.

Scena decimaottava

Autonoe, Euridice, Erinda, Ninfe.

AUTONOE

Qual improviso lampo

di fulgide bellezze

tra questi fior le mie pupille abbaglia!

ERINDA

Questo campo fiorito

ninfe vezzose a' vostri scherzi arride.

A la bell'ombra amena

di quel platano spira aura felice:

o che dolce posar ivi Euridice.

AUTONOE

Euridice è colei!

Opportuna a mie brame

qui la trasser gli dèi.

ERINDA

Mira signora, osserva

qual zingara gentile a te s'appressa.

AUTONOE

Bella, se in petto hai brama

di sentir a predirti

gli eventi, e buoni, e rei, ch'in su la rota

per te deve girar Fortuna stolta,

stendi la destra, e i miei presagi ascolta.

EURIDICE

Che maestà sublime

splende in volto a costei! già, che ti vanti

esser de' casi altrui dotta presaga

d'udir in questo loco

le sorti mie da l'arte tua son vaga.

AUTONOE

Dei sette monti eretti

su la tua destra, ove degl'astri impresse

più d'un influsso il ciel, parlar non voglio:

né dirò quante, e quali

le linee principali

sian d'ogni mano: questa sol t'adito,

che dal minuto dito

verso il monte del sol lunga s'estende.

Questa, o bella ti rende

cara, e amabile a ogn'uno, e ben conosco

al vago tuo sembiante

che sospira per te più d'un amante.

EURIDICE

È ver; ma nel mio petto

un solo ha loco infra costanti ardori.

ERINDA

E il povero Aristeo starà di fuori.

AUTONOE

La vital, ch'intercisa

da più solchi è divisa

vita breve minaccia; e questo segno,

ch'il pollice riguarda è indizio espresso

di funesto successo,

che sovrasta al tuo bello.

Scusa il mio dir: con libertà favello.

EURIDICE

Segui: non mi sgomento.

ERINDA

O se le scopre,

ch'io servo di mezana ad Aristeo

spedita son, mi dà la morte Orfeo.

AUTONOE

In più remota parte

arcani più profondi

che potrian consolar forse il tuo petto

rivelarti prometto

bellissima Euridice

se una dama infelice

di sovvenir non sdegni.

EURIDICE

Ov'è costei?

AUTONOE

La scorgeranno a te gli ossequi miei.

EURIDICE

Ne la reggia t'attendo.

AUTONOE

A te m'inchino

ivi spiegherò meglio il tuo destino.

(è condotta da la vecchia a presagir le lor sorti alle ninfe)

EURIDICE

Non so dir chi vincerà;

la costanza del mio core,

o 'l destin col suo rigore

benché s'armi d'empietà.

Al suo stral resisterò

chiudo in petto un cor sì forte

ch'al colpir di cieca sorte

atterrato non cadrà.

Non so dir chi vincerà:

la costanza del mio core,

o 'l destin col suo rigore

benché s'armi d'empietà.

Scena decimanona

Aristeo, Achille, Autonoe, Erinda, Ninfe.

ARISTEO

Che rotta fé? che egizia? che promesse

sogni o giovane insano?

ACHILLE

Sì, che sei

un empio, un traditor.

AUTONOE

Che miro, o dèi!

ARISTEO

Io traditor? Tu menti.

ACHILLE

A le tue voci ardite

se Achille io son risponderò col ferro.

AUTONOE

Ferma signor, non toglier tu a l'iniquo

il fulmine del ciel, che gli sovrasta.

Tempra il furor.

ACHILLE

Ti cedo l'alma, e l'asta.

AUTONOE

Parto; ma ne la reggia

iniquo traditore

a tuo mal pro ne gli occhi

m'avrai crudel, se tu non m'hai nel core.

ACHILLE

Vivi ingrato, ma rendi

grazie umili a quel volto,

che ti diè vita, e con magia d'amore

mi legò 'l braccio, e a l'ira mia t'ha tolto.

Scena ventesima

Aristeo.

Numi, ciel che portenti

videro queste luci? Achille il forte

è quel giovane audace

ch'a me col ferro minacciò la morte!

Chi è colei che mi parlò?

E veloce, qual baleno

a miei lumi s'involò?

In quell'egizio aspetto

vidi Autonoe scolpita a mio dispetto.

Ma dove (oh dio) trascorri

stupida vaneggiando alma infelice?

Torno a te col pensier bella Euridice:

benché sospiri, ahi lasso!

per un'alma di gelo, e un cor di sasso.

Son amante, ma sfortunato,

di goder non ho speranza,

son Anteo ne la sembianza,

più, che sorgo in sperar son più atterrato.

Son amante, ma sfortunato.

Servo, e peno, ma senza frutto,

amo un idolo di sasso,

stanco invan le luci, e 'l passo

nel mirar, nel seguir chi m'ha piagato.

Son amante, ma sfortunato.

Scena ventesimaprima

Erinda, Ninfe.

ERINDA

Lieta amiche respiro: a fé credei

che quel giovane fiero

uccidesse Aristeo, ma la sua sorte

s'è fatta egizia, e l'ha involato a morte.

Belle ninfe non vi turbate,

non lasciate

di scherzar.

Preparatevi a formar

lieto ballo in grembo a' fiori:

a la danza ninfe, e pastori.

Segue il ballo di Pastori con le Ninfe.

Atto secondo
Scena prima

Cortile con logge.
Orfeo.

Sei morto al contento,

e vivo al dolore

o misero core.

Gelosi pensieri,

che l'alma turbate

da me v'involate,

o siate men fieri

nel darmi tormento.

O misero core

gelosi pensieri,

che l'alma turbate

da me v'involate.

Scena seconda

Esculapio, Orfeo.

ESCULAPIO

Anco Orfeo si querela?

Che t'affligge? Rispondi?

ORFEO

Oh dio col canto

movo le piante, e fermo il corso ai fiumi,

ma non poss'io su questi afflitti lumi

tragger la gioia, ed arrestar il pianto.

ESCULAPIO

E che t'induce a lacrimar?

ORFEO

Un'ombra

di sospetto mal nato, un ghiaccio, un fiele,

ch'amareggia il mio cor, né so che sia;

chi l'appella timor, chi gelosia.

ESCULAPIO

Non te 'l diss'io, ch'è d'Imeneo la face

fiamma infernal, che strugge a i cor la pace?

ORFEO

Pluto a l'alme col suo ardor

tante pene dar non sa,

tante rose april non ha,

quante spine io porto al cor.

Non mai Giove in ciel seren

tante stelle splender fé,

tante arene al mar non diè

quanti cruci io provo in sen.

Scena terza

Esculapio.

Misero Orfeo! sono i sospiri, e i pianti

alimento d'un cor, che s'innamora;

cieco amator non vive in pace un'ora.

Lunghe gioie non speri godere

core acceso di vaga beltà;

porta l'ali l'umano piacere,

e in petto a gli amanti far nido non sa.

Cieco infido, ch'alletta, e tradisce

folli amanti è 'l nume d'amor;

come lampo la gioia sparisce

e in seno al diletto fiorisce il dolor.

Scena quarta

Erinda, Esculapio.

ERINDA

Esculapio.

ESCULAPIO

Che brami?

ERINDA

Duo giovani bizzarri

chiedon di te.

ESCULAPIO

Questi chi sono?

ERINDA

L'uno,

che mi sembra il più scaltro

disse appellarsi Achille, e Alcide è l'altro.

ESCULAPIO

Amici così cari

giunti su questo suolo?

Con piè veloce ad incontrarli io volo.

ERINDA

Ma qual demone irsuto

seguito da un pastor qui volge il piede?

Come ha il petto lanoso, ispido il viso!

È Chirone il centauro, or lo raviso.

Scena quinta

Orillo, Chirone, Erinda

ORILLO

Signor con troppa fretta

il tuo piede galoppa;

a fè, che se più lungo

era il viaggio io ti saltavo in groppa.

CHIRONE

De i giovani sfrenati

qui avviso avrò.

ORILLO

Richiedasi a costei.

ERINDA

Quanto vago rassembra

quel gentil pastorello a gl'occhi miei.

Quell'aspetto amoroso il cor m'ancide.

ORILLO

Amica avresti a caso

qui d'intorno veduti Achille, e Alcide?

ERINDA

A questi alberghi appunto

son poc'anzi arrivati.

CHIRONE

Godo averli trovati.

ORILLO

Or concedi al tuo sdegno e tregua, e pace.

ERINDA

Più che miro quel volto ei più mi piace.

CHIRONE

Su queste soglie irato

a rintracciarli il passo omai rivolgo:

ben saprò s'io gli colgo

ammorzargli nel sen l'ardor mal nato.

S'un bel volto

ha le catene,

s'ogni amante vive in pene;

ben è stolto

chi fra i lacci di beltà

perde al cor la libertà.

Rio tiranno

è 'l cieco Amore,

ch'impiagar gode ogni core;

dolce inganno

de le luci è la beltà,

molte gioie, e pene dà.

Scena sesta

Erinda, Orillo.

ERINDA

Fermati: dove parti

vago pastor?

ORILLO

Che brami?

ERINDA

Sdegni forse, ch'Erinda a sé ti chiami?

ORILLO

Che ascolto! Erinda è questa

d'Aristeo la nutrice?

Ricca di gemme, e d'oro

so, ch'in corte è costei:

vo' lusingarla; forse

potria felicitar i giorni miei.

ERINDA

Che mormori tra te? dillo o vezzoso.

ORILLO

Fra quelle rughe incolte

bellezze estinte ammiro in te sepolte.

ERINDA

Se ben passati ho gl'anni

de la mia verde età

non provo al core affanni:

chi bella fu non perde mai beltà.

Giovanetta acquistai, canuta io dono,

già cento amai, d'un solo or paga io sono.

ORILLO

Io t'amerei, ma.

ERINDA

Che?

ORILLO

Povero d'oro son, ricco di fé.

ERINDA

Questa mi basta: prendi

questo dell'amor mio picciolo segno.

ORILLO

Amica io resto avvinto

da la tua cortesia:

con questo anello formi

amorosa catena all'alma mia.

ERINDA

M'è la sembianza tua molto gradita:

amami.

ORILLO

(a parte)

Il cor ti dono, o rimbambita!

Ma scusami, s'io parto:

devo altrove condurmi.

ERINDA

Quando a me tornerai?

ORILLO

Presto mio foco.

Insieme

ERINDA

Addio mio bene.

ORILLO

Addio mia gioia.

ORILLO

A fè va ben il gioco.

(accenna Orillo la gioia avuta in dono dalla vecchia, e parte beffeggiandola)

Scena settima

Erinda.

Non ho core

per mirar

vago volto,

e non l'amar.

Bench'io porti il crin d'argento

stringo in mano aureo talento,

che 'l diletto può comprar.

Non ho core

per mirar

vago volto,

e non l'amar.

Chi fu amante

in fresca età

senza vago

star non sa.

È d'amor lo stral gradito,

e quel cor, che vien ferito

par, che goda in sospirar.

Non ho core

per mirar

vago volto,

e non l'amar.

Scena ottava

Euridice, Autonoe.

EURIDICE

Nobil prole di Cadmo appieno intesi

l'amorosa tua fiamma. Or proverai

che può Euridice in radolcirti i guai.

AUTONOE

Per te non mai s'aggirino

gl'astri in cielo molesti,

né con influssi infesti

unqua a turbar i tuoi contenti aspirino.

EURIDICE

Non ti perder di speranza.

S'ha di marmo il cor, che chiude

la bellezza, che ti sprezza.

È virtude,

in amor salda costanza.

Non ti perder di speranza.

EURIDICE

Ma qui giunger io veggo

l'empio Aristeo. Vanne in disparte, lascia

ch'io favelli al crudel.

AUTONOE

Mercurio porga

al tuo labbro facondo alta virtute:

sta ne la lingua tua la mia salute.

Scena nona

Aristeo, Euridice. Autonoe in disparte. Orfeo, che sopraggiunge.

ARISTEO

Ecco il sol, che m'innamora.

O cara vaghezza,

o vaga bellezza,

che l'anima adora.

EURIDICE

Accostati Aristeo.

ARISTEO

Ti servo o bella.

Che fortuna?

(qui sopraggiunge Orfeo)

ORFEO

Euridice

sola con Aristeo? Ciel che favella?

(si ritira in disparte ad ascoltarla)

EURIDICE

Dimmi, dove apprendesti

ad accenderti o crudo, e a spegner poi

bambina in fasce del tuo amor la fiamma?

ARISTEO

Spento il mio ardor? ah più che mai m'infiamma.

EURIDICE

Eppur so, che tu amasti, e or più non ami.

ORFEO

E questa, o iniqua, fedeltà tu chiami?

ARISTEO

Io più non amo? Anzi gia mai nel core

com'or sentii d'amor le fiamme ardenti.

AUTONOE

Ah infedele tu menti.

EURIDICE

Dunque s'è ver, che avampi

godrai veder degl'occhi amati i lampi.

ARISTEO

Ardo, peno, e sospiro,

ma pur gioisco all'or quando gli miro.

EURIDICE

E se chi t'ama al seno tuo venisse

volontaria ad offrirsi, e che faresti?

ORFEO

Empia che ascolto!

ARISTEO

Innalzerei divoto

templi alla sorte, e voti al dio di Gnido.

EURIDICE

Chi t'adora è vicina.

(Orfeo reso impaziente a queste voci si scopre, e sdegnato passa innanzi Euridice minacciandola)

ORFEO

Vidi, e intesi abbastanza o core infido.

(a la comparsa d'Orfeo Aristeo si ritira, ed Euridice confusa chiama l'amato sposo, che parte adirato)

EURIDICE

Orfeo, mio ben, idolo mio, consorte.

ARISTEO

Cupido traditor!

AUTONOE

(in disparte)

Perfida sorte!

EURIDICE

Belle chiome, ch'il cor mi stringete

deh sciogliete

per pietade i duri lacci

tanto almeno, ch'io discacci

quel dolor, ch'in sen mi sta.

Son prigioniera,

e già dispera

l'alma uscir di servitù:

sì piangerò,

e soffrirò,

più costante di me alcun non fu.

Care luci, ch'il cor mi piagate

deh cessate

e lasciate di ferire,

che non posso più soffrire

così fiera crudeltà

già catenata

e imprigionata

e non vedo in voi pietà:

sì penerò,

e morirò

se contenta sarà vostra beltà.

Scena decima

Aristeo.

Remora a mie dolcezze

qui giunse Orfeo; ma più propizia sorte

spera incontrar questo mio sen ferito;

non sempre o cor tu resterai schernito.

Tu mi tradisti Amor;

mi mostrasti a cielo aperto

delle gioie il bel sereno,

ma quel lume m'ingannò.

La tua luce fu un baleno,

che in cometa si cangiò

per dar morte a questo cor.

Tu mi tradisti Amor.

Scena undecima

Autonoe, Aristeo.

AUTONOE

Ferma, arresta le piante

empio machinator di frodi accorte,

sacrilego, incostante,

perfido autor de' miei spietati affanni,

disleale amator, mostro d'inganni.

ARISTEO

E chi sei tu, che con sì audaci accenti,

e con l'aspetto or vieni

ad accrescermi in petto aspri tormenti?

Qual furia di'? da le tartaree soglie

qua ti condusse a radoppiarmi al core

l'alta cagion delle mie acerbe doglie?

AUTONOE

Chi son? perfido fingi?

Non ravisi colei, ch'un tempo in Tebe

adorasti, e tradisti?

Quel volto, cui spergiuro

il più bel fior dell'onor suo rapisti?

Chi son? non riconosci

Autonoe l'infelice?

Colei, che abbandonasti

per seguir Euridice?

ARISTEO

Tu Autonoe?

AUTONOE

Sì.

ARISTEO

Mi movi a riso.

AUTONOE

Ah iniquo!

ARISTEO

Finger convien. Tu di colui sei figlia

che cinge in Tebe aureo diadema al crine?

AUTONOE

E ciò mi chiedi!

ARISTEO

Ah zingara mendace!

In guisa tal non vanno sole erranti

le prencipesse amanti;

torna a quel ciel, che sotto zona ardente

ti riscaldò la culla. Parti, riedi

a la capanna, al bosco

bugiarda egizia, va': non ti conosco.

Scena duodecima

Autonoe.

È questa la mercede

spietato amor, che doni a un cor fedele?

Folle è ben chi ti segue arcier crudele,

io non so, che sperar più.

È tradita la mia fè,

e gradita più non è

la mia fida servitù.

Io non so, che sperar più.

Infelice è questo cor,

che in amor sorte non ha,

né spezzar i nodi sa

di sua dura schiavitù.

Io non so, che sperar più.

Scena decimaterza

Sala contigua a due gabinetti l'uno con vari stromenti musicali d'Orfeo. L'altro con la libreria d'Esculapio.
Esculapio, Ercole, Achille.

ESCULAPIO

Io vi stringo amici al petto.

ACHILLE E ERCOLE

Noi con l'alma t'abbracciamo.

ESCULAPIO

Qui Minerva ha 'l suo ricetto.

ACHILLE E ERCOLE

Ivi Apol posar vediamo.

ESCULAPIO

Ditemi o germi illustri? Ed a quai studi

in età sì fiorita

inoltrati vi siete?

ACHILLE

Io di quel nume,

che suol temprar a suon di lira i carmi

studio le note, e canto imprese, ed armi.

ESCULAPIO

E tu Alcide?

ERCOLE

Gl'arcani,

che con cifre di stelle il fato orrendo

stampa nel cielo a dispiegar apprendo.

ESCULAPIO

Eruditi sudori! Io ben son vago

d'udir al suon d'armoniose corde

come il suo canto il forte Achille accorde.

ACHILLE

A le tue brame ubbidiente io servo.

ERCOLE

Io d'Opi intanto il vasto seno osservo.

Ercole entra nel gabinetto della libreria, e si ferma a contemplar sopra un mappamondo il giro immenso della terra; Achille s'accosta verso la parte degli strumenti musicali ad un arpicordo, e suonando canta.

ACHILLE

Cupido fra le piante

al varco m'aspettò;

col crin d'un bel sembiante

mi prese, e mi legò;

e da chioma, ch'è bionda apprese amore

con sferze d'ambra a flagellarmi il core.

Avinta in aurei stami

contenta l'alma sta,

e da sì bei legami

di sciogliersi non sa;

la bellezza cui diedi il core in dono

i lacci porta, e il prigioniero io sono.

ESCULAPIO

Di tua canora voce

soave è il suon; ma con sì ardente affetto

canti d'amor, ch'io del tuo cor sospetto.

ACHILLE

(So che spirano foco i fiati miei,

bella egizia ove sei?)

ESCULAPIO

Ma tu co i lumi in questo globo affissi

Ercole, che contempli?

ERCOLE

Intento ammiro

dell'antica Cibele

le quattro parti, e di quest'orbe il giro.

Ma dimmi? E non è questa

l'Africa adusta?

ESCULAPIO

Sì, d'orridi mostri

fecondo ha 'l sen quell'arenosa terra.

ERCOLE

Saprà Alcide atterrarli in aspra guerra.

Che compassi? che sfere?

Quelle brame guerriere

celar non so, che nel mio sen nascondo.

Purgar di mostri il mondo

vedrassi Alcide, e con stupor eterno

sbranar leoni, e spopolar l'inferno.

ESCULAPIO

Del tuo cor l'alta audacia

fa a ciascuno palese

quante déi tu produr sublimi imprese.

Scena decimaquarta

Euridice seguita da Orfeo col ferro alla mano, Ercole, Achille, Esculapio.

EURIDICE

Aita.

(Ercole ferma Orfeo per un braccio)

ERCOLE

Orfeo t'arresta.

ORFEO

Sin colà ne gli abissi

ti seguirò.

ERCOLE

Qual furia

contro Euridice a incrudelir t'irrita?

ORFEO

Un giusto sdegno...

EURIDICE

Un van pensier...

Insieme

ORFEO

...mi rende

con ragion

fiero, e inclemente.

EURIDICE

...lo rende

a torto

fiero, e inclemente.

ORFEO

Mi tradì ne l'onor.

EURIDICE

Son innocente.

ORFEO

Dirai tu, che non t'ama

il lascivo Aristeo?

EURIDICE

Mi segue, è vero:

ma 'l timor menzognero,

che t'alberga nel sen t'ha 'l cor deluso;

fida ti son, il tuo sospetto accuso.

ORFEO

Negherai, che d'amori

non favellasti seco?

EURIDICE

Cent'occhi ha gelosia, ma tu sei cieco.

ORFEO

Fuggimi pur: del mio tradito onore

farò ben io crude vendette amare.

(parte)

ESCULAPIO

Deh meco vieni, e in tanto

cerca de' scorni tuoi prove più chiare.

ERCOLE

Mira come sdegnoso

parte da queste soglie, e furibondo

con disperato piè calca la via.

ACHILLE

Un inferno de l'alme è gelosia.

Scena decimaquinta

Autonoe in abito di principessa, Ercole, Achille.

AUTONOE

Nobili eroi.

ERCOLE

Che miro!

ACHILLE

O ciel che veggio!

AUTONOE

E chi di voi l'orme d'Orfeo m'adita?

ACHILLE

Da un'alma ingelosita

che vai cercando o tu, ch'agl'occhi miei

di bella egizia errante

in vaga citerea cangiata sei?

AUTONOE

Autonoe i son la figlia

del re tebano. Al trace ingelosito

svelar mi voglio, e i casi miei narrando

placar desio l'ingiusto suo furore.

ACHILLE

Per qual nobile fiamma arde il mio core!

ERCOLE

Con Esculapio unito

colui che cerchi uscì poc'anzi irato

da questi alberghi, e d'aspre furie armato

lasciò partendo impresse

orme di foco in questo regio suolo.

AUTONOE

Chi segue amor sta sempre in pianto, e in duolo.

ERCOLE

Prencipessa sovrana

rasserena il bel ciglio: un giorno ancora

vedrò sul tuo bel viso

amor dar tomba al pianto, e culla al riso.

AUTONOE

E come? s'Aristeo

con la fè rinegando anco l'affetto

non conoscermi finge, e quasi io fossi

medusa a gl'occhi suoi fugge 'l mio aspetto.

ACHILLE

Diasi morte al fellon.

AUTONOE

No Achille.

ACHILLE

E vuoi,

soffrir pietosa i tradimenti suoi?

AUTONOE

Sin che vive questo core

amerà chi lo tradì.

S'io son fatta amante,

s'io peno costante,

che far può quest'alma, se amor vuol così?

Sin che vive questo core

amerà chi lo tradì.

Sol di morte il freddo gelo

spegnerà l'ardor, ch'ho in sen.

Sì dolce è la fiamma,

ch'il petto m'infiamma

che struggermi io godo per chi mi ferì.

Sin che vive questo core

amerà chi lo tradì.

Scena decimasesta

Chirone, Ercole, Achille.

CHIRONE

Pur v'ho colti o lascivi, invan si porta

lunge dagl'occhi miei la druda accorta.

ERCOLE

Erri Chiron.

CHIRONE

Ciò che quest'occhio vide

osi negarmi effemminato Alcide.

ACHILLE

Sospetti invano.

CHIRONE

Chiudi

quel labbro impuro. Amor ti fugga, e l'orme

seguansi di Minerva, ite agli studi.

Porta il tempo al fianco l'ali,

a' mortali

in momenti i dì s'involano;

passan l'ore, e gl'anni volano.

Chi la virtù non segue in età verde,

se canuto la cerca il tempo perde.

ERCOLE

Ercole nel suo petto

fiamma d'amor non chiude:

saprò spezzando al nudo arcier gli strali

farmi scala a la gloria, e a la virtude.

CHIRONE

Di quel cieco la forza

tu non provasti ancor, ne l'antro omai

volgete il piè.

ERCOLE

Perché di Palla in vece

di Bellona non è questa la strada!

ACHILLE

Bella Autonoe ove sei?

ERCOLE

Dov'è una spada.

Scena decimasettima

Chirone.

Dai lacci di Cupido

torcer ben gli farò lunge le piante!

So l'insidie, e le reti,

che tende ai cori il faretrato infante.

Le dolcezze di Cupido

son veleni del mortal.

Gustar pensa

gioia immensa

chi sta in seno al caro bene;

ma si strugge in fiamme, e in pene,

chi d'amor prova lo stral.

Le dolcezze di Cupido

son veleni del mortal.

L'aria infetta d'un sembiante

i più forti cader fa.

Crine aurato

inanellato

forma i lacci ad ogni core;

co 'l fuggir si vince amore,

né legar può la beltà.

L'aria infetta d'un sembiante

i più forti cader fa.

Scena decimaottava

Erinda, Orillo.

ERINDA

Crudel tu m'abbandoni?

ORILLO

Alto comando

d'Orfeo mi chiama entro la selva.

ERINDA

E quando

mio ben ti rivedrò?

ORILLO

Più presto, che non pensi.

ERINDA

Intanto io languirò

tra pene, e crucci immensi.

ORILLO

Più bramato

ch'è l'amato

più gradito al cor si rende;

con la pratica incessante

fastidir suol ogni amante

le sue pene raccontando.

Visitar di quando in quando

basta il bel che l'alma accende.

Più bramato

ch'è l'amato

più gradito al cor si rende.

ERINDA

Vorrei sempre vederti.

ORILLO

A dio prepara

qualch'altro don se vuoi

renderti a me più cara.

ERINDA

Vanne, e affretta al ritorno i passi tuoi,

che proverai, che non è Erinda avara.

Scena decimanona

Erinda.

Doni chi vuol goder.

S'apre con chiave d'or

la porta d'ogni cor,

si compra ogni piacer,

doni chi vuol goder.

Pena chi nulla dà.

Poco giova il servir,

è fatta nel gioir

venale la beltà.

Pena chi nulla dà.

Scena ventesima

Selva irrigata da un ramo dell'Ebro.
Orfeo, Orillo.

ORFEO

Udisti, a la tua destra

sì grand'opra confido: ecco l'acciaro.

ORILLO

Ch'io dia morte a Euridice?

ORFEO

Sì.

ORILLO

Ch'io sveni

quel sen di latte?

ORFEO

Adempi

il mio voler.

ORILLO

E quando?

ORFEO

In questo giorno.

ORILLO

E dove?

ORFEO

Qui d'intorno;

a l'or che l'empia

tra queste piante a passeggiar se n' viene

fa', che quel ferro beva

quanto sangue l'iniqua ha nelle vene.

ORILLO

In che t'offese?

ORFEO

Temerario ardisci

chieder ragion de' miei comandi? o pronto

i miei cenni eseguisci,

o incontrerai ne l'ira mia la morte.

ORILLO

Maledetto quel dì, ch'io venni in corte,

tra queste piante ascoso

starò attendendo l'infelice al varco;

ma s'io non erro a giunger qui la vedo:

se l'uccido ho un gran cor, ma non lo credo.

Scena ventesimaprima

Euridice, Orillo tra le piante in disparte.

EURIDICE

Querce annose,

piante ombrose

mi vedeste un dì a scherzar,

or co 'l core addolorato

fatta scherzo d'empio fato

vengo a voi per lacrimar.

ORILLO

Pur mi è forza ubbidir, se fuggir voglio

d'Orfeo l'aspro rigore.

EURIDICE

Veggo Aristeo: lo fuggirò.

ORILLO

Su Orillo

stringi il ferro, fa' core.

(mentre Orillo vuole avventarsi contro Euridice per ferirla giunge frettoloso Aristeo nella selva per fermar Euridice; onde Orillo intimorito se ne fugge tornando fra le piante a celarsi)

Scena ventesimaseconda

Aristeo, Euridice, Orillo in disparte.

ARISTEO

Ferma bella cagion de' miei sospiri

l'alato piè.

EURIDICE

Deh parti

origine fatal de' miei martiri.

ARISTEO

Io corro a le catene, e mi rifiuti?

EURIDICE

Io sdegno d'ascoltarti, e mi molesti.

ARISTEO

Cruda sei.

EURIDICE

Tu importuno.

ARISTEO

Rapirò con la forza.

EURIDICE

E che?

ARISTEO

Le gioie,

che ad amorosi preghi

tu concedermi neghi.

EURIDICE

Temerario, arrogante

non mai più ardir di favellarmi indegno;

furia di questo cor, mostro d'Averno,

t'aborrirò, ti fuggirò in eterno.

ARISTEO

Ti seguirò s'anco il mio piè dovesse

scender per te sulla tartarea porta.

EURIDICE

Ahimè. Numi son morta.

M'uccide angue crudel,

mortifero venen

chiudi quest'occhi, io più luce non miro.

Orfeo, sposo, cor mio, l'anima spiro.

ARISTEO

Misero! oh dio che veggio!

Crudelissima sorte

tu far volesti insuperbir la morte,

co 'l darle un sì bel volto in suo trofeo.

ORILLO

Volo a narrar tutto il successo a Orfeo.

(qui le ninfe avvisate dall'altre compagne della morte d'Euridice compariscono tutte dolenti a levarla dalla selva)

Scena ventesimaterza

Aristeo.

Crudo serpe, che spietato

desti morte a l'innocenza.

S'io son reo, s'io solo ho errato,

sfoga in me la tua inclemenza.

Con quel dente, ond'hai rapita

l'alma al sen de la mia bella

vieni, e il core a me flagella,

che morendo avrò la vita.

Ma se alle voci mie

l'Erebo è sordo, e non m'ascolta il fato

saprà darsi la morte un disperato.

(mentre Aristeo s'incammina furioso per gittarsi nell'Ebro, comparisce Bacco nel mezzo della selva sopra un carro tirato da satiri, e corteggiato da alcuni baccanti)

Scena ventesimaquarta

Bacco, Aristeo, coro di Satiri, e Baccanti.

BACCO

Ferma Aristeo: che tenti?

Così quegli alimenti

ch'io ti prestai fra driadi in un sol punto

strugger procuri, e in pazze doglie avvolto

cerchi incontrar d'orrida morte il volto?

Vivi, e tempra nel sen le doglie acerbe.

Avrà da le sue ninfe

la tua bella defonta illustre tomba,

e d'Euridice il nome

la fama eternerà con aurea tromba.

ARISTEO

Inutili conforti

sona le voci tue nume fumoso

al mio foco amoroso:

condonami s'io parto

qui teco il duolo mio pace non trova,

alle piaghe d'amor, Bacco non giova.

BACCO

Se d'amore le ferite

risanar Bacco non sa,

il buon frutto della vite

a gl'amanti forze dà.

Su bevete,

su godete,

che bevendo,

che godendo,

mi direte chi val più

o lo strale di Cupido

o di Bacco la virtù.

Segue il ballo di Satiri, e di Baccanti.

Atto terzo
Scena prima

Resta la selva irrigata dall'Ebro.
Orfeo spogliato dell'abito regio con la lira in mano.

Sempre dolente

il sol nascente

mi vedrà.

Con voci meste

per le foreste

alte querele

spargendo andrò;

e piangerò

per l'infedele

empia beltà.

Sempre dolente

il sol nascente

mi vedrà.

Scena seconda

Orillo, Orfeo.

ORILLO

Signor.

ORFEO

Sì tosto amico

eseguisti i miei cenni?

ORILLO

Odi.

ORFEO

Intendo. Lavasti

nel sangue d'Euridice

le macchie del mio onor.

ORILLO

No.

ORFEO

Come?

ORILLO

Ascolta.

Mentr'io tra fronde ascoso

l'attendo al varco, ed al ferir m'accingo

giunge Aristeo, qual se le scopre amante.

Ella irata, e costante

da sé lo caccia lo minaccia, e 'l fugge;

ma nel fuggir, co 'l piede

cruda vipera preme, e questa offesa

col morso velenoso

mandò la bella entro del regno ombroso.

ORFEO

Che narri? o ciel!

ORILLO

Racconto, ciò, ch'io vidi.

ORFEO

Oh dio! non più, senza impiagar m'uccidi,

parti, involati, fuggi

da un disperato cor; e questo o numi

sia de' respiri miei l'ultimo giorno.

Vanne.

ORILLO

Contento alla capanna io torno.

Scena terza

Orfeo.

Scelerato Aristeo

t'ingoi l'abisso, e le spietate Erinni

al seno tuo s'avventino,

ed in eterno l'alma tua tormentino.

(qui Orfeo sedendo all'ombra d'un'altra quercia canta al suono della sua lira)

D'un amante, che sospira

dolce lira

i fiati accogli,

spiega o plettro i miei cordogli,

piante, sassi, augelli, e venti

ascoltate i miei lamenti.

Qui al canto d'Orfeo si muovo alcune piante, e compariscono varie fiere, ed animali ad ascoltarlo.

ORFEO

È morta Euridice:

mirar non mi lice

più i raggi del sol;

uccidami il duol.

Quest'alma dolente

nel baratro ardente

seguirla già vuol.

È morta Euridice:

mirar non mi lice

più i raggi del sol.

Sonno tu, che sopisci

i tormenti a' mortali

spiega placido l'ali

su queste luci, ed in perpetuo oblio

addormenta per sempre il duolo mio.

(qui Orfeo vinto dal duolo s'addormenta, e gli comparisce in sogno Euridice in ombra sopra l'ali di due fantasmi)

Scena quarta

Euridice in ombra, Orfeo che dorme.

EURIDICE

Orfeo tu dormi? E ne gl'abissi oscuri

lasci Euridice, e l'amor suo ti scordi?

Così a la lira il dolce canto accordi,

e dal regno infernal trarmi non curi?

Se desti pietà

ne' tronchi, e ne' sassi,

volgendo anco i passi

nel regno del pianto

là pur il tuo canto

pietà troverà,

risvegliati su

mio sposo diletto:

deh vieni t'aspetto

tra l'ombre laggiù.

ORFEO

Ferma Euridice. Oh dio!

sì tosto a me t'involi

adorato fantasma? idolo mio?

Ti seguirò fra l'ombre;

a dio fere, addio piante

io da voi parto, e disperato amante

spinto da cruccio interno

vo a tentar di pietade 'l crudo inferno.

Scena quinta

Erinda, Aristeo.

ERINDA

Cessa omai di lacrimar.

Per bellezza,

ch'è sepolta

è sciocchezza

il sospirar.

Cessa omai di lacrimar.

ARISTEO

Troppo caro

fu quel volto, che mi piagò,

anco estinto l'adorerò.

ERINDA

Questa o figlio è vanità.

Morto aspetto

non accende,

né diletto

all'uomo dà.

Questa o figlio è vanità.

ARISTEO

Se Cocito

m'ha rapito

la bellezza, che m'infiammò,

anco in ombra l'adorerò.

ERINDA

Cangia pensier: qui viene Autonoe: accogli

una viva bellezza,

che fedele ti segue, e non ti sprezza.

ARISTEO

Questo core ha finito d'amar.

Se all'occaso andò il mio sole,

l'alma mia non sa, né vuole

altra luce più adorar.

Questo core ha finito d'amar.

ERINDA

Ecco la bella. Amore

nuovo strale nel sen per lei ti scocchi.

ARISTEO

Venga: per non vederla io chiudo gli occhi.

Scena sesta

Autonoe, Aristeo, Erinda.

AUTONOE

Aristeo? mio crudel! deh se dal core

discacciasti il mio amor, mirami almeno

supplicante a' tuoi piedi idol sereno.

ARISTEO

Parti: in vano più speri,

che questo cor ne' lacci tuoi trabocchi;

vanne, per non mirarti io chiudo gl'occhi.

AUTONOE

A le ceneri fredde

dell'estinta Euridice empio vorrai

donar quel cor, che mio tesoro fu?

ARISTEO

Parti Autonoe deh parti,

non tormentarmi più.

AUTONOE

Rendimi scelerato

l'onor, che mi rapisti,

o quel cor, che tradisti

co 'l promesso imeneo rendi placato.

ARISTEO

Che imeneo? che rapito

onor ti sogni? volontarie gioie

in don mi concedesti,

e s'io godei tu più di me godesti

mentre con dolce usura

per ogni bacio tuo cento n'avesti.

(parte con modo sprezzante)

AUTONOE

Ah ingannator!

ERINDA

Non sai

quanto s'apprezzi a' nostri dì la frode?

Chi sa meglio ingannar merta la lode.

AUTONOE

Questa è la fè?

ERINDA

Che fede?

Ei giurò per godere;

nel cor de' giovanetti

tanto dura la fè, quanto il piacere.

AUTONOE

È questa la catena

con cui ti stringi al sen chi pur t'adora?

ERINDA

Se con le nozze ogn'ora

si dovesse pagar l'onor rapito,

quante donzelle son, ch'avrian marito!

Credi a me, che senza fede

son gli amanti d'oggi dì.

Non si pensa, che a tradir,

ogni core sa mentir,

in amor s'usa così.

Credi a me, che senza fede

son gli amanti d'oggi dì.

Scena settima

Autonoe.

Io sprezzata? io schernita?

Vilipesa, e tradita

soffrirà invendicata

offesa tal chi a stringer scettro è nata?

No, no: pera l'indegno,

e chi aborre 'l mio amor provi il mio sdegno.

Dammi amore

più d'un core

poiché un sol non è bastante

in un sen, ch'è reso amante

a capir pietà, e rigore.

Dammi amore

più d'un core.

Cangia nido

dio Cupido

vola altrove arcier bendato;

sdegna il cor più star piagato

per amante traditore.

Dammi amore

più d'un core.

Scena ottava

Esculapio, Orillo.

ESCULAPIO

Dov'è?

ORILLO

Qui lo lasciai.

ESCULAPIO

No 'l veggio.

ORILLO

Al fiero avviso

dell'estinta Euridice

chissà, che l'infelice

per eccesso di duol non s'abbi ucciso.

ESCULAPIO

Quanto semplice sei!

S'imeneo lo legò, l'ha sciolto il fato,

or felice è il suo stato;

anzi viver dovrà lieto, e non tristo,

ché perdita di moglie è un grande acquisto.

ORILLO

Signor per questa selva

rapido il passo io movo;

tanto m'aggirerò fin, ch'io lo trovo.

ESCULAPIO

Lacrimar perduta moglie

folli sposi è vanità;

quando il fato a voi la toglie

vi dà il ciel la libertà.

Lacrimar perduta moglie

folli sposi è vanità.

Ringraziate i dèi clementi

quando a morte ella ne va;

perché all'or fuor di tormenti

la fortuna uscir vi fa.

Lacrimar perduta moglie

folli sposi è vanità.

Scena nona

Antro dove Chirone ammaestra i suoi discepoli.
Chirone, Ercole, Achille, coro di Discepoli applicati a vari studi.

CHIRONE

Troppo diss'io perchè voi troppo opraste

giovani lascivetti, e senza freno.

Coronati di lauri, e non di mirti

bramo vedervi audaci

sol di Minerva, e non d'Amor seguaci.

ERCOLE

Chiron t'inganni. Io non son già qual pensi

schiavo d'un crin, né mi trafisse un guardo;

Ercole io son. Quel foco ond'io tutt'ardo

fiamma è di gloria, ed ho pensieri immensi.

ACHILLE

Può il nudo arcier ben cento piaghe, o mille

farmi nel cor, ch'io non ho sen di pietra:

ma vuoti pur in me la sua faretra

con alma invitta io sarò sempre Achille.

CHIRONE

Con troppo alteri vanti

folle garzon le glorie tue decanti.

Erri Achille, né t'avedi,

se tu credi

rintuzzar d'amor lo stral;

nulla val

forza, o ardir contro quel nudo;

sol la virtù contro i suoi dardi è scudo.

Scena decima

Orillo, Autonoe, Ercole, Achille.

ORILLO

Vieni, vieni signora: eccoti scorta

a l'antro di Chirone.

AUTONOE

Eroi sublimi

brama d'alta vendetta a voi mi porta.

ERCOLE

Autonoe qui! che miro!

ACHILLE

Adorate sembianze in voi respiro.

AUTONOE

Già quest'alma pentita

fuor dal seno ha sbandita

l'amorosa pietade, e tutta sdegno

contro Aristeo l'iniquo

ad implorar s'affretta

da la destra d'Achille alta vendetta.

ERCOLE

E d'Alcide a tuo pro sdegni l'impiego?

AUTONOE

Stimo 'l tuo merto, e 'l tuo valore onoro;

ma per far d'Aristeo barbaro scempio

basta un Achille a castigar un empio.

ACHILLE

Punir quell'indegno

Achille saprà;

trofeo del tuo sdegno

l'infido cadrà.

AUTONOE

Cor tradito consolati un dì,

vedrai lacerato

quell'empio, che ingrato

la tua fé schernì.

Cor tradito consolati un dì.

Scena undecima

Ercole.

A dio sfere a dio studi:

non ti sdegnar Chiron, s'io t'abbandono.

Chi giunger vuol d'immortal gloria al trono

per alpestre sentier convien, che sudi.

Ercole al mondo nacque

per domar d'empi mostri i fieri orgogli,

e non tra gli ozi a impallidir sui fogli.

Coraggio, e valor

fan scorta a l'imprese;

ne l'aspre contese

non pugna il timor.

Fan scorta a l'imprese

coraggio, e valor.

Scena duodecima

Chirone, Orillo.

CHIRONE

Tempo è di studio. Alcide? Achille: e dove

giraste il piede.

ORILLO

Io te 'l dirò: poc'anzi

giunta la bella egizia in questo loco

gl'ha costretti a seguirla a poco a poco.

CHIRONE

Stanco son' io

di correggerli più. Vadano pure

a consumar la lor fiorita etade

in amorose prove,

di lor cura n'avran Tetide e Giove.

ORILLO

Torno a la gregge. Io se gli audaci incontro

tralasciando l'armento

volerò ad avisarti in un momento.

Scena decimaterza

Chirone.

Di Cupido l'insegne

i duo giovani alteri

voglion seguir fatti d'amor guerrieri.

Giovanetti,

semplicetti!

Se vi tesse un crin la rete

se fra lacci star godete,

quest'è segno, che in amar,

siete pazzi da legar.

Forsennati,

innamorati!

Se credete ch'un bel viso

sia de l'alme il paradiso,

e vi possa il cor bear,

siete pazzi da legar.

Scena decimaquarta

Strada oltre la palude stigia vicina alla bocca dell'Averno.
Pluto sopra un carro tirato da un'Idra. Orfeo nell'inferno.

PLUTO

Orfeo vincesti. Il canto tuo sonoro

placò le Furie, e radolcì l'inferno;

tu ad onta puoi d'alto decreto eterno

piegar Pluto a tornarti il tuo tesoro.

Euridice sia tua, teco l'avrai;

ma con tal legge al seno tuo la rendo,

che tu mai non la miri, in sin che uscendo

dal regno mio, del sol non vedi i rai.

ORFEO

Dura legge severa

tartareo Giove a un amator prescrivi:

come rieder potrò lasso tra vivi

senza mai rimirar l'amato pegno,

se impetuoso amor non ha ritegno?

PLUTO

Questa è legge del fato: a te conviene

o gioir obedendo,

o penar trasgredendo,

esci dal nero abisso;

né rivolger le luci.

Già da l'ardenti soglie

Euridice ti segue.

L'innamorate voglie

con gran costanza affrena:

non la mirar.

ORFEO

Che pena!

Scena decimaquinta

Euridice, Orfeo.

EURIDICE

Numi che veggio! o caro sposo o caro!

Nel rimirar quell'adorato viso

questo tartareo albergo

per me si cangia in fortunato Eliso.

ORFEO

Euridice.

EURIDICE

Alma mia.

ORFEO

Dove o cara tu sei?

EURIDICE

Del tuo piè seguo l'orme.

ORFEO

O dio ti sento,

né ti posso mirar! ahi che tormento!

EURIDICE

Non ti volger caro bene

sin ch'il piè non ti conduce

dove il ciel con aurea luce

spira a' vivi aure serene.

Non ti volger caro bene.

ORFEO

Troppo fiero è il mio martire:

langue il cor in non vederti,

io vorrei pur compiacerti,

ma mi sento (oh dio) morire.

Troppo fiero è il mio martire.

EURIDICE

Lungi da Flegetonte

affretta i passi in arrivar lassù.

ORFEO

Mio ben non posso più.

(qui Orfeo si volge a mirar Euridice, e nel medesimo punto escono da più parti alquante furie, quali incatenando Euridice la riconducono all'inferno)

EURIDICE

Ah crudel! che facesti?

Orfeo tu mi perdesti.

(è ricondotta dalle furie in Averno)

Scena decimasesta

Orfeo.

Misero me! che oprai? dunque a un sol guardo

tanta pena si deve?

Chiuso ahimè di Cocito

miro l'orrido ingresso,

ed in vano m'appresso

a le soglie di Pluto

per più acquistar l'amato ben perduto.

Rendetemi Euridice ombre d'Averno;

o ne gl'ardenti chiostri

conducetemi o mostri

seco unito a penar in foco eterno.

Rendetemi Euridice ombre d'Averno.

Ma già, che restar deve

l'idolo mio sepolto

in quest'orrido loco,

seco vo' sepellir anco il mio foco.

Mai più stelle spietate

io m'innamorerò.

Acciò il mio cor stia sciolto

da i lacci d'un bel volto

donne vi fuggerò.

Mai più stelle spietate

io m'innamorerò.

Amor con il suo strale

il sen non m'aprirà.

Per non restar amante

a i raggi d'un sembiante

talpa mi renderò.

Mai più stelle spietate

io m'innamorerò.

Scena decimasettima

Spiaggia marittima di Tracia.
Achille, Autonoe.

ACHILLE

Bella Autonoe chi t'offese

perirà.

Ma se amor di te m'accese,

del mio ardor abbi pietà.

AUTONOE

Se la face di Cupido

t'infiammò,

se sarai costante, e fido,

forse amarti un dì potrò.

ACHILLE

Qui tra catene avvinto

per opra mia guidato

è il tuo infedel. Io mi ritiro: prendi

quest'asta, e coraggiosa

fè non prestando a sue lusinghe, o vezzi

vendica co 'l suo sangue i tuoi disprezzi.

Scena decimaottava

Autonoe, Aristeo incatenato, Erinda.

AUTONOE

Del mio tradito onore

pur nel tuo sen vendicherò l'offese

Aristeo traditore.

ARISTEO

Immergi Autonoe immergi

nelle viscere mie quel ferro acuto:

vibra il colpo, che tardi?

AUTONOE

(Oh dio vigore.)

D'ucciderti a ragion il core offeso

non ha contro il tuo sen io te 'l paleso.

Anima vil! da le lusinghe ancora

d'un traditor vincer ti lasci? Eh mora.

ERINDA

Ferma il colpo. Sì cruda

contro un volto sì vago? Eh fa', ch'io vegga

fra dolci abbracciamenti

le tue furie cangiarsi in pentimenti.

AUTONOE

L'ucciderò.

ARISTEO

Ferisci, e in questo petto

con quell'acciar la tua vendetta incidi.

ERINDA

Perdonali, perdona.

ARISTEO

Uccidi, uccidi.

Ma pria del mio morir porgimi o bella

quell'eburnea tua man: Lascia, ch'almeno

del promesso imeneo teco mi stringa

amorosa catena,

ch'io spergiuro non mora, e poi mi svena.

AUTONOE

Che sento! oh dèi! pentito

sei del tuo errore?

ARISTEO

Di morir sol bramo,

perché t'offesi.

ERINDA

E sciolto

ritornaresti a' tralasciati amori?

ARISTEO

Ravivo in seno i primi estinti ardori.

AUTONOE

Sciogli Erinda, deh sciogli

le funi al mio crudel.

ERINDA

Già l'ho predetto

in feminile petto

non regna crudeltà di tigre ircana,

ed ogni donna alfine

viva, e non morta vuol la carne umana.

AUTONOE

Mia vita.

ARISTEO

Mio ardore.

AUTONOE

Discaccio il tormento.

ARISTEO

Ravvivo la fé.

AUTONOE E ARISTEO

Nel regno d'Amore

un cor più contento

di questo non è.

Scena ultima

Achille, Tetide, Autonoe, Aristeo, Erinda.

ACHILLE

E questa è la vendetta,

che fai contro Aristeo!

AUTONOE

Cupido, e il fato

scusami Achille, han questo cor placato.

ACHILLE

Così premi spietata

l'amorosa mia fede?

È questa la mercede

che ottiene.

TETIDE

Achille? Achille? Ah non son queste

quelle onorate imprese,

che Proteo a me del tuo valor predisse.

In adorar di due pupille i rai

campion d'un volto, e non guerrier sarai.

ACHILLE

Mia dèa? mia genitrice

a qual fine giungesti a queste arene?

TETIDE

So, che destino acerbo

sotto d'Ilio superbo

minaccia all'ardir tuo mortal periglio,

ond'io pietosa a queste spiagge arrivo

per meco addurti, e preservarti o figlio.

ACHILLE

Io partir devo? ahi lasso!

TETIDE

Vieni Achille, e solca meco

di Nettuno i gorghi ondosi;

che se l'uomo nasce cieco

nel preveder il suo mal

sono i numi Arghi pietosi

in custodia del mortal.

AUTONOE

Vattene Achille, va'.

ACHILLE

Riverente a' tuoi cenni

algosa dea nella tua conca ascendo,

e teco unito il salso regno io fendo.

TETIDE

Numi ondosi festeggiate;

zeffiretti in mar spirate

aure dolci, e fiati lieti

sin che Teti

guida Achille ad altre sponde;

rida il ciel brilli il mar, scherzino l'onde.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 25/02/2017
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Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undecima Scena duodecima Scena tredicesima Scena decimaquarta Scena decimaquinta Scena decimasesta Scena decimasettima Scena decimaottava Scena decimanona Scena ventesima Scena ventesimaprima Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undecima Scena duodecima Scena decimaterza Scena decimaquarta Scena decimaquinta Scena decimasesta Scena decimasettima Scena decimaottava Scena decimanona Scena ventesima Scena ventesimaprima Scena ventesimaseconda Scena ventesimaterza Scena ventesimaquarta Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undecima Scena duodecima Scena decimaterza Scena decimaquarta Scena decimaquinta Scena decimasesta Scena decimasettima Scena decimaottava Scena ultima