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Prima la musica e poi le parole

PRIMA LA MUSICA E POI LE PAROLE

Divertimento teatrale.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Giovanni Battista CASTI.
Musica di Antonio SALIERI.

Prima esecuzione: 7 febbraio 1786, Vienna.


Attori:

Un MAESTRO di cappella

basso

Un POETA

basso

Donna ELEONORA virtuosa seria

soprano

TONINA

soprano






Atto unico
Scena prima

Camera in casa del Maestro di cappella con cembalo da una parte, spinetta dall'altra, e vari mucchi di spartiti e di carte di musica. Sedie, e in fondo tavola con bottiglie, e bicchieri, e in un angolo mantello appeso, e qualche altro utensile.
Maestro di cappella, e Poeta.

MAESTRO

Signor poeta mio,

voi siete un capo ameno;

l'affar né più, né meno

sta come vi dich'io:

il signor conte vuole

che musica e parole

sien fatte in quattro dì.

POETA

Avete inteso male.

Conosco il conte Opizio,

che dar vuol questa festa;

è un uomo di giudizio,

né può venirgli in testa

idea così bestiale,

ridicola così.

MAESTRO

S'ella un po' più m'inquieta,

trovo miglior poeta.

POETA

Caro signor Maestro,

non si comanda all'estro.

Ma cieli! che sproposito!

Un dramma in quattro dì?

MAESTRO

La cosa è arcipossibile,

e deve andar così.

Insieme

POETA

Con maestri sì ostinati,

io per me divento matto,

nulla credono ben fatto

se non fassi a modo lor.

MAESTRO

Con poeti sì sguaiati,

io per me divento matto,

nulla credono ben fatto

se non fassi a modo lor.

MAESTRO

Vorrei pria condur l'aratro

ch'esser mastro di cappella.

POETA

Meglio è far il pulcinella,

che il poeta di teatro.

POETA E MAESTRO

Che grand'asino che fui!

Accoppar dovea colui,

che mi fe' compositor.

MAESTRO

Or tant'è; decidete: sì, o no.

POETA

Dunque credete che parole, e musica

si possa in quattro dì...

MAESTRO

Circa a la musica

non ve ne date pena, ella è già pronta.

E voi sol vi dovete

le parole adattar.

POETA

Questo è l'istesso,

che far l'abito, e poi

far l'uomo a cui s'adatti.

MAESTRO

Voi signori poeti, siete matti.

Amico, persuadetevi; chi mai

credete che dar voglia attenzione

alle vostre parole?

Musica in oggi, musica ci vuole.

POETA

Ma pure questa musica conviene

ch'esprima il sentimento o male, o bene.

MAESTRO

La mia musica ha questo d'eccellente,

che può adattarsi a tutto egregiamente.

POETA

E gli attori chi son?

MAESTRO

Non so finora,

ma il signor conte Opizio

l'altr'ieri mi parlò d'una famosa

insigne virtuosa,

almen per quanto ei dice, ed io lo credo,

perch'egli, (e questo ancor lo so da lui)

ha un singolar talento musicale.

POETA

I signori san tutto.

MAESTRO

È naturale.

POETA

Avrei a tal proposito da farvi

una proposizion.

MAESTRO

Via dite su.

POETA

Ma non vorrei che ve l'aveste a male.

MAESTRO

Oh, che diavol sarà?

Proposizioni ognuno far le può.

L'affar consiste in accettarle o no.

POETA

Un principe qua c'è

che ha gran bontà per me;

ma un principon coi baffi, il qual vorrebbe

in qualche occasion da farsi onore,

come appunto sarebbe la presente,

al pubblico produrre una ragazza

brava in genere buffo,

ma veramente brava, e di più onesta,

per cui ha molto impegno.

MAESTRO

È amica vostra?

POETA

Sì.

MAESTRO

Cattivo segno.

POETA

Perché?

MAESTRO

Non dico già... ma... son idee.

Ditemi in confidenza,

il vostro signor principe vorrebbe

or con buona maniera uscir d'impegno,

ed accollarla a me; non è così?

Dite il vero.

POETA

Anzi no; ma se riesce,

promette un regaletto

di cento bei zecchini; e voi vedete

che un cento di zecchini a' giorni d'oggi

non è da ricusarsi.

MAESTRO

Io non ricuso

cento zecchini: ma...

POETA

Pian piano, amico:

questi si devon ripartir fra noi;

cioè cinquanta a me, cinquanta a voi.

MAESTRO

Amico: l'interesse

non è la mia passion; ma pur dovreste

pensar che la fatica è tutta mia.

Onde parrebbe giusto,

che la ripartizion far si dovesse

con un po' d'equità distributiva.

POETA

Cioè?

MAESTRO

Per me novanta, e per voi il resto.

POETA

(con ironia)

Cotal ripartimento è molto onesto.

Scena seconda

Eleonora, e detti.

ELEONORA

2007-11-13T00:00:00 STR INC Deo gratias / Venga avanti Deo gratias.

MAESTRO

Venga avanti.

ELEONORA

(entrando)

Chi di voi

è il maestro di cappella?

MAESTRO

Io, per servirla.

ELEONORA

(gravemente)

Riverisco.

MAESTRO

Grand'aria!

POETA

Io non ci son per nulla.

MAESTRO

Ed ella, in grazia?

ELEONORA

Io son donna Eleonora.

MAESTRO

Ah, ella è quella signora

celebre virtuosa,

che il signor conte Opizio...

ELEONORA

Oh, lo conosco.

Gli vo' bene al contino: è un buon figliolo.

POETA

(Sta a vedere che gli accorda

la sua protezion.)

ELEONORA

So che vorrebbe

dare una certa festa teatrale;

si dà appunto per lui la fortunata

combinazion ch'io son disimpegnata.

MAESTRO

Gran sorte senza dubbi, mi figuro

ch'ella avrà fatti de' teatri.

ELEONORA

Oh, certo:

ho fatti tutti quanti i principali

teatri de l'Europa; e ultimamente

in Cadice ho cantato

ove in men di due anni ho guadagnato

mille dobloni in tanti pezzi duri.

MAESTRO

(piano al poeta)

Che sono i pezzi duri?

POETA

Non capisco.

MAESTRO

Dunque pezzi duri eh?

(sorridendo ad Eleonora)

ELEONORA

(spiccando le sillabe)

Sì: pezzi duri.

Non siete mai stato in Ispagna?

MAESTRO

Io no.

ELEONORA

(al poeta)

E voi neppur?

POETA

Neppur.

ELEONORA

Vi compatisco,

là, là, signori miei,

bisogna domandar che gran figura

fece donna Eleonora.

MAESTRO

Oh, non ne dubito.

ELEONORA

L'anticamera mia sempre era piena

di cicisbei, d'amanti,

cavalieri, mercanti... E poi in teatro...

Che folla! Che schiamazzi!

Tutti parevan pazzi,

e molti per udire un paio d'arie

venivano perfin dalle Canarie.

MAESTRO

Il merito, signora, fa gran cose.

POETA

Massimamente nelle virtuose.

ELEONORA

Il pubblico di Cadice

è un pubblico di gusto; immaginatevi,

che un certo mio rondò

nel pubblico destò

un fanatismo universal, di sorte

che in un'istessa sera io lo dovetti

sei volte replicar.

MAESTRO

Questo è un po' forte.

POETA

Come? Sei volte!

ELEONORA

Certo.

POETA

Sei volte, e non seccar; questo è un gran merto.

MAESTRO

Ma mi dica: e qual genere...

ELEONORA

Il gran serio,

il tragico sublime: exempli gratia,

una parte d'Armida, d'Agrippina,

di Poppea, d'Ipermestra, d'Epponina...

MAESTRO

Epponina!

POETA

Epponina!

ELEONORA

Sì.

MAESTRO

Nel Giulio Sabino?

ELEONORA

Appunto quella

l'ho recitata in Cadice.

POETA

Guardate che accidente!

MAESTRO

Ancora qui s'è data ultimamente.

POETA

La parte di Sabino

l'ha fatta un gran cantor.

ELEONORA

Chi?

MAESTRO

Canarino.

ELEONORA

Canarino?

POETA

A questo poi bisogna

cavarsi di cappello.

MAESTRO

Non v'è che dir.

ELEONORA

Se quello

è lo stil, che qui piace, io ve l'imito

sì ben, che ognuno rimarrà stupito.

POETA

Oh, questo è molto dir.

ELEONORA

O molto, o poco,

non servon tante repliche, qualora

parla donna Eleonora.

MAESTRO

(al poeta)

Ell'ha ragione.

(prende, ed apre lo spartito)

Giusto ho qui lo spartito; ed ecco qui

la prima cavatina di Salieri,

che comincia: Pensieri...

Vorrebbe ella far grazia?

ELEONORA

Volentieri.

(canta)

Pensieri funesti

ah no non tornate,

per poco lasciate

in pace il mio cor.

(mentre Eleonora canta, il Poeta l'interrompe)

POETA

Scusi: ma par che si dovria dar qui

maggior espression.

ELEONORA

Come?

POETA

Così.

(fa sconciamente un altro passaggio)

ELEONORA

Chi è questo sguaiato?

MAESTRO

È il poeta.

ELEONORA

Me l'ero immaginato.

MAESTRO

Sapete, amico, che un passaggio istesso

può variarsi spesso.

POETA

O in meglio o in peggio.

ELEONORA

(al Maestro)

Costui è un insolente, a quel ch'io veggio.

MAESTRO

(ad Eleonora)

Lo scusi: ha la comune qualità

di mostrar di saper quel che non sa.

ELEONORA

Orsù, passiamo avanti.

MAESTRO

Vuol l'aria di bravura?

ELEONORA

Sibben.

MAESTRO

Eccola qua: vogliam sentirla

col suo recitativo strumentato?

(voltando lo spartito, e accennando un poco sottovoce il motivo dell'aria)

ELEONORA

Sì; ma per farlo ben, va recitato.

MAESTRO

Oh, meglio.

ELEONORA

In scena son Tito, e Sabino.

(al Poeta)

Ehi! venite un po' qua.

Piantatevi colà.

POETA

Qui?

ELEONORA

Più in là.

POETA

(muta luogo)

Qui?

ELEONORA

Costì.

Mostrate dignità.

POETA

(in positura)

Così?

ELEONORA

(il Poeta cangia positura, Eleonora lo considera, ed approva)

Anche più... così:

statevi fermo lì,

né vi movete, se non ho finito.

Io faccio da Sabino, e voi da Tito. ~

Maestro, già sapete

come, e quando conviensi

l'azione a tempo secondar.

MAESTRO

Non pensi.

(canta il recitativo con azione; e frattanto il Maestro e il Poeta fanno degli atti talvolta d'approvazione e talvolta di critica)

ELEONORA

Non dubitar, verrò: dono più grato

offrir non mi potevi: al grand'invito

sento l'alma avvampar. Vedrai qual uso

farò di quest'acciar: chi sa se mai

più funesto vedesti

d'un'altra spada balenar il lampo:

so quel che dico, e lo vedrai nel campo.

POETA

(interrompendola)

Non sia, signora, per darle molestia.

Qui un contrassenso v'è.

ELEONORA

Siete una bestia.

Di senso me ne intendo più di voi.

POETA

Non saprei.

MAESTRO

Cheto: ognuno ha i sensi suoi. ~

Non gli dia retta, in grazia.

ELEONORA

Taccia, e in riguardo vostro io gli perdono.

MAESTRO

Brava; seguiam: Là tu vedrai chi sono.

(segue a cantare, e in mezzo della scena il Poeta l'interrompe)

ELEONORA

Là tu vedrai chi sono;

no, non ti parlo invano;

fatale è questa mano,

forse chi men la teme

più ne dovrà tremar.

POETA

Oibò oibò.

MAESTRO

Cos'è?

POETA

Ho sentita una brutta alamirè.

MAESTRO

Ma tacete una volta.

ELEONORA

Orsù, alle corte,

se non cessa costui

d'esser con me sì impertinente e ardito,

or or Sabino rompe il muso a Tito.

MAESTRO

(a Eleonora)

Signora, compatitelo: è poeta;

ed apparir vi deve

sempre il lampo poetico.

Ma sentiam, se le aggrada,

qualche pezzo patetico.

POETA

Sì, sì, sentiam.

ELEONORA

Vi posso far la scena

del sotterraneo, in cui

dovendo andare a morte,

Sabino abbraccia i figli, e la consorte.

MAESTRO

Stupenda...

(canticchiando e toccando il cembalo)

Compatite i casi miei.

POETA

Cheto voi, tocca a lei.

MAESTRO

Subito ve la trovo... eccola giusto.

(scartabellando lo spartito)

ELEONORA

È un rondò.

POETA

Un rondò? Ci ho proprio gusto.

Una difficoltà solo ci trovo.

MAESTRO

Or cosa c'è di nuovo?

POETA

Mancano i figuranti.

ELEONORA

Potrete supplir voi.

POETA

Non siamo tanti.

ELEONORA

Voi due farete i figli.

POETA

Oh che bei figliolini!

ELEONORA

Maestro, anche voi qua.

MAESTRO

E chi accompagnerà?

ELEONORA

No no, lasciate stare: in questa scena

molto più necessaria è l'azione.

POETA

E l'accompagnamento si suppone.

MAESTRO

Ed Annio e la consorte?

(levandosi dal cembalo)

ELEONORA

(pensa un poco, poi dice)

Or ci rimedio.

(prende due sedie e le pone in luogo di Epponina e d'Annio)

Sarà Epponina questa,

e questo sarà Annio.

POETA

Oh che gran testa.

ELEONORA

State un vicino all'altro.

POETA E MAESTRO

Eccoci.

(si accostano insieme)

ELEONORA

Bravi.

(posti, che si sono messi insieme, il Maestro comincia a cantare)

MAESTRO

Cari oggetti...

POETA

Chetatevi: Sabino

esser deve un soprano,

e voi parete un toro transilvano.

ELEONORA

Il Poeta ha ragion per questa volta.

MAESTRO

Non fiato più.

ELEONORA

Via, cominciamo: attenti,

state con volto afflitto,

e... zitti.

POETA

Il quadro è un po' buffone.

MAESTRO

(con voce fortissima)

Zitto.

ELEONORA

(comincia il rondò)

Cari oggetti del mio core...

(e non potendo comodamente abbracciare i figli, interrompe il canto, e dice:)

Così non è possibil ch'io vi abbracci.

Voi siete due cosacci,

ritti come due pali, e lunghi, lunghi...

MAESTRO

Che colpa abbiam?

POETA

Vossignoria si slunghi.

ELEONORA

Anzi voi raccorciatevi, accovatevi.

MAESTRO

A questo modo?

(si abbassano)

ELEONORA

Più.

POETA

Non si può andar più giù.

ELEONORA

Potrete un pochettin restar così.

POETA E MAESTRO

Ci proverem.

ELEONORA

Seguo?

POETA E MAESTRO

Signora sì.

ELEONORA

(canta)

Cari oggetti del mio core,

io mai più non vi vedrò;

deh calmate quel dolore,

e contento io morirò...

POETA E MAESTRO

Ed io qui mi storpierò.

ELEONORA

Se non tacete, io più cantar non posso.

MAESTRO

Mi scappa fuori un osso.

POETA

La cintola si strappa.

ELEONORA

Eh, non si strappa no, no che non scappa.

ELEONORA

(canta)

Tu spietato il ciglio appaga.

(voltandosi verso la sedia che figura Annio; allora il Maestro si leva dalla sua positura, va presso alla sedia, e risponde in luogo d'Annio, e poi ritorna al suo posto)

MAESTRO

Son tua colpa i mali tuoi.

ELEONORA

(vedendo il Maestro, sorride, e segue a cantare)

Ma da forte io vado a morte,

ma non curo il tuo furor.

POETA

(ritorna al suo posto)

Caro sposo, oh dio! tu piangi...

ELEONORA

(sorride)

Siete per verità due gran buffoni.

POETA

È virtù l'imitar gli esempi buoni.

(in questo mentre anche il Poeta si leva dalla sua positura, va presso la sedia che rappresenta Epponina, e con voce femminile canta)

ELEONORA

(seguendo a cantare)

Qual abisso è questo mai.

MAESTRO

(stando accovato)

Per pietà, finisca omai.

ELEONORA

(venendo avanti alla scena segue sempre a cantare, più non badando ad essi)

Siete paghi avversi dèi?

POETA

Gran seccata che è costei!

ELEONORA

Compatite i casi miei,

compiangete il mio dolor.

POETA E MAESTRO

Compatite il nostro ancor.

ELEONORA

(replicando sempre senza badare ad essi)

Compatite...

MAESTRO

Casco casco.

ELEONORA

I casi miei...

POETA

Casco anch'io.

ELEONORA

(come sopra)

Compiangete il mio dolor.

(mentre Eleonora canta queste parole, il Maestro ed il Poeta cadono, il Maestro all'indietro ed il Poeta abocca avanti; e finito che ha di cantare Eleonora, essi, contraffacendone il canto, così ripigliano:)

MAESTRO

Compiangete il dorso mio,

che si è fatto un bel tumor.

POETA

(e a 2)

Compiangete il naso mio,

che se è intero, è uno stupor.

ELEONORA

(rivolgendosi)

Cos'avete mai fatto, cos'è stato?

MAESTRO

Ohimè! son direnato.

POETA

Poco mancò non ammaccassi il naso.

(dopo che si sono stentatamente levati)

MAESTRO

Veramente ora mai noi siam nel caso

di far meglio da padri, che da figli.

ELEONORA

Il malan, che vi pigli: orsù, v'ho dato

dell'abilità mia prove bastanti;

voi fate il resto: andarmene poss'io:

attendo a casa la mia parte: addio.

(parte)

Scena terza

Maestro, e Poeta.

MAESTRO

Alfin la prova ha terminato in buffo.

POETA

Io già temea che terminasse in serio.

MAESTRO

Non può però negarsi, che costei

non sia cantante, e comica eccellente.

POETA

E soprattutto per stroppiar la gente.

MAESTRO

Ora non più discorsi.

Non v'è tempo da perdere.

POETA

Lo credo;

quattro dì.

MAESTRO

Così è.

(tirando fuori della carta di musica)

Dunque dovete

trovar primieramente

parole per quest'aria.

POETA

Difficile sarà.

MAESTRO

Oh, non mi state a far difficoltà.

Non si conosce qui.

Otto o dieci anni sono

la composi in Forlì sulle parole:

«Se possono tanto

due luci vezzose»...

Credo, che andrà d'incanto.

La musica è superba,

e deve far del chiasso, e messa bene,

vedrete, che qui ognuno se la becca

per nuova, anzi nuovissima di zecca.

POETA

Son versi di sei sillabe: vediamo.

(osservando e contando le sillabe tira fuori uno scritto)

Giusto un tragico dramma ho per le mani

intitolato: «I vespri siciliani».

MAESTRO

(ponendo l'occhio sullo scritto)

Uh, quanti attor!

POETA

Ne feci

quindici, ma di questi muoion dieci:

cerchiam, se vi è qualche aria al caso nostro.

Eccone una: è bellissima.

(legge)

«Ferma, oh dio! non son francese»...

Vi son di più due sillabe.

MAESTRO

Non c'entra.

Avanti.

POETA

(voltando foglio)

Eccone un'altra.

(legge)

«A che proposito

vuoi tu ammazzarmi?»

Versi di cinque sillabe: passiamola.

Oh questa andrà benissimo.

MAESTRO

Sentiamola.

POETA

(legge con enfasi)

«Se questo mio pianto,

se questo mio canto

ancor non espugna

quel barbaro sen,

via sfodera, impugna

quel ferro spietato,

e questo costato

trafiggimi almen.»

MAESTRO

(confronta l'aria con la musica)

Bravissimo: or va bene...

però mancan due versi.

Aggiungergli conviene.

POETA

Questo sarà un imbroglio.

Piuttosto si potria...

MAESTRO

No: ce li voglio.

POETA

(pensando, cercando il verso)

«Se questo... mio... pianto...

non mi... non ti...» non va.

MAESTRO

Su via coraggio.

POETA

«Il cor...» Eccolo qua.

«Il cor non ti tocca.»

MAESTRO

(scrive)

Ottimamente: «non ti tocca»; all'altro.

POETA

Qui bisogna trovar la rima in occa.

Non ho il rimario addosso;

ma farò come posso.

(cercando la rima)

«Rocca... sciocca...»

MAESTRO

Ben ben.

POETA

«Trabocca... bocca...

Questo canto di bocca.»

MAESTRO

Sì, sì: così va bene.

POETA

«Se questo mio canto

che m'esce di bocca...»

MAESTRO

(scrive)

«...di bocca», è uno stupor: gran cervellaccio!

Quel vostro scartafaccio

datemi intanto, e discorriamo un poco.

Se il vostro signor principe lo brama,

vedo, che non potrem disimpegnarci

di prender questa buffa.

POETA

(Ah! ah! già fatto

hanno i cento zecchini il loro effetto.)

MAESTRO

Ma l'una è buffa, l'altra è seria: or come

potrem metterle insieme?

POETA

Eh, veramente

facil non è.

MAESTRO

Pensateci un tantino:

impasticciate su qualche cosetta.

Via, via, lesto, da bravo.

POETA

In tanta fretta

non si può far nulla di buon.

MAESTRO

Che importa?

Tanta musica ho qui già bell'e fatta;

di farvi le parole sol si tratta.

POETA

Ma possibil vi par?

MAESTRO

Tanto ci vuole

per far quattro parole? ricordatevi

che dée tutto esser fatto in quattro dì.

POETA

E sempre siamo lì.

MAESTRO

Su questo poi

il signor conte Opizio è inesorabile.

Zitto: vediam se qui trovo qualche aria

che possa convenir.

(prende un'aria)

Sentite questa.

(legge)

«Capitan di due sciabecchi

sopra l'alpi guerreggianti»...

POETA

Che sproposito!

MAESTRO

Udite: eccone un'altra.

(prende, e legge un'aria)

«Se prigione andasse il sole,

che sarebbe delle stelle?»

POETA

Peggio assai.

MAESTRO

Troverem delle più belle.

«Per pietà, padrona mia,

per pietà non v'affliggete»...

POETA

Questa potrebbe andar.

MAESTRO

Ebben, tenete:

eccovi carta, calamaio, e penna;

(li accosta ad un tavolino, e gli dà da scrivere)

ponetevi costì a tavolino.

Trovate qualche idea, qualche pensiero

per porli entrambo insieme:

cotest'aria aggiustate,

acciò provar si possa

quando verrà la buffa.

POETA

E così su due piedi...

MAESTRO

Su due piedi, o su tre, convien sbrigarsi.

Su, su, coraggio: intanto

a quest'altr'aria io le parole adatto.

POETA

Ma...

MAESTRO

Spicciatevi voi, che anch'io mio spiccio.

POETA

Un pasticcio si vuol? Sarà un pasticcio.

(si pongono a sedere, il maestro al cembalo, e il poeta al tavolino)

MAESTRO

(col cembalo)

«Se questo mio pianto

il cor non ti tocca»...

Qui v'è fin l'istessa rima,

a puntin tutto convien.

POETA

(pensando)

Quel che comico era prima,

farlo eroico convien.

MAESTRO

«Se questo mio canto

che m'esce di bocca»...

Ciò benissimo confronta

e ne son contento appien.

POETA

Ecco qua l'idea già pronta

e ne son contento appien.

MAESTRO

«Ancor non espugna

quel barbaro sen»...

Io mi sento alquanto sete.

Un sorsetto farà ben.

(va al tavolino, ove son le bottiglie, empie un bicchiere, e beve; poi torna al cembalo)

POETA

Dove leggesi «affliggete»,

«ammazzate»... ed andrà ben.

MAESTRO

(leggendo la scrittura del poeta)

Che carattere bisbetico!

Proprio stizza mi ci vien.

POETA

Ho un cervel proprio poetico,

tutto facile mi vien.

MAESTRO

«Via sfodera, impugna

quel ferro spietato»...

Cosa diavolo qui dice?

POETA

Il pensiero è pur felice!

MAESTRO

Non v'è a dir: dice «castrato».

POETA

Ecco tutto terminato.

Rileggiamolo un pochino.

MAESTRO

Ah! sì sì: Giulio Sabino

è un soprano: or mi sovvien.

«E questo castrato

trafiggimi almen.»

POETA

«Castrato»! cosa diavolo mai dite?

MAESTRO

Dico come sta scritto.

POETA

(sentendo gli ultimi versi cantati dal maestro, si leva e bruscamente se gli accosta)

Oibò! «costato»

sta scritto, e non «castrato».

MAESTRO

«Castrato» va benissimo, e non cangio.

POETA

Eh, che burlate?

MAESTRO

Quel che scrissi, scrissi.

POETA

Ma che? Siete impazzato?

MAESTRO

«Castrato» scrissi, e resterà «castrato».

POETA

E poscia si dirà che fu il poeta

che fe' tal scioccheria.

MAESTRO

Né la prima, né l'ultima saria.

Più a questo non si pensi; ora sentiamo;

cosa avete voi fatto?

POETA

Ho fatto ciò che non parea possibile,

ho buffa, e seria unite

a meraviglia insieme.

MAESTRO

Udiam.

POETA

Sentite.

Fingo una bella, e giovin principessa

sposa, e gravida già d'un figlio maschio.

V'è il solito tiranno,

che già lo sposo ha condannato a morte,

perché ama la consorte,

e al solito non può ridurlo al quia.

MAESTRO

È una bricconeria:

e allor la principessa?

POETA

Piange, prega:

ma quel crudel non piega.

MAESTRO

Poveretta!... sicché?

POETA

Sicché va in stanza, smania, si dispera,

e si vuole ammazzar.

MAESTRO

Ah!

POETA

Onninamente:

ma poi non ne fa niente.

Perché la cameriera

allegra, anzi buffona,

ma della sua padrona

confidente primaria,

per divertirla un po', canta quest'aria:

«Per pietà, padrona mia,

per pietà non v'ammazzate,

ch'è una gran minchioneria.

Queste sono ragazzate,

e può farsene di men.»

MAESTRO

Bravo!

POETA

Sentite il resto.

«Deh lasciate che si ammazzi

qualche brutta, o scioccherella;

ché l'uccidersi è da pazzi,

sia col ferro, o col velen.»

MAESTRO

Graziosa in verità.

POETA

Mo viene il buono.

«Voi dovete star nel mondo,

voi, che siete savia e bella,

voi, che avete il sen fecondo,

voi, che avete un figlio in sen.»

MAESTRO

Superba! superbissima!

POETA

E così?

Non son un uom?

MAESTRO

Quasi direi di sì.

Allegramente dunque.

Ite a prender colei

delli cento zecchini;

conducetela qui,

e si vedrà cos'è.

POETA

Vado: se preme a voi, preme più a me.

(parte)

Scena quarta

Maestro solo.

La cosa va prendendo buona piega.

Eppur questi poeti,

sapendoli dirigere a mio modo,

si potria forse forse

ridurli ad esser buoni a qualche cosa.

Basta sol, che depor voglian la sciocca

idea, che tutto il mondo

deggia far conto delle lor parole.

Eh... ci vuol altro: musica ci vuole.

Ecco un'aria a buon conto: a Eleonora

or or la manderò: vediam quest'altra.

«Per pietà, padrona mia,

per pietà non v'ammazzate»...

(prova al cembalo l'aria -Per pietà- avendo d'un canto la carta ove sono scritti i cangiamenti fattivi dal poeta, e sotto gli occhi la musica)

Ah! ah!... Così... d'incanto,

egregiamente bene:

a le parole il canto

benissimo conviene.

Or passiam dal copista,

acciò speditamente

a quest'altr'aria adatti

i cangiamenti fatti:

e avanti i quattro dì farassi il resto:

in somma non fa ben, chi non fa presto.

Scena quinta

Poeta, e Tonina.

TONINA

E il Maestro dov'è?

POETA

Non so: ma poco

dovria tardar: ei sa, ch'io qui con voi

dovea venir.

TONINA

Lo sa, e non aspetta?

Se non ha più di scienza musicale,

che di buona creanza, stiamo male.

POETA

Dunque, Tonina mia, tanto v'annoia

di star meco un pochino.

TONINA

Oh! bella gioia!

POETA

Ma sapete ch'io vi amo.

TONINA

Se mi seccate più, vi do un ceffone,

e poi lo dico al principe: capite?

POETA

Gran castigo è l'amarvi.

TONINA

Non so per chi di noi

sia castigo maggior: per me, o per voi.

POETA

Non v'alterate.

TONINA

E questo

asino di Maestro ancor non viene!

(rivolgendosi, vede le carte di musica)

Oh, quanta musicaccia.

Quanti spartiti d'opera!

(legge)

«L'avaro».

Il diavol se lo porti;

in Gratz a terra andò, come uno straccio.

E v'era io; pensa un po' che spartitaccio!

(legge)

«La donna letterata».

Non la conosco, ma dal titol solo

capisco, ch'esser deve

una gran seccatura.

(lo getta)

«Premio della virtù»: mediocre assai.

(leggendo sempre, e buttando via gli spartiti)

«La speranza delusa», oibò! il soggetto

è troppo ripetuto.

«Il geloso burlato»:

tanto di barba. «Il vero patriottismo»:

tutta roba del secolo passato.

POETA

Ma voi mandate tutto alla malora.

TONINA

(mette mano agli altri spartiti, sempre leggendo il titolo, e gettando via e scomponendo tutto)

E cosa importa a voi? Gran ficcanaso!

Ecco un altro gran mucchio.

«Annibale sull'Alpi». Il titol solo

fa venir freddo. «L'Attila», «L'Egeria»,

è tutta roba seria:

ecco musica sciolta: ecco un quartetto,

un terzetto, un duetto,

ecco qua un'aria: è in elamì; non posso

soffrir quest'elamì: questa è in befà;

oibò, è per contralto, proviam questa.

È troppo alta per me.

POETA

Tonina mia, ma che dirà il Maestro?

TONINA

Dirà quel che vorrà: ed ei dovea

farsi in casa trovar. Oh! oh! il Maestro

è anche un po' briacone.

(al Poeta)

Che vino è questo?... ahi! ahi! bevete voi.

POETA

Fuori del desinar bever non posso.

(empie un bicchier e l'assaggia)

TONINA

Bevete su, o ve lo getto addosso.

POETA

Ma Tonina...

TONINA

E ardireste

dunque di ricusar ciò ch'io gustai?

POETA

Via, beviamo...

(assaggia un poco)

TONINA

No, tutto.

POETA

Stomacar mi farete.

TONINA

Crepate, ma bevete.

POETA

Che martirio.

(beve con atto di disgusto)

TONINA

Coraggio: così: bravo.

POETA

Ora, Tonina...

(vede un ferraiolo appeso, lo prende e vi s'involge: e in questo mentre giunge il Maestro col cappello in testa e una carta di musica in mano senza accorgersi di Tonina)

TONINA

Zitto... un ferraiolo;

me lo voglio provar.

Scena sesta

Maestro, e detti.

MAESTRO

Signor Poeta,

e la buffa?...

(vedendo la musica per terra si adira contro il Poeta)

Cos'è?

O poveretto me! tutta sossopra

è la musica mia. Che avete fatto?

Diavol! che siete divenuto matto.

POETA

Non son stat'io.

MAESTRO

Chi dunque?

POETA

(accennando Tonina)

Eccola...

MAESTRO

(rivolgendosi)

Chi? che miro!

Chi è qui col mio mantello?

POETA

È appunto...

TONINA

(si sferraiola, getta a terra il mantello, e toglie di testa al Maestro il cappello e glielo getta pure a terra)

Sì, son io... Giù quel cappello.

Quando si sta davanti

a una bella ragazza, com'io sono...

MAESTRO

Il mio mantello, il mio cappello buono!

POETA

(imbarazzato)

Non era alcuno in stanza...

Scusate...

TONINA

Che scusar? Bella creanza!

Farmi un'ora aspettar.

MAESTRO

Ma voi...

POETA

Giudizio,

Tonina.

TONINA

A me giudizio!

(corre verso il Poeta, e nel correre rovescia il tavolino col calamaio e penne, e gli dà un pugno)

Poetaccio insolente,

giudizio a me! son qualche pazza, o forse

voi siete il mio tutor?

MAESTRO

Misericordia!

Costei tutto rovina, ed abbaruffa.

Un diavol mi par, non una buffa.

POETA

(piano al Maestro)

Dissimulate in grazia

di quei cento... capite?

MAESTRO

Sì... ma intanto...

POETA

(a Tonina con dolcezza)

Via, che avete ragion.

TONINA

Se voi sarete

più savi e buoni, io vi perdono.

MAESTRO

Oh bella!

Or sta a veder, ch'io torto avrò, non ella.

POETA

Orsù, tronchiam questi discorsi, e omai

parliam di ciò, che importa più.

MAESTRO

Quai sono

i caratteri suoi più favoriti?

TONINA

Io tutto vi farò: la contadina,

la vecchia, la bambina,

la semplice, l'astuta.

MAESTRO

È tutta roba, che l'abbiam veduta.

POETA

Si vorria qualche cosa nuova, e bella.

TONINA

L'Arlecchino, il Dottore, il Pulcinella?

MAESTRO

Oh cari quei caratteri!

POETA

Deliziosi, è ver: ma, poco o nulla

conoscendosi qui gli originali,

non si posson gustar.

MAESTRO

Son vari i gusti.

POETA

Ma poi il più bello è che ciascun pretende

essere il gusto suo miglior d'ogni altro.

TONINA

Conosciuti caratteri vi annoiano,

sconosciuti non son di vostro gusto:

e chi diavolo mai può contentarvi?

Vi farò... che so io...

la selvaggia, la zinghera, la quaquera.

MAESTRO

La papera?

TONINA

Non papera, ma quaquera.

POETA

(seriamente al Maestro)

Sì, squacquera.

MAESTRO

Cioè?

TONINA

Zucche! Già vedo

che l'un, e l'altro non capisce un zero.

A proposito: ancor talvolta ho fatta,

e posso far la matta.

POETA

Bella esser dée la scena.

MAESTRO

Né dovrebbe costarvi una gran pena.

TONINA

Figuratevi, ch'io per affluenza

di sangue nel cervello, o per dolore,

per rabbia, per amore,

per sùbito spavento,

o per altra ragion pazza divento.

Stranamente vestita,

ho gli occhi stralunati,

capelli scarmigliati,

la guardatura fissa, il viso giallo,

e ora piango, ora rido, or canto, or ballo.

Via largo ragazzi,

non tanti schiamazzi

ché arriva la sposa

con gala sfarzosa,

la bella Tonina

che vien dalla China:

oh quante carrozze!

oh quanti cavalli!

Venite alle nozze,

si canti, si balli;

cantate, ballate,

la rà, la ra là.

Ma cosa mai veggio?

Si può far di peggio?

(guardandoli stralunatamente)

Voi siete due cosi

barbuti, pelosi...

Che musi che avete?

Montoni voi siete.

Io son l'agnelletta,

che sopra l'erbetta

saltando se n' va.

E voi cosa volete

così vestiti a lutto?

Tacete, oh dio! tacete,

ché già comprendo il tutto.

Il caro sposo è morto:

chi sa se torna più.

Ma non ha avuto torto,

ché giusto a mezza vita

aveva una ferita,

da quindici anni, e più.

Ombra sanguigna errante

del caro sposo amante,

se intorno a me t'aggiri,

ascolta i miei sospiri,

rimira queste lagrime,

come mi colan giù.

Voi non piangete, o perfidi?

POETA

Pare ossessa.

MAESTRO

E chi sa che non lo sia.

TONINA

Ma tu chi sei, che in maschera

mi vieni a dar dei pizzichi?

Or ti conosco: ah cane.

Morrai per le mie mane.

(piglia pe 'l collo il Maestro)

Sì, l'uccisor sei tu.

Paventa i sdegni miei;

Marfisa io son, tu sei

il brutto Ferraù.

MAESTRO

Per carità, finite questa scena.

POETA

Eppur non la fa male.

MAESTRO

Anzi un pochetto troppo al naturale.

TONINA

Volete altro?

MAESTRO

Io per me ne ho già abbastanza.

POETA

Tonina, dite un po': vi ricordate

di quella cavatina,

che giusto ier mattina

fe' rider tanto il principe?

TONINA

Ah, sì quella

che figura un Tartaglia,

che a ogni sillaba intoppa, impunta e sbaglia.

(canta tartagliando)

Cucuzze! Che concorso!

Chi chiacchiera, chi ride,

e chi schiamazza, e stride,

chi fugge a tutto corso,

e chi va qua, chi là.

MAESTRO

Cessate in grazia, ché mi fate pena.

POETA

Vedete ben, ch'ella sa far di tutto.

TONINA

Troppo gentil.

MAESTRO

(a Tonina)

Ella saprà che qui

dée darsi un'operetta in quattro dì.

Se però si compiace

d'accettare una parte, evvene appunto

una per lei, che parmi

moltissimo a proposito.

TONINA

Cioè?

POETA

Ella è una cameriera allegra, e scaltra,

che divertir procura la padrona,

e toglierle il pensier, che ha d'ammazzarsi.

TONINA

Per questo io sono a meraviglia buona.

MAESTRO

Giusto ho un'aria qui pronta.

TONINA

Sentiamo.

(prende l'aria di mano del Maestro, e si pone in atto di cantare)

MAESTRO

Volentieri: è un allegretto.

POETA

Sentirete, maestro, sentirete

come ella canta all'improvviso.

TONINA

Io poi

fo tutto all'improvviso.

MAESTRO

Dunque a noi.

(il Maestro sta al cembalo accompagnando Tonina, che, appena ha cantato alcune battute, vien interrotta da Eleonora che sopraggiunge)

Scena ultima

Eleonora, e detti.

ELEONORA

(colla solita sostenutezza)

Maestro, vi saluto. ~ Addio, Poeta.

MAESTRO

(a Tonina)

Signora mia... scusate, un sol momento...

TONINA

Mi piantate così?

MAESTRO

Subito torno.

ELEONORA

Ecco l'aria: vogliam provarla un poco?

MAESTRO

Subito; quando sbrigo

quell'altra virtuosa, e son da lei.

(va per mettersi di nuovo al cembalo)

ELEONORA

(al Poeta)

Dite, chi è colei?

POETA

È una buffa eccellente.

ELEONORA

Non mi intrigo con buffe.

TONINA

(al Maestro)

Ebben, venite, o non venite?

MAESTRO

(accostandosi a Tonina)

Adesso.

Quell'è donna Eleonora

che ora vien di Spagna.

TONINA

Fosse anche la contessa di Culagna,

non me ne importa un fico.

ELEONORA

Incominciamo, dico.

MAESTRO

Aspetti un poco.

Quella signora ha cominciato omai.

ELEONORA

E le mie pari non aspettan mai.

POETA

(Qui nasce uno scompiglio.)

TONINA

(al Maestro)

Se non venite voi, finisco sola.

ELEONORA

(al Maestro)

Se voi non mi volete accompagnare

al cembalo mi pongo,

e da me stessa mi accompagno, e canto.

TONINA

Canti pur: l'aria mia finisco intanto.

(Eleonora si pone al cembalo, e canta la sua aria -Se questo mio pianto-; e intanto Tonina canta l'aria sua -Per pietà-; mentre cantano, parla alla seria il Maestro, e il Poeta alla buffa)

Insieme

ELEONORA

Se questo mio pianto

il cor non ti tocca,

se questo mio canto,

che m'esce di bocca

ancor non espugna

quel barbaro sen;

via sfodera, impugna

quel ferro spietato

e questo castrato

trafiggimi almen.

TONINA

Per pietà padrona mia,

per pietà non v'ammazzate,

ch'è una gran minchioneria.

Queste sono ragazzate,

e può farsene di men.

Deh! Lasciate che s'ammazzi

qualche brutta, o scioccherella;

ché l'uccidersi è da pazzi,

sia col ferro o col velen.

Voi dovete star nel mondo,

voi che siete savia, e bella,

voi che avete il sen fecondo,

voi che avete un figlio in sen.

POETA E MAESTRO

Maestro

Via, donna Eleonora...

Poeta

Via, cara Tonina...

Maestro

Cessate in buon'ora.

Poeta

Deh siate bonina.

Poeta e Maestro

Stizzarsi, adirarsi

a voi non convien.

Al principe, al conte

disgusto darete,

che come sapete,

vi vuol tanto ben.

(Eleonora finisce la sua aria prima di Tonina, la quale segue a cantare con dispetto; e intanto Eleonora si leva, e si ferma a guardarla ridendo)

ELEONORA

E pur quell'orgoglio

diverte, mi piace;

quell'estro vivace

diletto mi dà.

TONINA

(facendo un gran respiro)

Ho vinto l'impegno,

or altro non voglio,

depongo lo sdegno,

son tutta bontà.

POETA E MAESTRO

Se il riso, se il gioco

successe a quel foco,

si stringa costante

sincera amistà.

ELEONORA E TONINA

Il vate, il maestro

risveglino l'estro.

POETA E MAESTRO

La seria, la buffa

non faccian baruffa.

TUTTI

Si stringa costante

sincera amistà.

POETA

Or se tutti son d'accordo,

se nessuno è muto, o sordo,

se la musica è già pronta,

se il libretto non si conta,

se il vestiario, se scenario,

se gli attori, i sonatori,

se ogni cosa in somma è lesta,

se chi paga e dà la festa

vuole, ed ordina così,

sarà cosa facilissima

di far l'opra in quattro dì.

MAESTRO

Grazie al ciel, che la ragione

alla fin l'ostinazione

d'un poeta convertì.

TUTTI

Lieto intanto applauda il canto

allo stuolo spettator.

Astro in ciel propizio splenda

di contenti annunziator.

Ch'efficaci i voti renda

e il desio del nostro cor.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 11/05/2016
Pagina: ridotto, rid
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