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Il Pompeo

IL POMPEO

Dramma per musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Nicolò MINATO.
Musica di Alessandro SCARLATTI.

Prima esecuzione: 25 gennaio 1683, Roma.


Interlocutori:

POMPEO Magno

tenore

CESARE console di Roma

basso

SESTO figlio di Pompeo

contralto

GIULIA figlia di Cesare

contralto

CLAUDIO figlio di Cesare

soprano

SCIPIONE Servilio

soprano

MITRIDATE re di Ponto, privo di regno riconosciuto

tenore

ISSICRATEA sua moglie, prigione di Pompeo

soprano

FARNACE suo figlio fanciullo, prigione di Pompeo

soprano

HARPALIA schiava di Issicratea

tenore


Cori di Milizie, Schiavi.



Ecc.ma sig.ra

Questo Pompeo, primario cittadino nella Roma repubblicana, che dopo tante gloriose battaglie per divertimento del popolo eresse con superbe strutture de' marmi il primo teatro in Roma, oggi comparisce egli medesimo sul Teatro colonnese, ambizioso d'inchinarsi al merito singolarissimo di vostra eminenza. Ei nell'istesso tempo che vanta su' carri trionfali le vittorie, conducendo prigioni, e riportando spoglie de' nemici, si mostra schiavo d'amore. Non pregiudicano però simili catene alla magnanima libertà dell'animo di lui, poiché sempre i cavalieri grandi ebbero per gloria di soggettarsi all'imperio della bellezza.

Che se le nostre passioni si misurano dall'oggetto, dalla grandezza di questo invaghito il nostro appetito merita anzi lode, che scusa, mi persuado, che non vi sarà chi condanni ne' suoi amori il nostro grande, se rapito dalle meravigliose bellezze di Giulia, confessa, che una nuova virtù lo illustra: e ne autentica l'assioma platonico Erote, che Amore vien detto, e gran genitore della virtù, la quale pur dicesi eroica, poiché per mezzo di essa ebbero nome immortale gli eroi, de' quali così gran numero risplende nella prosapia de la Cerda, e colonnese. Mi si permetta adunque, che io dedichi le glorie del maggior guerriero, e le nozze della maggior dama, che vantasse in que' tempi il Campidoglio, ad una principessa, quanto a me, la maggiore, che potesse venire dai regni delle Spagne, nella regia del mondo a recar per ornamento del cielo latino gli splendori de' suoi natali, ed i raggi delle sue virtù. Io come servitore riverentissimo di questa gran casa, che ho altre volte avuto la fortuna di onorar le mie stampe coll'opere in essa non senza universal godimento rappresentate, mi faccio lecito di dare di nuovo alla luce questo dramma sotto la benignissima protezione di vostra eccellenza, sospendendolo alle sue trionfali colonne, come trofeo della mia servitù, e alle regie torri del suo stemma, come voto del mio ossequio, e umilmente me le inchino.

Roma 23 gennaio 1683.

Di vostra eccellenza

umilissimo servitore

Carlo Giannini

Al benigno lettore

Ti presento, o cortese lettore, in questo dramma il famoso personaggio di Pompeo lavorato di nuovo a mosaico. Tu ben sai che in simili figure ritrovandosi diversità di pietre, e varietà di colori, pur vi si mira con meraviglia la maestria dell'artefice. Vedrai quivi incastramenti di arie trasportate da diversi luoghi del medemo autore, che non escono però dal disegno, ne sconcertano i lineamenti del contorno. Tutto è seguito per maggiormente dilettarti, così richiedendo la delicatezza del secolo desideroso dell'opere ripiene di armoniose canzonette; mal soddisfacendosi di quei gravi e necessari recitativi dei Pastor fidi, delle Filli di Sciro, delle Aminte, e delle Arsinde. Non si può far altro, bisogna secondar la corrente, e conformarsi al genio universale.

Compatisci tu l'uso introdotto la necessità dei troncamenti delle scene, de' personaggi, e di molte aggiunte; e loda il generoso pensiero di chi si affatica ne' giorni carnevaleschi di nobilmente divertirsi. Or se per far venerabile l'arenosa, e vil tomba di Pompeo nelle campagne dell'Egitto, Codro soldato scrisse sopra di un sasso, non ostante i poetici risentimenti di Lucano:

Hic situs est magnus.

Basterà a me per renderti ammirabile quest'opera il dirti esser componimento del sig. Nicolò Minato. Ingegno, che ha fatto in tanti drammi stupir l'Europa, e meravigliar la fama.

Mi persuado in tanto, che egli per sua gentilezza saprà scusare la confidenza di chi ha quasi lacerato questa sua bellissima statua; ma tu nulladimeno dalle rovine di essa conoscerai la grandezza del colosso, come dall'unghia si ravvisa il leone. Sta' sano.

Protesta

Si rinnovano qui le dichiarazioni già fatte dal medesimo autore in altre stampe, con le quali si è protestato, che le parole dèi, fato, destino, idolo, adorare, e simili, dovendo far parlare personaggi gentili, sono vaghezze, e necessità di poesia, e non sentimenti di chi professa di vivere, e morire cristiano cattolico romano.

Argomento di quello che si ha dall'istoria

Tre volte trionfò Pompeo in Roma. Il più pomposo de gli altri fu il terzo trionfo, nel quale condusse molti prigioni, e aveva soggiogate varie provincie, e diversi regni, e tra gli altri cattivi, condusse Farnace figlio di Mitridate re di Ponto, il di cui regno avea debellato. Mitridate fuggì vinto, e Issicratea parimenti sotto abito persiano, e egli consegnò ad Issicratea, e a suoi familiari il veleno, acciò costretti dalla fortuna a cader nelle mani de' nemici, non avessero a rimanervi se non volontari, mentre se ne averebbero potuto liberar col veleno. Pompeo doppo questo trionfo si maritò a Giulia figliuola di Cesare, ch'era destinata a Scipione Servilio. Per condurre a fine le nozze di Pompeo, e tesser l'intreccio del dramma, si fingono li seguenti verisimili.

Si finge.

Che Issicratea con la presa del regno di Ponto fosse fatta prigioniera di Pompeo con Farnace picciolo suo bambino, ma non conosciuta, e che per il corso d'anni cinque avesse tenuto occulto il suo stato, e quello di Farnace, facendosi creder donna privata per tutto questo tempo, nel quale Pompeo guerreggiò, e ebbe varie vittorie, e finalmente venne a Roma trionfante.

Che Mitridate incognito arrivi in Roma nel dì del trionfo di Pompeo, per veder come si porti la moglie, e che Farnace cresciuto per il corso d'un lustro dalli due anni, che aveva all'or che fu fatto prigioniero, non conosca il padre, non gli lo permettendo l'età, in cui fu preso, e il tempo trascorso.

Che d'Issicratea fosse innamorato Sesto figliuolo di Pompeo, ma che, credutala privata, frenasse il suo amore, come che per l'incontro scopertala regina, gli lo palesasse, ma che da lei rigettato, riduca l'affetto a modestia tale di non esser mai per oscurare la di lei fama.

Che Scipione, a cui era destinata Giulia per sposa, vedendo Pompeo di lei innamorato domini i suoi affetti, e risolva ceder il suo amore a quello di Pompeo per generosità d'animo.

Con questi verisimili suppositi si forma l'intreccio di questo dramma, a cui presta il nome Pompeo.

Atto primo
Scena prima

Piazza di Trionfo con portici di palazzo.
Pompeo sopra un carro, Cesare, Claudio, Sesto, Issicratea, Farnace, Milizie, Schiavi, e Harpalia.

CORO DI MILIZIE

Ecco arriva

chi soggioga le provincie,

chi di fasto i regni priva:

viva, viva.

Per far serti immortali a le sue chiome

crescan lauri al Tebro in riva.

Viva, viva.

CESARE

Vieni felice, vieni,

o gran Pompeo debellator de' regni,

che di duo poli opposti

sotto il giogo latino

le regioni unisci, e trionfante

hai posto i ceppi al Gange, e al mar d'Atlante.

POMPEO

A le squadre latine

è fatal la vittoria; han legge i numi

di secondare i nostri voti, e Roma

per destin sempre vince, e sempre doma.

CESARE

Il tuo valore invitto

impose questa legge,

e stabilì questo destino.

POMPEO

Amico,

mole troppo eminente

su lieve base ad innalzar sei giunto,

e ti sei preso a dilatare un punto.

Olà tosto dal carro,

per adagiare a la discesa il corso,

venga de' schiavi il trionfato dorso.

(s'alza Pompeo dal carro; gli schiavi si gettano a terra, e di ciò vien comandato anco a Farnace)

UN CAPITANO

Tu qui t'appoggia.

ISSICRATEA

E 'l soffrirò? Non posso.

Non deggio; ferma, lascia.

(prende per mano Farnace)

CESARE

Che ardimento!

ISSICRATEA

Pompeo vinti, e cattivi

il calpestare i regi

grato non è de le vittorie al dio;

Farnace è questi, Issicratea son io.

POMPEO

Che ascolto omai?

SESTO

Che sento?

ISSICRATEA

Ponto cadé; dal soggiogato suolo

sotto persiche spoglie

fuggimmo occulti, e mentre

alquanto Mitridate

si dilunga da noi cercando un legno,

in solitaria riva

turba de' tuoi di libertà ci priva.

SESTO

Di vile ardore a torto

alma t'accusai.

ISSICRATEA

Tacqui mia sorte, impicciolir cercai

il fasto di fortuna, e ciò, che occulto

seppi serbar, mi parve,

che tolto non mi fosse, ora discopro

quel che un lustro celai,

per non mirar, che sottoponga il figlio

con vilipendio acerbo

le tenere cervici al piè superbo.

SESTO

Ardi, e struggiti, o core,

gloria è languir per così degno ardore.

POMPEO

De le mie cortesie

occultando il tuo stato

ti privasti, o regina; a te medesma

fosti di danno, e in pregiudizio tuo

me defraudasti; si disciolgan tosto

quelle catene: or che de' merti tuoi

mi si discopre il lume,

di vincitor latin prova il costume.

ISSICRATEA

Pompeo, mentre benigno

a quei ferri mi togli,

non so ben se mi leghi, o se mi sciogli.

POMPEO

Di tua sorte mi pesa,

sfortunato garzone, e ben vorrei

del patrio regno rimirarti erede.

FARNACE

M'annodi il cor mentre mi snodi il piede.

POMPEO

Rasserena, o regina

le pupille dolenti: il ciel di Roma

di torbide procelle

non t'appresta diluvi, e dure leggi

di servitù infelice

non hai donde temer: al biondo Tebro

volgi le luci, e d'argini, e di sponde

lo vedrai prigioniero, e pur correnti

hanno libero il piede i dolci argenti.

ISSICRATEA

Signor qual mi rapisti

i pregi di fortuna, anco vorresti

quei de l'alma involarmi;

di generosità vincer mi tenti,

ma no 'l farai, succeda al piè disciolto

prigioniero l'arbitrio, e quel trofeo,

che non puote aver Marte, abbia Pompeo;

al tuo cor generoso

ceder m'è vanto.

POMPEO

Figlio, ad Issicratea

servi, e donzelle invia,

ed a lei, qual si deve

al suo regio splendore,

cerca di compiacer.

SESTO

Gioisci, o core.

CLAUDIO

Io non godrei simil fortuna, o amore.

POMPEO

Addio regina, lascia meco alquanto

il pargoletto figlio.

FARNACE

Serena, o madre, il tuo turbato ciglio.

(partono)

Scena seconda

Sesto, Issicratea, Harpalia.

SESTO

Non ammorzar la face

tiranno Cupido,

arciero di Gnido,

che l'alma mi sface.

Non ammorzar la face.

Deh perché, mia regina,

di tua sorte real sì lungamente

il tesor prezioso

invida nascondesti?

ISSICRATEA

Perché ne' casi infesti

all'or che il fato l'altrui ben disperde,

quanto si cela più, meno si perde.

SESTO

E tu pur oggi acquisti.

ISSICRATEA

Che?

SESTO

Un'alma. (Cieco dio pronto m'assisti.)

ISSICRATEA

Non intendo.

SESTO

Le piaghe,

che tu fai non conosci, le catene,

che tu stringi non vedi?

ISSICRATEA

Ah Sesto lascia, lascia

il sentier, che intraprendi, e pria che inciampi

vieta all'incauto piè, che orma non stampi.

SESTO

Bambino, Issicratea,

non è il mio ardor, ben lo repressi un tempo

or che da face regia uscir si vede,

impetuoso balza,

e di sé stesso altier gran fiamma innalza.

ISSICRATEA

Dunque celasti il foco

all'or che con la luce

potea forse illustrarmi, e lo discopri

or che può col vapor solo oscurarmi.

SESTO

Regina, i tuoi bei rai.

ISSICRATEA

Sesto dicesti assai,

vattene, e se non vuoi,

che i fior di tua virtude

di quest'inutil pianta

l'ombra dannosa insulti,

finché teneri son, tronca i virgulti.

Aria.

SESTO

Per te se 'l chiedi,

sul freddo Rodope

ascenderò:

nel Caspio gelido

i dì trarrò.

ISSICRATEA

Per te se 'l brami,

fin sul Vesuvio

mi porterò;

tra quegl' incendi

veloce andrò.

Scena terza

Issicratea, Claudio, e Harpalia.

ISSICRATEA

Questi lumi lagrimosi,

da cui sempre il pianto cade,

de' miei giorni tormentosi

danno a l'alba le rugiade.

CLAUDIO

Regina, ardo per te; sono i tuoi lumi

duo torrenti di sangue,

e da che qua venisti

Roma (e il mio cor per te testimonio invoco)

ha solo un Tebro d'acque, e dui di foco.

ISSICRATEA

Sotto il cielo latino,

dove si tempran cor sì fieri a Marte,

sono l'alme sì molli? Ove s'aspira

di quest'orbe terreno

a incatenar la libertà, sfacciati

volan poi senza fren gl'amori alati?

CLAUDIO

Del console romano

di Cesare, o regina,

prole son io.

ISSICRATEA

Qual tu ti sia, ti stanchi

inutilmente, e lasso

il Sisifo ti fai d'un cor di sasso.

CLAUDIO

Dunque, che far degg'io?

ISSICRATEA

Di fuggitivo rio da l'onda impara:

da la torbida fonte

s'allontana correndo, e si rischiara.

CLAUDIO

Regina, altro consiglio

men severo non hai?

ISSICRATEA

Vanne, ch'all'esser tuo permisi assai.

CLAUDIO

Misero che farò, se l'alma presa

dal biondo crin, che adoro

uscir non sa da un labirinto d'oro,

Ah crudele; chi ti pose

tanto foco ne' bei lumi,

tanto gelo dentro il cor!

S'hai le guance sì vezzose;

che a gli affetti

l'alme alletti,

perché poscia le consumi

con lo sdegno, e col rigor?

Ah crudele; chi ti pose

tanto foco ne' bei lumi,

tanto gelo dentro il cor!

Come porti alma di ferro

dentro il seno

d'ira pieno,

se del crine i bei volumi

sono sparsi tutti d'or?

Ah crudele; chi ti pose

tanto foco ne' bei lumi,

tanto gelo dentro il cor!

(parte)

HARPALIA

(tra sé)

Questo ciel, che produce

tanti amanti, è buono affé,

che tanta castità non fa per me.

ISSICRATEA

Sposo, regno, e libertà,

che fortuna mi prestò,

eran suoi, me l'involò.

Ma mi scuota quanto può:

che costanza, e fedeltà,

gioie mie, non mi torrà.

(parte)

Scena quarta

Mitridate solo.

Deh, se l'uomo a tua vaghezza

Giove eterno ti formasti,

perché poi con tanta asprezza

la quiete a lui contrasti?

E se pur fatto inclemente

tu dovevi ognor turbarlo,

dentro il caos in grembo al niente

era meglio abbandonarlo.

Gl'Enceladi, i Tifei

per combattere il cielo

io già non suscitai,

e pur su la mia fronte

precipitasti di sventure un monte.

Prole, consorte, e regno

le falangi del Tebro

m'involar, mi rapir, ma non invano

e vita forse, e libertà restommi:

concepisce gran moli

il pensier, che celato, e sconosciuto

mi trasse a Roma: dal suo cener freddo

anco nell'oriente

di sé medesmo erede

il redivivo augel torna alle prede.

Toglietemi la vita ancor

crudeli cieli,

se mi volete rapire il cor.

Toglietemi la vita ancor,

negatemi i rai del dì

severe sfere,

se vaghe siete del mio dolor,

toglietemi la vita ancor.

Scena quinta

Galleria.
Giulia, Scipione.

GIULIA E SCIPIONE

Ma la vita per te

gioisco languendo,

languisco godendo,

e prova il mio core,

che di dolci contrari è fatto amore.

SCIPIONE

Per me lucido nume

i corsieri di foco invan tu sferzi,

e l'aurata quadriga invan conduci,

ch'io sol trovo il mio Febo in queste luci.

GIULIA

Strali per me Cupido,

al nume affumicato invan tu chiedi,

che di quest'occhi neri

il fulgor sovra umani

de le saette mie sono i vulcani.

SCIPIONE

Chi ritrova il dio d'amore

pien di gioia, e chi crudele:

come trae da un stesso fiore

serpe il tosco, e ape il mele.

GIULIA

Dà Cupido a chi rigore,

a chi dona ogni pietade:

così forma egual vapore

le tempeste, e le rugiade.

SCIPIONE

Su le percosse incudi

formò Vulcan reti di ferro a Marte

ma di quel crin, che adoro,

Cupido per legarmi

a la Venere mia fe' reti d'oro.

GIULIA

Dimmi, fido mi sarai?

SCIPIONE

Tu vedrai

d'ombre oscure l'alba cinta

pria che estinta

la mia fé.

Ecco Pompeo, io parto.

GIULIA

Ritornerai?

SCIPIONE

Sì, bei rai.

GIULIA

Vanne, addio.

SCIPIONE

Resta il core.

(parte)

GIULIA

Teco il mio

ne tragge amore.

Scena sesta

Pompeo, e Giulia.

POMPEO

Che giova, che per me

di stragi apportator

con frettoloso piè

si mova il campo,

se mi rapisce il cor d'un ciglio il lampo.

E qual piacere avrò,

se con guerrier furor

volare io pur farò letali dardi,

se m'han rapito il cor d'un ciglio i guardi.

Ecco l'idolo mio, Giulia?

GIULIA

Signore.

POMPEO

Pur ti miro.

GIULIA

T'inchino.

POMPEO

Oh che splendore!

GIULIA

Duce invitto gl'allori

il tuo crin trionfante illustri ha resi.

POMPEO

Vinto a vincere appresi,

a ferir imparai da te ferito,

e nel condur prigioni

del patrio Tebro a le dorate arene,

io l'esempio imitai di tue catene.

GIULIA

E insieme appreso avrai con egual fato

a vincer Amor nudo, e Marte armato.

POMPEO

No, che ponno i tuoi lumi

per mio fatal destino

dar forza di gigante a un dio bambino.

GIULIA

Altro clima, altre stelle

non ti sanaro?

POMPEO

No; che non intende

la forza de' tuoi rai, chi dir presume,

che ha balsami abbastanza

per le piaghe d'amor la lontananza.

GIULIA

Mi duol.

POMPEO

Perché?

GIULIA

Perché nemico cielo

te circondò di fiamme, e me di gelo.

POMPEO

Ah cruda; alfin non sei

de la patria de' numi, e da le stelle

il natal non traesti, ove la luce

da non intesa fonte al mondo nasce,

ne le zone del ciel fur le tue fasce;

Pompeo, che parli, e puoi

di non spontanei affetti

aver vaghezza? Addio.

Lascia, Giulia, ch'il cielo

me di fiamme circondi, e te di gelo.

GIULIA

So, che intorno a questo core

nova face raggirando,

cieco dio, tu vai scherzando.

Se tu pensi d'altro nodo

mai vedermi il cor legato,

ben sei folle, o dio bendato.

Scena settima

Giardino.
Mitridate, Farnace.

MITRIDATE

Coetaneo cogli astri,

tempo che il tutto chiudi,

e a distinguere insegni, il sempre, e il mai,

vola, e recami il fin di tanti guai.

Tu ch'il moto misuri,

che fuggi, e non ti muovi,

tu, ch'un istante sei, che torni, e vai,

vola, e recami il fin di tanti guai.

Ma che rimiro! Il figlio: ah sì, trattienti

Mitridate dai baci.

FARNACE

Che maestose faci

porta costui ne' lumi.

MITRIDATE

Datti pace afflitto core:

riso, e gioia

son confine del dolore.

Ad un fanciullo vorrai farti palese,

che non ben fermo ancora

il favellar, non che il tacer apprese?

FARNACE

Sembra turbato.

MITRIDATE

In sì tenera etade

non può mai dopo un lustro

raffigurarmi.

FARNACE

A non inteso affetto

sento ver lui rapirmi.

MITRIDATE

(Favellar gli poss'io senza scoprirmi.)

Garzon, che l'aure spiri

di ciel non tuo, chi sei?

FARNACE

Un infelice.

MITRIDATE

Lo so troppo, oh dèi;

qual è il tuo fato.

FARNACE

Rigido, e protervo

che di figlio di re, m'ha fatto servo,

del regno, de' tesori,

de l'avite grandezze,

e della libertà, gravi, no 'l nego,

le perdite mi furo;

ma non saper, se il genitor, che appena

bambin conobbi, al fato abbia ceduto,

se vivo, o dove sia;

quest'è 'l mio duol, quest'è la pena mia!

MITRIDATE

Ben pupilla di ferro

la luce mia diviene,

se non si stempra in pianto; assai del tuo

è più fiero il mio duol, vago garzone;

gl'astri un figlio mi diero,

me l'involò fortuna, e 'l veggio, e 'l miro;

con lui parlo, e non posso

dirgli; figlio, mio ben, vita, cor mio,

tuo genitor son io.

FARNACE

A pietà m'hai commosso.

MITRIDATE

O ciel come trattener mi posso.

FARNACE

Tu accresci (e la cagion non so qual sia)

con la sciagura tua la pena mia.

(parte)

MITRIDATE

E pur tacesti avaro labbro; l'orsa

con la lingua dà forma a i parti suoi:

tu struggi un figlio coi silenzi tuoi.

Ma ecco Issicratea,

osserverò nascosto

il favellare, i sensi, i portamenti,

la costanza, la fede

di lei, mentre lontano ella mi crede.

Scena ottava

Issicratea, Mitridate. Poi Sesto, poi Claudio

ISSICRATEA

Sposo amato, e dove sei:

tu pur sai, che senza te

non han luce i giorni miei.

Sposo amato, e dove sei?

Mia speranza, ahimè, che fai:

perché, oh dio, non vieni a me

a bearmi co' tuoi rai,

mia speranza, ahimè, che fai?

MITRIDATE

Volo mia vita ad abbracciarti.

ISSICRATEA

Oh cieli!

Ahimè, ahimè, ch'oppressa

dal soverchio piacer manco a me stessa.

MITRIDATE

Mio ben! Mia vita!

Oh dèi, fatta di ghiaccio,

pallida, e fredda ho la mia fiamma in braccio.

Ma vien gente; lasciarla

qui semiviva, e sola

non è pietà; se resto, ella mi scopre

tornando in sé; dunque esser deggio (oh cieli

d'aspro duol grave eccesso)

o crudel con la moglie, o meco istesso.

SESTO

Che miro! Oh dèi! regina

trafitta da qual duolo

sei tu? (Mio ben direi, se fossi solo.)

ISSICRATEA

Ahi.

MITRIDATE

(Veggio, che smarrita

l'alma ritorna in sé, sia ben, ch'io parta.)

Addio signor. Gl'uffici

adempii di pietà quanto conviene:

altri mai non provò più fiere pene.

ISSICRATEA

Mio bene!

SESTO

O cari accenti.

ISSICRATEA

Fonte de' miei contenti.

CLAUDIO

Odi la casta

Penelope, d'amor come favella.

ISSICRATEA

Idolo mio, che miro? Ahimè, che dissi!

Mi coprano tra l'ombre i ciechi abissi.

SESTO

Ferma, deh perché fuggi?

CLAUDIO

Perch'io vidi, e udii,

e celar mi volea,

che tu fussi l'Adon d'Issicratea.

Amor preparami

altre catene,

ovvero lasciami,

in libertà.

Io vuo' certissimo

quel nodo frangere,

ch'in laccio asprissimo

stretto mi tiene

senza pietà.

Amor preparami

altre catene,

ovvero lasciami;

in libertà.

Scena nona

Pompeo, e Giulia.

POMPEO

Torno a bearmi in voi,

come sempre ritorna, o luci care

a la sfera ogni fiamma, ogni onda al mare.

E pur del torrid'Austro

ogni scitico gel discioglie un fiato,

e non fan mille ardori

le brine distrempar de' tuoi rigori?

GIULIA

Al tuo desir, Pompeo,

spirano avversi fiati,

furioso Aquilone, Euro crudele:

nel mar di questo amor non scior le vele

POMPEO

Non pavento le Sirti,

se ne' bei lumi tuoi

di Castore, e Polluce

ho il gemello splendor, che mi conduce.

GIULIA

Ti manca il più.

POMPEO

Che mai?

GIULIA

De l'amoroso mondo

le carte effigiate,

per scoprir dove sei.

POMPEO

Dove son io?

GIULIA

Tra i gelidi Eifei

del pigro Arturo, sotto il freddo cielo

al Caucaso vicin d'un cor di gelo.

POMPEO

Meco deridi, ingrata,

l'amor mio, la mia fiamma, io, ch'abbassai

le più dure cervici,

le fronti più superbe, a te mi piego,

e no 'l conosci, e no 'l gradisci? Alfine;

son di bellezza i rai fugaci, e vani,

oggi lucidi lampi, ombre dimani,

(ove trascorro) Giulia, amor, ch'è cieco,

merta scusa, se inciampa. Ama chi vuoi,

Pompeo cerchi le palme

con assedio ostinato

delle mura nemiche, e non de l'alme.

(parte)

GIULIA

Siano pur d'altri i flutti, e mie le calme.

Quelle fiamme dio bendato,

che infiammato

m'hanno il core,

deh ti prego non smorzar,

ah che troppo è bello ardore,

no, no, amore

lascia star.

Ferma un poco cieco arciero,

e severo

nel mio petto

altri strali non vibrar,

ah, ch'il duol mi dà diletto,

pargoletto,

lascia star.

(parte)

Scena decima

Sesto, Harpalia.

SESTO

Narra il fuso d'Alcide,

racconta del Tonante

il cigno lusinghier, le piogge d'oro,

poi soggiungi al mio ben, ch'io peno, e moro.

HARPALIA

Purché m'oda, non temo,

che mi manchin parole

dal dì bambin fin al cadente sole.

SESTO

Vanne de le mie fiamme

oratrice faconda

e se d'amore una scintilla accesa

da quell'alma sublime

a involar puoi condurti,

fur di Prometeo in ciel men belli i furti.

Bellezza, che s'ama,

è gioia del core:

felice si chiama

chi è lieto in amore.

È sommo piacere

amar riamato:

è folle chi brama

contento maggiore.

Bellezza, che s'ama,

è gioia del core:

felice si chiama

chi è lieto in amore.

HARPALIA

A chi serve, è pur dannosa

questa grande austerità:

da bellezza ognor ritrosa

non si tragge utilità.

Qual pianta incolta, e sol di foglie ingombra,

esclude il sol, e nuoce altrui con l'ombra,

confacevoli gl'umori

han le serve al giardinier:

piante vuol, che faccian fiori,

né sian solo da vedere,

che se bramoso alcun di fior si rende,

nascosto del padron, se può ne vende.

Scena undecima

Giardino con fontana da lavare.
Mitridate, Issicratea.

MITRIDATE

Che stupor! Se pene acerbe

al mortal destina il cielo!

Se fin contro picciol'erbe

arma nevi, e indura gelo!

Che stupor! Se il fato abbatte

del mortal l'amica speme!

Se con l'onde ognor combatte

fin gli scogli, e fin l'arene!

ISSICRATEA

Sposo.

MITRIDATE

Mio ben...

ISSICRATEA

Mio amore...

Insieme

MITRIDATE

Per te langue questo core.

ISSICRATEA

Per te vive questo core.

MITRIDATE

Issicratea, sospendi i dolci amplessi,

che per ridir l'occulto stato mio,

quante foglie odorose,

tante libere lingue han queste rose.

ISSICRATEA

Che pensi far?

MITRIDATE

Gran mole

volge la mente. Io vo', che beva il sangue

di Pompeo questo ferro: avremo aperte

nel tumulto comune

le strade di fuggire, e se nemico

avrò 'l destino, de le stelle avverse

l'ingiurie soffrirò: tu mi prometti

per qualunque sciagura,

mai non scoprirmi, e se immatura Cloto

recidesse il mio strame,

tu generosa col fanciul Farnace

seguimi; fortunate

goderem poi gl'Elisi alme beate.

ISSICRATEA

Così prometto.

MITRIDATE

Giuri.

ISSICRATEA

A' sommi dèi,

e a te, che di quest'alma il nume sei.

Che contento dà mai la speranza,

quando un core nodrire la sa:

anche il duolo, cangiando sostanza,

di martire più faccia non ha;

come presto fiorito si rende

il sentiero, per dove ella va:

d'ogni spina facendo mutanza

belle frondi spuntare le fa.

MITRIDATE

Parti, ch'io qui celato

attenderò mia sorte.

ISSICRATEA

Amico cielo

scorga i giusti furori.

MITRIDATE

Sono a celar le serpi avvezze i fiori.

Scena duodecima.

Mitridate, Pompeo, e Farnace.

MITRIDATE

Ecco il crudel Pompeo.

POMPEO

Farnace.

MITRIDATE

Oh dio!

È seco il figlio mio!

FARNACE

Signore.

POMPEO

Invidio, o caro

i tuoi teneri giorni, e ben vorrei

poter libero anch'io

da le pene amorose

ir con tenera man mietendo rose.

FARNACE

La sofferenza mia vado avvezzando

a l'acerbe punture

di mie sorti ferine,

mentre cogliendo rose, incontro spine.

MITRIDATE

Solo egli è qui; mi dà Fortuna il crine.

POMPEO

Garzon modera il duolo, e t'assicura,

ch'io t'amo, e che m'avrai

qual genitore a compiacerti intento.

MITRIDATE

Numi eterni, che sento!

POMPEO

I teneri anni

erudiran le carti, indi le membra

esercitate a la palestra, al corso,

frenerai, lenterai

l'aurato morso di corsier numida.

MITRIDATE

E fia ver, ch'io l'uccida?

POMPEO

E 'l molle crine

avvezzerai tra marziali onori,

se non a' tuoi diademi, a' nostri allori.

MITRIDATE

(È pur forza, ch'io tempri i miei furori.)

POMPEO

Ma su le mie palpebre

di grembo a Pasitea

vola il tacito nume, e queste luci

omai del pigro sonno

a l'insidie soavi ostar non ponno

FARNACE

Qui t'adagia signore;

io guarderò il giardino,

e farà de' tuoi sonni Argo un bambino.

POMPEO

Sonno placido nume

co' tuoi dolci sopori

spargi d'onda letea gl'interni ardori

sopitor de' pensieri

deh fa', ch'ove io mi desti,

de l'incendio primiero orma non resti.

(qui Pompeo dorme, e Farnace va per il giardino)

FARNACE

Dolce oblio, sonno cortese,

bel ristoro de' mortali

in quei lumi spiega l'ali,

le sue doglie tien sospese.

MITRIDATE

Dorme Pompeo: la più superba fronte,

che miri il ciel, di Lete

poco vapor trionfa.

Posso svenarlo, irne col figlio, e pria,

che il fatto si palesi,

con la moglie fuggir: par, che l'affetto,

ch'ei dimostra a Farnace,

frenar mi deggia; ma propizia troppo

mi si mostra Fortuna, e non invano

forse del ciel le deitade ultrici

m'addormentan su gl'occhi i miei nemici.

FARNACE

Ferma, che fai.

MITRIDATE

Non mi turbar.

FARNACE

Deh ferma,

ferma, oh dio! perché vuoi

stame troncar sì degno, e a sì gran rischio

espor te stesso?

MITRIDATE

Strano incontro; lascia.

FARNACE

Parti, parti.

MITRIDATE

M'invia

il padre tuo.

FARNACE

Mio padre! ov'è ch'io possa

la vita di Pompeo chiedergli in dono?

MITRIDATE

In quali angustie io sono!

Eseguir deggio.

FARNACE

Griderò, non voglio.

A lui ritorna, e di', che se gl'aggrada,

ch'io porti il cor di regie doti ornato,

non mi sforzi a chi m'ama essere ingrato.

MITRIDATE

Di chi t'invola il regno,

com'hai tu sì gran zelo?

FARNACE

Ciò, ch'egli fece, era prescritto in cielo.

MITRIDATE

Voglio ucciderlo.

FARNACE

No.

MITRIDATE

Sì.

(qui viene Issicratea)

ISSICRATEA

Che rimiro!

Genitrice?

(qui si desta Pompeo)

FARNACE

Ahimè fuggi.

ISSICRATEA

Oh cieli!

MITRIDATE

Oh sorte!

POMPEO

Quai mi rompono il sonno ombre di morte?

Che vi turba? qual doglia, o qual timore

v'impallidisce?

ISSICRATEA

Che dirò?

FARNACE

Signore

uscì da fior gran serpe,

e con striscio repente

gli squallidi or spariti

restammo da spavento

ella oppressa, io confuso, ambo ammutiti.

ISSICRATEA

Stupida resto.

POMPEO

Andiamo, anch'io l'istesso

vidi in sogno, e mi parve,

che contro me si stese,

ma s'oppose Farnace, e mi difese,

FARNACE

Così dir m'insegnò Giove cortese.

Intermedio.

2 balli di Lavandare.

Atto secondo
Scena prima

Galleria.
Pompeo, e Giulia.

POMPEO

Giulia? dell'are accese

per rinnovar gl'esempi

torni da seminar fiamme ne' tempi?

O pur traendo a idolatrarti ogn'alma

ne' tetti lor presumi

impoverir d'adoratori i numi!

GIULIA

Deh non lasciar, ch'affascinato il guardo

per gran luce poc'ombra,

e per gran male atomi lievi apprenda:

apri Pompeo le luci,

che bendato fanciul forse ti benda.

POMPEO

Così parli a chi t'ama?

GIULIA

Acerba piaga

pietosa man non sana: e succhi amari

curan l'infermo.

POMPEO

Oh dio;

dunque stendi la man al ferro, al foco,

all'or, che pur, se vuoi,

coi balsami d'amor sanar mi puoi.

GIULIA

Questi non ho.

POMPEO

Per chi t'adora ingrata

amor non hai? d'un'alma

non vulgare, e non vile

sono inutili i pianti? ah pur l'asprezza

di dura cote algente

frange assiduo stillar d'onda cadente.

Bella crudel, pietà

d'un cor,

che muor

per te:

non merta la mia fé;

mercé di ferità.

Scena seconda

Scipione, Pompeo, e Giulia.

SCIPIONE

Che veggio?

POMPEO

A' piedi tuoi

cedo ogni mio trofeo.

SCIPIONE

(Ama Giulia Pompeo!)

POMPEO

Né vinceranno

supplicanti preghiere

i tuoi sensi crudeli?

SCIPIONE

A che son giunto, o cieli!

POMPEO

E non accende

nell'agghiacciato seno

una sola favilla il foco mio?

SCIPIONE

Stelle, che far degg'io?

POMPEO

Dove trascorri

traviato Pompeo? Scusami Giulia,

se noioso ti fui: di', ch'ostinato

ad assalir mi fermi

le schiere armate, e non i cori inermi.

(parte)

SCIPIONE

Io rival di Pompeo?

Io di sì bel trofeo

Giulia privar?

GIULIA

Turbato

veggio il mio sol: che sarà mai?

SCIPIONE

Non l'amo.

Se 'l suo ben non mi vince; oh dio, ma come

potrò di mie vittorie

cedere altrui la palma?

GIULIA

Idolo mio.

SCIPIONE

Vinca sì sì la nobiltà de l'alma

l'effeminato cor, più non resisto;

perdo un piacer, ma certo glorie acquisto.

GIULIA

Mia speme.

SCIPIONE

Oblia

queste voci penose.

GIULIA

Perché?

SCIPIONE

(Dillo mio cor.) Non sei più mia.

GIULIA

Che novità?

SCIPIONE

Cedo al tuo ben, mia vita,

son costretto a lasciarti,

e sol per troppo amar non posso amarti.

GIULIA

Che meandri confusi!

Che novi labirinti!

SCIPIONE

Ama Pompeo, cor mio; fregia te stessa

con le sue pompe, e co' gl'allori suoi;

da le sponde d'Atlante, e a i lidi eoi

volano interminati i suoi trofei.

Cedo a le tue fortune i piacer miei.

GIULIA

Tu tenti, Scipion, la mia costanza.

Sì lente le catene

ti cinse dunque al seno il dio bendato,

che le sciogli a tua voglia?

SCIPIONE

Non mi affligger mio nume.

(mostra di partire)

GIULIA

Ferma, o crudo.

SCIPIONE

Che vuoi?

GIULIA

Così mi lasci?

SCIPIONE

Perché t'amo.

GIULIA

Ingiusto,

quest'è amor?

SCIPIONE

Sì.

GIULIA

Spietato,

io per te, di Pompeo

non curo amor, sprezzo grandezze, e pompe,

e a la costanza mia

la tua fede infedel cade, e si rompe.

SCIPIONE

Addio bella.

GIULIA

Tu parti?

Dunque invano t'adoro?

Peno forzata.

SCIPIONE

Io volontario moro.

GIULIA

Se un tormento

più d'ogni altro doloroso

cerchi aggiungere penoso

de gl'abissi a gl'aspri guai,

vieni a me, che il troverai.

Sol nel male

altri prova il suo martire,

ma per farmi il ciel languire

in figura di mio bene

mi compone acerbe pene.

Scena terza

Salone di palazzo, dove vengono portate le spoglie avute in guerra con i trofei.
Pompeo, Cesare, Claudio, Farnace, Milizie, e Esercito lontano.

POMPEO

Le trionfate prede

sian divise a le schiere, e i cor più arditi

a novelle vittorie il premio inviti.

CESARE

Guerrieri prendete,

le spoglie godete

del ricco trofeo.

MILIZIE E ESERCITO

Viva, viva Pompeo.

Qui sono divise molte spoglie alle Milizie.

CESARE

Queste voci, o gran duce,

delle parche lontane

a l'orecchio fatal giungano omai,

né il tuo stame vital tronchino mai.

POMPEO

Chiuda, o prolunghi il fato,

come più giovi al Tebro i giorni miei.

CLAUDIO

Già sei fatto immortal co' tuoi trofei.

POMPEO

Non mi curo de la vita,

se perduto ho la speranza:

ceda tutto al mio dolore.

Alma, spirti, senso, e core,

fate pur da me partita,

e troncate ogni tardanza.

Se mia fede è malgradita

non mi giova la costanza,

tutto invan per me si muove

astri, ciel, sorte, Giove

voi pensate darmi aita;

e troncate ogni tardanza.

Non mi curo de la vita,

se perduto ho la speranza:

ceda tutto al mio dolore.

Così attento Farnace?

Che rimiri? Se alletta

il tenero desio bramata spoglia,

tutto prendi a tua voglia.

FARNACE

Signor mi fanno ardito

i tuoi sensi cortesi,

prenderò questi arnesi.

CLAUDIO

Il genio esprime

la regia nobiltà del cor sublime.

POMPEO

Che ne farai?

FARNACE

Ciò, che benigno Giove

saprà meglio dettarmi.

POMPEO

(ad un soldato)

Tu gli porta quest'armi.

CESARE

Andiamo; sì preziose

son l'opere tue,

che men ricche di gemme

han le sponde d'Idaspe, e l'Eritreo.

MILIZIE

Viva, viva Pompeo.

FARNACE

Vaghe pompe, bei trofei

stanno qui, ma non per me;

l'altrui gioie

son mie noie

senza patria, e genitori

non so dov'io mova il piè.

Scena quarta

Sesto, Harpalia

SESTO

Da quegl'occhi luminosi,

che son centri del mio foco

assai bramo, e chiedo poco.

La beltà, che il sen m'accende,

al mio amor non vuo', che arrida,

chiedo sol, che non m'uccida.

HARPALIA

Sesto?

SESTO

Harpalia mi rechi

de l'assalito cor d'Issicratea

qualche lampo di speme?

HARPALIA

A i primi accenti,

che d'amor io formai, ver me sdegnose

le sue pupille affisse,

né a le lusinghe de' canori mostri

tanto chiuse l'udito il cauto Ulisse.

SESTO

Dunque io son disperato?

HARPALIA

No: senti; all'or, che in cielo

scintillano le stelle, e posa il mondo

in silenzio profondo, entra ne' tetti,

ch'a la regina destinò Pompeo,

lasciar socchiusi gl'usci

sarà mia cura: il resto poi, signore,

scorga benigna sorte, amico amore.

SESTO

Harpalia tu descrivi

a sitibondo infermo

limpida fonte, a naufrago nocchiero,

quasi tra scogli absorto,

lusinghiera dipingi il dolce porto.

Scena quinta

Issicratea, e Sesto.

ISSICRATEA

La speranza mi tradisce,

mi si mostra, e poi svanisce.

Qual di Tantalo infelice,

fugge l'onda ingannatrice.

Se mi nasce un picciol bene,

me lo struggon cento pene:

così il cor di Tizio ancora

cresce sol per chi il divora.

SESTO

Issicratea?

ISSICRATEA

Del domator de' regni

illustre figlio?

SESTO

Issicratea regina

languir per questi bei lumi

a gran gioia m'arreco.

ISSICRATEA

Sesto ti guida un cieco,

erri il sentier.

SESTO

Non hanno

Cinosura i miei moti: amor non chiedo,

pietà non cerco; e già, che sei sì cruda,

regina, i miei sospiri

volontario disperdo a l'aria vasta,

e senza esser amato, amar mi basta.

ISSICRATEA

Alma, ch'a l'onestà vuol esser grata,

non dée l'assenso dar d'esser amata.

SESTO

O cessate di piagarmi,

o lasciatemi morir,

luci ingrate,

dispietate

più di gelo; e più de' marmi

fredde, e sorde a i miei martir.

O cessate di piagarmi,

o lasciatemi morir.

Più d'un angue, più d'un aspe,

crudi, e sordi a' miei sospir,

occhi altieri

ciechi, e fieri

voi potete risanarmi,

e godete al mio languir.

O cessate di piagarmi,

o lasciatemi morir.

ISSICRATEA

Or da me più vuoi?

SESTO

Che non mi celi

i rai, ch'adoro.

ISSICRATEA

Parti.

SESTO

Cedo, ma lascia, che sovente io possa

ne l'adorato lume

bear le luci, e incenerir le piume!

(parte)

Scena sesta

Mitridate, e Issicratea.

MITRIDATE

Bear le luci, e incenerir le piume!

Che favellar è questo?

Issicratea col giovinetto Sesto

solitari discorsi?

ISSICRATEA

E che degg'io

parlar co' tronchi, favellar co' marmi?

MITRIDATE

Piano regina, parmi,

che troppo ti risenti: offese membra

lieve tatto addolora.

ISSICRATEA

Anzi chi è sano

aborre con più senso i succhi amari.

MITRIDATE

Basta regina.

ISSICRATEA

Di mia fede adunque

dubbio nel cor ti giunge?

MITRIDATE

Chi scherza con gli strali un dì si punge.

ISSICRATEA

Troppo, troppo m'offendi.

MITRIDATE

Altro, che il foco

col liquefarlo (sai)?

franto cristal non riunisce mai.

ISSICRATEA

Che vuoi dire?

MITRIDATE

È l'onor terso cristallo:

s'un dì si spezza, solo ultrice fiamma

lo torna intier.

ISSICRATEA

Non più.

MITRIDATE

Forse noiose

queste voci ti son?

ISSICRATEA

Sì, che diamante

sotto ruvide masse

non si ravviva?

MITRIDATE

Non intendo.

ISSICRATEA

A torto cinta da' tuoi sospetti

vuoi stimar la mia fé: gioia tal volta

tra le glebe si spezza

ma de l'arte a i cimenti, a gl'usi, a l'opre

d'inestimabil prezzo alfin si scopre.

MITRIDATE

Odi.

ISSICRATEA

Cessin gl'esempi: io farò quanto

a me convien: tu ciò che devi adempi.

MITRIDATE

I tuoi saggi consigli il cor riceve.

ISSICRATEA E MITRIDATE

Faccia ognun ciò che deve.

ISSICRATEA

Dubbio di mia costanza

Mitridate se n' va. Sciagure estreme

seppe con ciglio asciutto il cor soffrire,

ma questa pena, oh dio, mi fa languire.

Col suo roco mormorio

va parlando un fiumicello,

per destino più rubello

parlar sola deggio anch'io.

Con sussurri or mesti, or lieti

van parlando abeti, e faggi,

crudo ciel, con duri oltraggi

solo a me parlar tu vieti.

Scena settima

Claudio, Issicratea.

CLAUDIO

Ne' lumi tuoi, regina,

amor sue faci espose,

e i fulmini di Giove il ciel vi pose.

ISSICRATEA

Claudio, fatica il Tebro

a opprimer regni, a incatenar regine,

a fin che le tormenti

effeminato cor con folli accenti.

CLAUDIO

Sesto, che ti sostiene

fra le braccia languente,

e che chiami tuo bene,

non ti tormenta no?

ISSICRATEA

Sogni, deliri,

calunniatore insano.

CLAUDIO

Io vidi!

ISSICRATEA

Induce a sostener chi langue

pietà cortese.

CLAUDIO

L'udii.

ISSICRATEA

Verso l'amato, e sospirato sposo

seppe sensi d'amore

a puro labbro suggerire il core.

CLAUDIO

Per gradirti lo credo.

ISSICRATEA

Issicratea

d'impura fiamma accesa

chi figurar si vuole,

prima a credere impari

corruttibil il ciel, caduco il sole.

CLAUDIO

Rendimi la mia pace,

che m'invola amor,

ammorza pur l'ardor

de la tua face,

rendimi la mia pace,

scioglie le reti d'oro,

che vago crin formò:

ch'io più nel sen non vuo'

fiamma vorace:

rendimi la mia pace.

Scena ottava

Logge.
Mitridate, e Farnace.
Un soldato con armatura.

MITRIDATE

Tormentosa gelosia,

quanti strali al sen mi scocchi;

perch'io pianga con cent'occhi,

fassi un Argo l'alma mia,

tormentosa gelosia.

Crudelissima tiranna

il tuo gelo ognor m'ingombra

tu dai corpo insin all'ombra

per far guerra a l'alma mia,

tormentosa gelosia.

Ecco il mio figlio.

FARNACE

Te cercavo appunto.

MITRIDATE

E che vorresti? (Dai bramati amplessi

ho gran pena a frenarmi.)

FARNACE

Prendi, e in memoria mia porta quest'armi.

MITRIDATE

Che miro; onde l'avesti?

FARNACE

Da Pompeo.

MITRIDATE

Strano incontro.

FARNACE

Perché ti turbi? di', forse t'offesi?

MITRIDATE

Sappi gentil garzone,

che del tuo genitor fur questi arnesi.

FARNACE

Del padre mio?

MITRIDATE

Sì.

FARNACE

Tanto più m'è grato

fartene dono; ma, deh dimmi un poco,

dov'è il mio genitore,

vive lieto? che fa?

MITRIDATE

(Mi straccia il core.)

Il suo maggior tormento

è 'l non poterti (ahimè) stringerti al seno.

FARNACE

A lagrimar mi sforzi.

MITRIDATE

Ahi quanto io peno.

FARNACE

Dimmi, ritorni a lui?

MITRIDATE

No; qui l'attendo.

FARNACE

Deh, quando ei giunge, tosto

a lui mi scorgi.

MITRIDATE

(Più cessar non posso,

segua, che vuol.) Accorri,

tra queste braccia, o figlio. Io son, son io

tuo genitor. Ove trascorsi, o dio!

FARNACE

Tu Mitridate sei?

MITRIDATE

Io no: perché tu apprenda

ciò, che nel ritrovarti

Mitridate farà, corsi a baciarti.

FARNACE

Affé, che qual tu fossi

l'amato genitore

mi furo i baci tuoi

di gioia al labbro, e di piacere al core.

MITRIDATE

(Mi scoprirò, se qui mi fermo.) Prendo

gl'arnesi, che mi desti,

addio Farnace, altrove

affar mi chiama.

FARNACE

Siati amico Giove;

odi.

MITRIDATE

Che brami?

FARNACE

Avverti,

del gran Pompeo più non tentar la morte.

MITRIDATE

Non temer. (Quanto strana è la mia sorte!)

FARNACE

Ruscelletto almen tu puoi

gir correndo in grembo al mare

a portar gl'argenti tuoi;

a me son le stelle avare;

io son ruscello, e m'è vietato il mare.

Farfalletta almen tu puoi

ir girando al lume intorno,

e abbruciarti quando vuoi,

a me tolte son le piume;

io son farfalla, e m'è vietato il lume.

Scena nona

Giulia, e Pompeo.

GIULIA

Tanto è dir, che d'altri rai

io nel sen faville accenda,

quanto è dir, che il grave ascenda.

Pria vedrò, ch'indica selce

ne' suoi moti un dì si stanchi,

e di fede al polo manchi.

POMPEO

Ecco la bella.

GIULIA

Ecco Pompeo.

POMPEO

(D'amore

non parlerò.) Giulia?

GIULIA

Signor.

POMPEO

Di Roma

spiro pur l'aure dolci,

e non percosse da fragor severo

d'oricalco guerriero.

GIULIA

Qui sol tepide aurette

sussurran tra le frondi,

e lor del Tebro il mormorio risponde.

POMPEO

(a parte)

Ahi si turba la lingua, e si confonde.

Sotto guerriere tende

palpitante inquieto il freddo sonno

stende sol per breve ora umide l'ali.

(Mi vibrano quei rai selve di strali.)

GIULIA

Qui da le ciglia gravi

non se n' fugge Morfeo, che pria l'Auro

apprestate non abbia

al luminoso dio fasce d'argento.

POMPEO

(Ahi, che languir mi sento.)

Più tacer non poss'io; Giulia non vedi,

ch'io per te moro?

GIULIA

E pure a un dio bambino

Pompeo render si vuole?

POMPEO

Chi può mirar, senz'abbagliarsi il sole?

GIULIA

Addio: follie d'amor udir non voglio.

POMPEO

Ferma, deh non partir: de l'Orsa algente

de le Pleiadi acquose

favellerò, ti narrerò de gl'astri

i vari movimenti,

e nulla ridirò de' miei tormenti.

(Alma torna in te stessa,

ove trascorri.) Giulia!

per non vedersi reo

delle molestie tue, fugge Pompeo.

Scena decima

Scipione, Pompeo, e Giulia.

SCIPIONE

Ferma, de' più feroci imperi

debellator invitto.

POMPEO

Che brami, o amico?

SCIPIONE

Del mio foco accesa

Giulia resiste a le tue fiamme: io cedo

al tuo merto, al suo bene.

GIULIA

(Ah traditore)

POMPEO

(Che sento!)

SCIPIONE

(Eh che dal sen mi svello il core.)

POMPEO

(Resto confuso.)

SCIPIONE

Giulia,

il gran duce latino ama fedele.

GIULIA

Ah spietato, ah crudele!

SCIPIONE

(a parte)

Ti sia caro Pompeo, quant'io ti fui:

sì che qual face ardente

struggo me stesso

per far luce altrui.

POMPEO

Cortesia così strana

chi t'insegnò?

SCIPIONE

Di tua virtude il merto,

e il rimirar, che scintillanti, e belle

nel salir l'orizzonte

il luminoso dio, parton le stelle.

POMPEO

Non sia mai ver, ch'io ceda

di nobiltà, che di Scipione sia

men cortese Pompeo: laccio d'amore

virtù laceri, e franga,

e chi vincer mi vuol, vinto rimanga.

Amico, sì bel nodo

disunir non degg'io,

tutti gl'incendi miei spargo d'oblio.

SCIPIONE

No Pompeo.

POMPEO

No Scipion, ama pur, ama

riamato, e felice.

SCIPIONE

Non l'amo più.

POMPEO

Non la pretendo; parto.

SCIPIONE

Seco ti lascio: resta.

POMPEO

A te conviene.

SCIPIONE

A te si deve.

POMPEO

Che duol io provo.

SCIPIONE

Che tormento è il mio.

POMPEO, SCIPIONE

Addio.

GIULIA

Or va' misera Giulia, ama l'iniquo,

se del lucido Apollo

splendano i raggi, o se la dea triforme

pallido argento per lo ciel raggiri

per lui spargi sospiri,

ch'ei leggero di cor, falso di fede

per sognare chimere altrui ti cede.

Sciogli i lacci, spezza i nodi,

torna, torna in libertà;

ahimè lassa, ch'io non posso,

troppo stringe sua beltà.

Spento resti quest'ardore,

che languire omai mi fa;

ahimè lassa, ch'io non posso,

troppo stringe sua beltà.

Scena undecima

Appartamento d'Issicratea di notte.
Sesto.

Cieche tenebre

apprestatemi

denso vel;

occultatemi

anco al ciel.

D'ombre tacite

pur mi celino

foschi orror,

né mai svelino

quest'amor.

Sono pur questi i tetti,

ove placide piume

adagiano i riposi al mio bel nume.

(va ad una porta, e la trova socchiusa)

A la furtiva man cedon le porte.

(va per entrare nella stanza, poi si ferma)

Ferma, che fai?

che pensi? acceso d'impudiche faci

andrai per l'ombre cieche

labbro pudico a violar co' baci?

Del genitor Pompeo

son questi i vestigi? ah non fia vero

ch'io sì vil mi dimostri e se ad amore

qualche licenza pur lasciar degg'io,

mi basterà de' tetti,

ove l'idolo mio dormendo stassi,

baciar le mura, e adorare i sassi.

Scena duodecima

Issicratea con il lume, e Sesto.

ISSICRATEA

Quai risuonan d'intorno

querule voci, che rimiro, cieli!

Sesto importuno, insidioso Sesto,

qui lascivo notturno;

che vuoi, che cerchi?

SESTO

Rimirar le mura

de l'albergo adorato,

passeggiar l'orme tue su questo suolo,

porgere innamorato

baci insensati a l'adorata soglia.

Altro, regina, non pensar, ch'io voglia.

ISSICRATEA

Lascia queste follie; torna a tue stanze

partiti, Sesto, e di regina afflitta

non accrescere i guai.

SESTO

Andrò contento or, che il mio sol mirai.

ISSICRATEA

Di tormentarmi, o ciel, non cessi mai.

(entra nella stanza col lume)

Scena decima terza

Mitridate. Poi Issicratea, e poi Harpalia.

MITRIDATE

Per quanto ne compresi, Issicratea

quivi soggiorna: penetrai le mura

del contiguo giardin per via furtiva;

gelosia che mai dorme a tanto arriva;

s'apron le chiuse porte,

discosto osserverò.

(esce Issicratea, cadendoli il lume, credendo tornato Sesto)

ISSICRATEA

Sesto non parti?

E qui torni?

MITRIDATE

Che sento.

ISSICRATEA

Pur ti scacciai.

MITRIDATE

Che ascolto!

ISSICRATEA

Harpalia, Harpalia

tosto vieni col lume. È ver, che il core

sol de' miei tetti i marmi

a idolatrar aspira,

ma né pur questo io voglio.

MITRIDATE

Alma respira.

ISSICRATEA

Dove sta Issicratea,

né men prestano assenso a fiamma impura

il casto suolo, e le pudiche mura.

MITRIDATE

Sua costanza è sicura.

ISSICRATEA

Ei non risponde, forse il piè ritorse

da queste soglie. Harpalia

ancor non vieni?

MITRIDATE

Con accesa face

ella giunge, m'ascondo.

(s'asconde)

HARPALIA

De' sonni tuoi la pace

chi turba, mia regina?

ISSICRATEA

Alcun non veggio,

e pur al certo udii passi, e accenti.

HARPALIA

Nell'inquiete menti

spesso brama, o timor delude i sensi

e con manto del vero

tenace fantasia veste il pensiero.

ISSICRATEA

Vieni: Parche fatali,

per farmi uscir di guai,

il mio stame vital troncate omai.

(entra nella stanza)

HARPALIA

Io, che intendo ciò che fu,

cessar di ridere

non posso più.

Non dovea partirsi affé,

che amante timido

mai non godé,

or vado a richiamarlo.

Scena decima quarta

Mitridate, poi Sesto e Harpalia, poi Issicratea.

MITRIDATE

Ogn'ora misero

ho da languir

e sempre crescono

i miei martir.

Di stelle perfide

empi rigor

ogn'or mi turbano

con fier tenor.

Odo gente.

HARPALIA

Sì tosto

cedi a una donna? Torna,

tenta, insisti: gl'arditi

Sesto aiuta fortuna.

MITRIDATE

Harpalia, e Sesto?

HARPALIA

Non t'avvilir: quei baci,

che sui gelidi sassi

d'improntar ti contenti,

stampar forse potrai

d'Issicratea sui bei rubin ridenti

MITRIDATE

Mitridate, che senti?

SESTO

Ciò non pretendo.

HARPALIA

Folle

hai ben alma insensata.

MITRIDATE

Harpalia scellerata.

HARPALIA

Assali, espugna

la tua nemica, io parto.

(parte con il lume)

SESTO

Ahi di pudico core

Sesto non nacque a violar l'onore.

MITRIDATE

Solo merita Harpalia il mio furore.

(viene Issicratea con il lume)

ISSICRATEA

Sesto indiscreto, e pertinace, ancora

non t'allontani?

SESTO

In che t'offendo, oh dio!

Nulla ricerco, nulla voglio.

ISSICRATEA

Parti, vattene; Harpalia?

MITRIDATE

Finge di non udir l'iniqua.

ISSICRATEA

Harpalia:

non vai tu dunque? Al genitor Pompeo

t'accuserò.

MITRIDATE

Tutto osservar mi giova.

(s'incontrano all'oscuro Issicratea, e Sesto)

ISSICRATEA

Tiranno a me t'accosti?

SESTO

A l'ombre ascrivi

l'involontario incontro.

(Issicratea dà di mano alla spada di Sesto e gliela leva dal fodero)

SESTO

Ferma.

ISSICRATEA

Il ferro

affé t'ho preso.

MITRIDATE

Strano ardir!

ISSICRATEA

O parti

o che su 'l brando acuto

cader mi lascio.

SESTO

Oh dio,

ferma.

(Issicratea si rivolta la punta della spada al seno)

ISSICRATEA

Parti, o m'uccido.

MITRIDATE

Mitridate che tardi; al caso strano,

tu porgi aita, tu rimedio apporta.

(Mitridate seguendo la voce d'Issicratea la prende in braccio, e la porta nella stanza. Cade a terra la spada, e crede ella, che sia Sesto, che la pigli, onde dice:)

ISSICRATEA

Misera, oh dio son morta.

SESTO

O me infelice.

Sul mio crin degli dèi cadon l'ire.

(Sesto crede, che Issicratea si sia uccisa)

Senza morire

soffra chi può,

pena più cruda

non si trovò,

sì fier martire

senza morire

soffra chi può.

Senza cadere

soffra chi può,

ch'io più di vita

speme non ho,

pene sì fiere

senza cadere

soffra chi può.

Scena decima quinta

Mitridate esce dalla stanza d'Issicratea, e la serra con chiave, poi Harpalia.

MITRIDATE

Tra le braccia di Sesto

si crede Issicratea,

si scosse, tramortì, si fe' di gelo.

Io sui rubin loquaci

impressi muti, e sconosciuti baci.

Ella oprò ciò, che deve,

io la vita innocente a lei serbai,

e ciò, che devo, oprai;

resta sol, che la schiava

or paghi il fio, come conviene. Harpalia?

(urta nella spada)

Harpalia? Questo ferro

(leva di terra il ferro di Sesto)

adoprerò.

(viene Harpalia con lume)

HARPALIA

Signore; ora sì strana

qui ti conduce?

MITRIDATE

Strana è ver.

HARPALIA

Di gelo

mi si coprono i sensi.

MITRIDATE

E tu non dormi?

HARPALIA

Veglio fedel.

MITRIDATE

Chi veglia in simil forma

perfida, traditrice, è ben che dorma.

(l'uccide col ferro di Sesto, e le pone il lume accanto)

HARPALIA

Ohimè.

MITRIDATE

Premio dovuto ella riceve;

faccia ognun ciò, che deve.

(Mitridate rivolta la chiave della stanza, che si serra, d'Issicratea, e parte)

Intermedio.

Balli di Ciechi, e Zoppi nel cortile.

Atto terzo
Scena prima

Galleria.
Mitridate, e Issicratea.

MITRIDATE

Chi di voi, alme d'Averno

provò il duol di gelosia,

men penoso avrà l'inferno,

men noiosa ogn'empia Arpia.

Non gli sia sì tormentoso

de l'abisso più profondo,

che chi vivo fu geloso,

ebbe inferno anco nel mondo.

ISSICRATEA

Interrotti riposi,

violate le labbra,

Harpalia uccisa, ecco il mio sposo. Il core

mi palpita nel seno.

MITRIDATE

Issicratea?

Mi rassembri confusa.

ISSICRATEA

Odio la vita.

MITRIDATE

Brami forse la morte,

perché bella ti parve

sull'esangue sembiante

di qualch'estinta, che vedesti?

ISSICRATEA

Cieli!

Che discorsi son questi?

MITRIDATE

Ella si turba!

ISSICRATEA

Bramo uscir di martiri.

MITRIDATE

Se funesti desir

t'assalissero mai, dal fianco altrui

il ferro non rapir, chiedimi il mio.

ISSICRATEA

Lassa, che sento, ohimè! Raggi funesti

sol mi piovon del cielo l'accese faci.

MITRIDATE

Sperar, forse potrai

trovar fra l'ombre abbracciamenti, e baci.

ISSICRATEA

Dubbio alcun più non v'è, tutto gl'è noto.

Che farò? Mitridate

(se gl'inginocchia dinanzi)

son rea di morte.

MITRIDATE

Che favelli?

ISSICRATEA

Svena,

apri questo mio sen.

MITRIDATE

Vaneggi forse?

ISSICRATEA

Puro è 'l cor, casta è l'alma,

se profanato è il labbro.

MITRIDATE

Io non intendo?

ISSICRATEA

Sol mi si rende grave

morir offesa, e invendicata.

MITRIDATE

Sorgi,

il cor solleva, e taci;

di Mitridate non conosci i baci?

(parte)

ISSICRATEA

Di Mitridate non conosci i baci!

Son io desta, oppur sogno?

Fosti tu forse il rapitor? Ti seguo,

odimi, ferma, aspetta,

svelami il caos di mia confusa sorte,

m'apri luce di vita, o dammi morte:

Lusingami speranza,

che non mi spiaci no;

che sebben menzognera

di bene hai somiglianza,

intanto gioirò.

Ingannami bugiarda,

che non ti scaccerò;

e benché adulatrice

la dolce tua sembianza,

fra tanto gradirò.

Scena seconda

Teatro di Pompeo con galleria.
Pompeo, Cesare, Claudio, Scipione, Principi, Cavalieri, Soldati.

POMPEO

Condizione umana:

men felice de' sassi, e de' metalli

lunghissimi intervalli

hanno a fronte del tempo i marmi algenti

duran secoli i bronzi, e l'uom momenti.

Il più nobil composto

de la mole terrena è il più fugace;

di Saturno rapace

sostentano le selci anni volanti.

Duran secoli i marmi, e l'uom istanti.

CESARE

Qui d'eccelse strutture

vasta mole erge al ciel tetti superbi,

acciò dopo i suoi giorni

il nome al par de' marmi almen si serbi.

POMPEO

Sin che lungi da Roma

gl'altrui regni abbassai,

comandai quella mole

or m'è caro vederla eretta al sole.

SCIPIONE

Ben de' grechi teatri

imitasti le forme.

POMPEO

Questo fu ch'indi ne trassi.

CLAUDIO

Ma da scalpel più industre

qui furo istrutti a più bell'opra i sassi.

POMPEO

Ivi chi tien l'impero

ponsi ad udir de' scenici poemi

(mostrando il teatro)

i rintrecciati carmi.

CESARE

Mira se qual conviensi

al decoro romano

i gradi, che vi fer s'ergono dal piano.

(vanno verso il teatro Cesare, e Pompeo)

Scena terza

Issicratea, Pompeo, Cesare, Claudio, Scipione, Principi, e Genti.

ISSICRATEA

Più ch'io penso, men intendo

tal, che il ciel mirar si crede,

più s'abbaglia, e men lo vede.

Per uscir da un labirinto,

che la mente ognor m'inganna,

fil non offre una Arianna.

(va verso Cesare e Pompeo)

Sommo Cesare invitto, e gran Pompeo,

duo fermissimi poli

de l'impero latino,

l'un, che sostien le leggi, e l'altro l'armi

insidiator notturno Harpalia uccise

ne' miei alberghi, e questa

nel sen rimasta a l'infelice estinta

è l'empia spada del suo sangue tinta.

POMPEO

Questo è il ferro di Sesto.

CESARE

Che intendo mai!

CLAUDIO E SCIPIONE

Che sento!

POMPEO

Aspri, ed atroci,

sanguinario omicida,

scenderanti sul crin giusti flagelli.

Da i sensi del mio core

figlio degenerante, e traditore.

CESARE

Abbastanza, regina,

esponesti il delitto; avran le leggi

il lor dovere.

POMPEO

E se ha duo gradi Sesto

un di figlio, un di reo,

avrò pur io distinti

duo sensi, uno di padre, un di Pompeo.

Chi lascia impunito

d'un solo l'error,

ogn'altro fa ardito

a farne un peggior.

Chi tollera un empio,

e 'l vuol sostener,

fa poi con l'esempio

cent'altri cader.

ISSICRATEA

Avran le mie vendette i lor trofei.

(parte)

Scena quarta

Sesto, Pompeo, Cesare, Claudio, Scipione, Principi, Cavalieri, etc.

SESTO

Chieder non oso, e ancor d'Issicratea

nulla riseppi.

POMPEO

Sesto?

Vieni, mira quel ferro,

vedi quel sangue.

SESTO

Oh dio, a parte

ella è rimasta esangue.

POMPEO

Che dici?

SESTO

Ahi fiera sorte!

ahi stelle dispietate!

POMPEO

Non rispondi?

SESTO

Signor son reo di morte.

POMPEO

E morte avrai spietato.

SCIPIONE

Misero.

CLAUDIO

Sfortunato.

CESARE

E che ti mosse

ad aver di quel sangue

sitibonda la destra?

SESTO

Altro, signore,

io non dirò già mai.

POMPEO

Tutto sapranno

da l'ostinata lingua

trarre i tormenti. Da le guardie cinto,

a i ministri d'Astrea, perché del fatto

scopran la causa, e 'l fine,

sia condotto costui,

che obliar imparai,

e di Sesto, e di figlio il nome ormai.

CESARE

Fia ragion, che si doni

il rigor de le leggi

a i pochi anni di Sesto,

al merto di Pompeo.

POMPEO

Cesare, nulla,

nulla in me si rifletta;

esser denno a chi regge

con ben giusti consigli

care prima le leggi, e poscia i figli.

(partono Cesare, e Pompeo)

SESTO

Date senso a questi marmi

voi superne deità;

con pietosa crudeltà

corran tutti a esanimarmi.

Date senso a questi marmi.

Già, ch'estinta è la mia luce,

eclissato il mio bel sol,

acciò mossi al mio gran duol

tutti vengano a svenarmi:

date senso a questi marmi.

Scena quinta

Issicratea, Sesto, Mitridate in disparte.

ISSICRATEA

Ecco l'inquo.

SESTO

Oh dèi,

che miro! Issicratea del ciel respira

l'aure serene! o larve insussistenti spirate

con oggetti bugiardi

mi deludon gli sguardi!

MITRIDATE

Che veggio!

SESTO

Issicratea

tu vivi?

ISSICRATEA

Empio t'è grave?

SESTO

Adunque tinto

di qual sangue è il mio ferro, e di qual morte

reo creduto son io?

MITRIDATE

Che ascolto mai!

ISSICRATEA

Barbaro fingi ancor? d'Harpalia il petto

dimmi non trafiggesti?

Vendetta, vendetta

pur dolce sei tu.

Un certo piacere,

che l'alma diletta

in te sempre fu.

A cor generoso,

se il giusto la detta

anch'ella è virtù.

SESTO

O stelle! Issicratea,

scherzo siam del destino incrudelito,

tu ingannata, io tradito.

ISSICRATEA

Meco, cui pur son note

le tue colpe, lascivo,

innocente vuoi farti.

SESTO

Ah ben potrei

negar mentito error; ma perché deggio

scoprir gl'affetti miei, acciò che al lume,

de l'innocenza mia

ombra di tua onestà non sia congiunta

a tacer, a morir l'anima è pronta.

MITRIDATE

(O generoso Sesto.)

ISSICRATEA

Odi, odi il sagace

come i delitti suoi copre, e infiora.

MITRIDATE

(Per le mie colpe lascerò ch'ei mora?)

SESTO

Se volentier per te

a la morte espongo il seno,

deh pietà ti muova almeno.

Già, che all'ultimo dì

nobil cor per te m'invia,

prega pace all'alma mia.

(parte con le guardie)

MITRIDATE

No, no, non sia ch'ei cada

vado a scoprirmi reo:

a generoso cor più che la vita

sia caro il giusto, e la ragion gradita.

(parte)

ISSICRATEA

Or che le offese mie

vendicaste, chiudete o sommi dèi

il periodo fatal dei giorni miei.

Se gia mai del mio martire

l'ombra densa non si frange,

che mi val, che fuor dal Gange

portin albe luminose

crin d'argento, e man di rose.

Se gia mai del mio destino

non si stemprano i rigori,

che mi val con piè di fiori

rimirar il Tauro in cielo

scior da ceppi, e neve, e gelo.

Scena sesta

Claudio, Issicratea, poi Farnace.

CLAUDIO

Issicratea, seppe l'umano ingegno

l'interminato tempo

a misura ridur di polvi, e d'ombre;

ma non ponno adeguar l'aspre mie pene,

o l'ombre immense, o le infinite arene.

ISSICRATEA

E costui pur a tormentar mi viene.

CLAUDIO

L'adorata

ingrata,

che sprezza la mia fé,

ad altri si piega,

e solo nega a l'amor mio mercé.

(qui viene Farnace, e si ferma in disparte)

ISSICRATEA

A che aspiri?

CLAUDIO

Al tuo amore.

ISSICRATEA

Osta il mio sdegno.

CLAUDIO

Vincer saprollo.

ISSICRATEA

E quai fien l'armi?

CLAUDIO

I preghi,

le lagrime, i sospir.

ISSICRATEA

Tutto fia vano.

CLAUDIO

Succederà la forza;

alfin sei prigioniera,

alfin sei serva, ed io

son del console figlio; a le mie brame

chi sarà, che resista?

(va incontro ad Issicratea, e gli si fa incontro Farnace)

FARNACE

Io, io lascivo,

e qual già diero al pargoletto Alcide,

otterrò forse anch'io da dèi clementi

forza bastante a strangolar serpenti.

Claudio torna in te stesso;

queste son opre di latin guerriero?

Di bendar la ragion al senso cieco

scioccamente hai permesso,

Claudio torna in te stesso.

Contro eccelsa regina

infelice, ma illustre

armi schiere d'insulti:

aborrisci, rifuggi il grave eccesso,

torna, torna in te stesso.

Madre lasciam costui.

(mentre Farnace parla, Claudio si va ritirando)

(Farnace va a prender per mano la madre)

ISSICRATEA

Tu puoi solo addolcir mia sorte amara

de le viscere mie parte più cara.

(Issicratea bacia il figlio, e si partono)

CLAUDIO

Qual da tenero labbro

esce incognita forza,

e de l'impuro ardor le fiamme ammorza?

De la ragion tiranno

de l'alme involator,

insidioso amor

a le lusinghe tue più non m'inganno.

Del senso vil seguace,

Cupido menzogner,

scorta, che fa cader

invano più per me porti la face.

Scena settima

Galleria.
Cesare, Sesto, Ministri, Guardie, Soldati, Pompeo, Mitridate a parte.

CESARE

A le richieste è sordo,

a le risposte è muto; e più che fumi

Mongibel non innalza,

onde torbida l'aria intorno cala,

dal profondo del cor sospiri esala.

SESTO

Deh, se pur in voi regna

senso di spirto umano,

mi s'affretti il morire.

POMPEO

Io mi sento languire:

tu mi sarai Farnace

caro in luogo di Sesto.

MITRIDATE

Odi tu Mitridate?

POMPEO

E se funesto

sorgerà 'l pianto a conturbarmi i rai,

tu le mie doglie a serenar verrai.

MITRIDATE

E tu, Sesto cader lasciar potrai?

SESTO

Genitor sol mi pesa,

ch'odioso a' tuoi rai, da te aborrito

si chiuda il viver mio.

POMPEO

Parto (sforzato a lagrimar son io).

Scena ottava

Mitridate esce, Pompeo, Sesto, Cesare, Issicratea, e Guardie.

MITRIDATE

Odi, odi Pompeo: Sesto è innocente

de la morte d'Harpalia; io sono il reo.

POMPEO

Voglian le stelle.

ISSICRATEA

Me infelice.

SESTO

O numi

del giusto amici.

FARNACE

Avido tanto, o cieli

era costui di sangue!

CESARE

Chi sei?

MITRIDATE

Omo infelice.

CESARE

Occulto, ignoto,

perché accusi te stesso?

MITRIDATE

Illustre spirto

non deve i falli sui

lasciar cader su l'innocenza altrui.

POMPEO

Ma la spada di Sesto

onde avesti?

MITRIDATE

Dal fianco,

per estraneo accidente, a lui rapita

(né lascerà ch'io menta) io la trovai.

SESTO

Tutto è noto a costui!

ISSICRATEA

Che sento mai!

MITRIDATE

Dica Sesto del fatto

le circostanze.

SESTO

A me non son palesi.

MITRIDATE

Io le dirò. Sotto il sinistro fianco

trafitta, e stesa a le tue mura innanti

con face ardente a lato

non la trovasti?

ISSICRATEA

È vero: (o fato rio)

contro lui testimonio esser degg'io!

CESARE

Sesto libero sei.

SESTO

De gl'innocenti

hanno cura gli dèi.

POMPEO

Figlio t'abbraccio.

SESTO

Genitor ti stringo.

POMPEO

Ma de le colpe altrui

perché reo ti dicesti?

SESTO

A miglior tempo

lascia queste richieste.

CESARE

Entro quei tetti

com'entrasti?

MITRIDATE

Salii

del giardino le mura.

CESARE

E a fin sì rio?

MITRIDATE

Per trovar ciò, ch'è mio.

CESARE

Cosa è tuo?

MITRIDATE

Più non vuo' dir.

CESARE

Sia scorto

a buon ministro, che di trarre il vero

d'ogni senso più occulto abbia il pensiero.

(parte)

MITRIDATE

Sol m'affligge la moglie, e il dolce figlio.

(parte)

ISSICRATEA

Cielo, che far degg'io! dammi consiglio.

(parte)

FARNACE

Dimmi, signor, quell'uomo

dovrà forse morir?

POMPEO

Se non risulta

altro a suo pro, che 'l vieti.

FARNACE

O sfortunato.

(piangendo)

Lagrimoso torrente

sparge per gl'occhi mesti il cor dolente.

(parte)

SESTO

Padre, mi duol, che deggia

costui cader.

POMPEO

A me pur anco è grave!

Cerca d'aver contezza

di ciò, che segue, e tutto a me riporta;

ciò, ch'io vaglia oprerò.

SESTO

Vile sarei,

se tutti non porgessi

per la salvezza sua gl'aiuti miei.

(parte)

POMPEO

Bella gioia è la pietà:

e più vale

cor leale,

che ricchezza, e nobiltà.

O gradita lealtà!

Come splende,

come rende

chiara l'alma, ove ella sta.

Scena nona

Scipione, e Pompeo.

SCIPIONE

Pompeo?

POMPEO

Scipione?

SCIPIONE

Risolvesti ancora,

che tua Giulia diventi?

POMPEO

No, che il corso a' torrenti

chi mal saggio contrasta,

lo fa uscir dalla sponda,

e d'inutili arene il campo inonda.

Ella t'ama, sia tua.

Non cedo. E se t'è caro

di gradirmi, gia mai

non favellar di ciò.

SCIPIONE

(a parte)

(Modo trovai.)

Pompeo, convien, ch'io ceda

dunque Giulia amerò, ma per gradirti.

POMPEO

E mi gradisci.

SCIPIONE

E se così m'imponi.

POMPEO

Ti prego.

SCIPIONE

Non mi basta.

POMPEO

Se pur, ch'io ciò m'usurpi,

risoluto già sei,

così impongo; son questi i cenni miei.

SCIPIONE

Pronto ubbidisco, e chiedo sol, che venga

il felice Imeneo

con sua presenza ad illustar Pompeo.

POMPEO

Qual sarà mai cor mio

il tuo martir? Verrò, Scipione, addio.

SCIPIONE

Che contrasto nel mio core

fa virtù col dio d'amore;

con la face, e con lo scudo,

quella è armata, e questo è nudo.

Del mio seno ne la reggia

con amor virtù gareggia

ben provvisti quanto basta

quel di stral, e questa d'asta.

Scena decima

Scipione, e Giulia.

SCIPIONE

Giulia, Pompeo m'astrinse

a seguir il mio amore.

GIULIA

Adunque lieta

io rassereno il core.

SCIPIONE

No, Giulia, no.

GIULIA

Tu mi schernisci ingrato;

e lo soffron gli dèi!

SCIPIONE

(Ella tutto sconvolge i sensi miei.)

Per obbligar Pompeo

acconsentii.

GIULIA

Dunque al mio amor ritorni?

SCIPIONE

No, Giulia, no.

GIULIA

M'inganni,

mi deludi, o deliri?

SCIPIONE

(Escono da quei lumi i miei martiri.)

GIULIA

Al voler di Pompeo,

che arride a i nostri amori,

non prestasti l'assenso?

SCIPIONE

Per obbligarlo.

GIULIA

A che?

SCIPIONE

Taci, deh taci.

(Mi struggon troppo di quei rai le faci.)

GIULIA

Mi ricusa Pompeo!

SCIPIONE

Perché vincer mi vuol: ma no, a dispetto

di Giulia, di Pompeo, del cieco amore,

vincerà la virtù di nobil core.

(parte)

GIULIA

Vilipeso, e disprezzato

da perfido amator,

di', che risolvi, o cor?

Ribellarsi al dio bendato,

e aborrire il traditor.

Per fuggir d'amante altero

il barbaro rigor,

che pensi far, o cor?

Discacciar l'ignudo arciero,

e schernir l'ingannator.

Scena undecima

Logge.
Issicratea, Farnace, poi Mitridate, Guardie, e Ministri.

ISSICRATEA

Tramutatevi in sospiri

miei respiri,

e a turbar gl'elementi

aure nove formate, e novi venti.

Distillatevi, o miei lumi

in due fiumi,

e di lagrime amare

ite portando un nuovo mare al mare.

FARNACE

Ecco lo sfortunato.

MITRIDATE

Deh regina.

FARNACE

Non posso

frenare il pianto.

MITRIDATE

Imponi,

che se n'escan le guardie,

quant'io ti parli.

ISSICRATEA

Oh dèi languisco.

FARNACE

Madre?

Seconda il suo desire.

ISSICRATEA

Itene alquanto,

custodite l'uscita. Alla mia fede

resta commesso.

UN MINISTRO

Di sì gran regina

la fé ci basta.

(partono le guardie)

(partite le guardie, Mitridate corre ad abbracciar Farnace)

MITRIDATE

Lascia, amato figlio,

che al sen ti stringa, e sui rubin vivaci

porga dolenti, e lagrimosi baci.

FARNACE

Tu pur mio genitor!

ISSICRATEA

Sì figlio.

FARNACE

Lascia,

ch'io ti ribaci, o padre.

MITRIDATE

Sposa, figlio, or è tempo

di mostrar l'alma invitta, e il regio core.

(si leva di seno un vasetto d'argento)

Quest'è velen, la vita

lieta si goda, misera si tronchi:

di libertà, di regno

privi, e bersaglio di fortuna ria,

a che vivrem? Sì sì, quest'è la via

di vincer la fortuna,

di schernire i nemici,

e di sottrar con gloria

il nome nostro al tenebroso oblio.

ISSICRATEA

Eccomi pronta, sì.

FARNACE

Son pronto anch'io.

(Issicratea e Farnace vanno per pigliare il veleno)

Scena duodecima

Mitridate, Farnace, Issicratea, Pompeo venendo da lontano.

MITRIDATE

De' mortiferi succhi i primi sorsi

devonsi a me, che già più lustri ho corsi

(vuol bere il veleno, Issicratea l'impedisce)

ISSICRATEA

A me si denno, che le labbra oscure

porto da baci altrui.

MITRIDATE

No no, regina, il rapitor io fui.

(va Farnace, e vuol egli il veleno)

FARNACE

A me cedasi pure, a cui la vita

meno esperimentata è men gradita.

(qui vien Pompeo e si ferma a sentire di dietro)

ISSICRATEA

Che de l'amata prole, e del consorte

io rimiri la morte!

Ah non sia ver, porgi il velen.

POMPEO

Che sento!

FARNACE

Porgilo pur a me.

MITRIDATE

Ferma.

POMPEO

Che miro!

(Farnace s'inginocchia)

FARNACE

Padre, s'è ver, che m'ami,

lascia, ch'il mio morir al tuo preceda,

a le mie prime preci

sarai sordo?

(Mitridate e Issicratea piangono)

Vorrai

sforzar luci bambine

del mio principio a rimirare il fine?

(Pompeo si fa innanzi)

POMPEO

M'intenerisco.

MITRIDATE

Oh dèi.

POMPEO

Cadano i succhi rei.

(Pompeo prende il veleno, e lo getta a terra)

Scena ultima

Cesare, Sesto, Giulia, Scipione, Claudio, Pompeo, Mitridate, Farnace, Issicratea, Principi, Soldati, Cavalieri, e Paggi.

POMPEO

Mitridate?

CESARE

Che ascolto?

SESTO

Che veggio!

POMPEO

E così poca

confidenza, e notizia

hai di mia cortesia? Moglie, e prole

prima vuoi soggettare a fin sì reo,

che farti noto al vincitor Pompeo?

(qui viene Scipione con Giulia)

SCIPIONE

Cesare, a nozze insigni

Giulia si porta; al suo voler assenti?

CESARE

In ciò, gl'arbitrii suoi son miei contenti.

SCIPIONE

Pompeo, di questa bella

stringo la destra se pur tu raffermi,

ch'assai di ciò mi déi.

POMPEO

Riconfermo (ahi che pena) i dover miei.

(qui Scipione prende per mano Giulia e va verso Pompeo)

SCIPIONE

Io signor t'ubbidii, or tu la prendi.

Dal mio voler, se a me tenuto sei.

GIULIA

(Ah falso.)

POMPEO

Ancor m'abbatti

con sì nobil pompe

d'eccelso cor?

SCIPIONE

T'offersi il mio tesoro

tu ricusasti invitto,

assentii: promettesti obblighi immensi,

io da te l'accettai;

tu osserva ciò, che devi,

e da me la ricevi.

POMPEO

O ne le cortesie troppo ostinato;

cedo, vincesti.

GIULIA

Ed io

veggio, che così vuole il fato mio.

(Pompeo porge la destra a Giulia ed ella a lui)

CESARE

Influssi più felici

non mi potean cader da' cieli amici.

CLAUDIO

Pompeo t'abbraccio.

SCIPIONE

Arridano gli dèi

a sì lieti imenei.

POMPEO

Mitridate s'onori,

che sì strano destin oggi fe' noto.

CESARE

Era Harpalia sua schiava,

non errò, se l'uccise.

SESTO

Scusa gl'errori miei.

MITRIDATE

Sesto cortese

m'è del tuo cor la nobiltà palese.

POMPEO

E perché tu ravvisi,

se generoso io sono,

la libertade, i genitori, il regno,

tutto a Farnace tuo concedo in dono.

(Farnace bacia la mano a Pompeo)

FARNACE

Saran sempre a' tuoi cenni.

MITRIDATE

Pompeo, finor con l'armi

il regno mi rapisti;

ora donar lo credi, e più l'acquisti.

ISSICRATEA

Incatena, Pompeo

quest'alma trionfata a tuo trofeo.

SCIPIONE

Perdo il mio cor, perdo il mio bene è vero

ma ne l'amiche gare

di generoso spirto

quel, che più perde, è più di gloria cinto,

ed è più vincitor quel, ch'è più vinto.

FARNACE

Imparate o mortali,

che di mali, e di martire

non è ministro il ciel,

ma per le vie del duol scorge al gioire.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 31/03/2018
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Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undecima Scena duodecima. Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undecima Scena duodecima Scena decima terza Scena decima quarta Scena decima quinta Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undecima Scena duodecima Scena ultima