www.librettidopera.it

Parisina

PARISINA

Tragedia lirica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

Da qui accedi alla versione estesa del libretto.
Da qui accedi alla versione in PDF del libretto.

Codice QR per arrivare a questa pagina:
QR code

Libretto di Gabriele D'ANNUNZIO.
Musica di Pietro MASCAGNI.

Prima esecuzione: 15 gennaio 1913, Milano.


Le persone della tragedia:

NICOLÒ D'ESTE

baritono

UGO d'Este

tenore

PARISINA Malatesta

soprano

STELLA DELL'ASSASSINO

mezzosoprano

ALDOBRANDINO RANGONE

basso

La figlia di Nicolò di Oppizi detta LA VERDE

mezzosoprano


Compagni, Sonatrici, Fanti, Garzoni, Cacciatori, Canattieri, Uomini d'arme, Incappati, Corsali, Monaci.



Atto primo
La villa estense nell'isola del Po

Per le sovrapposte logge del palagio appariscono le fanti e i garzoni ai telai, alle opere dell'ago, alle opere dei profumi, ai giochi, ai concerti, aggruppati e atteggiati come saran più tardi sotto il reggimento di Borso nei freschi di Schifanoia. Ciascuna piccola compagnia ha la sua foggia, il suo officio, la sua voce corale; e tutte per entro l'architettura aerea vivono quasi sciami in uno smisurato alveare. Nel barco estense - che si spande con i suoi vivai, con i suoi serbatoi, con le sue peschiere sino ai margini dell'isola - Ugo d'Este, il figlio del Marchese Nicolò III e di Stella de' Tolomei, si esercita al tiro della balestra insieme con uno stuolo di nobili suoi coetanei. Sovente egli sbaglia il segno e s'adira.
La Verde, una delle soprastanti, nella loggia intona i cori con un suo strambotto lamentoso. Ciascuna compagnia risponde a contrasto, con una forza crescente, sì che di risposta in risposta la tenzone delle voci inasprendosi nell'urto della rima iterata assume una veemenza selvaggia.

LA VERDE

Ohimè grido il mattino, ohimè la sera,

ohimè la notte, ohimè da mezzo giorno,

ohimè di verno, ohimè di primavera,

ohimè quando la state fa ritorno,

ohimè se il cor si strugge, ohimè se spera,

ohimè s'io poso, ohimè se vado a torno,

ohimè se dormo, ohimè da tutte l'ore,

ohimè pena, ohimè doglia, ohimè 'l mio core!

LA PRIMA COMPAGNIA

Gridate tutti, amanti, al foco al foco

al foco che mi strugge per amore,

correte tutti insieme al loco al loco

al loco dove brucia lo mio core.

LA SECONDA COMPAGNIA

La rocca ben fondata spacca spacca

con le bombarde se prender la vuoi;

il leone adirato stracca stracca,

ché in altro modo vincer non lo puoi.

LA TERZA COMPAGNIA

Amor grida al mio spirto: fora fora

fora da questo corpo, spazza spazza!

Amor grida più forte: mora mora!

Grida il crudel tiranno: ammazza ammazza!

LA QUARTA COMPAGNIA

Carne carne, ch'io sono a tradimento

d'amor ferito, correte correte!

Alla morte alla morte, ch'io son spento!

Arme arme, soccorrete soccorrete!

TUTTO IL CORO

La morte grida e dice: Viene viene!

A sacco a sacco, vendetta vendetta!

Rispondo e dico: Or ecco le mie vene.

Grida ella: Falce falce! Aspetta aspetta!

Ugo anco una volta sbaglia il segno. Impazientito, getta a terra la balestra. Aspro, rimbrotta gli Uguali. Di parola in parola la sua concitazione sale sino al furore.

UGO

Per madonna Ferrara

ogni colpo mi falla!

Non tien la mira la balestra. Alcuno

di voi, ah certo, m'ha falsato l'arme

per tristizia. Io lo so.

COMPAGNI

~ Che dici mai?

Be', togli questa!

~ Questa

che fu provata da maestro Fiore

il friolano.

~ Prendi la mia. Riprovati con questa.

~ Se alcuno ti falsò arco o teniere

o corda, eleggi quale sia meglio

e riprova.

~ Non arco, non teniere,

non corda, ma sì l'occhio a mira certa

e le gomita ferme

e salde le calcagna;

ché non vale quadrello d'ariento

a far il buon balestratore.

UGO

Ma

di ferro mi valga, Azzo, a configgerti

la lingua lunga al mento

et il mento alla strozza,

se non l'allonghi.

ALDOBRANDINO RANGONE

O mio

Ugo, perché t'adiri?

UGO

Alcuno ghigna?

Volete or dunque ch'io riprovi? Stanco

io son di balestrare a segno morto.

Volete voi combattere? Raccolgo

l'arme che mi falsaste,

e pur con questa io dico

che solo valgo contra tutti voi.

Balestrerò senza pavese e senza

giaco, e col capo

scoperto, e a tutta gola

cantando lo strambotto del macello.

«Menatemi al macel se far volete

cosa che piaccia al mio dannato core.»

ALDOBRANDINO RANGONE

Ugo, o Ugo, che follia t'acceca?

UGO

Attutar la follia di primavera

mi bisogna. Mangiato ho il miel selvaggio,

Aldobrandino, e perso

ho l'anima nei venti.

Con un atto fraterno Aldobrandino lo prende fra le sue braccia; mentre già al suo cenno i compagni attoniti o accigliati si ritraggono, scompariscono fra gli alberi. Dalle logge discende la ripresa del coro, ma con suono più lontano.

CORO DELLE FANTI E DEI GARZONI

Sapete perché grido guerra guerra?

Perché pace non trovo al mio languire.

Sapete perché grido serra serra?

Perché le porte non mi vole aprire...

ALDOBRANDINO RANGONE

Ugo, perché sei tanto corrucciato

senza cagione?

Quale angoscia ti stringe, che mi celi?

Di che male infermato

sei, che nascondi al fido fratel tuo?

Ora i giovani Balestratori cantano, verso il fiume, come a dispetto.

CORO DEI COMPAGNI

All'uomo d'arme trombetta trombetta

se vuoi che vada ben sotto la lancia.

Al saccomanno falcetta falcetta

se in campo non tien dritta la bilancia...

UGO

Sono infermo di gioia,

ti dico, fratel mio.

Odo il mio sangue

cantare come tutte le fontane

di Belfiore. Entro il petto

il cor vivo mi balza

come il cerbiatto che il mio padre insegue

nelle selve di Po.

Se di gioia si muore, lode a Dio,

io son prossimo a morte,

Aldobrandino.

ALDOBRANDINO RANGONE

Parli

come chi esca di senno o trasogni.

UGO

«Che foco è questo ch'arde e non consuma?

Che piaga è questa che sangue non getta?»

Mangiato ho il miel novello,

ti dico, Aldobrandino.

E voglia ho di cantare e di combattere.

«Chi m'ha dato quest'ale senza piuma?

Chi m'addimanda e chiama e non aspetta?»

Una Fante di Stella dell'Assassino appare furtiva tra la fronda. Cauta si accosta.

LA FANTE

O messer Ugo, messer Ugo, qui

presso è la vostra madre

madonna Stella.

Perdonato da voi mi sia. Condotta

io l'ho. Voi la vedete.

Subitamente la Tolomei si mostra come chi esca dall'agguato. La favorita di Nicolò d'Este, non più giovine, è ancor bella e possente. Ella si slancia verso il figlio con un'ansia impetuosa, e lo stringe fra le sue braccia. Egli le si abbandona, quasi divenuto fragile a un tratto, ridivenuto fanciullo.

Aldobrandino si ritrae, s'allontana.

STELLA DELL'ASSASSINO

O tristo, tristo, che per rivederti

debba la madre tua mettere agguati

dove la viperetta di Cesena

ha preso il luogo!

Sei tu prigione? o viperato sei?

Ugo, figlio mio dolce,

gli occhi hai pieni di lacrime! Che pianto

è questo?

UGO

Ah di dolcezza,

madre.

STELLA DELL'ASSASSINO

Smagrato

mi sembri, e fatto pallido;

e intorno agli occhi il cerchio degli insonni

hai, su le gote scarne;

e troppo t'arde l'alito

come se febbricassi, o bello e dolce

figlio. Che hai? Che hai?

Ah, non mi sbigottire.

Di che soffri, o mio bello e dolce figlio?

Di che t'angosci? Dimmi.

UGO

Non so, madre, non so.

Il cor m'è cieco, e ondeggia per un mare

pien di fragore e d'ombra. E sotto il vento

lagni raccolgo e doglia,

e rimpianto di ciò che fu perduto

per me, se bene

non mi sovvenga.

STELLA DELL'ASSASSINO

O fiore di mia vita,

che mai non diedi perché tu fiorissi?

Ti diedi col mio petto

la speranza del mondo e il novel tempo

e tutte l'allegrezze ch'ei rimena.

Mi feci come l'alba e la rugiada

per addolcirti.

Or sei diviso da me, sei reciso

da me, o fiore

della mia carne; e sol rimasta è in me

una radice amara

che non si può divellere. Ah, non soffri

per questo? Dimmi, dimmi.

UGO

Così m'avessi tu, madre, tenuto

in te chiuso, m'avessi

tu suggellato in te,

m'avessi fatto tuo

per sempre nel tuo sangue e nel tuo soffio;

e prima le tue braccia dato avessi

al taglio crudo, che lentar la stretta,

o madre!

STELLA DELL'ASSASSINO

Mio mio mio ti sento, o bello

e dolce figlio, mio

in me, risuggellato in me! Tu m'ami,

tu m'ami. Trista t'è la vita, dove

la mia nemica sul tuo viso spia

la mia vendetta...

(ansiosa, ella gli parla con l'alito nell'alito)

Dimmi,

ah dimmi: se tu m'ami, l'odi?

Smarrito, e tremante, il figlio muove le labbra quasi senza soffio.

UGO

Chi?

Chi, madre?

STELLA DELL'ASSASSINO

L'odi tu,

con tutte le tue vene?

UGO

Chi, madre?

STELLA DELL'ASSASSINO

Parisina Malatesta.

Egli rovescia indietro il capo.

Come ti sbianchi! Come il cor ti balza!

Ah, mio figlio verace! Tanto dunque

tu l'odi? Lascia ch'io t'ascolti il cuore.

Figlio, che cuor terribile t'ho fatto!

Suona come il brocchiere

percosso dal martello d'arme.

UGO

Sì,

madre, sì, per la lupa

della tua Siena!

Una forza terribile mi gonfia

il cuore come quando

la spada è tratta, la balestra è carica,

e la polvere della prima schiera

s'alza con l'ansia

della battaglia, e vampa

d'allegranza è la fronte

del feritore,

e in qualche luogo, in un cammin selvaggio,

per una ripa verde,

entro una fresca valle,

in qualche luogo solo

è la morte, e sul capo della morte

la ghirlanda del sonno.

STELLA DELL'ASSASSINO

Così combatterai

per la tua signoria

a che t'ho fatto, o figlio

di leonessa.

UGO

M'hai fatto per morire.

Se tu m'ascolti il petto,

odi il rombo rimoto.

Strano latte ti bevvi.

Quali erano i tuoi sogni

quando tu mi portavi?

STELLA DELL'ASSASSINO

Sogni di leonessa,

se protesa è la branca

non per morire ma per dar la morte.

Tanto non sai? Se vivere non vuoi

come tu vivi,

non osi tu guardare la vergogna

nostra e l'ammenda?

UGO

Ah, che vuoi dunque? Di': ch'io mi ribelli

al mio padre? ch'io tagli il nodo?

STELLA DELL'ASSASSINO

No.

Sofferitore sei. Sei paziente.

Ti curvi al giogo ruminando l'odio

come il vitello rumina il suo strame.

Ugo bastardo.

UGO

Hai il pungolo crudele,

madre.

STELLA DELL'ASSASSINO

Non hai più madre.

Hai la matrigna

che ti dà 'l pane e rigna.

E tu l'appaghi di menar la vita

del bastardello,

e i suoi cani di seguito tenerle

a guinzaglio, e portare al collo l'arpa;

ché maestro Domenico Calceda

per te le fece il cordoncin di seta...

UGO

Ah, leonessa, come mordi e strazi!

Forzi a follia

il folle. Brama

non ho se non di perdermi,

oggi. E meglio perire

m'è ch'esser a guinzaglio.

E sia laccio per laccio,

servaggio per servaggio,

peccato per peccato,

se mi bisogna abbeverar colei

che mi nudrì. Giungesti

in punto, in giorno propizio, giungesti.

Or ella è con le sue donne e la sua

arpa sul suo ginocchio

tien, forse; e canta.

E salgo, e le apparisco.

E, cacciatole in gola quella corda

di seta, onde m'irridi,

io te la traggo. Te la traggo ai piedi

ancora palpitante,

che tu la calchi, che le schiacci il capo...

STELLA DELL'ASSASSINO

Taci! Taci! Furor non giova, grido

non vale. Siimi cauto.

Non ti forzo a follia,

e non a perdimento.

Uopo non t'è di laccio, né di daga,

ma di silenzio

e di man lieve.

A sé lo trae, lo circonda. Egli chiude le palpebre sull'anima sua disperata.

Fatti più presso. Vieni sul mio petto.

Ti serro; in me ti chiudo; ti suggello

in me. T'ho nel mio sangue e nel mio soffio.

Ecco, ti porto ancora

io nell'amor mio solo,

che tu rinasca in me. Non tremare.

Dimmi: tu l'odi?

UGO

L'odio.

STELLA DELL'ASSASSINO

Non per te, non per me

v'è salute, finché viva. Lo sai?

UGO

Lo so.

STELLA DELL'ASSASSINO

Ma non tremare.

Far vuoi la mia vendetta?

UGO

Voglio.

STELLA DELL'ASSASSINO

Ma non col ferro.

Vendetta cauta.

M'ascolti?

UGO

Ascolto.

STELLA DELL'ASSASSINO

Se ti sovviene della morte lenta

d'Azzolino, ho la fiala... hai tu compreso?

UGO

Dammela.

STELLA DELL'ASSASSINO

Ma ti sfugge,

se tremi.

UGO

Dammela.

STELLA DELL'ASSASSINO

A stilla, a stilla,

accorto e cauto... Hai tu compreso?

UGO

Dammela.

STELLA DELL'ASSASSINO

A stilla, a stilla.

Risorge ora nella loggia il coro femminile, e gli sciami sembrano agitarsi per le arcate aeree.

CORO DELLE FANTI

Che foco è questo ch'arde e non consuma?

Che piaga è questa che sangue non getta?

Chi m'ha dato quest'ale senza piuma?

Chi m'addimanda e chiama e non aspetta?

Parisina Malatesta appare in cima alla scala seguita da una schiera di giovani Sonatrici che portano strumenti e intavolature, come nel trionfo di Venere sulla parete di Schifanoia.

UGO

È Parisina, è Parisina. Madre,

madre, odi. È Parisina.

Ecco viene. Ecco scende.

STELLA DELL'ASSASSINO

Ti dà terrore? Voce

hai di fuggiasco.

UGO

Non ti partirai?

STELLA DELL'ASSASSINO

No, non mi partirò.

Come le donne scorgono la senese, sbigottiscono; e in timore sussurrano intorno alla lor signora.

SONATRICI

~ O madonna, madonna,

scendere non vogliate!

~ Ritraetevi,

madonna, in grazia.

~ È la senese, quella

de' Tolomei, la madre di messere

Ugo.

~ N'avreste scorno.

Madonna.

~ Non vogliate seguitare!

~ È la senese. Ell'è.

Stella dell'Assassino,

bandita da messer Nicolò.

~ Agguatata e appostata v'ha, per certo.

~ Malvagia ell'è. Non iscendete, in grazia.

~ Meglio la spalla volgere, madonna.

Ma la madre di Ugo arditamete si fa a più della scala, e scaglia l'oltraggio.

STELLA DELL'ASSASSINO

O Parisina Malatesta, figlia

dell'Ordelassa, sangue

di rubatori, traditori e drude,

color di vita più non hai, né osi

fissar negli occhi miei gli occhi tuoi falsi;

ma non temere,

ché toccarti non degno.

Non io ti strapperò con le mie mani

alla soglia non tua

dove giungesti quando ti vendette

il tuo padre in Cesena

come schiavetta al giacitore d'Este;

e non nubile ancora

eri, troppo al mercato acerba! No,

l'anima perdere

non mi vale per sì vil sangue. Sopra

ti sta castigo più tremendo, più

che se tutte le spine della terra

io configgessi in te senza riposo.

E ti lascio il presagio nella bocca

come sete mortale

e polvere di fossa.

E t'impreco sul capo del mio figlio

che ti fa onta.

S'ode per il folto del parco il suono dei corni, il latrato delle mute, il grido dei canattieri. Nicolò d'Este ritorna dalla caccia d'oltre Po. Il clamore s'avvicina. Lanciata l'ultima imprecazione, la Tolomei si ritrae, scompare tra gli alberi con la Fante, per la via ond'è venuta. Fa l'atto di seguitarla il figlio, poi s'arresta, rimanendo in disparte; mentre Nicolò arriva col suo stuolo di Cacciatori che suonano e cantano. Bei cani accoppiati e bei cavalli bardati egli ha seco, come Borso sulla parete di Schifanoia sotto il segno dell'ariete. Sulla scala le donne sorreggono la figliuola di Lucrezia degli Ordelaffi, soffocata dalla vergogna e dal furore. La vede il marito e giocondamente la chiama.

CORO DEI CACCIATORI

Non dormite, o cacciatore,

ché la cerva s'è scoperta:

la ne vien qua tutta esperta

per mangiare erbette e fiore.

Non dormite, o cacciatore.

L'è sì pronta nel fuggire

che la pare un lionpardo:

non è veltro sì gagliardo

ch'a lei possa pervenire:

l'ha già fatto sbigottire

nelle selve più pastore.

Non dormite, o cacciatore.

NICOLÒ D'ESTE

Mia donna, quanta preda, quanta preda!

Di cervi e cavriuoli

noi caricammo un burchio a passar Po,

e pe 'l soverchio carico mettemmo

a rischio il legno che prendeva l'acqua

insino al tiemo;

e si vogava nel vermiglio. O Strozzo,

Braccio, recato sia

innanti il cervo di tredici palchi.

Dov'è Ugo?

Con tale aspetto il giovine s'avanza verso il padre, che questi a un tratto fiuta la bufera.

NICOLÒ D'ESTE

Or qual viso

fai tu figliuolo! E voi,

mia donna?

Lascia dietro di sé le Sonatrici Parisina, discendendo qualche grado.

PARISINA

Non io più

sono la donna vostra,

signore.

NICOLÒ D'ESTE

Or che v'accadde? Anco una volta

veniste a rissa? Chi la mosse prima?

Ditemi, donna.

PARISINA

Non più son la donna

vostra; ma son la schiava

di vil sangue venduta

da mio padre al piacer vostro, sicché

lecito è che qualsisia

delle passate vostre concubine

mi getti vituperio e mi minacci

di trascinarmi

per i capelli,

come schiava ch'io sono,

fuor delle vostre soglie...

NICOLÒ D'ESTE

Chi, chi mai

tanto s'ardì?

PARISINA

Stella de' Tolomei,

Stella dell'Assassino, la malvagia

femmina, la rabbiosa

lupa...

Irrompe Ugo a mozzarle sulle labbra l'ingiuria.

UGO

Ah serrate,

ah soffocate quella bocca, padre,

o io, se dio mi danna,

farò che taccia.

NICOLÒ D'ESTE

Me

dio danna, me percote,

che sempre mi travaglio

tra odio ed ira, tra rancura e furia

per careggiarti, per averti presso

il cor mio, per colmarti d'ogni dono

e d'ogni onore e d'ogni

carezza, mentre

ogni dì mi ti mostri più selvaggio...

La veemenza del giovine non ha più freno.

UGO

Ah, meglio in selva vivere che in questa

onta; meglio campar la vita in arme

alla ventura sotto una masnada

che in coppa d'oro tracannare il tossico;

e meglio anco morire a ghiado, in capo

di strada, stando a barre ed a serraglia

con la balestra

e con la stipa,

come bastardo ribelle...

NICOLÒ D'ESTE

Minacci?

UGO

La vita non mi vale

più che la pelle del cervo sbranato

dai tuoi cani. Mi parto

alla ventura; e solo

il cavallo ti prendo.

E ch'io m'imbatta nella morte, prima

che il sol novello fieda

gli occhi miei senza sonno!

Né più mi rivedrai vivo, né più

increscerò a quella che t'acconcia

il letto e figli

ti darà men selvaggi...

Subitamente Parisina scoppia in un gran pianto. Intorno al pianto si fa grave silenzio. S'ode nel silenzio venire dall'interno della loggia più lontana il canto attenuato.

CORO DELLE FANTI

Sapete perché grido guerra guerra?

Perché pace non trovo al mio languire.

Sapete perché grido serra serra?

Perché le porte non mi vole aprire...

Atto secondo
La santa casa di Loreto

Appare la casa di Nazareth, la semplice casa di Gioachino e di Anna, costrutta di pietre rossastre con una porta, con una finestra, con un focolare, con un altare, quella che nella notte di maggio gli angeli traslatarono sulle loro ali alla spiaggia di Schiavonia e nella notte di decembre all'opposta riva, alla marca di Ancona, entro la selva dei lauri. Per la porta spalancata si scorge brillare fra i torchi e le lampade la vergine nera, scolpita nel legno di cedro dalla mano di Luca evangelista coperta della preziosissima veste intessuta d'oro e di gemme. Le mura degli ospizi s'alzano dietro il santuario. Di là dal laureto splende il mare Adriatico.
In contro al recinto, ove i monaci e i sacerdoti ricevono le offerte, è spiegato il ricco padiglione della pellegrina di Ferrara, distinto delle Aquile e dei fiordalisi estensi. Presso il limitare del padiglione tre donzelle sedute, con sulle ginocchia gli organi portatili, suonano e cantano. Quivi è Parisina; e la figlia di Nicolò di Oppizi, La Verde, le acconcia i capelli.
S'approssima l'ora della Salutazione angelica, nel vespro di maggio. S'ode una cantilena di marinai. Le vele latine rosseggiano in mare. La cantilena del remo e della vela si mesce alle litanie degli Ospizi, alle laudi della chiericia.
L'aria, presso e lontano, arde tutta quanta melodiosa.

PRIMA DONZELLA

Ave Maria, grazia plena.

Teco è il signore.

Benedetta infra le donne

a tutte l'ore.

Benedetto il frutto e il fiore

del tuo ventre, Maria.

SECONDA DONZELLA

Ave, donna graziosa.

Quando a tal soglia

venne l'annunciatore,

favellasti in ardore:

sono ancilla del signore.

Come dici, così sia.

TERZA DONZELLA

Allor in te discese

il spirito santo.

Ma dir non si potria quanto

il tuo corpo oliva intanto,

se ole del tuo pianto

cielo e terra tuttavia.

Laus Virginis.

PRIMA DONZELLA, SECONDA DONZELLA E TERZA DONZELLA

O cunctarum

feminarum

decus atque gloria,

quam electam

et provectam

scimus super omnia;

virga Jesse,

spes oppressae

mentis et refugium,

decus mundi,

lux profundi,

domini sacrarium;

clemens audi

tuae laudi

quos instantes conspicis;

munda reos

et fac eos

nobis dignos coelicis.

La cantilena dei marinai.

MARINAI

Stella del mare,

aiuta aiuta!

Per costa e per altura,

a misura e battuta,

Maria, vergine pura,

tu voglici aitare.

Oh voga! Ponza!

Stella del mare,

attrezza attrezza,

alla vela alla vela!

Vergine benedetta,

vieni all'arbore in vetta,

vien presto e non tardare.

Oh issa! Borda!

Le Litanie lauretane.

MONACI

Sancta Maria, ora pro nobis.

Sancta dei genitrix,

sancta virgo virginum,

mater Christi,

mater divinae gratiae,

mater purissima,

mater castissima,

mater inviolata,

mater intemerata,

mater amabilis,

mater admirabilis,

mater creatoris,

mater salvatoris, ora pro nobis.

Parisina è seduta sotto il padiglione. La Verde l'acconcia e abbiglia. Nei cofani aperti brillano le robe e gli ornamenti.

PARISINA

Ahi, vergine Maria,

consolatrice degli afflitti, ahi me,

ahi che la notte s'avvicina!

LA VERDE

Dama,

di che voi vi lagnate?

PARISINA

O Verde, ora tu m'hai

a disfare le trecce

che m'acconciasti.

LA VERDE

Dama, perché mai?

PARISINA

Tonderle voglio et offerirle a nostra

donna per voto,

tonderle insino alla radice.

LA VERDE

Dama,

non farete voi questo.

PARISINA

Mi risveglio

la notte con la faccia divampata

entro i capegli sparsi

come fiamme; e l'odore

mi soffoca. Non più, non voglio più

che tu me li profumi, come fai,

insino ov'è 'l pensier mio nemico.

Ahi che la notte s'avvicina, vergine

clemente!

LA VERDE

Non ismaniate, dama:

o mai non finirò

d'acconciarvi.

PARISINA

Qual roba

mi metti? La più bella, la più bella,

quella di panno d'oro

fodrata d'armellini;

e il mantello fiamengo,

gli zoccoli d'argento,

e la rete, e la borsa, e il vel di Candia,

e tutte le collane al collo, tutti

alle dita gli anelli,

e la cintura

per cingermi più ricca, la più alta,

quella a perle e balasci; ch'io sia carica

di gioie, ch'io mi porti

addosso quel che m'è più caro.

LA VERDE

Dama,

quello che più v'è caro

voi non l'avete già ne' vostri cofani

ma nel cor chiuso; e non ho io la chiave.

PARISINA

Inginocchiati, copriti

il capo, e piangi.

LA VERDE

Ah non è tempo ancora

che in lacrime l'amor si cangi, dama.

PARISINA

Che nome hai nominato? Dio mi salvi.

Non hai vergogna?

Come La Verde è ginocchioni a servirla, ella si china e la prende per i capelli.

Con grazia ardita la donna acciuffata si volge, e lancia la frottola.

LA VERDE

Amor prese Vergogna per lo mento.

E, com'ei l'ebbe tocca,

ella si fece bianca. Sacramento

fu 'l bacio nella bocca.

Parisina ritrae lentamente la mano e socchiude le palpebre, come invasa da un subito languore.

PARISINA

Verde, appari gioiosa;

ma non so se tu tremi

quando indovini.

Lieve sembra il tuo cuore

come foglia novella.

Come tizzo il mio stride;

e tu sopra vi soffi.

In luogo di salute

esser può perdimento?

Ahi che la notte s'avvicina, ahi me,

porta del cielo!

Sono carica d'oro. Ave, Maria.

Son carica di gemme. Eccomi a te.

Son piena di mali.

A te m'offro, salute degli infermi.

Magnifica, si appresta ad escire dal padiglione la Marchesa di Ferrara. Al richiamo della Verde uno stuolo di Fanti accorre; e dinanzi alla signora stende i tappeti, perché ella vi cammini sugli alti zoccoli fino ai cancelli del santuario. Le tre donzelle riprendono la sequenza sugli organi. Giungono dagli ospizi le litanie lauretane. S'ode a quando a quando per la marina suono di buccine, e l'invocazione alla Stella del mare.

La cantilena dei marinai.

MARINAI

Stella del mare,

aiuta aiuta!

La sequenza delle tre Donzelle.

PRIMA DONZELLA, SECONDA DONZELLA E TERZA DONZELLA

Ave Maria, gratia plena.

Teco è il signore.

Benedetta infra le donne

a tutte l'ore.

Benedetto il frutto e il fiore

del tuo ventre, Maria.

Le litanie lauretane.

MONACI

Virgo prudentissima,

virgo veneranda,

virgo praedicanda,

virgo potens,

virgo clemens,

virgo fidelis,

speculum iustitiae,

vas spirituale,

vas honorabile,

vas insigne devotionis, ora pro nobis.

La cantilena dei marinai.

MARINAI

Stella del mare,

aiuta aiuta!

Parisina si avanza verso i cancelli, per la preghiera e per l'offerta. Di dietro i cancelli l'officiatore, assistito dagli accoliti, riceve i doni preziosi.

PARISINA

Bene morrò d'amore,

bene morrò d'amore

per te, mistica rosa, e pe 'l tuo figlio.

Per te aulente giglio,

morrò d'amore.

La pellegrina si toglie a una a una le sue gioie per offerirle. Poi si toglie la cintura, la vesta, il mantello, gli zoccoli; sì che rimane con una semplice tonacella di tabì bianco e con i calzaretti di tela d'argento.

Ecco la rete

de' miei capelli.

Di vigilanza io resti inghirlandata.

Ecco il mio velo.

Sul viso ignudo

io ricevo da te la tua rugiada.

Ecco le mie collane.

Ecco tutti gli anelli.

Ecco il mio manto,

che non ha stelle.

Della tua grazia

ammanta il mio dolore.

Ecco il mio cinto

che sì m'aggrava.

La mia fatica

fascia del tuo vigore.

Ecco il mio drappo

che brilla e opprime.

Sol porti io vestimento

di caritade.

Ecco mi tolgo

anco i calzari.

Bianca e scalza io cammini

per le tue strade.

Rimasta con la tonacella bianca, avendo compiuta l'offerta, ella si prostra col volto sino a terra. Le donne dietro di lei raccattano i tappeti per segno della sua umiliazione. Il suono delle buccine per la marina si fa più frequente e più aspro. S'ode il grido dei naviganti.

VOCI DI MARINAI

Aiuta aiuta!

Aiuta aiuta!

VOCI D'UOMINI D'ARMI

Este Este! Diamante, Diamante!

Un clamore d'assalto e di battaglia va crescendo su pe 'l laureto, e già supera i cantici sacri. Un subito sgomento invade le Donne e la Chiericia. Uomini giungono su per la selva, ansanti, e annunziano il pericolo.

VOCI SPARSE

~ I corsali, i corsali

di Schiavonia!

~ Serrate!

la chiostra!

~ Gli schiavoni! Gli schiavoni!

~ Abbarrate il tesoro!

~ Este Este! Diamante, Diamante!

Sopraggiunge Aldobrandino dei Rangoni, con la spada in pugno. Parisina lo scorge e chiama, accorrendo verso lui.

PARISINA

Aldobrandino! Aldobrandino! Dove

lasciaste Ugo?

ALDOBRANDINO RANGONE

Madonna, non temete,

non temete. Ei conduce

le scorte. È bene armato. Gli schiavoni

fanno la scorreria,

per rapinare la vergine nera.

Ei trascinano l'idolo di bronzo

tratto dal mare.

PARISINA

Quale idolo? Quale

idolo?

ALDOBRANDINO RANGONE

Non temete,

madonna.

PARISINA

Ugo dov'è?

ALDOBRANDINO RANGONE

Alla battaglia, alla battaglia. Ei vince.

Addio, madonna.

Dispare per la selva contrastata.

Il grido dei combattenti.

COMBATTENTI

Este este! Diamante, Diamante!

Sul santuario, sugli ospizi, sul laureto sul mare il vespro di maggio accende ed eccita i suoi fuochi.

Parisina, abbracciata alle sbarre dei cancelli, è perduta con gli occhi e con l'ansia nell'immagine di cedro che scintilla sotto le lampade numerose. Le più ardite fra le sue donne si sporgono dal crine dell'altura alle vedette.

FANTI

~ Spingono il carro su per l'erta, il carro dipinto.

~ È il carro dei piceni.

~ L'idolo

traballa.

~ Quante braccia! Quante braccia

contro le ruote!

~ Quante braccia rosse!

Il sangue cola. Il carro è rosso.

~ Quante

braccia! A colpi di spada,

a colpi d'azza le troncano, e pare

che rinascano sempre.

~ I pugni mozzi restano abbrancati

ai razzi delle ruote.

~ Ecco, ora l'idolo

s'abbatte!

~ È tutto verde,

di smalto gli occhi.

~ Gli occhi di smalto,

e d'ogni parte sembrano guatare.

~ È la Dimonia che dimora ai monti

della Sibilla

col cavalier dannato.

~ È quella che dimora in fondo al mare

e prendere si lascia dalle reti

dei pescatori.

~ E pontano,

e spingono.

~ Son venti braccia ancora.

Ecco, ecco, fanno sforzo.

~ Mozza! Mozza!

~ Taglia! Taglia!

~ Messer Ugo!

Messer Ugo!

~ Son sette,

son sette braccia rosse

che pontano; son cinque

uomini e sette braccia.

~ Tronca! Tronca!

~ Non è carne ma ferro.

~ E monta, e monta!

~ E l'idolo sta ritto!

~ Taglia! Taglia!

~ Non son che tre. Terribili,

tutti sangue.

~ Terribili,

pontano i moncherini.

Pontano l'ossa.

~ Este Este!

~ Messer Ugo!

Messer Ugo!

~ Non han più occhi sotto

la fronte. Con i denti

guatano! Hanno lo smalto

bianco della Dimonia

occhiuta nelle bocche disperate.

~ Son morti, morti sono,

e sforzano.

~ Son morti, e non stramazzano.

~ Eccoli in vetta! Eccoli

in vetta!

~ È l'idolo

che cammina coi piedi suoi di bronzo

sopra il macello!

~ Fuggi! Fuggi!

~ Scampa!

Le donne fuggono sbigottite. Il plaustro è giunto quasi in vetta, e s'arresta con le due ruote sul corpo traverso dell'ultimo caduto. Sui lauri curvati e schiantati l'idolo s'alza immobile contro i roghi consunti dell'orizzonte marino, in un cerchio irto di spuntoni, di mannaresi e di corsesche.

Le voci dei vittoriosi.

VOCI

Este Este! Diamante, Diamante!

Appare Ugo, con la faccia ardente, con la spada in pugno levata. Come Parisina lo scorge, fa l'atto di balzare verso di lui, ma si rattiene.

UGO

Vittoria! Sia laudata

la regina del cielo!

Abbiamo vinto.

PARISINA

Sano e salvo? Ferito

non siete? Molto sangue

è su voi.

UGO

No. Ferita

non sento. È il sangue dei corsali.

PARISINA

Grazie

rendiamo a dio signore,

grazie alla madre dell'iddio signore.

Ella prende per mano il suo figliastro e lo conduce ai cancelli del santuario. La chiericia intona l'antifona.

UGO

A te, torre d'avorio,

consacro la mia spada sanguinosa.

Aprono gli accoliti i cancelli perché il difensore e la donatrice possano prostrarsi alla soglia della santa casa. L'uno e l'altra si tengono tuttavia per mano; e in tale atto s'inginocchiano, reggendo egli nella destra, con la punta in alto, la spada votiva.

Antiphona.

SACERDOTE

Salve, regina, mater misericordiae,

vita, dulcedo, et spes nostra, salve.

Ad te clamamus...

Il Sacerdote fa il segno di benedizione sui prostrati, e riceve l'offerta del ferro.

Ugo e Parisina di levano, ambedue impalliditi. Ella abbraccia il suo figliastro e lo bacia sulla gota. Nell'abbraccio, la tonacella bianca si macchia di sangue contro il corsaletto; ma niuno dei due se n'avvede. Tenendosi per mano si volgono, ripassano i cancelli, camminano come in sogno verso il padiglione.

LA VERDE

Dama, chi v'ha piagata?

Una macchia di sangue

avete in mezzo al petto.

O vergine Maria!

Entrambi sussultano come in subito risveglio.

PARISINA

Verde, t'abbagli?

LA VERDE

Avete in mezzo al petto

una macchia vermiglia.

Ferita siete. Dama? O Gesù Cristo!

Parisina, smarrita, piega gli occhi a guardare, e vi cerca la piaga nel petto con le mani. Poi tenta di sorridere.

PARISINA

Ugo, m'avete insanguinata.

LA VERDE

Ohimè!

Messer Ugo, vi gronda

sangue dal collo

e ne' capegli vi s'aggruma.

PARISINA

Ah, dove? dove?

Ella gli solleva i capelli di sulla nuca.

È vero. Tagliato

siete.

UGO

Non duole.

LA VERDE

È come

intacco di mannaia

quando la man del giustiziero trema

e il colpo falla.

PARISINA

Dio ci aiuti! Esperta

sei del ceppo? Vogliate qui sedere

che medicarvi io possa.

O Verde, porta l'acqua e i pannilini,

e una pezzuola d'unguento. Vedrete

che bene medicarvi

saprò, così che quando

tornato siate

al vostro padre

non pur si scorga

la cicatrice.

In mal luogo vi colse

il colpo, in mortal luogo; e fu ventura

grande che via passasse...

Or che saria di Parisina?

UGO

Or voi

composto m'avereste nella bara,

poi, legata la cassa in sul giumento,

ricondotto laggiù per la via lunga,

accompagnato fra le dolci cose

di primavera;

e io, per mezzo all'assi,

per mezzo alla mia coltre, ahimè, non più

non più v'avrei veduta con questi occhi!

Sol tal pensiero

m'era nel cuore mentre combattevo,

e tanto erami forte che sol esso,

sol esso e non il ferro,

parava alla mia vita

ogni colpo mortale. Diamante,

gridavano le scorte. Diamante!

E tutta in un pensiero

adamantina era la vita mia.

PARISINA

Ah, signore mio figlio, già m'avete

voi maculata,

m'avete insanguinata

a mezzo il petto. Ora perché volete

ardermi?

UGO

Figlio

mi dite! Figlio della primavera

giovinetta or son io dunque a prodigio?

PARISINA

Non potrò più toccarvi, né sanarvi,

ahimè, figlio ferito!

UGO

Chi sanerà la fiamma?

E che giova stagnare alcuna goccia,

se il cuor lascia fuggirsi

tanto flutto che il mondo n'è vermiglio?

La Verde riappare coi pannilini e col bacino.

LA VERDE

Ecco, dama.

Ella depone il tutto; poi esita qualche istante, e si ritrae lievemente senza rivolgere le spalle, camminando a ritroso, con gli occhi fissi sopra i due perduti.

PARISINA

Vedete.

Ecco l'acqua, ecco i lini, et ecco il balsamo.

Ma non più io m'ardisco... Se pietà

ho di voi, non avrete

pietà di me che tutta

smarrita sono dalla grande angoscia?

Inginocchiàti sulla soglia santa

fummo. Io donai

quanto più caro m'era. Consacraste

voi la spada ancor calda

d'eccidio. Nella grazia

del voto or siamo entrambi,

restituiti entrambi

alla grazia divina.

La moglie di Nicolò è tutta tremante. Folle di desiderio è il figlio di Stella, e ancora inebriato di battaglia.

UGO

Ho combattuto,

ho combattuto pe 'l mio voto, senza

cedere, nel pericolo più folto.

Da solo ho combattuto come cento;

e la mia spada aveva cento punte

e cento tagli alla carneficina...

Il volto della Malatesta subitamente s'infiamma, quasi che le si apprenda l'ebbrezza sanguinaria.

PARISINA

Così, così combattere vorrei!

UGO

L'arme e la gioia erano una potenza

sola. Alla prova santa, la mia faccia,

i miei capelli, le mie mani, tutte

le mie vene erano una sola vampa,

come a gioco d'amore...

PARISINA

Ah, veduto t'avessi!

UGO

E la battaglia

mi soffiava sugli occhi come il vento

di Schiavonia;

e le grida e il clamore

parevano rilucere, e la luce

di tutto il cielo

parea gridare come il combattente...

PARISINA

Gridavi tu? Gridavi

ad ogni colpo? Udito

io t'avessi!

UGO

Io non so se la mia gola

facesse grido né qual grido; ma

nel rombo de' miei polsi

udivo il cor gridare un nome, un nome,

un aguzzato nome penetrabile

come stocco...

PARISINA

Qual nome?

UGO

Parisina!

Parisina!

PARISINA

Così gridavi?

UGO

E il nome

e il cuore e il braccio e l'arme

erano una virtù sola, veloce

come la forza tacita del sogno;

e gli uomini cadevano

intorno a me guardandomi

negli occhi, come in sogno

quando uno solo è come moltitudine

e un viso è come mille

e il cor supino è pieno di memoria

vertiginosa.

Ciascun percosso

parea gridarmi:

per chi m'uccidi?

Ah, ben io so. Un riso

arido mi saliva dai precordi...

PARISINA

Ch'io li veda, li veda!

Ch'io mi chini a spiarli

negli occhi aperti, i tuoi uccisi, ch'io

ne scopra i tagli,

ch'io sappia come tu ferisci. Andiamo!

Di chi è questo sangue che mi segna?

Stanno in mucchio tra i lauri

stanno riversi per la china, rotti

sotto il carro. Taluno forse vive,

non è spirato ancora; e con quegli occhi

che ti guardarono

mi guarderà.

UGO

Io solo

ti guarderò, io solo.

Ah fosse ~ io mi sognava nel mio cor

folle mentre la forza

mi cresceva alla strage ~

fosse a vespro tagliata

ogni vita così

come il campo del grano

alla fine dell'opra

raso è dal mietitore;

e noi due, soli insieme

noi due, lasciati fossimo di qua

dalla morte, noi due

in un nodo, così come ti serro,

Parisina...

Perdutamente egli ghermisce la donna, che si divincola atterrita e si dislaccia.

PARISINA

Ah follia, perdizione,

morte nostra! Il nemico è sopra noi,

che tra suoi beveraggi

ha scelto il più crudele,

ha scelto il sangue per inebriarci!

Non so che fumo atroce

salito è dal profondo,

non so che mala ebrezza... Mi risveglio,

ecco, mi scrollo.

Io ti prego, t'imploro!

Non far peccato,

non far peccato orrendo!

Inginocchiàti sulla soglia santa

fummo. Sciogliemmo il voto.

Non esser cieco,

non m'accecare!

Vinci il nemico,

scaccia il maligno

che sta nell'ombra,

che nell'ombra ci agguata.

La notte viene,

la notte viene.

Ancora nella sera che si costella, s'ode lungo la marina il suono roco delle buccine. L'idolo è alzato nel carro, tra i lauri, sul crine del poggio, contro l'ultima banda di rossore crepuscolare. Giunge dagli ospizi l'infinita litania.

PARISINA

Accendete le fiaccole! Recate

tutti i doppieri!

Com'ella fa l'atto di volgersi verso le cortine che chiudono il fondo del padiglione, a chiamare la sua gente, il forsennato la trattiene a forza e con la mano osa chiuderle la bocca.

UGO

Taci! Taci! L'ultima

luce recato ha l'ultima

ombra per me sulla terra, e la notte

senz'alba! Se taluno reca

la fiaccola, io l'atterro

e nel viso gli spengo

la fiamma...

PARISINA

Ah chi ti toglie

il senno? Chi ti rende sì feroce?

Gli uccisi ti guardavano negli occhi...

UGO

Ero con loro sull'abisso buio

senza precipitare

per voler prima sciogliere il mio voto.

PARISINA

Il tuo voto! Oh parola scellerata!

già nel viso l'ardore dell'inferno

hai.

UGO

L'ardor dell'inferno mi sarà,

dopo, più dolce, sette volte più

dolce che se dormissi

nelle tua braccia avvinto

e ti sentissi abbandonar l'un braccio

nel lieve sonno.

La donna fa l'atto di lanciarsi fuori del padiglione. Rattenuta, ritrascinata, rovescia il capo indietro a scorgere di là dai cancelli chiusi la vergine nera.

PARISINA

Mercé, Maria! Mercé, vergine santa!

Se tutto ti donai,

se tutta mi t'offersi,

salvami!

UGO

Io l'ho servita per l'amore,

per l'amore.

PARISINA

Maria,

o regina dei martiri, Maria,

schiantami il cuore, fammi cader morta,

salvami dal peccato orrendo!

UGO

Segno

non dà. Io l'ho servita per l'amore,

per l'amore.

PARISINA

Ugo, ascolta,

ascolta. Dammi tregua.

Il nemico ci tiene,

il maligno è su noi.

Concedimi la prova

della preghiera.

Ascolta. Aspetta. Dammi tregua. Vieni.

M'inginocchio. Inginòcchiati. Preghiamo.

Ella si getta ginocchioni, traendo per le mani il giovine, che s'inginocchia di contro a lei. Sono senza colore entrambi, anelanti, a viso a viso, con le pupille nelle pupille, col respiro nel respiro, in un attimo soprano d'attesa, di terrore e di passione.

All'improvviso, quasi che l'attimo scocchi, con una veemenza unanime, le due bocche aride si congiungono come per beversi o per divorarsi. Così congiunti, i due perduti a poco a poco si piegano sul fianco; sicché l'una e l'altro toccano insieme con la gola il tappeto disteso sulla nuda terra.

L'uno accanto all'altra, senza disgiungere le labbra e le braccia, s'allungano nel letto dell'ombra per giacersi e morire.

Atto terzo
La camera «a Ursi» in Belfiore.

La camera è profonda e ricca. Il gran letto è involto nelle cortine. I doppieri sono spenti. Sola arde una lanterna posta sul pavimento, di contro alla porta. Parisina è a giacere in un tappeto, presso la lanterna. Poggiati i gomiti, stretto fra le pugna chiuse il capo, inganna l'attesa leggendo il Romanzo di Tristano. Il lume rischiara la faccia intenta e il libro aperto sul corpo dell'arpa come su leggio. Il rimanente è nell'ombra. Sopra una scranna La Verde sembra sonnecchiare. La finestra è aperta alla notte bella e all'orezzo dei verzieri in fiore.
Credendo udire il passo furioso presso la soglia che il lume basso segna d'una riga indicatrice, Parisina sobbalza, si leva sui ginocchi, e ascolta palpitante. Giunge sul vento notturno alcun lembo di coro noto ma remoto:

CORO

«Che foco è questo ch'arde e non consuma?

Che piaga è questa che sangue non getta?»

PARISINA

Dormi? Verde, tu dormi?

Ella si leva in piedi, va all'uscio, lo apre; guarda nell'andito buio. Si ritrae rabbrividendo; e si volge, con la faccia sbiancata dal terrore. L'uscio rimane socchiuso. La lanterna e il libro rischiarato sul corpo dell'arpa rimangono a terra.

Dormi?

LA VERDE

No, dama bella.

Ella si scuote e s'alza, mentre l'aspettante le si accosta, sconvolta.

PARISINA

Verde!

LA VERDE

Qual mai paura entrata v'è

addosso, dama?

PARISINA

Ancora là, nel buio,

nell'andito, davanti

la porta, traveduta

l'ho.

LA VERDE

La fantasima?

PARISINA

Ed ei tarda. Perché tarda stanotte?

L'andito è nero

per ove ei viene

con le mani tastando

come il cieco mendico.

Ma posta ho in terra

la lampada perché sotto la porta

segni il segnale di luce. Or qualcuno

è tra la lampada e la notte. Ancora

non s'ode il terzo grido delle scolte,

e tu dormi! Se taci, t'addormenti,

meschina; né pur sai dove noi siamo,

né pur sai chi s'attenda.

Ti prenderò per i capegli, e il capo

ti scoterò, come allora; perché

non pur sai che stanotte

fa l'anno, quando

ti volgesti sfacciata

a dire il bacio

d'Amore e di Vergogna.

Ella erra smaniosa intorno al lume basso e al libro aperto.

LA VERDE

Dama, dama,

voi non mi date mai posa, né dì

né notte. Or sempre nascono rampogna

e rimbrotti, doglienza e crucci. Almanco

io bene vi guardai, bene vi guardo,

che passo l'ore buie

contro l'uscio inchiodata

come serrame;

e la vita vi dono,

ché sento omai

questo mio capo debole in sul gambo

qual frutto mezzo che pur dée cadere.

Rapida la tormentata le si accosta, roca le parla.

PARISINA

Tu tremi il tradimento e la mannaia,

meschina? Hai tu sospetto

che taluno ne spii,

taluno a cui di me

incresca?

LA VERDE

Forse, dama.

PARISINA

Chi? La Chiara da Mantova?

LA VERDE

Sicura

di lei non sono; ma v'è altri...

PARISINA

Chi?

Zoese?

LA VERDE

Ei va braccando,

mi sembra, e mal sorride...

PARISINA

È certo, è certo!

Apparita non m'è senza cagione.

Pallida il viso

come la prima cenere che vela

la brace, in un camaglio

a liste brune e d'oro,

mi stava al capezzale.

Col peso della carne del mio cuore

pesava il mio peccato. E disse: «Io so.

Ma che paventi? Il ferro

non divide la fiamma,

non divide la fiamma che s'aderse.»

LA VERDE

Di chi parlate voi?

PARISINA

Ma guarda, guarda,

se l'animo ti basta. Ora non è

alzata tra la lampada e la notte?

Ella s'arresta con un gran fremito, come davanti a un pensiero vivente.

LA VERDE

Dama, dama, sognate voi movendo

e favellando, come

fa l'Isabetta? O la febbre maggese

di subito vi piglia?

PARISINA

Questa pena

di sudore ei sostenne,

perché da noi

si spiccasse la febbre del peccato...

Dici che sogno? Non so quando io chiusi

gli occhi, non so da qual mai lungo sonno

io mi svegli; non so,

non so di quale vita

io viva in verità. Tutto ritorna

dal profondo. Commessa

fu la mia colpa,

patito il mio dolore,

sofferto il mio spavento;

sospesa fu la mia sciagura, inflitta

la mia morte. Non sogno,

o meschina, non sogno: mi rimemoro.

Non vivo: di mia vita mi sovviene,

mi sovviene di me come discesa

nel mondo io sia pe' rami

d'un nero sangue.

A Rimino sposata fui, menata

a Ravenna il dì due d'aprile. Intendi?

Feci a ritroso la sua via. Rifeci

la via mala. Il suo pianto fu ripianto

entro me, senza lacrime...

LA VERDE

Chi, dama

chi vi tormenta?

PARISINA

Francesca! Francesca!

Or ell'è tra la lampada e la notte.

E mi guarda; e la guardo

come se me medesma

io mirassi in funesto

specchio; ché, com'io m'ebbi a mezzo il petto

quella macchia vermiglia,

a mezzo il petto una profonda polla

di sangue ell'ha; che fumiga e del tristo

vapore m'empie il mio respiro. Et anche

il mio peccato

scritto è in quel libro, come il suo nel libro

ch'ella lesse. Ma ella s'interruppe,

e convien ch'io lo legga sino in fondo...

Ascolta l'usignolo!

D'improvviso, per l'aperta finestra entrano le prime note della melodia notturna. Sospesa nell'ansia, l'amante ascolta. Trasognata, con le parole d'isotta accompagna sommessamente la passione del cantore solitario.

PARISINA

E disse in cuore Isotta:

«Or donde sale tanta melodia?»

E subito s'addiede:

«È Tristano! È Tristano,

qual già nella foresta

ei mi fingea le voci degli uccelli

per me rapire in gioia. Or parte, or parte!

Si lagna come l'usignolo quando

commiato prende ché la state muore.

Mio dolce amico, più non l'udirò!»

E in grande ardore il canto più saliva.

«Ah, che vuoi tu? Ch'io venga? No, sei folle.

Ricordati del giuro. Taci, taci,

ché la morte ci agguata...

E che mi cal di morte? Tu mi chiami.

Tu mi vuoi, tu mi vuoi. Ecco, ora vengo,

or teco vengo a morte, a eternità!»

Per l'uscio socchiuso entra Ugo anelante. Senza parola, egli si precipita e la stringe con la violenza di chi vuol soffocare e abbattere. Le quattro braccia si annodano intorno ai corpi con una fermezza che sembra infrangibile.

PARISINA

Ah, serra ancora, serra

così forte che i cuori

si frangano e che l'anime si fuggano!

Rotto dall'angoscia d'amore, egli rallenta la stretta.

Forza non hai. Son viva!

La Verde esce pianamente e chiude l'uscio dietro di sé.

UGO

Parisina!

Parisina!

PARISINA

E pur, mentre

tardavi, l'anima

furente di fuggirsi

reggevo con le mani disperate,

come il valletto chino

rattiene il veltro a piene braccia. O amico

mio bello, e mi parea

che, se lasciata io l'avessi, ripresa

io non l'avrei più mai.

UGO

Né io l'aveva in me, l'anima mia;

né il cuore aveva in petto,

né la pietà. M'ascolti? Combattuto

io ho combattimento più tremendo

che quello del mio voto,

intorno al carro atroce, quand'io l'ebbi.

PARISINA

Hai combattuto?

Ansiosa ella gli palpa le braccia, il petto, le ciocche dei capelli sugli omeri. Guarda se le dita le si tingano.

Oh dio!

Sei tutto molle. Ancora sangue?

UGO

Lacrime.

PARISINA

Lacrime! Hai pianto?

UGO

Non io, non io.

PARISINA

Ma quale creatura

ha pianto sopra te così gran pianto?

Chi, dimmi, aver poteva tante lacrime?

UGO

La madre mia.

PARISINA

Stella dell'Assassino!

Come colpita a dentro, ella indietreggia e vacilla.

UGO

La mia madre.

Si ode il grido delle scolte.

PARISINA

Oh perdonami!

Cruccio non è. Dell'insensato oltraggio

non ti sovvenga più: sol ti sovvenga

de' miei singhiozzi

e del silenzio che si fece intorno

come quando dall'odio in su la nave

votato fu per due

la tazza dell'amore e della morte.

Ma parla, dimmi. Dove ti cercò

ella? Tornò dal bando?

E chi te la condusse?

UGO

Non so, non so.

Balzata è dalla notte

con uno schianto di dolore, sola,

indomita... Ah, non sai.

Volgevo il capo

per non guardar la sua faccia; ché,

s'io la guardava

non v'era in me più forza né coraggio

né soffio. Avviluppato in una nube

d'angoscia, profondato

ero in un'onda amara

e calda, con l'orrore

della sorte premuto

su tutto me. Parole

udivo escite

da non so qual potenza, nella notte

senza vie. La salvezza e il perdimento

eran senz'occhi entrambi.

E tutto inevitabile

era. E non combattevo

se non per te

anche una volta, se non pe 'l mio voto,

non più nel sangue

ma nelle lacrime.

PARISINA

La notte ha la sua via,

ha la sua via la notte.

Guarda, per il tremore

spaventoso degli astri, la via bianca,

la via di latte:

galassia! Prendimi

su la tua spalla

come un fascio di foglie

legato con un vimine,

e portami lontano,

come Isotta la bionda,

tu con l'arco e la spada,

io con l'amor mio solo.

Ma forse nella landa d'oblianza

ritroverò la mia

arpa sospesa al ramo

dell'avellano involto

dal caprifoglio in fiore:

e, come l'usignolo

canta, io ti canterò.

«Amico mio bello,

così di noi è:

né tu senza me,

né io senza te.»

UGO

Ah come in te

dolce cosa a toccare

e dolce a respirare

è la vita!

Già colmo della voluttà primaverile, egli cingendola col braccio la trae lentamente verso il gran letto.

PARISINA

Vuoi vivere!

Come un fastello d'erbe

sulla tua spalla prendimi.

Ti sarò lieve.

Prendimi, portami,

ti sarò lieve...

Son già presso il letto; e la voce dell'amata illanguidisce, nell'alito dell'amante che verso lei si piega. D'improvviso La Verde spalanca la porta dando ad alta voce l'annunzio, quasi fosse in cerimonia.

LA VERDE

Messere Nicolò venire degna

a visitare in camera madonna.

Ella s'addossa allo stipite restando inchinata, più bianca della sua gorgeretta. Con un atto pronto e forte Parisina spinge Ugo tra le cortine e lo nasconde; poi si volge, fa qualche passo verso il sopravvegnente, rafferma l'animo. Il chiarore delle torce sbattendo sul muro dell'andito precede l'uomo. Egli appare sulla soglia bieco, tenendo in pugno un verduco acutissimo. I Famigli, con cappucci calati sugli occhi, restano dietro di lui sollevando le torce.

PARISINA

Benvenuto, signore.

Molto a notte, e con tante

fiaccole, e armato, la mercé di Dio!

NICOLÒ D'ESTE

Perdono chieggio, donna, io non credea

trovarvi un pezzo tra notte a vegliare.

PARISINA

Io leggeva il romanzo di Tristano,

e l'ore mi s'involano.

NICOLÒ D'ESTE

Per certo,

donna, d'entrar non mi sarei ardito

se troppo frettolosa questa vostra

servente non m'avesse prevenuto,

come lesta ell'è,

e bene istrutta.

Io passavo per l'andito, co' miei

famigli. Io cerco

il leopardo

che mi donò l'imperadore greco.

Fuggito s'è di gabbia,

né so dove s'acquatti.

Voi l'avevate caro

pe 'l suo pelame costellato. Et egli

v'aveva in grazia. Forse rifugiato

egli s'è presso di voi, senza mordere?

Egli s'avanza nella camera guardingo. La donna è intrepida, quasi irridente.

PARISINA

Strano parlate, mio signore. Ma

altra fiera non è qui se non sono

io quella.

NICOLÒ D'ESTE

Maculata voi non siete,

donna. Neuna macula

è in voi; e in lui son cento.

Egli guata per ogni dove a scoprire l'indizio.

Fate lume! L'odor selvaggio fiuto.

I' son un bracco pratico.

PARISINA

Concio siete, messere, o divenuto

fuori di senno?

Egli cammina implacabile verso il letto. Da presso lo segue la donna e lo vigila.

NICOLÒ D'ESTE

E pure

ben vi piacquero un tempo le mie cacce

notturne con le fiaccole e le nacchere.

Ma non v'attendevate a questa. Fate

lume! Ecco. Bene, bene,

ch'io recuperi almen la gaia pelle

del leopardo

che mi donò

quel bon Paglialoco.

Giunto dinanzi al letto, così dicendo e un poco soffiando, si curva sulle gambe ercoline. Allungando il braccio vibra di sotto più colpi per assaggio.

A voto, a voto!

La donna è da presso immobile, tesa come una balestra, sospesa all'attimo dello scocco. L'uomo, come avvertito da alcun fremito della vita nascosta tra le pieghe della cortina, figge al giusto luogo lo sguardo sfavillante. Un poco si ritrae per misurare il colpo. Come già piega il gomito, l'adultera si getta innanzi perdutamente gridando.

PARISINA

No! No! È Ugo, Ugo

il vostro figlio!

Con un gesto rapido ella medesima lo discopre. Ugo resta immobile, senza parola, nel pallore e nel rigore del sasso. Il padre lascia cadere a terra l'arme e barcolla alquanto, come s'egli medesimo avesse ricevuto il colpo sviato. Le fiaccole vacillano a sommo della braccia che lo sgomento dirompe.

NICOLÒ D'ESTE

Cristo signore, perché tu mi fulmini?

Se raccattai la terra dal calvario

con le mie pugna,

se il sepolcro toccai, Cristo signore,

tu fa' ch'io non mi perda,

ch'io non raccatti il ferro, che le mani

mie stesse io non insanguini

nel sangue mio!

O Zoese, Zoese, e tu non hai

se non un capo solo

al ceppo, ch'io te 'l prenda!

Tu lo sapevi, e non me l'hai svelato.

Cacciato m'hai

a patir questo istante

che contato mi sia

per mill'anni di rosso inferno. A viso

a viso mi volesti

col mio figlio che voltola nel mio

lenzuolo la sua foia. Fate lume!

Fate lume! Squassate

le fiaccole, che rendano più fiamma!

Portate ancora torce,

che la camera piena di splendore

sia, dov'è l'onta d'Este,

da ch'io lo veda

ch'io ben lo veda,

fatto di pietra contro la colonna

del mio letto infamato,

quel capo che ogni giorno inghirlandai,

quel viso ch'io mi tenni in mezzo al cuore!

Quasi dementato dallo spasimo, egli afferra la lampada che tuttavia arde sul pavimento, presso il libro aperto; e, prendendo il figlio a' capelli e tenendolo fermo, con quella gli rischiara il viso mortale e lo scruta, più inumano verso sé che verso lui. Ma Parisina toglie un drappo e arditamente con quello acceca la lampada avviluppandola, sì che cessa il supplizio.

PARISINA

Hai tu veduto a dentro?

Sin nel profondo?

E che dirai? E che dirai di questo

dolce fanciullo?

Or guarda me, che sola son la fiera

a te dinanzi,

vedi, più maculata che la pelle

del leopardo,

corrotta sin nell'ossa

dal mio retaggio ontoso,

nata d'un sangue

di rubatori traditori e drude,

come gridò la madre del tuo figlio.

Stella dell'Assassino;

e ben l'udì questo fanciullo, e bene

da lui, da lui

quante volte tu stesso

udisti contra me

la parola dell'odio e del dispregio!

Non ti sovviene più

di che odio selvaggio ei m'odiasse?

Vendicata io mi sono,

come una Malatesta

vendicarsi usa,

in frode e in tradimento.

Io lo riarsi,

l'avviluppai,

di filtri infami

l'abbeverai,

lo dissennai

per ogni guisa,

l'avvelenai

d'ogni veleno,

questo fanciullo.

Io, io, lo persi,

io sola. Guardami.

Ho il viso nudo,

l'anima tesa.

Nulla in me trema.

L'onta è la luce

del mio peccato.

Rompe Ugo col grido la rigidità dell'orrore; e la delirante vita scoppia come la sorgente della roccia.

UGO

Ah com'è bella! La vedete voi?

La vedete? Le vostre

torce non fanno luce, né avete

pupille per la sua bellezza. Sola

ella fa luce. La vedete voi?

Io per l'iddio possente

che nominar non dubito con questa

bocca piena d'amore e d'agonia,

giuro ch'ella ha mentito;

e lo splendore della sua menzogna

m'è testimonianza. Non riarso,

e non avviluppato,

né beverato fui

di filtri o di veleni,

ma dall'anima mia

inebriato d'un divino sogno

che noi sognammo

in doglia e in gioia,

che sogneremo

fino al trapasso,

finché tutto il mio sangue

non balzi incontro al suo,

come segnale e pegno di vittoria.

Nicolò è rimasto intento come nel fascino d'una cosa mostruosa e inesplicabile. Ora la terribilità del punitore non arde se non nelle ciglia, ma la voce è pacata e grave.

NICOLÒ D'ESTE

Abbian l'istesso ceppo

sotto l'istessa scure

i due capi, e i due sangui

faccian l'istessa pozza.

I morituri cadono in ginocchio, l'uno di contra all'altra, come stettero sotto il padiglione, nel luogo santo, innanzi il bacio del perdimento. Si affisano, l'una nell'altro assorti; e il mistero li cerchia.

NICOLÒ D'ESTE

Jacomo, prendili!

Si nomano essi con tal voce, trasumanata che tutta la forza ignara, per alcuni attimi, resta sospesa intorno.

PARISINA

Ugo!

UGO

Parisina!

Atto quarto
La torre del leone

Appariscono le segrete in fondo di torre. Un archivolto sopra due pilastri tozzi, aperto nella muraglia maestra, lascia scorgere il luogo della giustizia attraverso un saldo e rude cancello di ferro. Un'apertura verticale, lunga e stretta come una balestriera, è l'unico occhio del carcere, ma non vi passa alcun barlume, essendo ancor notte, poco innanzi mattutino. Quivi è il ceppo apprestato, e il Giustiziere co' suoi Manigoldi e con l'altra sua Gente; e i torchi v'ardono. Alcuno non è di qua dalla muraglia, di qua dall'arco inferriato. Chiuso è l'usciolo che dal lato manco dà accesso a questa parte.
Ugo e Parisina sono di là dal cancello, in piedi entrambi, allacciati così che sembrano indissolubili. La voce di lei, nella gola che sta per esser mozza, è fresca come il giubilo dell'allodola.

PARISINA

Non odo più

non odo più la stilla

del tempo che cadere

udivo nelle notti

senza riposo.

L'alba indovino.

UGO

Né odo il cuore;

ché non più sire

egli è delle mie vene.

Per la tua vita

accorre, la mia vita

non ha confino.

PARISINA

Udito hai tu,

udito hai tu sul muro

della torre crosciare

la piova? Tutto è fresco,

tutto è mondato.

Or mi ricreo

come il fil d'erba.

E so che nel ciel ride

già la stella diana.

UGO

Passato è un tempo,

passato è un tempo

ch'io non posso più dire;

e quel che innanzi avvenne

e quel che dopo ancora

io no 'l viddi, no 'l seppi.

Forse or ti nasco;

e la morte, ch'è sopra,

par sì lontana.

PARISINA

Ah tu non sai,

non sai qual sia

nella tua bocca

la voce nova!

La voce cupa

ove risuona

sembra il segreto

antro d'un fonte.

UGO

Vedi che occhi

s'apron ne' miei?

In me tu sali,

cresci qual mare

senza amarezza.

Il flutto è in sommo.

Non ho il tuo sguardo

sotto la fronte?

PARISINA

Tutte le lacrime,

ah tutte le mie lacrime

son diventate un sorso

d'acqua sorgente!

L'ho nella bianca gola.

Ho la più fresca

acqua del chiaro mondo

nella mia gola

che sta per sanguinare.

UGO

O mio fascio di foglie,

o mio fastello d'erbe,

dove ti porterò?

È più dolcezza

nella tua tempia,

in tra 'l ciglio e i capelli,

che in qualunque contrada

del chiaro mondo. Or dove

andrem noi dimorare?

PARISINA

Se tanto ardemmo,

se tanto ci struggemmo,

se fummo in tanto foco,

novel tempo d'ardore

pur nel mondo di già

andrem noi ritrovare?

UGO

Non nel mondo di già,

non nel mondo che rugge.

Detto l'hai. Tutto è fresco,

tutto è mondato.

O mio fastello d'erbe,

dove t'ho da posare?

PARISINA

Posami accanto al ceppo.

C'inginocchiammo

due volte. Anco due volte

bisogna, o bello

e dolce amico,

bisogna a noi due volte

i ginocchi piegare.

La prima nel peccato,

la seconda nell'onta,

la terza nella morte,

la quarta nell'eternità...

Per l'usciolo ferrato irrompe con un grido Stella dell'Assassino; e la segue la sua donzella che ammantata resta contro lo stipite.

PARISINA

Fa' cuore.

Quella che grida è la tua madre.

STELLA DELL'ASSASSINO

Figlio!

O figlio, dove sei?

Dove sei? Non ti scorgo,

non ti trovo. Rispondi!

Rispondi! Cieca sono

di pianto. Dove sei? Tardi son giunta?

T'hanno ucciso? Discendo

in un sepolcro? Tutto è spento già?

Ella va barcollando dall'ombra verso il chiarore dei torchi; urta le mani nel cancello, vi s'afferra, lo scuote; poi ficca il viso tra le sbarre e guata.

STELLA DELL'ASSASSINO

Ah, sempre ella ti tiene!

Disperatamente si sforza di scuotere l'incrollabile ferro.

La coppia non si scioglie; annodata e fissa rimane, come escita dal senso, come già dipartita e lontanissima.

STELLA DELL'ASSASSINO

Figlio, figlio,

io, io sono! Non m'odi?

Non mi conosci?

Dinanzi al silenzio si smarrisce. Le sue mani incerte vagano sul suo volto scavato dall'ombra.

STELLA DELL'ASSASSINO

Ah, questo è sogno, questo

è sogno, o sortilegio,

o somiglianza di follia. Che mai?

Certo, ah certo, incredibile

è ch'io m'abbia il mio senno,

e pur ch'io viva.

Ma vivo, e guardo, e vedo. Questo è ferro.

Alcuna cosa dunque

v'è più chiusa di questa,

v'è più sorda del muro,

più cruda della morte,

per separare dalla madre il figlio,

la carne dalla carne, me da te?

Ancora ella ficca tra le sbarre la faccia, e ansa come appesa a ordigno di tortura.

STELLA DELL'ASSASSINO

O legamento d'inferno! Se più

ti chiamo, più la serri! Come più

grido, più ti nascondi!

Quanto più mi dispero,

più ti profondi in lei!

O svergognata femmina, che gli hai

tu fatto? E tu,

e tu da chi sei nato?

Sciogliti, slacciati,

da te scacciala, salva

l'anima tua!

Ella grida e s'agita invano come sopra lapide di tomba che non rende il sepolto.

STELLA DELL'ASSASSINO

Ma volgi il capo, volgi

almeno il capo, guardami una volta

sola! Chi ti son io?

Chi sono?

Il furore la solleva e la moltiplica.

STELLA DELL'ASSASSINO

Scrollerò

il ferro, torcerò

le sbarre, strapperò

i serrami. Ho la forza

di mille. O mala femmina,

lascialo. Ti comando

di sciogliere il mio figlio!

Il furore la strozza e l'accascia. I ginocchi le mancano, e i gomiti. Ella cede, s'umilia.

STELLA DELL'ASSASSINO

Ebbene, sì, tu l'hai.

Tu me lo prendi,

tu me l'uccidi,

tu me lo danni. È tuo.

L'hai suggellato in te

meglio che nella pietra

del sepolcro. Ma rendimelo

per un attimo solo,

ch'io lo baci e riversa piombi già!

Rendimelo pe 'l bacio d'agonia!

sì, forte sei. È tuo,

tuo. M'inclino, mi piego,

imploro. È tuo per sempre.

Lo so. Perdono

ti chieggio d'ogni grido.

Ma sol voglio baciarlo,

toccare il suo mento

e i suoi capelli,

guardarlo per un attimo

negli occhi, e nulla più.

Parisina abbandona le braccia lungo i fianchi e un poco discosta il viso. Ma l'amato non allenta la stretta; anzi è come colui che, giacendo sulla bocca, prende l'origliere co' due pugni per più profondarsi nel nero sonno.

PARISINA

Vedi, non io lo serro

e non io te 'l diniego,

madre. Santa mi sei,

però che di te nacque.

E fammi perdonanza,

se puoi. Donami pace.

Ma forse non udita

da lui fu la tua voce:

né forse ei l'ode ancora;

ché già, quando apparisti,

eramo là

donde non più ritorna

né più si volge

l'anima innamorata.

Dolcemente ella solleva il capo dell'inconsapevole, disnodargli tenta le braccia tenaci.

PARISINA

Intendi, o dolce amico.

Venuta è la tua madre

all'altra riva

per donarti commiato.

Convien che tu ti volga,

che incontro a lei ti muova

e che l'acqua rivarchi.

Egli sospira dal profondo, come rioppresso dalla nuvola del suo corpo.

UGO

Ah, soffro!

STELLA DELL'ASSASSINO

O figlio!

PARISINA

Va'.

UGO

Ah, perché soffro?

STELLA DELL'ASSASSINO

Figlio!

PARISINA

Va'.

UGO

Tu mi tieni.

PARISINA

No. Va'.

Ella lo sospinge. Penosamente egli si muove come vincolato. I suoi occhi sono socchiusi come quelli che temono essere feriti o non sanno fugare il sopore. La sua voce è come di fanciullo smarrito, quella di Parisina è come soffio di persuasione.

UGO

Vieni. Accompagnami.

PARISINA

Va', va'.

Egli s'arresta, quasi che da grande fatica estenuato sia per tentar di rompere il legamento invisibile. Chiama come in angoscia mortale.

UGO

Non posso. Parisina!

Con tutta l'anima abbrancata al ferro che non si crolla, la madre protende le labbra verso lui.

STELLA DELL'ASSASSINO

O figlio,

o figlio, vieni, vieni.

Egli non più s'avanza. Non può giungere fino a lei. Non può ricevere il bacio materno. Altri suggellò le sue labbra per l'amore e per la morte. Chiama ancora dal profondo; e si rivolge. E di subito la forza gli si riprecipita nelle vene, per gittarlo ancora sul petto dell'invitta amante.

UGO

Parisina!

Dalla disperazione materna erompe un urlo inumano. Parisina prende tra le palme la faccia del morituro e l'affisa. Poi lieve inviluppa in un drappo nero il bel capo che dev'essere mozzato. Mentr'ella fa l'atto di condurre la vittima verso il ceppo, il giustiziere muove un passo, la scure brilla. Esala il grido estremo la madre, e cade riversa. Si scorge Ugo inginocchiarsi dinanzi al ceppo e di contro a lui inginocchiarsi Parisina, togliergli d'intorno al capo il drappo, ancora prendergli tra le palme il capo e quivi sul ceppo tenerlo sotto il colpo imminente.

Per la balestriera entrano il barlume dell'alba e il segno fioco della salutazione angelica.

Explicit tragœdia.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 22/01/2017
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40 (W)

Locandina Atto primo La villa estense nell'isola del Po Atto secondo La santa casa di Loreto Atto terzo La camera «a Ursi» in Belfiore. Atto quarto La torre del leone