www.librettidopera.it

Il ritorno di Ulisse in patria

IL RITORNO DI ULISSE IN PATRIA

Dramma per musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

Da qui accedi alla versione estesa del libretto.
Da qui accedi alla versione in PDF del libretto.

Codice QR per arrivare a questa pagina:
QR code

Libretto di Giacomo BADOARO.
Musica di Claudio MONTEVERDI.

Prima esecuzione: anno 1640, Venezia.


Personaggi:

L'UMANA FRAGILITÀ

mezzosoprano

IL TEMPO

basso

LA FORTUNA

mezzosoprano

AMORE

mezzosoprano

GIOVE

tenore

NETTUNO

basso

MINERVA

soprano

GIUNONE

soprano

ULISSE

tenore

PENELOPE sposa di Ulisse

mezzosoprano

TELEMACO figlio di Ulisse

tenore

EUMETE pastore di Ulisse

tenore

ANTINOO uno dei proci, amatore di Penelope

basso

PISANDRO uno dei proci, amatore di Penelope

tenore

ANFINOMO uno dei proci, amatore di Penelope

tenore

EURIMACO amante di Melanto

tenore

MELANTO al seguito di Penelope

mezzosoprano

IRO parassita dei proci

tenore

ERICLEA nutrice di Ulisse

mezzosoprano

MERCURIO

sconosciuto


Coro di Nereidi e Sirene. Coro di Feaci. Coro di Naiadi. Coro di Marittimi. Coro di Celesti. Coro di Itacensi. Ballo di Mori.

La scena è in Itaca, isola del mar Ionio, ora nominata Iliachi.

Prologo

Sinfonia

Scena unica

L'Umana fragilità, Il Tempo, La Fortuna, Amore.

L'UMANA FRAGILITÀ

Mortal cosa son io, fattura umana:

tutto mi turba, un soffio sol m'abbatte;

il tempo, che mi crea, quel mi combatte.

IL TEMPO

Salvo è niente

dal mio dente:

ei rode,

ei gode.

Non fuggite, o mortali,

ché se ben zoppo ho l'ali.

Sinfonia

L'UMANA FRAGILITÀ

Mortal cosa son io, fattura umana:

senza periglio invan ricerco loco,

che frale vita è di fortuna un gioco.

LA FORTUNA

Mia vita son voglie,

le gioie, le doglie.

Son cieca, son sorda,

non vedo, non odo;

ricchezze, grandezze

dispenso a mio modo.

L'UMANA FRAGILITÀ

Mortal cosa son io, fattura umana:

al tiranno d'amor serva se n' giace

la mia fiorita età verde e fugace.

Ritornello

AMORE

Dio de' dèi feritor mi dice il mondo Amor.

Cieco saettator, alato, ignudo,

contro il mio stral non val difesa o scudo.

L'UMANA FRAGILITÀ

Misera son ben io, fattura umana:

creder a ciechi e zoppi è cosa vana.

IL TEMPO

Per me fragile.

LA FORTUNA

Per me misero.

AMORE

Per me torbido.

IL TEMPO, LA FORTUNA E AMORE

Quest'uom sarà.

IL TEMPO

Il tempo ch'affretta.

LA FORTUNA

Fortuna ch'alletta.

AMORE

Amor che saetta.

IL TEMPO, LA FORTUNA E AMORE

Pietate non ha.

Fragile, misero, torbido quest'uom sarà.

Atto primo
Scena prima

Reggia.
Penelope, Ericlea.

PENELOPE

Di misera regina

non terminati mai dolenti affanni.

L'aspettato non giunge

e pur fuggono gli anni;

la serie del penar è lunga, ahi, troppo,

a chi vive in angosce il tempo è zoppo.

Fallacissima speme,

speranze non più verdi ma canute,

all'invecchiato male

non promette più pace o salute.

Scorsero quattro lustri

dal memorabil giorno

in cui con sue rapine

il superbo troiano

chiamò l'altra sua patria alle ruine.

A ragion arse Troia,

poiché l'amore impuro,

ch'è un delitto di foco,

si purga con le fiamme;

ma ben contro ragione per l'altrui fallo

condannata innocente

dall'altrui colpe io sono

l'afflitta penitente.

Ulisse accorto e saggio,

tu che punir gli adulteri ti vanti,

aguzzi l'armi e susciti le fiamme

per vendicar gli errori

d'una profuga greca, e intanto lasci

la tua casta consorte

fra nemici rivali

in dubbio dell'onore, in forse a morte.

Ogni partenza attende

desiato ritorno:

tu sol del tuo tornar perdesti il giorno.

ERICLEA

Infelice Ericlea,

nutrice sconsolata,

compiangi il duol della regina amata.

PENELOPE

Non è dunque per me varia la sorte?

Cangiò forse fortuna

la volubil ruota in stabil seggio?

E la sua pronta vela

ch'ogni uman caso porta

fra l'incostanza a volo,

sol per me non raccoglie un fiato solo.

Cangian per altri pur aspetto in cielo

le stelle erranti e fisse.

Torna, deh torna Ulisse!

Penelope t'aspetta,

l'innocente sospira,

piange l'offesa e contro

il tenace offensor né pur s'adira.

All'anima affannata

porto le sue discolpe

acciò non resti

di crudeltà macchiato,

ma fabbro de' miei danni incolpo il fato.

Così per tua difesa

col destino, col cielo

fomento guerre e stabilisco risse.

Torna, deh, torna Ulisse!

ERICLEA

Partir senza ritorno

non può stella influir.

Non è partir, non è

ahi, che non è partir.

PENELOPE

Torna il tranquillo al mare,

torna il zeffiro al prato,

l'aurora mentre al sol fa dolce invito

a un ritorno del dì che è pria partito.

Tornan le brine in terra,

tornano al centro i sassi,

e con lubrici passi,

torna all'oceano il rivo.

L'uomo qua giù ch'è vivo

lunge da' suoi principi

porta un'alma celeste e un corpo frale;

tosto more il mortale

e torna l'alma in cielo

e torna il corpo in polve

dopo breve soggiorno;

tu sol del tuo tornar perdesti il giorno.

Torna, ché mentre porti empie dimore

al mio fiero dolore,

veggio del mio morir l'ore prefisse.

Torna, deh torna Ulisse.

Sinfonia

Scena seconda

Melanto, Eurimaco.

MELANTO

Duri e penosi

son gli amorosi

fieri desir;

ma alfin son cari,

se prima amari,

gli aspri martir.

Ché s'arde un cor è d'allegrezza un foco,

né mai perde in amor chi compie il gioco.

Sinfonia

Chi pria s'accende

procelle attende

da un bianco sen,

ma corseggiando

trova in amando

porto seren.

Si piange pria, ma alfin la gioia ha loco,

né mai perde in amor chi compie il gioco.

EURIMACO

Bella Melanto mia,

graziosa Melanto,

il tuo canto è incanto,

il tuo volto è magia.

È tutto laccio in te ciò ch'altri ammaga;

ciò che laccio non è fa tutto piaga.

MELANTO

Vezzoso garruletto,

o come ben tu sai

ingemmar le bellezze,

illustrar a tuo pro d'un volto i rai.

Lieto vezzeggia pur le glorie mie

con tue dolci bugie.

EURIMACO

Bugia sarebbe s'io

lodando non t'amassi;

ché il negar d'adorar

confessata deità

è bugia d'empietà.

MELANTO E EURIMACO

De' nostri amor concordi

sia pur la fiamma accesa,

ch'amato il non amar arreca offesa.

EURIMACO

Né con ragion s'offende

colui che per offese amor ti rende.

MELANTO

S'io non t'amo, cor mio, che sia di gelo

l'alma ch'ho in seno a tuoi begli occhi avante.

EURIMACO

Se in adorarti cor non ho costante,

non mi sia stanza il mondo, o tetto il cielo.

MELANTO E EURIMACO

Dolce mia vita sei,

lieto mio ben sarai,

nodo sì bel non si disciolga mai.

MELANTO

Come il desio m'invoglia,

Eurimaco, mia vita,

senza fren, senza morso

dar nel tuo sen alle mie gioie il corso.

EURIMACO

O come volentieri

cangerei questa reggia in un deserto

ove occhio curioso

a veder non giungesse i nostri errori.

MELANTO E EURIMACO

Ché ad un focoso petto

il rispetto è dispetto.

EURIMACO

Se Penelope bella

non si piega alle voglie

de' rivali amatori,

mal sicuri staranno

i nostri occulti amori.

Tu dunque t'affatica,

suscita in lei la fiamma.

MELANTO

Ritenterò quell'alma

pertinace ostinata,

ritoccherò quel core

ch'indiamanta l'onore.

MELANTO E EURIMACO

Dolce mia vita sei,

lieto mio ben sarai,

nodo sì bel non si disciolga mai.

Scena terza

Marittima.
Coro di Nereidi e Sirene.

[Questa scena manca dallo spartito.]

NEREIDI

Fermino i sibili,

sibili e fremiti

i venti e il mar.

SIRENE

Aura, tranquillati;

bell'onda, calmati.

L'addormentato

deh, non svegliar.

NEREIDI

Tacete, Sirene,

se tace Nettuno.

SIRENE

Nereidi, tacete

se tace l'irato.

NEREIDI, SIRENE

Tacete, venti,

silenzio o mar.

Ulisse dorme:

non lo destar.

Scena quarta

I Feaci attraversano il mare con le loro barche, sbarcano con Ulisse che dorme e lo lasciano all'entrata della grotta delle Naiadi con il suo tesoro.

Questa scena è muta ed accompagnata da una sinfonia.

Scena quinta

Nettuno sorge dal mare, poi Giove.

NETTUNO

Superbo è l'uom ed è del suo peccato

cagion, benché lontana; il ciel cortese

facile ahi troppo in perdonar l'offese.

Fa guerra col destin, pugna col fato,

tutt'osa, tutt'ardisce

l'umana libertate,

indomita si rende,

a l'arbitrio de l'uom col ciel contende.

Ma se Giove benigno

i trascorsi de l'uom troppo perdona,

tenga, egli a voglia sua nella gran destra

il fulmine ozioso.

Tengalo invendicato,

ma non soffra Nettuno

col proprio disonor l'uman peccato.

Sinfonia

GIOVE

Gran dio de' salsi flutti,

che mormori e vaneggi

contro l'alta bontà del dio sovrano?

Mi stabilì per Giove

la mente mia pietosa

più ch'armata la mano.

Questo fulmine atterra,

la pietà persuade,

fa adorar la pietade,

ma non adora più che cade a terra.

Ma qual giusto desio d'aspra vendetta

furioso ti move

ad accusar l'alta bontà di Giove?

NETTUNO

Hanno i feaci arditi

contro l'alto voler del mio decreto

han Ulisse condotto

in Itaca sua patria, onde rimane

e l'umano ardimento

de l'offesa deitade

ingannato l'intento.

Vergogna e non pietade

comanda il perdonar fatti sì rei.

Così di nome solo

son divini gli dèi.

GIOVE

Non sien discare al ciel le tue vendette,

ché comune ragion ci tiene uniti,

puoi da te stesso castigar gli arditi.

NETTUNO

Or già che non dissente

il tuo divin volere,

darò castigo al temerario orgoglio;

la nave loro andante

farò immobile scoglio.

GIOVE

Facciasi il tuo comando,

veggansi l'alte prove

abbian l'onde il suo Giove;

e chi andando peccò pera restando.

Scena sesta

Coro di Feaci in mare, poi Nettuno.

FEACI

In questo basso mondo

l'uomo puol

quanto vuol.

Tutto fa, tutto fa,

ché 'l ciel del nostro oprar pensier non ha.

NETTUNO

Ricche d'un nuovo scoglio

sien quest'onde fugaci.

Imparino i feaci in questo giorno

che l'umano viaggio

quand'ha contrario il ciel non ha ritorno.

Scena settima

Ulisse si sveglia dal sonno.

Sinfonia di viole

ULISSE

Dormo ancora o son desto?

Che contrade rimiro?

Qual aria vi respiro?

E che terren calpesto?

Chi fece in me, chi fece

il sempre dolce e lusinghevol sonno

ministro de' tormenti,

chi cangiò il mio riposo in ria sventura?

Qual deità de' dormienti ha cura?

O sonno, o mortal sonno!

Fratello della morte altri ti chiama.

Solingo trasportato,

deluso ed ingannato,

ti conosco ben io, padre d'errori.

Pur degli errori miei son io la colpa.

Ché se l'ombra è del sonno

sorella o pur compagna,

chi si confida all'ombra

perduto alfin contro ragion si lagna.

O dèi sempre sdegnati,

numi non mai placati,

contro Ulisse che dorme anco severi,

vostri divini imperi

contro l'uman voler sien fermi e forti,

ma non tolgano, ahimè, la pace ai morti.

Feaci ingannatori,

voi pur mi prometteste

di ricondurmi salvo

in Itaca mia patria

con le ricchezze mie, co' miei tesori.

Feaci mancatori,

or non so com'ingrati mi lasciaste

in questa riva aperta,

su spiaggia erma e deserta,

misero, abbandonato;

e vi porta fastosi

e per l'aure e per l'onde

così enorme peccato!

Se puniti non son sì gravi errori,

lascia, Giove, deh, lascia

de' fulmini la cura,

ché la legge del caso è più sicura.

Sia delle vostre vele,

falsissimi feaci,

sempre Borea inimico,

e sian qual piuma al vento o scoglio in mare

le vostre infide navi:

leggere agli aquiloni, all'aure gravi.

Scena ottava

Minerva in abito da pastorello, Ulisse.

Sinfonia

MINERVA

(in abito da pastorello)

Cara e lieta gioventù

che disprezza empio desir,

non dà a lei noia o martir

ciò che viene e ciò che fu.

Ritornello

ULISSE

(fra sé parla e dice)

(Sempre l'uman bisogno il ciel soccorre.

Quel giovinetto tenero negli anni,

mal pratico d'inganni,

forse che 'l mio pensier farà contento:

ché non ha frode in seno

chi non ha pelo al mento.)

MINERVA

Giovinezza è un bel tesor

che fa ricco in gioia un sen.

Per lei zoppo il tempo vien,

per lei vola alato Amor.

ULISSE

Vezzoso pastorello,

deh sovvieni un perduto

di consiglio e d'aiuto, e dimmi pria

di questa spiaggia e questo porto il nome.

MINERVA

Itaca è questa in sen di questo mare,

porto famoso e spiaggia

felice avventurata.

Faccia gioconda e grata

a sì bel nome fai.

Ma tu come venisti e dove vai?

ULISSE

Io greco sono ed or di Creta io vengo

per fuggir il castigo

d'omicidio eseguito;

m'accolsero i feaci e m'han promesso

in Elide condurmi,

ma dal cruccioso mar dal vento infido

fummo a forza cacciati in questo lido.

Sin qui, pastor, ebbi nemico il caso.

Ma sbarcato al riposo,

per veder quieto il mar secondo i venti,

colà m'addormentai sì dolcemente,

ch'io non udii né vidi

de' feaci crudeli

la furtiva partenza, ond'io rimasi

con le mie spoglie in su l'arena ignuda

isconosciuto e solo,

e 'l sonno che partì lasciommi il duolo.

MINERVA

Ben lungamente addormentato fosti

ch'ancor ombra racconti e sogni narri.

È ben accorto Ulisse,

ma più saggia è Minerva.

Tu dunque, Ulisse, i miei precetti osserva.

ULISSE

Chi crederebbe mai

le deità vestite in uman velo!

Si fanno queste mascherate in cielo?

Grazie ti rendo, o protettrice dèa:

ben so che per tuo amore

furon senza periglio i miei pensieri.

Or consigliato seguo

i tuoi saggi consigli.

MINERVA

Incognito sarai,

non conosciuto andrai sinché tu vegga

dei Proci tuoi rivali

la sfacciata baldanza.

ULISSE

O fortunato Ulisse!

MINERVA

Di Penelope casta

l'immutabil costanza.

ULISSE

O fortunato Ulisse!

MINERVA

Or t'adacqua la fronte

nella vicina fonte,

ch'anderai sconosciuto

in sembiante canuto.

ULISSE

Ad obbedirti vado, indi ritorno.

MINERVA

Io vidi per vendetta

incenerirsi Troia, ora mi resta

Ulisse ricondur in patria in regno;

d'un'oltraggiata dèa questo è lo sdegno.

Quinci imparate voi stolti mortali,

al litigio divin non poner bocca;

il giudizio del ciel a voi non tocca,

ché son di terra i vostri tribunali.

ULISSE

Eccomi, saggia dèa,

questi peli che guardi

sono di mia vecchiaia

testimoni bugiardi.

MINERVA

Or poniamo in sicuro

queste tue spoglie amate

dentro quell'antro oscuro

delle Naiadi, ninfe al ciel sacrate.

MINERVA E ULISSE

Ninfe serbate

le gemme e gl'ori,

spoglie e tesori,

tutto serbate,

ninfe sacrate.

Scena nona

Coro di Naiadi, Minerva, Ulisse.

CORO DI NAIADI

Bella diva, eccoci pronte

al tuo cenno, al tuo voler;

e quest'antro, e quella fonte

spruzza e s'apre a tuo piacer.

Itaca lieta si mostra, sì,

al bel ristoro d'Ulisse un dì!

MINERVA

Tu d'Aretusa al fonte intanto vanne

ove il pastor Eumete,

tuo fido antico servo,

custodisce la gregge: ivi m'attendi

in sin che pria di Sparta io ti conduca

Telemaco tuo figlio;

poi d'eseguir t'appresta il mio consiglio.

ULISSE

O fortunato Ulisse,

fuggi del tuo dolor l'antico error!

Lascia il pianto,

dolce canto

dal tuo cor lieto disserra.

Non si disperi più mortale in terra.

O fortunato Ulisse!

Cara vicenda

si può soffrir,

or diletto, or martir, or pace, or guerra.

Non si disperi più mortale in terra.

Atto secondo
Scena prima

Reggia.
Penelope, Melanto.

PENELOPE

Donate un giorno, o dèi

contento a' desir miei.

MELANTO

Cara amata regina,

avveduta e prudente

per tuo sol danno sei:

men saggia io ti vorrei.

A che sprezzi gli ardori

dei viventi amatori

per attender conforti

dal cenere de' morti?

Non fa torto chi gode a chi è sepolto.

L'ossa del tuo marito

estinto, incenerito,

del tuo dolor non san poco né molto;

e chi attende pietà da morto è stolto.

La fede e la costanza

son preclare virtù; le stima amante

vivo, e non l'apprezza

perché de' sensi privo

un uom che fu. D'una memoria grata

s'appagano i defunti,

stanno i vivi coi vivi in un congiunti.

Un bel viso fa guerra,

il guerriero costume al morto spiace,

ché non cercan gli estinti altro che pace.

Langue sotto i rigori

de' tuoi sciapiti amori

la più fiorita età,

ma vedova beltà di te si duole,

ché dentro ai lunghi pianti

mostri sempre in acquario un sì bel sole.

Ama dunque, ché d'amore

dolce amica è la beltà.

Dal piacere il tuo dolore

saettato caderà.

PENELOPE

Amor è un idol vano,

è un vagabondo nume,

all'incostanze sue non mancan piume;

del suo dolce sereno

è misura il baleno. Un giorno solo

cangia il piacer in duolo.

Sono i casi amorosi

di Tesei e di Giasoni ohimè son pieni:

incostanza e rigore,

pene e morte e dolore,

dell'amoroso ciel splendori fissi

san cangiar in Giason anche gli Ulissi.

MELANTO

Perché Aquilone infido

turbi una volta il mar

distaccarsi dal lido

animoso nocchier non dée lasciar?

Sempre non guarda in ciel

torva una stella,

ha calma ogni procella.

Ama dunque, ché d'amore

dolce amica è la beltà.

Dal piacere il tuo dolore

saettato caderà.

PENELOPE

Non dée di nuovo amar

chi misera penò:

torna stolta a penar chi prima errò.

Scena seconda

Boscareccia.
Eumete solo.

O come mal si salva un regio amante

da sventure e da mali.

Meglio i scettri regali

che i dardi de' pastor imperla il pianto.

Seta vestono ed ori

i travagli maggiori.

È vita più sicura

della ricca ed illustre

la povera ed oscura.

Colli, campagne e boschi,

se stato uman felicità contiene,

in voi s'annida il sospirato bene.

Erbosi prati, in voi

nasce il fior del diletto,

frutto di libertade in voi si coglie,

son delizie dell'uom le vostre foglie.

Scena terza

Iro ed Eumete.

IRO

Pastor d'armenti può

prati e boschi lodar,

avvezzo nelle mandre a conversar.

Quest'erbe che tu nomini

sono cibo di be... pastor, di bestie e

non degli uomini.

Colà fra regi io sto,

tu fra gli armenti qui.

Tu godi e tu conversi tutto il dì

amicizie selvatiche,

io mangio i tuoi compagni, pastor,

e le tue pratiche!

EUMETE

Iro, gran mangiatore,

Iro, divoratore,

Iro, loquace!

Mia pace non perturbar,

corri, corri a mangiar!

Corri, corri a crepar!

Scena quarta

Eumete, poi Ulisse in sembianze di vecchio.

EUMETE

Ulisse generoso!

Fu nobile intrapresa

lo spopolar, l'incenerir cittadi;

ma forse il ciel irato

nella caduta del troiano regno

volle la vita tua

per vittima al suo sdegno.

ULISSE

Se del nomato Ulisse

tu vegga in questo giorno

desiato il ritorno,

accogli questo vecchio

povero ch'ha perduto

ogni mortal aiuto

nella cadente età, nell'aspra sorte;

gli sia la tua pietà scorta alla morte.

EUMETE

Ospite mio sarai,

cortese albergo avrai. Sono i mendici

favoriti del ciel, di Giove amici.

ULISSE

Ulisse, Ulisse è vivo!

La patria lo vedrà,

Penelope l'avrà;

ché il fato non fu mai d'affetto privo,

maturano il destin le sue dimore,

credilo a me pastore.

EUMETE

Come lieto t'accoglio,

mendica deità.

Il mio lungo cordoglio

da te vinto cadrà.

Seguimi amico pur,

riposo avrai sicur.

Scena quinta

Telemaco e Minerva sul carro.

Sinfonia

TELEMACO

Lieto cammino,

dolce viaggio,

passa il carro divino

come che fosse un raggio.

MINERVA E TELEMACO

Gli dèi possenti

navigan l'aure,

solcano i venti.

MINERVA

Eccoti giunto alle paterne ville,

Telemaco prudente.

Non ti scordar già mai de' miei consigli,

ché se dal buon sentier travia la mente

incontrerai perigli.

TELEMACO

Periglio invan mi guida

se tua bontà m'affida.

Scena sesta

Eumete, Ulisse, Telemaco.

EUMETE

O gran figlio d'Ulisse

è pur ver che tu torni

a serenar della tua madre i giorni,

e pur sei giunto al fine

di tua casa cadente

a riparar l'altissime ruine?

Fugga, fugga il cordoglio e cessi il pianto.

Facciam, o peregrino,

all'allegrezze nostre onor col canto.

EUMETE E ULISSE

Verdi spiagge, al lieto giorno

rabbellite erbette e fiori,

scherzin l'aure con gli amori,

ride il ciel al bel ritorno.

TELEMACO

Vostri cortesi auspici a me son grati.

Manchevole piacer però m'alletta,

ch'esser calma non puote alma ch'aspetta.

EUMETE

Questo che tu qui miri

sopra gli omeri stanchi

portar gran peso d'anni e mal involto

da ben laceri panni, egli m'accerta

che d'Ulisse il ritorno

fia di poco lontan da questo giorno.

ULISSE

Pastor, se no 'l fia ver, ch'al tardo passo

si trasformi in sepolcro il primo sasso,

e la morte che meco amoreggia d'intorno

ora porti a miei dì l'ultimo giorno.

EUMETE E ULISSE

Dolce speme il cor lusinga,

lieto annunzio ogni alma alletta,

s'esser paga non puote alma ch'aspetta.

TELEMACO

Vanne pur tu veloce,

Eumete, alla reggia e del mio arrivo

fa' ch'avvisata sia

la genitrice mia.

Scena settima

Telemaco, Ulisse.

Scende dal cielo un raggio di fuoco, sopra il capo d'Ulisse, s'apre la terra e Ulisse si profonda.

TELEMACO

Che veggio, ohimè, che miro?

Questa terra vorace i vivi inghiotte,

apre bocche e caverne

d'umano sangue ingorde, e più non soffre

del viator il passo,

ma la carne dell'uom tranghiotte il sasso.

Che prodigi son questi?

Dunque, patria, apprendesti

a divorar le genti?

Rispondono anco ai vivi i monumenti.

Così dunque, Minerva,

alla patria mi doni?

Questa è patria comune

se di questo ragioni?

Ma se presta ho la lingua,

ho la memoria pigra.

Quel pellegrin ch'or ora

per dar fede a menzogne

chiamò sepolcri ed invitò la morte

dal giusto ciel punito

restò qui seppellito. Ah, caro padre,

dunque in modo sì strano

m'avvisa il tuo morire

il ciel di propria mano?

Ahi, che per farmi guerra

fa stupori e miracoli la terra.

Qui risorge Ulisse in sua propria forma.

TELEMACO

Ma che nuovi portenti, ohimè, rimiro?

Fa cambio, fa permuta

con la morte la vita?

Non sia più che più chiami

questa caduta amara,

se col morir ringiovanir s'impara.

ULISSE

Telemaco, convienti

cangiar le meraviglie in allegrezze,

ché se perdi il mendico il padre acquisti.

TELEMACO

Benché Ulisse si vanti

di prosapia celeste,

trasformarsi non puote uomo mortale,

tanto Ulisse non vale.

O scherzano gli dèi,

o pur mago tu sei.

ULISSE

Ulisse, Ulisse sono:

testimonio è Minerva,

quella che te portò per l'aria a volo.

La forma cangia a me come le aggrada,

perché sicuro e sconosciuto vada.

TELEMACO

O padre sospirato.

ULISSE

O figlio desiato.

TELEMACO

Genitor glorioso.

ULISSE

Pegno dolce amoroso.

TELEMACO

T'inchino o mio diletto.

ULISSE

Ecco ti stringo al petto.

TELEMACO

Filiale dolcezza...

ULISSE

Paterna tenerezza...

TELEMACO

...a lagrimar mi sforza.

ULISSE

...il pianto in me rinforza.

TELEMACO E ULISSE

Mortal tutto confida e tutto spera,

ché quando il ciel protegge

natura non ha legge:

l'impossibile ancor spesso s'avvera.

ULISSE

Vanne alla madre, va';

porta alla reggia il piè.

Sarò tosto con te,

ma pria canuto il pel ritornerà.

Atto terzo
Scena prima

Reggia.
Melanto, Eurimaco.

MELANTO

Eurimaco, la donna

insomma ha un cor di sasso,

parola non la muove,

priego invan la combatte;

dentro del mal d'amore

sempre tenace ha l'alma,

o di fede o d'orgoglio

in ogni modo è scoglio.

Nemica o pur amante,

non ha di cera il cor, ma di diamante.

EURIMACO

E pur udii sovente

la poetica schiera

cantar donna volubile e leggera.

MELANTO

Ho speso invan parole, indarno prieghi

per condur la regina a nuovi amori;

l'impresa è disperata,

odia non che l'amor, l'esser amata.

EURIMACO

Peni chi brama,

stenti chi vuol,

goda fra l'ombre

chi ha in odio il sol.

MELANTO

Penelope trionfa

nella doglia e nel pianto,

fra martiri e contenti,

vive lieta Melanto.

Ella in pene si nutre, io fra diletti

amando mi giocondo,

fra sì vari pensier più bello è il mondo.

EURIMACO

Godendo,

ridendo

si lacera il duol.

MELANTO

Amiamo,

godiamo,

e dica chi vuol.

Scena seconda

Antinoo, Anfinomo, Pisandro, Eurimaco, Penelope.

ANTINOO

Sono l'altre regine

coronate di servi e tu d'amanti.

Tributan questi regi

al mar di tua bellezza un mar di pianti.

ANTINOO, ANFINOMO E PISANDRO

Ama dunque, sì, sì,

dunque riama un dì.

PENELOPE

Non voglio amar, no, no,

ch'amando penerò.

ANTINOO, ANFINOMO E PISANDRO

Ama dunque, sì, sì,

dunque riama un dì.

PENELOPE

Cari tanto mi siete

quanto più ardenti ardete;

ma non m'appresso all'amoroso gioco,

ché lunge è bel più che vicino il foco.

Non voglio amar, no, no,

ch'amando penerò.

PISANDRO

La pampinosa vite

se non s'abbraccia al faggio,

l'autun non frutta e non fiorisce il maggio;

e se fiorir non resta

ogni mano la coglie,

ogni piè la calpesta.

ANFINOMO

Il bel cedro odoroso

vive, se non s'incalma

senza frutto, spinoso;

ma se s'innesta poi

figliano frutti e fior gli spini suoi.

ANTINOO

L'edera che verdeggia

ad onta anco del verno,

d'un bel smeraldo eterno,

se non s'appoggia perde

tra l'erbose rovine il suo bel verde.

ANTINOO, ANFINOMO E PISANDRO

Ama dunque, sì, sì,

dunque riama un dì.

PENELOPE

Non voglio amar, non voglio!

Come sta in dubbio un ferro

se fra due calamite,

da due parti diverse egli è chiamato,

così sta in forse il core

nel tripartito amore.

Ma non può amar

chi non sa, chi non può

che pianger e penar.

Mestizia e dolor

son crudeli nemici d'amor.

ANTINOO, ANFINOMO E PISANDRO

All'allegrezze dunque, al ballo, al canto!

Rallegriam la regina:

lieto cor ad amar tosto s'inchina.

Scena terza

Qui escono otto Mori che fanno un ballo greco, cantato con i seguenti versi.

Dame in amor belle e gentil

amate allor che ride april;

non giunge al sen gioia, o piacer

se tocca il crin l'età senil

dunque al gioir, lieto al goder

dame in amor belle e gentil.

Vaga nel spin la rosa sta,

ma non nel gel, bella è beltà:

perde il splendor torbido ciel

ciglio in rigor non è più bel.

Scena quarta

Eumete e Penelope, i Proci a parte.

EUMETE

Apportator d'alte novelle vengo!

È giunto, o gran regina,

Telemaco tuo figlio,

e forse non fia vana

la speme ch'io t'arreco:

Ulisse, il nostro rege,

il tuo consorte, è vivo,

e speriam non lontano,

il suo bramato arrivo!

PENELOPE

Per sì dubbie novelle

o s'addoppia il mio male

o si cangia il tenor delle mie stelle.

Scena quinta

Antinoo, Anfinomo, Pisandro, Eurimaco.

ANTINOO

Compagni, udiste? Il nostro

vicin rischio mortale

vi chiama a grandi e risolute imprese.

Telemaco ritorna e forse Ulisse.

Questa reggia da voi

violata e offesa

dal suo signor aspetta

tarda bensì, ma prossima vendetta.

Chi d'oltraggiar fu ardito

neghittoso non resti

in compir il delitto. In sin ad ora

fu il peccato dolcezza,

ora il vostro peccar fia sicurezza,

ché lo sperar favori è gran pazzia

da chi s'offese pria.

ANFINOMO E PISANDRO

N'han fatto l'opre nostre

inimici d'Ulisse.

L'oltraggiar l'inimico unqua disdisse.

ANTINOO

Dunque l'ardir s'accresca,

e pria ch'Ulisse arrivi

Telemaco vicin togliam dai vivi!

ANTINOO, ANFINOMO E PISANDRO

Sì, sì, de' grandi amori

sono figli i gran sdegni;

quel fere i cori e quest'abbatte i regni.

Qui vola sopra il capo dei Proci un'aquila.

EURIMACO

Chi dall'alto n'ascolta

or ne risponde, amici:

mute lingue del ciel sono gli auspici.

Mirate, ohimè mirate

del gran Giove l'augello.

Ne predice rovine,

ne promette flagello.

Muova al delitto il piede

chi giusto il ciel non crede.

ANTINOO, ANFINOMO E PISANDRO

Crediam al minacciar del ciel irato,

ché chi non teme il cielo

raddoppia il suo peccato.

ANTINOO

Dunque prima che giunga

il filial soccorso,

per abbatter quel core

facciam ai doni almen grato ricorso,

perché ha la punta d'or lo stral d'Amore.

EURIMACO

L'oro sol, l'oro sia

l'amorosa magia.

Ogni cor femminil se fosse pietra,

tocco dall'or si spetra.

ANTINOO, ANFINOMO E PISANDRO

Amor è un'armonia,

sono canti i sospiri,

ma non si canta ben se l'or non suona;

non ama, chi non dona.

Scena sesta

Boscareccia.
Ulisse, poi Minerva in abito maestro.

ULISSE

Perir non può chi tien per scorta il cielo,

chi ha per compagno un dio.

A grand'imprese, è ver, volto son io,

ma fa peccato grave

chi difeso dal ciel il mondo pave.

MINERVA

O coraggioso Ulisse,

io farò che proponga

la tua casta consorte

giuoco che a te fia gloria

e sicurezza e vittoria

e a' proci morte.

Allor che l'arco tuo ti giunge in mano

e strepitoso tuon fiero t'invita

saetta pur che la tua destra ardita

tutti conficcherà gli estinti al piano,

io starò teco e con celeste lampo

atterrerò l'umanità soggetta:

cadran vittime tutti alla vendetta

ché i flagelli del ciel non hanno scampo.

ULISSE

Sempre è cieco il mortale

ma all'or si dée più cieco

chi 'l precetto divin devoto osserva

io ti seguo Minerva.

Scena settima

Eumete, Ulisse.

EUMETE

Io vidi, o pellegrin, de' proci amanti

l'ardir infermarsi,

l'ardore gelar;

negli occhi tremanti

il cor palpitar:

il nome sol d'Ulisse,

quest'alme ree trafisse.

ULISSE

Godo anch'io né so come;

rido, né so perché.

Tutto gioisco,

ringiovanisco,

ben lieto affé.

EUMETE

Tosto ch'avrem con povera sostanza

i corpi invigoriti, andrem veloci.

Vedrai di quei feroci

fieri i costumi, i gesti

impudenti, inonesti.

ULISSE

Non vive eterna l'arroganza in terra:

la superbia mortal tosto s'abbatte,

ché il fulmine del ciel gli olimpi atterra.

Atto quarto
Scena prima

Reggia.
Telemaco, Penelope.

TELEMACO

Del mio lungo viaggio i torti errori

già vi narrai, regina.

Ora tacer non posso

della veduta greca

la bellezza divina.

M'accolse Elena bella:

io mirando stupii,

dentro a quei raggi immerso

che di paridi pieno

non fosse l'universo;

alla figlia di Leda

un sol Paride, dissi, è poca preda.

Povere fur le stragi

furon lievi gli incendi a tanto foco

che se non arde un mondo, il resto è poco.

Io vidi in que' begl'occhi,

dell'incendio troiano

le nascenti scintille

le bambine faville

e ben prima potea

astrologo amoroso da quei giri di foco

profetar fiamme e indovinar ardori

da incenerir città, non men che cori.

Paride, è ver, morì,

Paride ancor gioì.

Con la vita pagar convenne l'onta;

ma così gran piacere

una morte non sconta.

Si perdoni a quell'alma il grave fallo:

la bella greca porta

nel suo volto beato

tutte le scuse del troian peccato.

PENELOPE

Beltà troppo funesta, ardor iniquo

di rimembranze indegno

ti seminò lo sdegno

non tra i fiori d'un volto,

ma fra i strisci d'un angue,

ché mostro è quell'amore che nuota in sangue.

Memoria così trista

disperda pur l'oblio,

vaneggia la tua mente,

folleggia il tuo desio.

TELEMACO

Non per vana follia

Elena ti nomai, ma perché essendo

nella famosa Sparta

circondato improvviso

dal volo d'un augel destro e felice,

Elena ch'è maestra

dell'indovine scienze e degli auguri

tutta allegra mi disse

ch'era vicino Ulisse e che dovea

dar morte ai proci e stabilirsi il regno.

Scena seconda

Antinoo, Eumete, Iro, Ulisse, Penelope.

ANTINOO

Sempre villano Eumete,

sempre, sempre t'ingegni

di perturbar la pace,

d'intorbidir la gioia,

oggetto di dolore,

ritrovator di noia, hai qui condotto

un infesto mendico,

un noioso importuno

che con sue voglie ingorde

non farà che guastar le menti liete.

EUMETE

L'ha condotto Fortuna

alle case d'Ulisse

ove pietà s'aduna.

ANTINOO

Rimanga ei teco a custodir la gregge

e qui non venga dove

civile nobiltà comanda e regge.

EUMETE

Civile nobiltà non è crudele,

né puote anima grande

sdegnar pietà che nasce

de' regi tra le fasce.

ANTINOO

Arrogante plebeo!

Insegnar opre eccelse

a te vil uom non tocca,

né dée parlar di re villana bocca.

E tu, povero indegno,

fuggi da questo regno!

IRO

Partiti, movi il piè!

Se sei qui per mangiar son pria di te.

ULISSE

Uomo di grosso taglio,

di larga prospettiva,

benché canuto ed invecchiato sia

non è vile però l'anima mia.

Se tanto mi concede

l'alta bontà regale

trarrò il corpaccio tuo sotto il mio piede,

mostruoso animale.

IRO

E che sì, rimbambito guerriero,

vecchio importuno,

e che sì, che ti strappo

i peli della barba ad uno ad uno!

ULISSE

Voglio perder la vita

se di forza e di vaglia

io non ti vinco or or, sacco di paglia!

ANTINOO

Vediam, regina, in questa bella coppia

d'una lotta di braccia, stravagante duello.

TELEMACO

Il campo io t'assicuro,

pellegrin sconosciuto.

IRO

Anch'io ti do franchigia,

combattitor non barbuto.

ULISSE

La gran disfida accetto,

cavaliero panciuto!

IRO

Su, su dunque, alla lotta, su, su!

Alla ciuffa, alla lotta, su, su!

(segue la lotta)

Son vinto, ohimè!

ANTINOO

Tu vincitor perdona

a chi si chiama vinto.

Iro puoi ben mangiar, ma non lottar.

PENELOPE

Valoroso mendico! In corte resta

onorato e sicuro,

ché non è sempre vile

chi veste manto povero ed oscuro.

Scena terza

Pisandro, Anfinomo, Melanto, Antinoo, Eumete, Iro, Ulisse, Penelope.

ANFINOMO

Generosa regina!

Anfinomo a te s'inchina, e ciò che diede

larga e prodiga sorte

dona a te, per te aduna

tua novella fortuna.

Questa regal corona

che di comando è segno

ti lascia in testimon di ciò che dona.

Dopo il dono del core

non ha dono maggiore.

PENELOPE

Anima generosa,

prodigo cavaliere, ben sei d'impero degno,

ché non merita men chi dona un regno.

PISANDRO

Se t'invoglia il desio

d'accettar regni in dono

ben so donar anch'io

ed anch'io rege sono.

Queste pompose spoglie,

questi regali ammanti

confessano superbi

i miei ossequi, i tuoi canti.

PENELOPE

Nobil contesa e generosa gara

ove amator discreto

l'arte del ben amar donando impara.

ANTINOO

Il mio cor che t'adora

non ti vuol sua regina:

l'anima che s'inchina ad adorarti

deità vuol chiamarti,

e come dèa t'incensa coi sospiri,

fa vittime i desiri e con quest'ori

t'offre voti ed onori.

PENELOPE

Non andran senza premio

opre cotanto eccelse,

ché donna quando dona

se non è prima accesa, allor s'accende,

e donna quando toglie

se non è prima resa al cor s'arrende.

Or t'affretta Melanto e qui m'arreca

l'arco del forte Ulisse e la faretra:

e chi sarà di voi

con l'arco poderoso

saettator più fiero avrà d'Ulisse

e la moglie e l'impero.

TELEMACO

Ulisse, e dove sei?

Che fai che non ripari le tue perdite

e in un gli affanni miei?

PENELOPE

Ma che promise

bocca facile, ahi, troppo

discordante dal core.

Numi del cielo! S'io 'l dissi

snodaste voi la lingua, apriste i detti,

saran tutti del cielo e delle stelle

prodigiosi effetti.

ANTINOO, ANFINOMO E PISANDRO

Lieta, soave gloria,

grata e dolce vittoria!

Cari pianti degli amanti!

Cor fedele, costante sen

cangia il torbido in seren.

PENELOPE

Ecco l'arco d'Ulisse,

anzi l'arco d'Amor

che dée passarmi il cor.

Anfinomo, a te lo porgo:

chi fu il primo a donar

sia il primo a saettar.

Sinfonia

ANFINOMO

Amor, se fosti arciero in saettarmi,

or dà forza a quest'armi

ché vincendo dirò:

s'un arco mi ferì,

un arco mi sanò.

(fa prova di caricar l'arco e non può)

Il braccio non vi giunge,

il polso non v'arriva.

Ceda la vinta forza,

col non poter anche il desio s'ammorza.

Sinfonia

PISANDRO

Amor, picciolo nume

non sa di saettar:

se trafigge i mortali

son le saette sue sguardi, non strali,

ch'a nume pargoletto

negano d'obbedir l'arme di Marte.

Tu, fiero dio, le mie vittorie affretta,

il trionfo di Marte a te s'aspetta.

(fa prova di caricar l'arco, ma non può)

Com'intrattabile,

com'indomabile

l'arco si fa!

Quel petto frigido,

protervo e rigido,

per me sarà.

Sinfonia

ANTINOO

Cedan Marte ed Amore

ove impera beltà.

Chi non vince in onor non vincerà.

Penelope, m'accingo

in virtù del tuo bello all'alta prova.

(fa prova di caricar l'arco e non può)

Virtù, valor non giova.

Forse forza d'incanto

contende il dolce vanto.

Ah ch'egli è vero

ch'ogni cosa fedele

ad Ulisse si rende

e sin l'arco d'Ulisse, Ulisse attende!

PENELOPE

Son vani, oscuri pregi

i titoli de' regi,

senza valor. Il sangue,

ornamento regale,

illustri scettri a sostener non vale.

Chi simile ad Ulisse

virtute non possiede

de' tesori d'Ulisse è indegno erede.

ULISSE

Gioventude superba

sempre valor non serba,

come vecchiezza umile

ad ogn'or non è vile.

Regina, in queste membra

tengo un'alma sì ardita

ch'alla prova m'invita.

Il giusto non eccedo:

rinunzio il premio e la fatica io chiedo.

PENELOPE

Concedasi al mendico

la prova faticosa.

Contesa glorïosa,

contro petti virili un fianco antico

ché tra rossori in volti

darà 'l foco d'amor vergogna ai volti.

ULISSE

Questa mia destra umile

s'arma a tuo conto, o cielo!

Le vittorie apprestate, o sommi dèi,

s'a voi son cari i sacrifizi miei.

(con l'arco saetta)

Qui tuona.

ANTINOO, ANFINOMO E PISANDRO

Meraviglie, stupor, prodigi estremi!

Apparisce Minerva in macchina.

ULISSE

Giove nel suo tuonar grida vendetta:

così l'arco saetta.

Sinfonia da guerra

Minerva altri rincora, altri avvilisce;

così l'arco ferisce.

Alle morti, alle stragi, alle ruine!

Atto quinto
Scena prima

Iro solo.

O dolor, o martir che l'alma attrista!

O mesta rimembranza

di dolorosa vista!

Io vidi i proci estinti;

i proci furo uccisi. Ah, ch'io perdei

le delizie del ventre e della gola!

Chi soccorre il digiun, chi lo consola?

Oh flebile parola!

I proci, Iro, perdesti,

i proci, i padri tuoi.

Sgorga pur quante vuoi

lagrime amare e meste,

ché padre è chi ti ciba e chi ti veste.

Chi più della tua fame

satollerà le brame?

Non troverai chi goda

empir del vasto ventre

l'affamate caverne;

non troverai chi rida

del ghiotto trionfar della tua gola.

Chi soccorre il digiun, chi lo consola?

Infausto giorno a mie ruine armato:

poco dianzi mi vinse un vecchio ardito,

or m'abbatte la fame,

dal cibo abbandonato.

L'ebbi già per nemica,

l'ho distrutta, l'ho vinta; or troppo fora

vederla vincitrice.

Voglio uccider me stesso e non vo' mai

ch'ella porti di me trionfo e gloria!

Chi si toglie al nemico ha gran vittoria.

Coraggioso mio core,

vinci il dolore! E pria

ch'alla fame nemica egli soccomba

vada il mio corpo a disfamar la tomba.

Scena seconda

Deserto con Ombre de' proci, Mercurio.

[La si lascia fuori per essere malinconica.]

MERCURIO

Dell'umana tragedia è questo il fine.

Regni, bellezza, amore

nel transito dissolve,

lo spirto vola e non riman che polve.

La morte è dèa possente,

abbatte ogni vivente

né ria speranza giova.

Chi non crede all'esempio

al fin non può negar fede alla prova.

Voi già proci superbi or placid'ombre,

prima principi illustri, or alme oscure

per man d'Ulisse il forte

gran ministro del ciel estinti foste,

ed or dopo goduta

la vagabonda libertà di morte

andrete profondati ove chi regna

a incrudelir insegna.

Chiaman le vostre colpe

precipizi d'averno,

voragini d'inferno,

ch'a' perfidi e crudeli

quando l'eterno danno ha il ciel prefisso

s'apre così l'abisso.

Qui s'apre scena infernale e si profondano l'Ombre de' proci.

Mercurio segue.

MERCURIO

Imparate mortali,

sono di vostri brevissimi piaceri

i castighi immortali.

Stolti, sin che vivete,

vostri umani diletti

hanno la reggia in polve.

Mentre godono sol la carne, e i sensi,

e poi che morti siete

passa allo spirto un immortal

duro cambio infelice

gioir farfalla e tormentar fenice.

Vostra vita è un passaggio,

non ha stato e fermezza;

se mai giunge bellezza

tramonta allor, ch'appena mostra un saggio.

Vivi cauto, o mortale,

che cammina la vita e 'l tempo ha l'ale,

e dove ingorda speme

vivendo non s'acquieta

dell'umana pazzia questa è la meta.

Scena terza

Reggia.
Melanto, Penelope.

MELANTO

E quai nuovi rumori,

e che insolite stragi,

e che tragici amori.

Chi fu, chi fu l'ardito

che osò con nuova guerra

la pace intorbidar ch'hai tu negli occhi,

e trar disfatti a terra

quei templi che ad Amor furon eretti

in quei focosi petti?

PENELOPE

Vedova amata, vedova regina,

nuove lagrime appresto;

insomma all'infelice

ogni amore è funesto.

MELANTO

Così all'ombra de' scettri anco pur sono

malsicure le vite;

vicino alle corone

son le destre esecrande ancor più ardite.

PENELOPE

Moriro i proci, e queste

da lor chiamate stelle

furon di quelle morti

assistenti facelle.

MELANTO

Penelope, il castigo

dell'immortale fato

non consigliar che con lo sdegno e l'ira,

ché maestade offesa

esser giusta non può se non s'adira.

PENELOPE

Dell'occhio la pietate

si risente all'eccesso,

ma concitar il core

a sdegno ed a dolor non m'è concesso.

Scena quarta

Eumete e Penelope.

EUMETE

Forza d'occulto affetto

raddolcisce il tuo petto.

Chi con un arco solo

isconosciuto diede

a cento morti il duolo,

quel forte, quel robusto

che domò l'arco e fe' volar gli strali,

colui che i proci insidiosi e felli

valoroso trafisse

rallegrati regina, egli era Ulisse!

PENELOPE

Sei buon pastore Eumete,

se persuaso credi

contro quello che vedi.

EUMETE

Il canuto, l'antico,

il povero, il mendico

che co' proci superbi

coraggioso attaccò mortali risse,

rallegrati regina, egli era Ulisse.

PENELOPE

Credulo è il volgo e sciocco,

è la tromba mendace

della fama fallace.

EUMETE

Ulisse io vidi, sì,

Ulisse è vivo, è qui!

PENELOPE

Relator importuno,

consolator nocivo!

EUMETE

Dico che Ulisse è qui.

Lo stesso 'l vidi e 'l so.

Non contenda il tuo no con il mio sì:

Ulisse è vivo, è qui!

PENELOPE

Io non contendo teco

perché sei stolto e cieco.

Scena quinta

Telemaco e detti.

TELEMACO

È saggio Eumete, è saggio,

è ver quel ch'ei racconta:

Ulisse, a te consorte ed a me padre,

ha tutte uccise le nemiche squadre.

Il comparir sotto mentito aspetto,

sotto vecchia sembianza,

arte fu di Minerva e fu suo dono.

PENELOPE

Troppo egli è ver che gli uomini qui in terra

servon di gioco agli immortali dèi.

Se ciò credi ancor tu lor gioco sei.

TELEMACO

Vuole così Minerva:

per ingannar con le sembianze finte

gli inimici d'Ulisse.

PENELOPE

Se d'ingannar gli dèi prendon diletto

chi far fede mi puote

che non sia mio l'inganno,

se fu mio tutto il danno?

TELEMACO

Protettrice de' Greci

è, come sai Minerva,

e più che gli altri

Ulisse a lei fu caro.

PENELOPE

Non han tanto pensiero

gli dèi lassù nel cielo

delle cose mortali.

Lasciano ch'arda il foco e agghiacci il gelo,

figlian le cause lor piaceri e mali.

TELEMACO

Togliti in pace il nero.

EUMETE

Io lo dirò, ti seguirò.

Scena sesta

Marittima.
Minerva e Giunone.

MINERVA

Fiamma è l'ira, o gran dèa, foco è lo sdegno.

Noi sdegnose ed irate

incenerito abbiam di Troia il regno,

offese da un troian, ma vendicate;

il più forte fra' Greci ancor contende

col destin, con il fato:

Ulisse addolorato.

GIUNONE

Per vendetta che piace

ogni prezzo è leggero.

Vada il troiano impero

anco in peggio di polvere fugace.

MINERVA

Dalle nostre vendette

nacquero in lui gli errori;

delle stragi dilette

son figli i suoi dolori.

Convien al nostro nume

il vindice salvar, placar gli sdegni

del dio de' salsi regni.

GIUNONE

Procurerò la pace,

ricercherò il riposo

d'Ulisse glorïoso.

MINERVA

Per te del sommo Giove

e sorella e consorte

s'aprono nove in ciel divine porte.

Scena settima

Giunone, Giove, Nettuno, Minerva, Coro di Celesti e Coro marittimo.

GIUNONE

Gran Giove, alma de' dèi, dio delle menti,

mente dell'universo,

tu che 'l tutto governi e tutto sei,

inchina le tue grazie a' prieghi miei.

Ulisse troppo errò,

troppo, ahi, troppo soffrì;

tornalo in pace un dì:

fu divin il voler che lo destò.

GIOVE

Per me non avrà mai

vota preghiera Giuno,

ma placar pria conviensi

lo sdegnato Nettuno.

Odimi, o dio del mar:

fu scritto qui, dove il destin s'accoglie,

dell'eccidio troiano il fatal punto.

Or ch'al suo fine il destinato è giunto

sdegno ozioso un gentil petto invoglia.

Fu ministro del fato Ulisse il forte:

soffrì, vinse, pugnò, campion celeste.

Per lui, mentre di cenere si veste,

cittadina di Troia errò la morte.

Nettun, pace o Nettun, Nettun, perdona

il suo duolo al mortal, ch'afflitto il rese.

Ecco scrive il destin le sue difese;

non è colpa dell'uom se 'l cielo tuona.

NETTUNO

Son ben quest'onde frigide,

son ben quest'onde gelide,

ma sentono l'ardor di tua pietà.

Nei fondi algosi ed infimi

nei cupi acquosi termini

il decreto di Giove anco si sa.

Contro i feaci arditi e temerari,

mio sdegno si sfogò:

pagò il delitto pessimo

la nave che restò.

Viva felice pur,

viva Ulisse sicur!

CORO DI CELESTI

Giove amoroso

fa il ciel pietoso

nel perdonar.

CORO MARITTIMO

Benché abbia il gelo,

non men del cielo

pietoso il mar.

ENTRAMBI I CORI

Prega, mortal, deh, prega,

che sdegnato e pregato un dio si piega.

GIOVE

Minerva or fia tua cura

d'acquetar i tumulti

de' sollevati Achivi

che per vendetta degli estinti proci

pensano portar guerra

all'itacense terra.

MINERVA

Rintuzzerò quei spirti,

smorzerò quegli ardori,

comanderò la pace,

Giove, come a te piace.

Scena ottava

Reggia.
Ericlea sola.

Ericlea, che vuoi far?

Vuoi tacer o parlar?

Se parli tu consoli,

obbedisci se taci.

Sei tenuta a servir, obbligata ad amar.

Vuoi tacer o parlar?

Ma ceda all'obbedienza la pietà;

non si dée sempre dir ciò che si sa.

Sinfonia

Medicar chi languisce, o che diletto!

Ma che ingiurie e dispetto

scoprir l'altrui pensier;

bella cosa talvolta è un bel tacer.

È ferità crudele

il poter con parole

consolar chi si duole e non lo far;

ma del pentirsi alfin

assai lunge è il tacer più che 'l parlar.

Ritornello

Bel segreto taciuto

tosto scoprir si può;

una sol volta detto

celarlo non potrò.

Ericlea, che farai, tacerai tu?

Insomma un bel tacer mai scritto fu.

Ritornello

Scena nona

Penelope, Telemaco, Eumete, Ericlea.

PENELOPE

Ogni nostra ragion se n' porta il vento.

Non ponno i nostri sogni

consolar le vigilie

dell'anima smarrita.

Le favole fan riso e non dan vita.

TELEMACO

Troppo incredula!

EUMETE

Incredula troppo!

TELEMACO

Troppo ostinata!

EUMETE

Ostinata troppo!

TELEMACO

È più che vero.

EUMETE

Di vero è più

che 'l vecchio arciero

Ulisse fu.

TELEMACO

Eccolo che se n' viene

e la sua forma tiene.

EUMETE

Ulisse egli è!

TELEMACO

Eccolo affé!

Scena decima

Sopraggiunge Ulisse in sua forma, e detti.

ULISSE

O delle mie fatiche

meta dolce e soave,

porto caro amoroso

dove corro al riposo.

PENELOPE

Fermati, cavaliero,

incantator o mago!

Di tue finte sembianze io non m'appago.

ULISSE

Così del tuo consorte,

così dunque t'appressi

a' lungamente sospirati amplessi?

PENELOPE

Consorte io sono, ma del perduto Ulisse,

né incantesimo o magie

perturberan la fé, le voglie mie.

ULISSE

In onor de tuoi rai

l'eternità sprezzai,

volontario cangiando e stato e sorte.

Per serbarmi fedel son giunto a morte.

PENELOPE

Quel valor che ti rese

ad Ulisse simile

care mi fa le stragi

degli amanti malvagi.

Questo di tua bugia

il dolce frutto sia.

ULISSE

Quell'Ulisse son io

delle ceneri avanzo,

residuo delle morti,

degli adulteri e ladri

fiero castigator e non seguace.

PENELOPE

Non sei tu 'l primo ingegno

che con nome mentito

tentasse di trovar comando o regno.

ERICLEA

Or di parlar è tempo.

È questo Ulisse,

casta e gran donna; io lo conobbi all'ora

che nudo al bagno venne, ove scopersi

del feroce cinghiale

l'onorato segnale.

Ben ti chieggio perdon se troppo tacqui:

loquace femminil garrula lingua

per comando d'Ulisse

con fatica lo tacque e non lo disse.

PENELOPE

Credere ciò ch'è desio m'insegna amore;

serbar costante il sen comanda onore.

Dubbio pensier, che fai?

La fé negata a' prieghi

del buon custode Eumete,

di Telemaco il figlio,

alla vecchia nutrice anco si nieghi,

ché il mio pudico letto

sol d'Ulisse è ricetto.

ULISSE

Del tuo casto pensiero io so 'l costume,

so che 'l letto pudico

che tranne Ulisse solo altro non vide

ogni notte da te s'adorna e copre

con un serico drappo

di tua mano contesto, in cui si vede

col virginal suo coro

Diana effigiata.

M'accompagnò mai sempre

memoria così grata.

PENELOPE

Or sì ti riconosco, or sì ti credo,

antico possessore

del combattuto core.

Onestà mi perdoni,

dono tutto ad amor le sue ragioni.

ULISSE

Sciogli la lingua, sciogli

per allegrezza i nodi!

Un sospir, un ohimè, la voce snodi.

PENELOPE

Illustratevi o cieli,

rinfioratevi o prati, aure gioite!

Gli augelletti, cantando,

i rivi mormorando or si rallegrino!

Quell'erbe verdeggianti,

quell'onde sussurranti or si consolino,

già ch'è sorta felice

dal cenere troian la mia fenice.

ULISSE

Sospirato mio sole!

PENELOPE

Rinnovata mia luce!

ULISSE

Porto quieto e riposo!

PENELOPE, ULISSE

Bramato sì, ma caro.

PENELOPE

Per te gli andati affanni

a benedir imparo.

ULISSE

Non si rammenti

più de' tormenti.

Tutto è piacer.

PENELOPE

Fuggan dai petti

dogliosi affetti!

Tutto è goder!

PENELOPE E ULISSE

Del piacer, del goder venuto è 'l di.

Sì, sì, vita, sì, sì core, sì, sì!

Aggiunta al finale

Coro degli Itacesi, talvolta eseguito in teatro.
(Monteverdi, VIII libro di madrigali)

CORO

Pugna spesso con l'uom fortuna e sorte:

spesso ei vede il destin di sdegno armato,

ma cede la fortuna e arride il fato

se s'arma di virtù l'uom saggio e forte.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40 (W)

Locandina Prologo Scena unica Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Atto quarto Scena prima Scena seconda Scena terza Atto quinto Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Aggiunta al finale