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Il ricco d'un giorno

IL RICCO D'UN GIORNO

Dramma giocoso.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Lorenzo DA PONTE.
Musica di Antonio SALIERI.

Prima esecuzione: 6 dicembre 1784, Vienna.


Attori:

EMILIA amante di

soprano

GIACINTO giovane prodigo

tenore

STRETTONIO fratello di Giacinto, uomo avarissimo

basso

DORALICE sorella di quelli, donna prudente

soprano

MASCHERONE servitore di Giacinto

basso

BERTO notaio, padre di Emilia

basso

LAURETTA cameriera di Doralice

soprano




La scena si rappresenta in Venezia.

Atto primo
Scena prima

Sala ordinarissima, e mal fornita. Giacinto, Strettonio, Berto con fascio di carte, indi Mascherone.

GIACINTO

(respingendo Berto)

No. Permetter no 'l poss'io:

saria questo un vero affronto;

se da voi s'è fatto il conto

infallibile sarà.

STRETTONIO

(respingendo Giacinto)

L'onestà del signor Berto

nota è certo a tutti noi,

ma il vedere i fatti suoi

non offende l'onestà.

BERTO

(facendo forza per mostrare i conti)

Basta, sia come si voglia,

così bramo, e così intendo.

L'un, e l'altro conoscendo

torto alcun non mi si fa.

GIACINTO

Ma signor...

BERTO

Non c'è signore.

STRETTONIO

Ma fratel...

GIACINTO

Non c'è fratello.

Insieme

GIACINTO

Altri conti ho per la testa

qui fermar non mi vogl'io;

tra la gioia, tra la festa

saltellar sento il cor mio,

gran disegni a compier vado,

vado Emilia a consolar.

STRETTONIO

Io non sono senza testa,

tutto affé veder vogl'io,

tra la gioia, tra la festa

saltellar sento il cor mio:

via di qua però non vado

senza i conti pria guardar.

BERTO

So qual è la vostra testa,

e fidar non mi vogl'io:

pazza è quella, avara è questa,

e ci va dell'onor mio:

via di qua perciò non vado

senza i conti pria mostrar.

(Berto tien perpetuamente il libro dei presentato a Giacinto, e Strettonio lo stimola a leggere)

GIACINTO

Ehi Mascheron.

MASCHERONE

Signore.

(Mascherone esce in fretta)

GIACINTO

In vece mia

rivedrai questi conti.

BERTO

Eh non credete

ch'io di ciò sia contento: i fatti vostri

a voi di veder tocca.

GIACINTO

Ma se soddisfo io son...

BERTO

Questo non basta.

GIACINTO

E vuol dunque così?

BERTO

Lo voglio certo.

STRETTONIO

Ha ragione, fratello, il signor Berto.

MASCHERONE

(piano a Giacinto)

Quanto è toccato a voi?

(Mentre Giacinto vuol rispondere a Mascherone Berto gli parla, e gli mostra il conto in libro.)

BERTO

Dunque badate:

dodicimila scudi

è il capital di banco,

eccoli qui notati.

GIACINTO

(a Mascherone senza badar a Berto)

Quattromila zecchini

in danaro contante.

STRETTONIO

Sì sì... dodicimila...

(guardando attentamente, e leggendo egli stesso)

Va bene.

MASCHERONE

(piano a Giacinto)

È in vostra mano?

BERTO

(a Giacinto)

Eh via guardate.

GIACINTO

Vedo vedo, signor, non dubitate.

BERTO

(seguita a leggere)

Tra campi, e case, che si son vendute

duemila scudi sono.

GIACINTO

Prendi, quest'è l'argento, io te lo dono.

(dà una borsa d'argento a Mascherone)

MASCHERONE

Grazie. (Non mi contento

s'anche l'oro non vien dopo l'argento.)

STRETTONIO

Non mi par molto invero.

(si mette gli occhiali, e strappando i libri di mano a Berto legge egli stesso con premura)

Lasciatemi veder: due mille... parmi

che un tre prima qui stesse.

BERTO

(ironicamente)

(È un avaro costui di nuova classe.)

È stato sempre un due.

GIACINTO

(piano a Mascherone)

Anche queste monete sono tue.

MASCHERONE

(come sopra)

E le gemme ove son?

BERTO

(a Mascherone)

Caro signore,

un poco di creanza.

STRETTONIO

Via lasciateci in pace.

MASCHERONE

Io non parlo illustrissimo.

GIACINTO

(a Berto)

Ma se io vedo tuttissimo.

BERTO

Finiamola una volta;

tra mobili di casa,

tra crediti, livelli,

barche, legni, e cavalli,

sette mila zecchini

si sono ricavati,

ecco le ricevute, e gli attestati.

STRETTONIO

(con affettata dolcezza)

Di grazia, signor Berto

son tutti sottoscritti?

BERTO

Oh questo alfine è troppo:

son stanco, ed annoiato

della vostra insolenza:

e vedo, che con voi non val pazienza.

Di trecento eredità

commissario sono stato,

né mai sbaglio s'è trovato,

(a Strettonio)

né alcun mai mi strapazzò,

(a Giacinto)

noto è al mondo il mio carattere,

e mi par che all'età mia,

rispettar più si dovria,

quel che io dico, e quel ch'io fo.

Le carte son quelle,

i conti son fatti,

io sciocco non sono

se voi siete matti,

andrò a un tribunale

poi ch'altro non vale,

e i conti e le carte

vedere farò.

(riprende le carte, e parte)

Scena seconda

I detti.

STRETTONIO

Ecco: per vostra colpa

sdegnato è il signor Berto.

Quel vostro chiacchierare...

GIACINTO

Anzi la colpa è vostra,

che irritato l'avete

mostrando diffidenza.

MASCHERONE

In quanto a me,

poiché il meglio ha lasciato,

altro non cercherei.

STRETTONIO

Ed io voglio veder i fatti miei.

Correrò al tribunale,

presenterommi ai giudici,

porterò meco un abaco,

prenderò un computista,

e ogni cosa farò, che sia rivista.

(Prende il danaro e le gemme.)

Finché siam fuor di cimento,

siamo sempre galantuomini,

ma alla vista dell'argento

caschiam tutti e donne, ed uomini

e chi più credesi onesto,

è il più presto a traballar.

Le sentenza è di Catone,

chi ha de' denti vuol mangiar.

(parte)

Scena terza

Mascherone, e Giacinto.

GIACINTO

Amico, che ne dici?

È questa un'illusione,

un sogno, una visione?

Vien qui, parlami, scuotimi, bastonami...

Dieci mille zecchini

gemme, anelli, orologi, argenteria.

Da ieri in qua passato

da un estremo bisogno a un ricco stato.

(seguita a giubilare)

MASCHERONE

Gli uomini di buon cuore

son sempre fortunati.

(getta fuori d'una borsa molti zecchini)

GIACINTO

Guarda come son belli!

Paion battuti adesso:

non perdiam tempo in ciarle.

Pensiamo a divertirci,

al grande ancor pensiamo.

MASCHERONE

Ebben, che far dobbiamo?

GIACINTO

Tu ch'hai de' gran disegni,

studia, immagina, inventa,

prescrivi, imponi, e come vuoi comanda.

MASCHERONE

Ma qual è il genio vostro?

GIACINTO

Il grande al gusto unito.

MASCHERONE

Basta questo, signor, ho già capito.

GIACINTO

In questo giorno stesso

vo' far, che ognun dimentichi

quel che ieri son stato;

mi parrà tutto inezia

se non fo sbalordir tutta Venezia.

Barca alla riva io voglio,

carrozze alla campagna,

barbari in scuderia,

venuti dalla Spagna,

vo' cuochi, camerieri,

aiduchi, gondolieri,

paggi, lacchè, staffieri,

che in quattro lingue almeno

mi sappiano parlar.

Magnifici voglio io

di casa i fornimenti,

pitture, e specchio io voglio

dei mastri i più eccellenti,

vo' merli sopraffini

fiamminghi, e parigini,

vestiti alla gran moda

cappello, fibbie, e coda,

con tutto quel di bello

che si può mai trovar.

(parte)

Scena quarta

Mascherone, poi Lauretta.

MASCHERONE

Quanto mai dureranno

tutte queste ricchezze, io giocherei

che non passan due mesi

che tutto se n'è andato,

maschera ti conosco,

quello che mi consola è ch'ancor io

la mia parte n'avrò, godano tutti,

ch'io non resterò certo a labbri asciutti.

LAURETTA

È vero Mascherone,

ch'è diventato ricco il tuo padrone?

MASCHERONE

Sicuro.

LAURETTA

Ed in qual modo?

MASCHERONE

Ha ereditato

da un vecchio, che morì del suo casato.

LAURETTA

Ci ho gusto, poverino.

Ha un cuore tanto fatto.

MASCHERONE

(da sé)

(Ma dove mai trovar in un momento

tutto quel che bisogna?)

LAURETTA

Cosa dici?

MASCHERONE

(parla senza badar a Lauretta)

(In ghetto, od all'incanto

si dovrebbe trovar.)

LAURETTA

Cosa borbotti?

MASCHERONE

Eh niente: (in ogni caso

burlerò un mercadante) in questa casa

quante stanze vi sono?

LAURETTA

(le conta sopra le dita)

Sono quattro - sei - dieci.

Son dieci, un gabinetto, e questa sala.

MASCHERONE

Tutte così da gala?

LAURETTA

Poco più, poco meno.

MASCHERONE

(Ancor meglio,

più guadagno n'avrò.)

LAURETTA

Ma quanto ha ereditato?

MASCHERONE

Venti mille zecchini

tra gioie, e tra danaro.

LAURETTA

Oh quanto son contenta! Ecco il momento

ch'ei mi farà la dote,

come m'avea promesso;

e credo, che potrai sposarmi adesso.

Che dici, sei contento?

MASCHERONE

Contentissimo.

LAURETTA

(accennando sé stessa)

Oh oh lo credo anch'io, questo groppetto

grand'onor ti può far: ascolta un poco

come mi vestirò

il giorno che con te mi sposerò.

Avrò un ricco corsettino

di moderno, e nobil gusto,

con il fondo limoncino,

e guarnito un bel ponsò.

Avrò un vago grembialetto

verde pomo, o rosa languida,

ed un fino fazzoletto

colle frange al collo avrò.

Avrò scarpinetti

sul piede parlanti,

fettucce, merletti,

bei nastri, bei guanti,

e due pennacchini

avrò sopra i crini,

che a tutte le femmine

invidia farò.

(parte)

Scena quinta

Mascherone solo.

Costei canta, ed io penso, una parola

non so di quel che disse, altro che donne

or mi sta nella testa; oh quei zecchini

son pur la bella cosa! Il mio padrone

già vuole scialacquar; non mi par dunque

che se anch'io come gli altri

cerco trarne profitto

esser debba un delitto, anzi a mio credere,

è perfetta morale,

è politica, è legge naturale.

Alfin... basta, io capisco: al suo molino

tirar dée l'acqua ogni mugnaio astuto.

Potrebbe un mio rifiuto

la fortuna irritar; son volpe vecchia,

so bene il fatto mio,

intendami chi può, che m'intend'io.

Val più assai di una parrucca

con gran borsa, e gran tuppè

core in petto, sale in zucca,

pronta mano, e snello piè.

Val più assai di gran dottrina

in balia del pregiudizio,

un pochetto di giudizio,

come quel che sento in me.

Co l'ardire, e coll'ingegno

tutto al mondo si può far.

Teodoro acquista un regno,

Montgolfier giunge a volar.

Ho già fatto il mio progetto,

sale in zucca e core in petto,

e saprò senza alchimia

l'oro in copia ritrovar.

Scena sesta

Sala decente in casa del Procuratore; Emilia con un foglio in mano, poi Doralice, indi Strettonio.

EMILIA

O caro amato foglio!

(gli dà alcuni baci)

qual felice novella,

tu portasti al mio cor!

(legge)

«In brevi istanti

a vederti io verrò; sarai mia sposa

come sei l'idol mio; me ne assicura

la fatta eredità.» Caro Giacinto,

(ribacia il foglio)

è vero, e non m'inganna

una falsa speranza. Tuo carattere è questo,

ne conosco la mano:

ogni timor, ogni sospetto è vano.

Di giubilo amoroso

tutta ripiena l'alma,

in braccio all'aurea calma,

godrà di respirar.

E assorta tra i diletti

d'una fortuna amica,

ogni sua pena antica

saprà dimenticar.

EMILIA

Venite al seno mio

carissima cognata ~ in questo amplesso ~

DORALICE

Ah no mia cara Emilia,

ancora non è tempo

di chiamarmi così.

EMILIA

Come? Chi mai

impedirlo potrebbe?

DORALICE

Giacinto?

EMILIA

(con sorpresa)

Chi? Giacinto?

DORALICE

Ei stesso.

EMILIA

(con affetto, e premura)

Come?

Spiegatevi, parlate,

non mi fate morir.

DORALICE

Ah sì conviene

che sincera io vi parli; ei v'ama, è vero,

ma qual pro, cara Emilia,

se invincibili ostacoli contrastano

alla vostra union?

EMILIA

Oh dio! Che mai!

DORALICE

Il carattere suo, quel suo fatale

uso di scialacquar, gl'iniqui amici

che d'intorno gli stanno, e soprattutto

l'infame Mascherone,

che le sue debolezze

sol per trarne profitto ognor fomenta.

EMILIA

Per pietà non vi senta,

amica, il padre mio.

(si guarda intorno con ansietà)

DORALICE

Ma che? Credete

voi cieco il signor Berto? Ei vede tutto,

egli alle nozze vostre

condiscender non può: ma caso ancora

ch'egli tacesse, io stessa

allora m'opporrei,

infelice vedervi io non potrei.

EMILIA

Ahimè! Voi m'uccidete

volendomi salvar.

DORALICE

Sentite Emilia,

da corregger Giacinto

resta solo una strada, e se non giova... ~

EMILIA

E qual è mai, facciamone la prova.

DORALICE

Giacinto v'ama, ma del vostro amore

è sicuro il suo cuore: indi trascura

di far quel che a voi piace;

rendetelo geloso,

il timore di perdervi

scuotere lo potria:

spesso d'amor più forte è gelosia.

EMILIA

Ma in qual maniera mai

può farsi onestamente?

DORALICE

Sapete che di voi

innamorato è il fratel mio Strettonio,

fingendo un matrimonio...

eccolo; a tempo ei viene,

lasciatevi guidar.

EMILIA

(Finger conviene.)

STRETTONIO

Permettete, Emilia bella,

che un amante, che v'adora,

offerisca a voi l'aurora

della sua felicità.

EMILIA

Sono grata, e son sensibile

o signore, al vostro affetto,

ed ascolto con diletto

che felice siete già.

DORALICE

Manco ciarle, o fratel mio,

se d'Emilia amante siete,

o sposarla voi dovete,

o lasciarla in libertà.

STRETTONIO

Pronto io son.

EMILIA

(a Doralice)

(Ma cosa fate.)

STRETTONIO

(ad Emilia)

(Voi che dite?)

DORALICE

Al padre andate.

E s'Emilia a voi concede

essa allor vi sposerà.

STRETTONIO

Vado ~ corro... ~

EMILIA

(a Strettonio)

No attendete,

(a Doralice)

per pietà... ~

DORALICE

(ad Emilia)

Di me fidatevi.

STRETTONIO

(ad Emilia)

Non temete mia sarete.

Giuro a Venere, e a Mercurio

a Saturno ed a Vulcano

che il mio core, la mia mano,

la mia testa, ed il mio piede,

con il resto che si vede

tutto vostro ognor sarà.

Insieme

EMILIA E DORALICE

Ah s'accordi in mio favore

la fortuna, il cielo, amore,

né mi burli, né m'inganni

or la mia credulità.

STRETTONIO

Son d'accordo in mio favore

la fortuna, il cielo, amore,

non mi burlo, non m'inganno.

(Ecco un'altra eredità.)

(partono)

Scena settima

Gabinetto semplicissimo, dove Giacinto si sta pettinando per mano del Parrucchiere; Mascherone, che gli siede vicino spiegandogli diverse cose sopra una carta, che sta leggendo. Un Sarto con abito magnifico nelle mani etc. poi Lauretta.

MASCHERONE

Due cuochi, sei staffieri, e quattro aiduchi,

due camerier francesi,

quattro cocchieri inglesi,

un moro, due lacchè...

GIACINTO

(gli chiude la carta tra le mani)

Eh che tutto andrà ben. Se piace a te.

Lauretta entra tutta ansante.

LAURETTA

Mascherone, signore,

fuggite per pietà!

GIACINTO E MASCHERONE

Cos'hai Lauretta?

LAURETTA

Ah un esercito, un turbine di gente

in casa vuol entrar. Che musi brutti,

che vesti, che figure!

(Mascherone e Giacinto ridono)

LAURETTA

Credo che sieno sbirri,

assassini, sicari... voi ridete?

MASCHERONE

Vanne, vanne apri subito.

Non è nulla di ciò.

LAURETTA

Vado, ma dubito.

(parte)

Scena ottava

Coro di Servi, Mercadanti, Gioiellieri, Artisti giovani di negozio con stoffe, con ceste di mercanzie, con gioie, fibbie, anelli, orologi etc.

CORO

Viva sempre la gran moda,

il buon gusto, e la grandezza,

pazzo è ben, chi non la loda,

o non vede il suo splendor.

Cosa val l'argento, e l'oro

per chi l'uso non ne intende?

Sol la man di chi lo spende

sa il suo pregio, e il suo valor.

Viva sempre la gran moda,

il buon gusto, e la grandezza,

pazzo è ben, chi non la loda,

o non vede il suo splendor.

GIACINTO

Bravi, bravi, bravissimi!

(guarda da fanatico or l'una or l'altra cosa)

Che bella compagnia!

Che mercanzie, che gusto!

Lauretta entra.

GIACINTO

Ehi Lauretta va' subito

a chiamare Strettonio e Doralice.

(Lauretta parte)

GIACINTO

Come mai resteranno

quando tutto vedranno?

Quanto val questa gemma?

UNO DEL CORO

Novecento zecchini.

GIACINTO

È già pagata?...

MASCHERONE

Non signor: ma il contratto...

GIACINTO

Non dico nulla, quel ch'è fatto è fatto.

Ecco in dito io la pongo... E quelle fibbie?

Quei bijoux, quegli astucci, ed orologi?

UN ALTRO

Mille zecchini in tutto.

GIACINTO

Il capo insomma,

rompere non mi voglio:

di pagar tutto io lascio a te l'imbroglio.

Prendi, finita questa

da me tosto verrai:

so chi tu sei, e chi son io tu sai.

(gli dà una gran borsa di zecchini)

MASCHERONE

(Lo so lo so benissimo.)

(mostra alcune persone a parte)

Quella gente illustrissimo

destinata è a servirla.

GIACINTO

Va magnificamente.

E tu da questo istante

sarai mio maggiordomo, e mio coppiere.

Mio cacciator maggiore, e gran scudiere.

MASCHERONE

Grazie alla sua bontà.

(Son più contento invero,

che m'abbia fatto già suo tesoriero.)

Andate pure amici;

a mezzogiorno poi

per ordin del padrone

v'attendo tutti quanti:

avrà ciascun col pranzo i suoi contanti.

(il coro si ripete, e partono tutti eccetto Giacinto, e Mascherone, e quelli, che son destinati a servire)

CORO

Viva sempre la gran moda,

il buon gusto, e la grandezza,

pazzo è ben, chi non la loda,

o non vede il suo splendor.

Cosa val l'argento, e l'oro

per chi l'uso non ne intende?

Sol la man di chi lo spende

fa il suo pregio, e il suo valor.

Scena nona

I detti, Doralice e Strettonio.

STRETTONIO E DORALICE

Che volete fratello?

GIACINTO

Giudici, e testimoni

vi chiamai del mio gusto: ecco mirate,

stupite, sbalordite!

(mostra servi, gemme, abiti, gioie etc.)

V'è niente di più grande,

di più stupendo, e bello?

Tutto tutto è in comune,

servi, ornamenti, gioie,

voi questa tabacchiera,

Doralice prendete.

DORALICE

Grazie grazie fratel...

STRETTONIO

(le toglie la tabacchiera di mano)

Non la volete?

Un dono ricusate?

Son qua la prendo io.

GIACINTO

Padron, padrone.

MASCHERONE

(Oh avaro maledetto;

a me fa un ladrocinio.

Vo' mandarlo per questo in esterminio.)

DORALICE

Eh vergognatevi

di questa sordidezza

vilissimo che siete; e voi Giacinto

quando mai finirete

di far queste pazzie? Già mi vergogno

d'esser vostra sorella,

in Venezia di voi ciascun favella.

GIACINTO

Ma in questo modo intanto

mille amici mi vedo ognora accanto.

DORALICE

Povero semplice!

Cosa credete?

È tutto trappola

quel che vedete;

tutto è interesse,

che amor vi par.

Finché è cortese

con noi la sorte

tutto il paese

ci fa la corte;

quai cerimonie,

quai tenerezze,

quante carezze

vengonci a far!

Ma se fortuna

volta la schiena

in un istante

cangia la scena,

ciascun la maschera

lascia cascar.

Povero semplice!

Cosa credete?

È tutto trappola

quel che vedete;

tutto è interesse,

che amor vi par.

Scena decima

Strettonio, Giacinto e Mascherone.

STRETTONIO

Doralice è una pazza, e son sicuro,

che parla per invidia.

Seguitate fratello

a viver così, godete voi

e fate ch'ognun goda; in questo modo

di me, di tutto il mondo

l'approvazione avrete,

tanto più se regali a me farete.

Scena undicesima

Mascherone e Giacinto.

MASCHERONE

Eh non badate nulla

signore all'altrui ciarle: il mondo è fatto

per chi sa più goderlo.

GIACINTO

Ma Doralice alfin...

MASCHERONE

Signor padrone,

siete giovine ancora,

né sapete il buon tuon: dell'amor mio

gran prove già vi ho date;

tutto v'insegnerò se vi fidate.

Deve ognuno, che ricco si crede

più del vero alla gente sembrar,

spenda il doppio di quel che possiede,

e dal mondo farassi stimar.

Il moderno, il magnifico, il raro,

segua sempre e lo voglia per sé;

doni, getti, non guardi a danaro,

cerchi solo il superfluo dov'è.

GIACINTO

Ma l'oro finito

che fare si dée?

MASCHERONE

Di credito allora

si fa un capital,

che d'ogni tesoro

più stimo, e più val.

Si va da' mercanti...

GIACINTO

Ma poi per pagar?

MASCHERONE

Il nome, e la fama

val più de' contanti,

si chiedono stoffe,

si chiedon brillanti,

non fassi contratto,

si prende sul fatto,

a vender si manda,

si manda a impegnar.

GIACINTO

E il termine scorso,

che dessi poi far?

MASCHERONE

Si fan nuovi stocchi,

si vendon cambiali,

si trovano sciocchi

con gran capitali,

si va dagli avari,

dai primi usurari,

si giura si nega,

si mente, si prega,

e in fine del conto

non manca fallir,

e piena la borsa,

al Cairo fuggir.

(partono)

Scena dodicesima

Sala in casa del Procuratore con tre porte, una nel mezzo, e due laterali.
Berto e Strettonio, e poi Emilia.

BERTO

Ben ben le parlerò! Voi qui frattanto

nascondervi potete,

chiamerovvi a suo tempo.

STRETTONIO

Va benissimo...

Mi raccomando a lei.

(entra nella stanza)

BERTO

State certissimo,

è avaro sì, ma è ricco, Emilia alfine

dovrebbe esser contenta.

EMILIA

Buongiorno, signor padre.

BERTO

Oh venite opportuna;

io vi devo parlar.

EMILIA

Che sarà mai?

BERTO

Ditemi cara figlia,

credete voi ch'io v'ami?

EMILIA

Perché mai tal domanda?

BERTO

Rispondete.

EMILIA

Come potrei non crederlo?

BERTO

Oh quanto son curioso

d'udire i lor discorsi!

(dalla porta dov'è entrato)

Dunque ancor crederete,

ch'io pensi al vostro ben.

EMILIA

Sicura io sono.

(Oh poveretta me!

Vorrà dir di Giacinto.)

BERTO

Udite dunque.

Un ricco, un uom, che v'ama

vi domanda in isposa.

EMILIA

Or che ho da dire?

STRETTONIO

Voglio accostarmi, e qualche cosa udire.

EMILIA

(dalla parte di Strettonio)

(Forse il signor Strettonio.)

STRETTONIO

Ora m'ha nominato.

(vedendo Emilia che volge il capo a quella parte si ritira)

BERTO

Appunto.

EMILIA

Come!

A quel sordido mostro, a quell'arpia

volete voi, ch'io dia

per vivere felice

mano, e fede di sposa.

(torna ad avvicinarsi)

STRETTONIO

(Dice, che fia felice

quando sarà mia sposa.)

BERTO

Voi però con prudenza...

EMILIA

Ma Giacinto?...

BERTO

Giacinto

esser non può per voi.

EMILIA

Oddio! Sapete

ch'egli è l'anima mia.

STRETTONIO

(come sopra)

(Dice che fia felice

quando sarà mia sposa.)

(Carina! Ha detto

che io son l'anima sua.)

BERTO

Non vedo in lui

che un folle, un forsennato,

un fanatico, un misero, un vizioso,

né un padre ve 'l può mai dare in isposo.

EMILIA

Eppure ad ogni modo

questo core l'adora.

STRETTONIO

(con trasporto)

M'adorate?...

Son qui ~ vi sposerò, non dubitate.

EMILIA

Come? Voi siete qui?

BERTO

Chi vi chiamò?

STRETTONIO

Eh non serve signor, già tutto so.

Già tutto intesi o cara,

già so che m'adorate,

di sospirar cessate,

cessate di penar.

Se il vostro Adone io sono,

la mia Medea voi siete;

guardatemi, e vedrete

quanto vi fate amar.

Vedrete una lanterna,

un forno, un Mongibello,

che il fegato, e il cervello

sente di già sfumar.

(Emilia tiene gli occhi altrove con ribrezzo)

Volgete a me lo sguardo,

stringetemi la mano,

ditemi da lontano,

quel che di me vi par.

(Emilia s'allontana Berto tenta di farla avvicinare)

Lasciatela signore,

è ancora innocentina;

povera colombina,

non osa di guardar.

Oh quanto contenta

sarete quel giorno,

che il vostro Strettonio

veravvi d'intorno;

e senza rossore

potrete a lui dir,

Strettonio mio bello,

mi sento languir.

Scena tredicesima

Emilia, e Berto.

EMILIA

Ebben che dite o padre?

Potete or consigliarmi

a sposarlo, ad amarlo,

a donargli il mio cor?

BERTO

Io più non parlo;

il mio parer già udiste; or tocca a voi

o da saggia figliuola

consolare il mio core,

ovver farmi infelice,

per seguire un amore, che a voi disdice.

(parte)

Scena quattordicesima

Emilia sola, poi Giacinto con seguito pomposo di Staffieri, Lacchè, etc.

EMILIA

Misera! Che far deggio! A qual cimento

Doralice mi mise!

Forse senza il consiglio

ch'ella a lui dié, non saria mai venuto

il pensiero a Strettonio

di domandarmi al padre, e non sarei

nel punto più fatal de' giorni miei.

Sento da un lato il padre

che con fedel consiglio

mostrami il mio periglio

e palpitar mi fa.

Veggio dall'altro amore

che mi favella al core,

e il caro ben gli mostra

che perdere dovrà.

E intanto combattuta

dall'amore, e dal dovere,

mi rimango irresoluta,

non so più cosa volere:

or avvampo, ed ora tremo,

ora piango, ed ora fremo,

e non so da ch'io mi chieggia

né soccorso, né pietà.

Parte, e nell'uscire incontrasi con Giacinto accompagnato da pomposo Sèguito.

GIACINTO

Eccomi, amata Emilia,

di me degno, e di voi, ecco il momento

più bello, e più contento

che in vita mia provai.

Alla nostra unione

alcun più non s'oppone,

già mia sarete o cara,

e in pegno del mio amore

ecco la mano, e con la mano il core.

EMILIA

(Acconciare or lo voglio.)

Umilissima serva,

signor mio riverito.

GIACINTO

(con stupore)

Umilissima serva! Che linguaggio.

Che contegno è mai questo?

Non ravvisate, Emilia,

Giacinto il vostro amante?

EMILIA

Io no davvero.

Quella pettinatura,

quel brio, quella figura

quegli abiti, quel treno, insomma tutto

m'è incognito, m'è nuovo...

GIACINTO

(vuol prenderla per mano)

Eh via mia cara,

lasciamo star le burle.

EMILIA

Si scosti, o chiamo gente: io son, signore

d'un notaio la figlia

né conosco marchesi,

principi, cavalieri

di rango tal, di tal magnificenza.

Ha voglia di scherzar, serva eccellenza.

(parte)

Scena quindicesima

Giacinto solo.

(vuol arrestarla)

Emilia dove andate? Emilia dico.

Disparve in un baleno... poffarbacco

che diavolo è mai stato...

son stolido, son pazzo... veglio... dormo?

O v'è sotto un arcano... ma che mai?

Forse Strettonio... il padre... Doralice...

Eh via che sciocco io sono, uno scherzo è quello,

una finzione, un gioco,

per provar la mia fede, ed il mio foco.

Tenero ha il cor la femmina

tutto d'amor ripien,

ha nelle labbra il zucchero,

e il nettare nel sen.

Qual mansueta tortore

è amica di pietà.

Son l'armi sue le grazie

i vezzi, e la beltà.

E se talor suol fingere

collere, sdegni, e pianti

no 'l fa per genio barbaro

di tormentar gli amanti,

ma per conoscer l'animo

del caro ben lo fa.

Scena sedicesima

Gabinetto.
Doralice, che sta suggellando una lettera, poi Lauretta.

DORALICE

M'udisti? Senza indugi

vanne ad Emilia, e dille

quanto già ti commisi.

LAURETTA

Vado subito,

e a voi con la risposta

pronta ritornerò.

DORALICE

Va' pur t'attendo.

Anzi averti lei stessa

di non perder momento: fu eccellente

il progetto del finto matrimonio

col fratello Strettonio; or a star forte

Emilia consigliai, anzi a dar nuovo

colore alla finzione,

venendo ella medesma

a visitar lo sposo: e se la sorte

protegge i passi miei, s'ella è costante

liberato è il fratel da quel birbante.

(parte)

Scena diciassettesima

Camera trivialissima con armadio, e sedie etc. Strettonio solo.

Il mio matrimonio... doman si dée far.

All'erta Strettonio... ti puoi rovinar

il lusso... la moda... la gente... il fratello...

Strettonio cervello... non farti burlar.

Ma piano, ch'io credo

in questo deposito

più cose a proposito

poter ritrovar.

Oh questa è la vesta

che già mio bisnonno

quell'uom di gran testa

trent'anni portò.

Che bel milordino!

Peccato peccato,

ch'un po' sia macchiato,

voltar lo dovrò.

Di un panno il più fino

è quel mantellino;

oh buono davvero!

Portar lo potrò.

Or ve' le calzette:

son gialle, non serve,

e poi le scarpette,

da questo cappello

cavar le farò.

Or ecco tutto è fatto,

perbacco io non son matto,

sarebbe una pazzia

guastar l'economia.

Strettonio sta in cervello

non ti lasciar burlar.

Scena diciottesima

Sala sfornita.
Coro di diversi Lavoratori.

CORO

Qual piacer lavorando si trova

per chi a tempo ben spende il danaro,

ma qual pena è sudar per l'avaro,

che altro nume, che l'oro non ha.

Lesti lesti prendiamo i pennelli,

gli scalpelli, le lime, i martelli,

e si rompa, si roda, si batta,

finché l'opra finita sarà.

Qual piacer lavorando si trova

per chi a tempo ben spende il danaro,

ma qual pena è sudar per l'avaro,

che altro nume, che l'oro non ha.

MASCHERONE

Bravi bravi mi piace, va bene

qui travagliasi, come conviene,

tutto tutto sia presto finito

è il padrone contento esser dée.

GIACINTO

Sia con regola tutto disposto,

con il grande vi sia l'eleganza,

e dal pregio, e dal bel della stanza

si conosca il padrone qual è.

MASCHERONE

(a Giacinto)

Osservate i stupendi apparecchi,

i ricami, le stoffe, i lavori,

i disegni, il buon gusto, i colori,

tutto quanto ordinato da me.

Il Coro si ripete dai Lavoratori e s'incomincia il lavoro.

Qual piacer lavorando si trova

per chi a tempo ben spende il danaro,

ma qual pena è sudar per l'avaro,

che altro nume, che l'oro non ha.

Lesti lesti prendiamo i pennelli,

gli scalpelli, le lime, i martelli,

e si rompa, si roda, si batta,

finché l'opra finita sarà.

Qual piacer lavorando si trova

per chi a tempo ben spende il danaro,

ma qual pena è sudar per l'avaro,

che altro nume, che l'oro non ha.

(intanto Giacinto, e Mascherone fanno atti di piacere)

STRETTONIO

Cos'è questo strepito?

Cos'è questo chiasso?

La casa precipita

va tutto in conquasso,

qui senza mio ordine

che cosa si fa?

(si tralascia il lavoro)

GIACINTO

Tacete, ascoltate

non fate rumore...

STRETTONIO

(a Giacinto)

Ma voi mi rubate...

MASCHERONE

Eh piano signore...

STRETTONIO

Voi cosa c'entrate?

GIACINTO

Chetatevi un poco,

ragione intendete,

la casa moderna

tra poco vedrete.

STRETTONIO

No vo' divisione,

un pazzo voi siete.

MASCHERONE

Voi stesso, padrone,

goder ne potrete.

STRETTONIO

Guastare non voglio

le mie antichità.

GIACINTO E STRETTONIO

Che scena, ch'imbroglio,

che far si dovrà.

GIACINTO

Finiam la questione,

e cento doppie avrete.

STRETTONIO

Sol cento?

MASCHERONE

Oh che furbone!

GIACINTO

Ben?...

STRETTONIO

Via le prenderò.

GIACINTO

Ecco...

STRETTONIO

(gli dà il danaro)

Son poi di peso?

GIACINTO

Son tutte traboccanti.

STRETTONIO

Veder le voglio avanti.

MASCHERONE

O maledetto avaro!

Quell'oro a me rubò!

MASCHERONE, GIACINTO E STRETTONIO

Lesti dunque prendete i pennelli

i scalpelli, le lime, i martelli,

e rompete, rodete, battete

finché l'opra finita sarà.

CORO

Lesti dunque prendiamo i pennelli

i scalpelli, le lime, i martelli,

e rompiamo, rodiamo, battiamo

finché l'opra finita sarà.

(partono)

Scena diciannovesima

Atrio comune con quattro porte.
Doralice, e Lauretta.

LAURETTA

Sono stata mia signora

di ritorno son già.

DORALICE

Ben qual nuova hai da recarmi?

LAURETTA

Mi rispose che in brev'ora

con il padre qui verrà.

DORALICE

Or io vado, tu qui resta,

LAURETTA

E che deggio intanto far?

DORALICE

Mille cose ho per la testa,

non so cosa destinar.

Son confusa, ed imbrogliata

arrabbiata, disperata

tra un fanatico, un amante,

un avaro, ed un birbante,

ed a tutto in un momento

io non posso rimediar...

Quando Emilia qui se n' viene

mi farai tosto ad avvisar.

(parte)

Scena ventesima

Lauretta, poi Emilia, poi Doralice indi Mascherone.

LAURETTA

Che bisbigli, che scompigli

che puntigli, che ruina!

Da ier sera a stamattina

come tutto si cangiò.

Vada al diavolo l'argento

se non dée, che far scontento,

con la borsa sempre asciutta

volentieri io resterò.

(passeggia alquanto per l'atrio, e non veduta da Emilia entra per una porta)

EMILIA

Speranze di quest'alma

ah dove siete mai?

Perché di finta calma

a me mostrate i rai,

se farsi alfin più rigido

doveva il mio destin?

DORALICE

(a Emilia)

Ehi Lauretta... Oh voi qui siete?...

(a Lauretta)

Tu perché non m'avvisasti?

LAURETTA

Stava a udir certi contrasti

tra Giacinto, e tra Strettonio;

ed il vostro matrimonio

n'era appunto la cagion.

DORALICE E EMILIA

Che dicean?

LAURETTA

Sarà mia moglie.

DORALICE E EMILIA

Da Strettonio io dir sentia.

E Giacinto?

LAURETTA

Sarà mia.

DORALICE E EMILIA

E Strettonio?

LAURETTA

Mia sarà.

EMILIA

Sono a un orrido cimento

per la mia credulità.

DORALICE

Non temete.

EMILIA

Io tutta tremo.

LAURETTA

(Nulla intendo.)

DORALICE

Ebben vedremo.

EMILIA

Non so più cosa ho da far.

Mascherone esce non veduto, e sta ascoltando.

DORALICE

Se di me vi fiderete,

voi Giacinto sposerete,

e punito fia il briccone,

il birbon di Mascherone,

ma convien adesso fingere

queste nozze con Strettonio,

e Giacinto disprezzar.

EMILIA

Ma se do la mia parola

chi m'ha poi da liberar?

DORALICE

A me sol lasciate far.

MASCHERONE

Cosa intendo! O questa è bella!

MASCHERONE, DORALICE E EMILIA

Or lo vado ad avvisar.

LAURETTA

(Cosa intendo!... Mascherone!

Or lo vado a licenziar.)

(partono non vedendosi)

Scena ventunesima

I detti Strettonio, e Giacinto uscendo da una delle porte dal lato dove entrò Lauretta.

STRETTONIO

(arrabbiatissimo)

Cospetto, cospetto!

Che strana arroganza

GIACINTO

Per me me la rido

di questa baldanza.

STRETTONIO

Sentite sorella...

oh oh voi qui siete;

diletta sposina,

voi dir lo dovete

quel cor, quella mano

se d'altri esser può.

GIACINTO

(con tenerezza volendo prenderla la mano)

Emilia perdono,

perdono idol mio,

sapete che io sono...

EMILIA

Un perfido, un rio,

un pazzo, un insano

che sempre odierò.

GIACINTO

Che ascolto.

DORALICE

(piano ad Emilia)

Bravissima.

STRETTONIO

(a Giacinto)

Or siete contento?

EMILIA

Morire mi sento...

GIACINTO

Che fo che decido!

STRETTONIO

(a Giacinto)

Per me me la rido.

EMILIA

(a Doralice)

Ei smania...

DORALICE

(piano ad Emilia)

È la strada

da farlo guarir.

Insieme

GIACINTO

O ciel qual tormento!

Chi creder lo dée?

STRETTONIO

O ciel qual contento!

Or credel lo dée.

DORALICE E EMILIA

Oh ciel qual tormento!

Ma finger si dée.

STRETTONIO

Dunque la mano, o cara,

subito a me porgete.

DORALICE

Sì sì voi sol l'avrete.

STRETTONIO

(a Giacinto con ironia)

Cosa le par signor?

GIACINTO

Qual tradimento è questo,

chi l'idol mio m'invola?

Emilia sarà mia,

a me dié la parola,

o tutti insieme o barbari,

vedrete il mio furor.

DORALICE E EMILIA

Quetatevi.

STRETTONIO

Perbacco.

Questa è un'impertinenza.

MASCHERONE

(Eccolo qui avvertirlo

non posso in lor presenza.)

Signor, una parola,

con lor buona licenza.

(tira da un lato Giacinto e gli va parlando, come per informarlo. Giacinto fa degli atti di meraviglia)

MASCHERONE E STRETTONIO

Mancava quel ribaldo,

quel furbo maledetto,

mi sento in seno un caldo,

di rabbia di sospetto,

mille funesti eventi

mi presagisce il cor.

BERTO

Che fate qui figliuola?

Insieme

EMILIA

Padre venite a tempo,

la vostra voce sola

l'affar deciderà.

STRETTONIO

Signor venite a tempo,

la vostra voce sola

l'affar deciderà.

MASCHERONE

(Chi sia di noi più scaltro

adesso si vedrà.)

GIACINTO

Miei signori l'affare è deciso,

se Strettonio vi piace sposar,

già mi sono cangiato d'avviso

siete libera, come vi par.

BERTO

Date dunque la mano a Strettonio.

(Prende la figlia per unirla a Strettonio.)

STRETTONIO

(Vorrei prima la dote saper.)

EMILIA E DORALICE

Come mai lo cangiò quel demonio!

Che risolvo?

MASCHERONE E GIACINTO

Comincio a goder.

Si sente da lontano un cupo suono di strumenti.

TUTTI

Che strepito è mai questo!

Che suono, che fracasso!

Che crepito molesto,

che chiasso ora si fa?

MASCHERONE

La gente di palazzo,

signori si congratula.

STRETTONIO

Non amo lo schiamazzo,

si posson licenziar.

GIACINTO

Sarebbe uno strapazzo,

si devono pagar.

(getta a Mascherone un pugno di monete)

MASCHERONE

Affé non sono pazzo

non voglio scialacquar.

EMILIA, DORALICE, BERTO

Più prodigo più pazzo

non puolsi ritrovar.

Coro di vari convitati che si vedranno internamente.

Allegri mangiamo,

beviam, ribeviamo!

Che giorno di gioia,

che nuovo piacer.

Al fumo agli odori

de' grati liquori

si canti, si rida,

si sappia goder.

TUTTI

Che nuovo tumulto,

che strani rumori!

CORO

Al fumo agli odori

de' grati liquori

si canti, si rida,

si sappia goder.

TUTTI

Che suono è mai quello,

che canto novello?

LAURETTA E MASCHERONE

Uscite signori,

venite di fuori.

GLI ALTRI

Cos'hai cos'è stato?

LAURETTA

Un mondo di gente

sta fuor della porta,

chi batte tamburi,

chi timpani porta,

chi cembali suona,

chi canta, ch'intona.

GLI ALTRI

Che gente è mai questa?

MASCHERONE

(a Giacinto)

Sapete la festa.

EMILIA, DORALICE E BERTO

Che orrendo fracasso!

MASCHERONE

Che gusto, che spasso!

Signor, la cuccagna

cominciasi già.

LAURETTA

Uscite signori.

TUTTI

Al diavolo vadano.

MASCHERONE E LAURETTA

Venite di fuori.

TUTTI

Il collo si rompano.

GIACINTO E MASCHERONE

Andiam Mascherone

andiamo a goder.

Più bell'accidente

non puote accader.

GLI ALTRI

Più strano accidente

non puote accader.

Insieme

TUTTI

Già non spiro che rabbia e furore

son confuso non so cosa far.

Mille smanie ho rinchiuse nel core

che capricci, che impicci, che orrore

dal dispetto mi sento crepar.

GLI ALTRI

Già non spiran che rabbia e furore

son confusi non san cosa far.

Mille smanie han rinchiuse nel core

che capricci, che impicci, che orrore

dal dispetto si sentan crepar.

CORO

Bravi bravi, mangiate ballate.

Dal dispetto si sentan crepar.

Atto secondo
Scena prima

Sala magnifica, etc...
Coro di Convitati e di diversi Lavoratori che partono cantando.

CORO

Grazie alziamo o buona gente,

al gentil benefattor,

che ci dà liberalmente

vario cibo, e buon liquor.

Sopra lui da largo corno

l'oro versi la fortuna,

perché possa ogni giorno

segni dar del suo bel cor.

MASCHERONE

Che vi pare signor? Siete contento

finor del gusto mio?

GIACINTO

Tutto è un portento.

Non si poteva meglio

nell'animo vedermi; hai più quattrini?

MASCHERONE

Ho ancora due zecchini.

Veder volete il conto?

GIACINTO

Come? a me questo affronto?

Eccoti un'altra borsa.

Nuovi divertimenti

or devi immaginar; un giorno è questo

dedicato al piacere;

dopo quel che s'è fatto,

per acquistarsi il nome

di grande, e generoso,

qualche cosa vi vuol di strepitoso.

MASCHERONE

Bravo signor padrone,

da vero veneziano;

lasciate fare a me; vogliam dar foco

al cannone più grosso;

(lo voglio rosicar infino all'osso.)

GIACINTO

Questo è quello ch'io bramo: intanto io vado

Emilia a ritrovar; son curioso

di sapere qual fine, ebbe la cosa,

e se ancor di Strettonio è fatta sposa!

MASCHERONE

E potete voi credere?...

GIACINTO

Ma non vedi ch'io burlo! Ad ogni modo

mi voglio divertir; punire io voglio

la collera, che ha finto;

voglio che impari a rispettar Giacinto.

(parte)

Scena seconda

Mascherone poi Lauretta.

MASCHERONE

Non bisogna tardar, per i poltroni

non son fatti i bei colpi, e se la sorte

per me s'è dichiarata,

deggio ben profittar di tal giornata.

O addio Lauretta; (forse da costei

potrò scoprir terreno;

adularla convien.)

LAURETTA

(con ansietà)

(Ecco l'indegno.

Mascherone, tu qui!

MASCHERONE

Quai meraviglie?

LAURETTA

Tu sei vivo? tu sano?

MASCHERONE

E perché deggio

esser morto, o ammalato?

LAURETTA

Ma lascia, ch'io ti guardi...

Sei sano dappertutto?

Non hai rotta la testa,

rovinata la schiena,

fracassate le braccia?

(lo guarda dappertutto volgendolo di qua e di là)

MASCHERONE

Che diavolo vuoi dir? sbrigati, parla.

LAURETTA

Lasciami respirar...

MASCHERONE

Ebben? Sei stolta?

No caro Mascheron, taci, ed ascolta.

LAURETTA

Dopo pranzo addormentata,

feci un sogno così strano,

che m'ha tutta spaventata,

che tremar ancor mi fa.

In un bosco cupo, e fosco

d'esser tratta a me parea,

dove un picciolo bisbiglio

da principio si facea

ma crescendo in un istante

in tumulto stravagante,

non udia, che pianti, e gridi,

urli, smanie, tonfi, e stridi,

e una voce non ignota,

che parea chieder pietà.

Mentre avea la testa assorta

da confuse, e varie idee,

vedo un diavol, che ti porta

qua e là per le vallée,

e seguito da una schiera

brutta brutta, nera nera,

con bastoni noderosi

ti dà colpi sì furiosi

ch'or la schiena, ed or le braccia

cricche, cracche udiansi far.

E sì vive eran le cose

ch'io vedeva, e ch'io sentia,

che quantunque un sogno sia

parmi ancor la verità.

Testa testa Mascherone!

Spesso il sogno, è una visione

d'una cosa, che sarà.

(parte)

Scena terza

Mascherone solo.

Non è cattivo sogno: io non son uomo

da farmi far paura; eppure eppure

da rider non mi fa; vedo per aria

certe nuvole... basta,

starò cogli occhi in testa, alfin de' guai

una barca a fuggir non manca mai.

(parte)

Scena quarta

Gabinetto.
Doralice e Berto, indi Strettonio.

BERTO

Sarà bello il pensier, ma non mi posso

appien capacitar; son padre e tutto

dubitar mi fa.

DORALICE

È ver, ma credo

che voi mi conosciate; alfin da voi

chiedo sol questo giorno; a me lasciatela,

vicina aver la deggio

a ogni evento possibile; fidatevi;

Emilia è in buone mani.

BERTO

Ebben si faccia;

ancor per questa volta

vo' far quel che volete.

STRETTONIO

(con fretta)

Oh signor suocero,

è un'ora ch'io vi cerco.

BERTO

(Mancava questo intoppo.)

STRETTONIO

Addio sorella.

DORALICE

(a Berto)

(Convien tenerlo a bada

con qualche altro pretesto.)

STRETTONIO

E così seguitando il mio discorso,

bramerei di sapere

qual ora stabiliste

al far questi sponsali.

BERTO

Avete preparato

il tutto per le nozze?

STRETTONIO

Che deggio preparar? Io per me credo

che quando ci son io

è preparato il resto.

BERTO

Ma il costume del mondo or non è questo.

E poi mia figlia Emilia

ama il gusto, e la moda, e non potria

sposar con cor contento

un uomo che par nato al quattrocento.

Non dirò, che chi maritasi

debba perder la testa,

e in un ballo, o in una festa

tutto il suo gittare invan.

V'ha nel mondo una misura

cui passar non è permesso,

benché alcun la passi spesso

sol per far quel ch'altri fan...

Ma poi pretendere

con quel cappello,

con quel vestito,

con quel mantello

la mia figliuola

voler sposar;

al vostro merito

per far giustizia,

parmi o ser genero,

tale avarizia,

che vi dovreste

fin vergognar.

(parte)

Scena quinta

Doralice, e Strettonio.

DORALICE

Udiste la lezione

caro signor fratello?

Saria tempo mi pare

di far tacere il mondo;

siete un ritratto, che non ha il secondo.

STRETTONIO

Ma cosa ha poi di strano

questa figura mia, perché ciascuno

mi debba criticar?

DORALICE

Tutto: la testa,

le maniere, il vestire,

il guardar, il parlare,

che un orso più che un uom vi fa sembrare.

STRETTONIO

E come si potria trovar un modo,

facile e in un economo,

di piacer alla gente?

DORALICE

Se di me vi fidate

io ve l'insegnerò.

STRETTONIO

Suvvia parlate.

DORALICE

Mettetevi in distanza,

statemi ad osservar;

un poco di creanza

prima vi vo' insegnar.

Fatemi un bell'inchino,

baciatemi la mano;

non state sì lontano

mi fate incomodar.

Occhio prontezza, e grazia,

quello ch'io fo voi fate,

qua quel cappel; guardate:

così si dée portar.

Così si muove il passo,

così la man si tiene,

provate; non va bene,

peggio; tornate a far.

Così lo porta il matto,

così il plebeo lo porta,

la punta è troppo storta;

mostrate il camminar.

Sentite all'orecchio,

mio caro, fratello,

voi siete già vecchio

per far più cervello;

la pianta è già dura

non serve studiar,

né credo che il diavolo

vi possa cangiar.

(parte)

Scena sesta

Strettonio solo.

Questa saria davvero

una scuola perfetta

per gir modernamente all'ospedale.

Con questo naturale

che bisbetico, e burbero si crede

da mille cerca-gonzi bloccatori

che vivono alle spalle de' minchioni,

la mia borsa assicuro, e il mio danaro,

e mi giova che ognun mi creda avaro.

Gracchiar dunque lasciam; già so che il mondo

vuol sempre criticar, fa mal chi spende,

chi non spende fa peggio; Emilia è saggia

ed in me troverà senza di questo,

quanto fa d'uopo per un buon marito.

Un cappello, un vestito

disgustar non la può, qualor confronti

l'ideal col reale; e caso ancora

che scontenta ella fosse

non saprei cosa far; in questa vita

mi son anch'io fatto un sistema, a cui

invano si contrasta;

vada ben, vada mal, mi piace, e basta.

I capricci del cervello

vari sono, e ognun lo sa;

ed il mondo ci par bello

sol per questa varietà.

Chi del gioco si diletta,

chi di caccia, e di cavalli,

chi a una turba che l'alletta

dà conviti, feste, e balli,

chi vuol tutte aver le mode,

e chi gode di viaggiar.

Io poi soletto

nel mio stanzino

godo di chiudermi

sera, e mattino,

con cor che balzami

per la dolcezza

con man che tremami

per l'allegrezza,

al mio carissimo

scrigno m'accosto,

dove in bell'ordine,

vedo disposto

raro tesoro,

d'argento, e d'oro,

piastre, zecchini,

doppie, dobloni,

scudi, ducati

gran medaglioni,

frutto dolcissimo

de' miei sudor,

sola delizia

di questo cor.

Le borse io piglio,

cavo il denaro,

consola il ciglio

color sì raro:

poi numerandolo

tre volte almeno,

guardolo, tastolo,

lo stringo al seno,

e dal diletto

che m'empie il petto

mi cresce l'anima

si gonfia il cor,

e ho in tasca Venere

Bacco, ed Amor.

(parte)

Scena settima

Doralice, Emilia, Lauretta.

DORALICE

Non s'è ottenuto poco

dal padre vostro Emilia:

or che siete con me sperar possiamo,

di deluder l'iniquo Mascherone,

e di far aprir gli occhi

al povero Giacinto.

EMILIA

Cara amica

quanto grata vi sono!

DORALICE

Lasciamo i complimenti, tu Lauretta,

sta' dietro quanto puoi

a tutti i loro passi,

e di tutto m'avverti.

LAURETTA

Non temete Signora,

poiché mi raccontaste

tante ribalderie

strangolar lo vorrei colle man mie.

(parte)

Scena ottava

Doralice, Emilia, poi Giacinto.

DORALICE

Mi par, che venga gente, egli è Giacinto;

io vado; Emilia all'erta.

Non gli aprite il cor vostro:

fingete indifferenza.

(parte)

EMILIA

Ah ch'io morir mi sento in sua presenza.

Scena nona

Emilia, e Giacinto.

GIACINTO

Eccola: che far deggio!

Che serietà! Ma non voglio esser certo

il primo a salutarla.

EMILIA

(Non parlo per mia fé, s'egli non parla.)

GIACINTO

Cosa diamine dice.

EMILIA

Favella tra sé stesso.

GIACINTO

Vorria, ma non ardisce.

EMILIA

Ha perduto il coraggio.

GIACINTO

Non cedo, caschi il mondo.

EMILIA

Si crepi, ma si vinca.

GIACINTO

È forte come un tronco.

EMILIA

(È duro come un sasso.)

GIACINTO

(Vo' veder la fin, cantiam per spasso.)

GIACINTO

Che forza di spirito

si trova oggidì!

La donna era fragile

non è più così.

EMILIA

Che teste di merito,

nel mondo vi son!

Son quelle che formano

la moda, e il buon ton.

GIACINTO

Un tempio alla gloria

vedrem fabbricar.

EMILIA

De' matti la gabbia

vedrem allargar.

GIACINTO

Che nobili detti!

EMILIA

Che vaghi concetti!

GIACINTO

Sui bronzi, sui marmi

faransi tagliar.

EMILIA

Sui pubblici fogli

faransi stampar.

Insieme

EMILIA

La rabbia mi rode,

crepare mi sento

se resto un momento...

è meglio parlar.

GIACINTO

La rabbia la rode

lo veggio, lo sento,

se resta un momento...

è meglio parlar.

EMILIA

Signor ridicolo,

dunque ascoltate.

GIACINTO

Madam svenevole

dunque parlate.

EMILIA

Siete una bestia

senza giudizio,

che è già sul margine

del precipizio;

che invano scuotere...

che invan correggere...

l'ira mi soffoca...

parlar non so.

GIACINTO

Non v'arrabbiate,

da me imparate,

che più flemmatico

risponderò.

Siete savissima,

ciascun lo dice,

siete l'arabica

rara fenice;

ma da una femmina,

da un capo in cuffia

le leggi prendere

mai non potrò.

EMILIA

Vendetta, o barbaro

far ne saprò.

(parte)

GIACINTO

Non state a piangere

ch'io riderò.

Scena decima

Giacinto e Mascherone.

MASCHERONE

Eccomi di ritorno; il tutto è fatto,

il tutto è già disposto

alla gran serenata;

già la barca ci attende,

ho trovate le maschere e a momenti

i musici verran; cantar dobbiamo

il famoso quartetto

del trionfo d'Adone;

voi rappresenterete il bel garzone.

GIACINTO

Tu chi farai?

MASCHERONE

Vulcano: questa volta

al colmo giungeremo

della magnificenza.

GIACINTO

Ho un gusto estremo.

MASCHERONE

Datemi de' denari; i miei progetti

se son belli vedrete;

vi sarà molto più che non credete.

GIACINTO

Questo è il fin de' miei voti; ecco tu devi:

(gli dà una borsa)

vincer l'aspettazione

del paese, del mondo, e di me stesso.

MASCHERONE

Quanto so far conoscerete adesso.

GIACINTO

Tutto questo va bene,

ma che pensiam d'Emilia? La sua mano

Strettonio mi contende,

e fin l'idea di un tal rival m'offende.

MASCHERONE

E di che paventate?

GIACINTO

Di nulla veramente;

ma sono nel puntiglio,

e la voglio finir; vo' ch'ella stessa

a ceder prima sia: tutto si tenti

per accrescer la stima,

e l'amor ch'ha per me.

Troppo ci perdo della gloria mia,

se non fo che doman sposa mi sia.

Rendiam coi tratti illustri,

famoso il nome mio,

sì che i futuri lustri,

sappian quel ch'ho fatto io,

e i Ciri, i Cresi, i Cesari

si tacciano per me.

Parli di me la patria

per piazze, e per casini,

s'esco di casa, il popolo

corra per farmi inchini,

e sieno le mie glorie

le storie dei caffè.

Mi adocchino le belle

dai palchi, e dai balconi,

mi scrivan dei biglietti,

mi voglian far de' doni,

e spasimanti ammiranmi

dal capo fino ai piè.

E la superba Emilia

che par sì forte adesso,

temendo aver rivale

tutto il femmineo sesso...

Insieme

MASCHERONE

Al piede vi precipiti

per implorar mercé.

GIACINTO

Al piede mi precipiti

per implorar mercé.

(partono)

Scena undicesima

Doralice, Emilia, e poi Lauretta.

DORALICE

Presto non perdiam tempo; a mascherarvi

andatevene tosto, io già di tutto

parlai col signor Berto, e sì opportuno

trovato ha il mio pensiero,

che già si trasvestì da gondoliero.

EMILIA

Ma come mai poteste

tante cose scoprir?

DORALICE

Da questo foglio

che il birbante ha perduto; a caso poi

nelle stesse mie stanze

eran venuti i musici. Le vesti

io mi feci lasciar, donando ad essi

una medaglia d'oro,

e noi dovremo far le parti loro.

Il buio della sera

favorisce il progetto.

EMILIA

Ma qual vantaggio poi

da tal trasvestimento

ricavar si potrà?

DORALICE

Lasciar Giacinto

oggi con Mascherone

imprudenza saria. Tutto possiamo

temer da quel ribaldo,

ma finiamo le ciarle; ecco Lauretta.

LAURETTA

In questo punto stesso

insieme sono usciti.

DORALICE

Sai tu dov'è Strettonio?

LAURETTA

Uscito è anch'esso

confuso, ed arrabbiato,

ma non so la ragion, né dove è andato.

(entra un gondoliero)

DORALICE

Ben bene: ecco la barca: tu Lauretta

fa' intanto quel che sai.

Andate Emilia: e fate

voi pur quel ch'io detto:

protegga il ciel pietoso il mio progetto.

(partono)

Scena dodicesima

Veduta della piazzetta e canale con barche.
Strettonio in picciola barca, con tre Suonatori ordinariamente vestiti, e con chitarrino. Poi Giacinto, Emilia, Doralice, e Mascherone vestiti da Adone, Venere, Marte, e Vulcano in una pomposissima barca, con banda di Suonatori.

STRETTONIO

Queste son le finestre

della mia bella Emilia; io non potea

da ciò disimpegnarmi.

Spenderò quattro lire,

ma vi vuole pazienza.

È un tratto necessario

in queste circostanze,

per non lasciarmi vincere

dal fratello Giacinto,

di cui per accidente

ho saputo il progetto: io lo prevengo,

e più caro al mio ben così divengo.

Ho tre gran suonatori;

due corni, e un contrabbasso: va benissimo.

Io poi col mio chitarrino,

e con qualche galante canzonetta

farò proprio stordir la mia diletta.

Vo' veder se s'accosta;

seguite ad accordar... non vedo alcuno

or la farò sortire... il canto mio

amici accompagnate;

ecco d'accordo io son; suvvia suonate.

Vegnì sulla finestra,

vegnì cara Nineta,

sentì una canzoneta

che fata xe per vu.

Se non ve piase el canto

ve piasa chi lo fa,

l'è quello, che xe tanto

stracoto, e brustolà.

Vu se del sol più bela,

più bianca dela luna,

la matutina stela

tanto zentil no xe.

De rose avé el viseto,

de neve avé el nasin,

e par proprio un confeto

quel vostro bel bochin.

Vegnì caro tesoro,

lassé che mi ve veda,

vegnì se no mi moro...

Ma qual suono è mai questo,

ch'io sento da lontano?...

CORO

Tranquille spirate,

aurette beate

all'inclita figlia

di Giove, e del mar.

Né soffio importuno

di torbidi venti

sì dolci momenti

ardisca turbar.

GIACINTO

Scendete a terra amici, in questo stretto

della gente il tumulto

evitar noi potrem: ehi cosa è quello?

Strettonio? O sciocco avaro!

Fingiam di non vederlo,

e godremo la scena.

STRETTONIO

Guardiam come finisce...

LAURETTA

Che teste stravaganti.

EMILIA

Questi i miei sposi son.

BERTO

(a Emilia)

Questi gli amanti.

GIACINTO

D'Emilia la finestra

chiusa affatto non è.

MASCHERONE

Ella sta certo

di dietro ad ascoltarci: incominciamo:

ed il noto concerto omai cantiamo.

GIACINTO

Volgi volgi o bella dèa,

al tuo caro amato Adone

il bel guardo che ricrea

questo core a te fedel.

DORALICE

Togli togli o Citerea

ogni speme a un vil mortale,

né abbia Marte per rivale

un agreste pastorel.

STRETTONIO

Zitto zitto, miei signori,

un po' più di discrezione

di tal posto io son padrone,

non mi state più a seccar.

MASCHERONE E GIACINTO

(Non badiam a questo pazzo,

seguitiam pure a cantar.)

EMILIA E DORALICE

Per guarire questo pazzo,

cosa mai ci tocca far!

MASCHERONE

Pensa pensa, o moglie rea,

che alla rete un dì t'ho colta,

e potresti un'altra volta

ne' miei lacci ritornar.

EMILIA

Pazzi pazzi che voi siete

se credete spaventarmi:

terra, o ciel non può cangiarmi,

solo Adon io voglio amar.

STRETTONIO

Non è questa la creanza

cospettaccio cospettone...

di tal posto io son padrone

mi farete bestemmiar.

Insieme

DORALICE

Marte io son terribil nume

e paventa i sdegni miei,

porrò in arme uomini e dèi

per potermi vendicar.

MASCHERONE

Son Vulcan terribil nume

e paventa i sdegni miei,

porrò in arme uomini e dèi

per potermi vendicar.

GIACINTO

Non paventa il vostro nume,

il mio cor, gli affetti miei,

s'armeranno tutti i dèi

per me solo vendicar.

EMILIA

Non paventa il vostro nume,

il mio cor, gli affetti miei,

s'armeranno tutti i dèi

per me sola vendicar.

STRETTONIO

Non volete terminarla?

Or finir saprò la scena,

anch'i miei farò suonar.

(ai suonatori)

Cominciate: non cedete:

rinforzate: non temete...

BERTO

Presto presto, miei signori

se annegarvi non volete.

TUTTI

Cosa è stato?

BERTO

La marina

minacciar di già vedete,

fosca è l'aria, il vento mormora,

mugghian l'onde, il ciel s'annuvola,

la ruina è già vicina

più non state ad indugiar.

CORO

Voga, premi, stali, scia.

TUTTI

Presto presto in barca in barca

non si stiamo ad annegar.

(partono)

Scena tredicesima

Camera.
Lauretta sola, poi Giacinto, e Mascherone.

LAURETTA

Io sono curiosissima

di sapere qual esito

ebbe lo stratagemma; il cuor mi trema

per la signora Emilia,

per la mia padroncina,

e pe 'l signor Giacinto.

Oh quanto volentieri

impiccato vedrei

quel birbo maledetto... Ma chissà!

La mia padrona è scaltra

e potria finalmente

farlo cadere in trappola davvero;

per quanto egli sia furbo io non dispero.

Eccoli di ritorno; vo' nascondermi

e udire i lor discorsi.

(entra in una camera e dalla porta si fa tratto tratto vedere)

GIACINTO

Ah ah corpo di Bacco

la scena fu graziosa.

MASCHERONE

Il diavol volle

che finì troppo tosto,

GIACINTO

Ora che si può far?

MASCHERONE

Ho già disposto.

A una festa novella

feci correre inviti; avrem fra poco

canto, ballo, accademia, e cena, e gioco.

In allegria perfetta

di passar questa sera ognun s'aspetta.

GIACINTO

M'affido al tuo buon gusto.

MASCHERONE

Non dubiti signor, diami denaro.

GIACINTO

Come? È tutto finito?

MASCHERONE

Non ancora,

ma penso al suo decoro;

penso di far veder torrenti d'oro.

GIACINTO

E in qual modo! perché?

MASCHERONE

Giocar dobbiamo;

farò banco io medesmo,

per guadagnar se posso mai le spese,

GIACINTO

Ma se tu perdi?

MASCHERONE

Io perder? non temete;

so giocar troppo ben (non sa che ho l'arte

di corregger le carte.)

GIACINTO

Ma...

MASCHERONE

Non temete dico.

GIACINTO

Ebbene: io credo ancora

aver mille zecchini

in danaro contante.

MASCHERONE

È poco veramente

far non puossi gran pompa,

potria darmi le gioie?

GIACINTO

E che far vuoi?

MASCHERONE

Quello, che fanno tutti i pari suoi;

le impegnerem sin domattina.

GIACINTO

È vero.

Ecco le chiavi.

MASCHERONE

Riuscì il pensiero.

GIACINTO

Or a spogliarmi io vado:

e in brevi istanti torno;

cosa dirà Venezia al nuovo giorno!

(parte)

MASCHERONE

Oh che testa! Oh che testa! in quanti modi

non cerco il mio interesse! Io credo certo

che in così breve tempo

più far non si potea,

e seconda la sorte ogni mia idea.

Non mi manca che un colpo,

la fertile mia testa

l'ha di già immaginato;

il prodigo ho pelato, or non son sazio

se non burlo l'avaro:

con queste gioie false, con l'offerta

d'un'usura eccedente...

Va bene... ma se poi

per qualche contrattempo

si scoprisse l'inganno... Io non son solito

di lasciarmi atterrir, eppur non posso

scacciar da questa testa

quel maledetto sogno.

E mi dà da pensar più del bisogno.

Se una notte essendo in letto

riposando dolcemente

d'improvviso udissi gente

alla camera picchiar.

Sto ascoltando, alzo la testa,

si raddoppiano le picchiate...

Ehi chi è là... Cosa bramate?

Chi mi viene a disturbar?

Per risposta si ribatte,

par che giù la porta cada,

di paura il cor mi batte,

non so cosa immaginar.

Veggio i sbirri, e la prigione,

la galera, ed il bastone,

la berlina, il camerotto,

il custode col biscotto,

le catene, i ceppi, i lacci,

e cent'altri uguali impacci...

Mascherone, Mascherone

in tal caso cosa far?

Eh al diavolo vanne

paura importuna,

chi prende una volta

pe 'l crin la fortuna

rimorsi non abbia,

non batta la luna,

si fidi di quella,

si lasci gui... dar.

(parte)

Scena quattordicesima

Emilia, poi Lauretta.

EMILIA

Eccomi più che mai

entrata in labirinto:

tanti usati artifici,

tante astuzie, e raggiri

a che mai ci giovaro! alcun profitto

non si trasse finora;

l'infame Mascherone

segue a sedur Giacinto; egli va incontro

all'ultima ruina, ed io frattanto

mia sorte ignoro, e mi consumo in pianto!

Amor pietoso Amore

rendimi alfin la pace,

porgi ristoro a un core

stanco di tollerar.

Basti il mio lungo pianto

l'ire a saziar del fato;

cessi un amante ingrato

di farmi sospirar.

Ah se invano, io mi lusingo

se pietà di me non hai

crudo Amor mi fai

le tue leggi seguitar?

EMILIA

Ma Lauretta che vuol?

LAURETTA

La mia padrona

questo foglio vi manda.

EMILIA

(legge)

O ciel che fia!

«Emilia, consolatevi.

Giacinto sarà vostro; il cielo stesso

protegge il vostro amor, venite, e tutte

le scoperte saprete

ed i progetti miei: la vigilanza

di costei ringraziate.»

E m'ho da lusingar?

LAURETTA

Non dubitate.

EMILIA

Andiam: il ciel che vede il mio tormento

questo misero cor renda contento.

Scena quindicesima

Sala illuminata con serie di camere in prospetto etc. Quattro tavolini da gioco, ad un de' quali Mascherone, che taglia, ed i Giocatori, che puntano; agli altri diversi Giocatori.

Coro generale. Strettonio, Mascherone, Giacinto.

STRETTONIO

Non so, queste son gioie; eppur non lascio

di viver inquieto, un certo ceffo

ha quel birbone... Basta un gioielliere

facciasi pur chiamar, viver non posso

un punto sol con tal spavento addosso.

CORO GENERALE

Che lieta notte!

Che bei momenti!

Qui entrar non ponno

cure, e tormenti,

ma al riso invita

gioia compita

che avviva le anime,

che allegra i cor.

Di questa notte

viva l'autor.

GIACINTO

Son grato al senso

del vostro affetto,

ma questo giubilo,

ma tal diletto

d'ogni compenso

mi par maggior.

CORO

Di questa notte

viva l'autor.

MASCHERONE

Che taglio strano!

Quanti doppietti...

Ecco due setti...

perduto ha il re...

GIACINTO

Signori entrate,

che cerimonie!

(entrano alcune maschere)

CORO

Voi ci onorate

con gran bontà.

GIACINTO

Questo è un onore

che a me si fa.

(Strettonio si fa vedere)

GIACINTO

Io vi saluto:

signor fratello.

STRETTONIO

M'ha già veduto,

convien entrar.

MASCHERONE

Perde la dama.

STRETTONIO

Che bei zecchini,

che bei ducati.

MASCHERONE

Signor vincete,

STRETTONIO

Un punto solo

vorrei tentar

ma non son certo

di guadagnar.

MASCHERONE

Brava madama,

voi vinto avete:

STRETTONIO

Vadan tre soldi

su questo tre.

Corpo del diavolo

ho perso affé.

Vedo che il gioco

non è per me.

MASCHERONE

Faccian per gioco

pagato è già.

CORO

Maledettissima

sia la fortuna,

non ha la perfida

costanza alcuna

e sempre sempre

pianger ci fa.

ALTRA PARTE DEL CORO

Benedettissima

sia la fortuna

benché non serbi

costanza alcuna

pur molte volte

rider ci fa.

GIACINTO

Come va il gioco?

ALCUNI

Va mal.

ALCUNI ALTRI

Va bene.

GIACINTO

Chi vince, o perde?

MASCHERONE

Sorte va, e viene.

GIACINTO

Molto può perdersi,

gran gioco fate.

MASCHERONE

Ciascuno libero

signor lasciate...

GIACINTO

Rinfreschi prendano.

MASCHERONE

Tempo or non è.

CORO

Chi gioca ha l'anima

lontan da sé.

(il coro si ripete)

Maledettissima

sia la fortuna,

non ha la perfida

costanza alcuna

e sempre sempre

pianger ci fa.

STRETTONIO

Giochino gli altri

ch'intanto io mangio,

tutti gli scaltri

fanno così.

Scena sedicesima

Lauretta, poi Emilia, Doralice, e Berto in maschera. Mascherone.

LAURETTA

Dei forestieri

chiedon d'entrar.

MASCHERONE

Oh saran quelli

ch'han da giocar.

GIACINTO E MASCHERONE

La porta è aperta

può ognun passar.

LAURETTA

(dietro Mascherone)

Per tuo malanno

non dubitar.

MASCHERONE

Perduto ha il paroli...

Perduto ha il nove...

Quel re ritirasi...

Or l'asso va.

GIACINTO

Largo alle maschere

signori, entrate.

EMILIA E DORALICE

E a noi concedesi?...

GIACINTO

Voi m'onorate.

EMILIA, DORALICE

Che grati suoni,

quanta allegria,

qual compagnia

qui se ne sta.

GIACINTO

Quivi si gioca,

di là si danza,

molti conversano

nell'altra stanza,

in questa, o in quella

potete andar,

l'entrata è libera,

come vi par.

EMILIA E DORALICE

Gli altri pur ballino:

ridano, scherzino:

noi la fortuna

vogliam provar.

STRETTONIO

Il gioielliere?

Subito vengo.

MASCHERONE

Ecco i libretti

potran puntar.

CORO

Giovani state

cogli occhi in testa;

non vi fidate

di sorte infesta,

sol per più nuocere

sembra giovar.

MASCHERONE

Qui perde l'asso...

Qui perde il sei...

Questi son miei...

Bel taglio affé!

CORO

Ma sempre sempre

perder ci tocca!

MASCHERONE

Zitto, giochiamo

senza aprir bocca.

DORALICE E EMILIA

Ad arrivare

poco dée star.

MASCHERONE

Ancor un taglio

presto facciamo

quindi possiamo

noi pur ballar.

CORO

Come sì tosto

si dée lasciar?

MASCHERONE

Sulla parola

non vuo' giocar.

CORO

Non è creanza

non è onestà.

Insieme

DORALICE

Né ancor l'amico

veder si fa.

EMILIA

Né ancor il padre

veder si fa.

Scena diciassettesima

Strettonio e detti.

STRETTONIO

Subissatemi, torrenti,

fulminatemi, elementi

e voi tutte o Furie d'Erebo,

disperatevi con me.

GIACINTO E CORO

Accorrete aiuto aiuto

accorrete un pazzo egli è.

STRETTONIO

Son perduto... Me meschino...

Ladro... perfido, assassino...

DORALICE E EMILIA

(Niente niente egli è Strettonio

e la cosa ben andrà.)

GIACINTO E MASCHERONE

Cosa vedo! Egli è Strettonio,

chissà mai cosa farà?

STRETTONIO

M'ha tradito, m'ha ingannato...

gioie false!... Il mio danaro...

Ah dov'è quel scellerato?

Io mi sento oh dio mancar.

GIACINTO

Non intendo, un sogno è questo!

Cosa mai dovremo far.

MASCHERONE

Ora tutto è manifesto...

Ah potessi almen scappar.

DORALICE

Ah venisse il padre presto!

EMILIA

Ma non può troppo indugiar.

CORO

Un disordine prevedo.

E di qua me n' voglio andar.

(van per uscire e s'incontrano in Berto)

Scena diciottesima

Berto vestito da Ufficiale schiavone, con séguito di Soldati.
Coro, Giacinto, Doralice, Emilia, Strettonio.

BERTO

Piano; nessun si muova,

chi tutto può l'impone;

s'accosti a me il padrone,

ognun s'accosti a me.

CORO

Qualche tempesta ei porta,

gelar mi sento il core;

ma non facciam rumore

perché obbedir si dée.

Insieme

GIACINTO

Eccomi qua.

CORO

Eccoci qua.

BERTO

Il suo nome

ciascun mi deve dir;

né ardisca pria del giorno

di questa casa uscir.

CORO E GLI ALTRI

Chi tutto può l'impone

ciascun deve obbedir.

BERTO

Scrivo.

GIACINTO

Giacinto Alocchi.

DORALICE

La marchesa Apri gli occhi.

EMILIA

Alberto de' Pazienti.

UNO DEL CORO

Giulian Stuzzicadenti.

UN ALTRO

Florindo Tartufoni.

UN ALTRO ANCORA

Il conte de' Moroni.

MASCHERONE

Ed io... Ed io...

BERTO

Via presto.

MASCHERONE

Io... Mas... che... ron... Furfanti!

BERTO

Tu Mascheron? Mi basta.

STRETTONIO

Sei tu re de' birbanti?

T'ho colto in verità.

CORO E BERTO

Silenzio.

STRETTONIO

Ei m'ha rubato.

TUTTI

Silenzio.

STRETTONIO

È un scellerato.

TUTTI

Silenzio.

BERTO

V'è giustizia:

si punirà malizia;

domani si vedrà.

MASCHERONE

Ahimè che il sogno sembrami

verificarsi già.

STRETTONIO

Ho addosso tutti i diavoli

vo ad accopparmi già.

EMILIA, DORALICE, CORO E GIACINTO

Chissà l'orribil fulmine

su chi scoppiar dovrà.

MASCHERONE

Ahimè che nella camera,

il contrabbando sta,

vedo la pelle in risico,

presto si corra là.

(partono tutti, e vanno nelle camere, eccettuate Emilia, e Doralice)

Scena diciannovesima

Emilia, Doralice, poi Lauretta.

DORALICE

Allegri sorella,

la scena fu bella,

e vedo che bene

dovrà terminar.

EMILIA

Tra speme, e timore

quest'anima ondeggia,

né so qual io deggia,

seguire, o lasciar.

LAURETTA

Venite, venite

già in gabbia è il briccone,

già chiuso è in sua stanza,

e a dieci persone

le porte commisi

di ben custodir.

DORALICE, EMILIA E LAURETTA

Su presto il birbone

si vada a punir.

(partono)

CORO

Ma cosa è, che scena è questa,

chissà mai per qual ragione?

E chi è questo Mascherone?

Che ho fatto io, ch'ho da far qui?

Par che come un molinello

tutto a me giri il cervello,

e il mio cuor come un martello,

dentro il sen battendo va.

Maledetto il gioco, il ballo,

maledetta la follia,

chissà mai tanta allegria

in qual pianto finirà?

Atto terzo
Scena prima

Sala.
Emilia, Giacinto, Doralice, e poi Berto

EMILIA

Ma come mai lasciaste

da quel perfido servo

accecarvi così?

GIACINTO

Deh non mi fate

arrossire di più, l'aver gittati

tanti beni in un dì, mi pesa, è vero,

grave danno mi par, ma il rischio poi

di perder anche voi...

EMILIA

Non ci affliggiamo;

mio padre v'ama, e se pentito siete

tutto dall'amor suo sperar potete.

DORALICE

Eccolo.

BERTO

Allegri, o figlia,

alfin lodato il cielo

tutto bene finì, senza rumori

partiro i convitati, e ognun parola

di tacer a noi dié, quel che per frode

tolto avea Mascheron nelle mie mani

volontario depose, ed ora crede

dai finti esecutori di giustizia

esser guardato a vista, il suo danaro

ebbe Strettonio, e tutti in pochi istanti

verran per aggiustarsi i mercadanti.

Manca sol che Giacinto

suo tutor mi dichiari.

GIACINTO

Ah siate pure

mio tutore, e mio padre.

DORALICE

Ma che faremo poi

di Mascheron?

BERTO

Sopra una nave ch'oggi

partir dée per levante

imbarcar si farà, così di lui

senza pubblicità siam liberati,

ed ei la pena avrà dei scellerati.

DORALICE

(ad Emilia)

Ma che voi sospirate?

EMILIA

Ah sì, mia cara amica!

Finché delle mie nozze

l'affar non è deciso

sempre inquieta io sarò.

BERTO

Sapete pure

cosa abbiam stabilito.

Conosco appien Strettonio.

(a Giacinto)

Eccolo; secondateci.

STRETTONIO

Or ch'ebbi i miei danari

pensiamo al matrimonio.

Padroni?

BERTO

Servo.

EMILIA

Serva.

GIACINTO

Addio Strettonio.

Delle vostre fortune

mi consolo fratello.

STRETTONIO

Ed io, che abbiate alfin fatto cervello.

GIACINTO

Sì sì son ravveduto.

STRETTONIO

Senza altre liti dunque

Emilia a me cedete.

GIACINTO

(Doralice parlagli all'orecchio additandogli, che debba dir di sì)

Sposatevela pur quando volete.

BERTO

Parlate voi sul serio?

GIACINTO

(Doralice come sopra)

Sul serissimo.

E poi per dir il vero

Emilia è buona, e bella,

ma troppe pretensioni.

STRETTONIO

Exempli gratia,

si potrebbe sapere

queste sue pretensioni,

in che cosa consiston?

BERTO

No 'l sapete?

Ora ve lo direm, se ascolterete.

BERTO

Prima di tutto

la controdote

pari alla dote

le dée formar.

GIACINTO

Le deve ogni anno

ducati mille

sol per le spille

somministrar.

DORALICE

Sempre regali

di cose rare

per farsi amare

le dée portar.

EMILIA

Fornir gli tocca

d'oro e d'argento

l'appartamento

che mi vuol dar.

STRETTONIO

Bello è il principio!

Sentiamo il resto,

s'è come questo

c'è da pensar.

TUTTI

Tutto è giustissimo,

convenientissimo,

né qui v'è cosa

da replicar.

BERTO

Almen quattr'abiti

per ogni mese

da man francese

farle tagliar.

STRETTONIO

E poi?

DORALICE

Far scelta

di più casini

dove i zecchini

possa giocar.

STRETTONIO

E poi?

GIACINTO

Le spese

fare agli amanti,

perché costanti

le possan star.

STRETTONIO

E poi?

EMILIA

Lasciare

lo scrigno aperto

per ogni incerto

che può arrivar.

STRETTONIO

Tutto è giustissimo,

convenientissimo,

né qui c'è cosa

da replicar.

TUTTI

Non è sincera

quella sua calma,

sordida ha l'alma

possiam sperar.

BERTO

V'è poi la moda.

STRETTONIO

Questo s'intende.

DORALICE

V'han feste, e balli.

STRETTONIO

Chi ve 'l contende?

GIACINTO

V'hanno i conviti.

STRETTONIO

Non v'è risposta.

EMILIA

Ed il marito

per quanto costa

dée tranquillissimo

tutto pagar.

STRETTONIO

Tutto è giustissimo,

convenientissimo,

né qui c'è cosa

da replicar.

Resta più nulla?

Diceste tutto?

Credea che il diavolo

fosse più brutto.

Or la risposta

deggio studiar.

Insieme

TUTTI

Sospeso ho l'animo

chiaro non veggio,

son fra le tenebre,

che creder deggio.

Quell'aria intrepida

mi fa tremar.

STRETTONIO

Sospeso han l'animo

chiaro non veggono

son fra le tenebre,

che creder deggiono?

Quell'aria intrepida

li fa tremar.

STRETTONIO

Per me val men d'un soldo

tutto il femmineo sesso.

Emilia, il signor Berto,

tutti voi altri, io stesso.

Vi sposi pur mio sole,

vi sposi pur chi vuole,

non vo' per una femmina

all'ospedale andar.

TUTTI

(escluso Emilia)

Ma il vostro onore allora?

STRETTONIO

Vada l'onore al diavolo.

TUTTI

(escluso Emilia)

Ma Emilia che v'adora?

STRETTONIO

La dono pur un cavolo.

EMILIA

Di sua bontà signore,

la devo ringraziar.

BERTO

Ebben che decidete?

STRETTONIO

Quello che ho detto ho detto.

GIACINTO

Dunque sposarla io posso?

STRETTONIO

Per me ve lo permetto.

Insieme

GIACINTO

Son vostro, anima mia.

EMILIA

Son vostra, anima mia.

TUTTI

Bravi così si fa.

Insieme

TUTTI

No che maggior diletto

non può trovare un core

d'un amoroso affetto,

d'un casto, e puro ardor.

STRETTONIO

No che di tal diletto

non sente invidia il core,

finché potrò all'amore

far con l'argento, e l'or.

GIACINTO

Venite a queste braccia

amata Doralice; io deggio tutto

alla vostra prudenza.

EMILIA

Ed io cognata

alla vostra amicizia.

STRETTONIO

Ed io sorella mia

deggio tutto alla vostra furberia.

DORALICE

Lasciam questi discorsi, grazie al cielo

son terminati i guai.

BERTO

È tempo di goder penaste assai.

LAURETTA

Signor de' mercanti

la turba già vien.

TUTTI

Andiamo, e gli affanni

si scaccin dal sen.

Non è ver che in questo mondo

s'abbia sempre a sospirar;

spesso spesso un fin giocondo

suol i mali incoronar.

Dopo notte viene il dì,

dopo il nembo esce il seren,

la fortuna fa così,

or fa male, ed or fa ben.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 31/12/2018
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