Atto terzo

 

Scena prima

Filena, Dafne.

Filena, Dafne

 

FILENA

E sarai così stolta,  

che gl'amplessi d'un dio rifiuterai?

Dunque dunque te stessa

deificar tu puoi,

pazzarella, e non vuoi,

e la tua volontà s'indura, e nega

mentre sì caldamente un dio ti prega?

DAFNE

E non posso, e non voglio

metter gli orecchi miei

in sicuro da' tuoi

fastidiosi accenti,

e m'istighi, e mi provochi, e mi tenti?

Non intendo d'amor principio alcuno,

affetto forestiero alla mia pace

non voglio in questo petto;

non voglio, che si muti

di mia vita il tenore,

scherzi, con altri pur, non meco Amore.

FILENA

Quel bel viso ridente,

che risplende, e diletta

nell'amoroso Apollo,

quella soave bocca

che sì dolce ragiona

l'alma non t'imprigiona?

O dio del caro nume

quel bellissimo aspetto

non ti muove nel petto

il sentimento dolce, e non ti chiama

a riamar chi t'ama?

S'egli pregasse me,

Dafne ti giuro affé,

tutta tutta ei m'avrebbe,

e sempre troverebbe

dalla mia volontà bandito il no;

ma io, che son sì sconcia

e di viso, e di seno,

se con lui mi stringessi in dolce laccio

sembrerei proprio un'ombra al sole in braccio.

Ama, Dafne, e sia gloria

delle tue guance belle

l'esser tanto piaciuta

al principe del lume, e delle stelle.

Se l'occhio non fallì

sì ch'egli è desso, sì:

vedilo di lontano

venir a noi pian piano.

Ei torna a cimentare i preghi suoi

con la cote agghiacciata

dell'alma sua spietata.

Lascia le ritrosie

guarisci le pazzie,

e se terreni amanti aver non vuoi

volgi al ciel, drizza al sol gli amori tuoi.

DAFNE

Fuggirò, ma che bado,

che non ricorro al mio diletto padre,

perch'ei mi guardi da nemici oltraggi.

Padre, padre Penèo,

sorgi dal cupo fondo

delle tue limpid'acque,

salva, deh salva omai

dalle mani impudiche

del dissoluto Apollo

la tua piangente figlia,

che per sottrar sé stessa

da temerari insulti,

non può vibrar altr'armi, che singulti.

 

Filena ->

 

Scena seconda

Penèo, Dafne.

<- Penèo

 

PENÈO

Figlia indarno da me soccorso attendi,  

che contro il biondo dio

resister non poss'io,

però che il sol può disseccar quest'acque,

ma quest'acque non ponno

spegner la luce, ed ammorzare il sole.

Dispari forza inferior talento

riconosca sé stesso,

ed a' maggiori suoi non vada appresso.

DAFNE

Dunque sugl'occhi tuoi,

o indebolito nume,

o vilipeso fiume

cadrò preda infelice?

Così a chi il tutto puote, il tutto lice?

PENÈO

Trovo un rimedio solo,

per far riparo agl'imminenti mali,

trasformar ti poss'io

in pianta, che di frondi

abbia perpetue chiome,

e non più Dafne no, Lauro avrai nome.

DAFNE

Vada la vita mia, com'a te piace,

per salvar l'onestade,

se non basta in un arbore, in un sasso,

trasformami a tuo senno.

Vada peregrinando

per mille forme varie l'esser mio,

pria, che cader dal virginal decoro

delle grand'alme singolar tesoro.

 

Penèo ->

 

Scena terza

Apollo, Amore.

<- Apollo, Amore

 

APOLLO

Ohimè, che miro? Ohimè dunque, in alloro    

ti cangi, o Dafne, e mentre in rami, e in frondi,

le belle membra oltredivine ascondi,

povero tronco chiude il mio tesoro.

Qual sento umano, o qual celeste ingegno

a sì profondo arcano arrivò mai?

Veggo d'un viso arboreggiare i rai,

trovo il mio foco trasformato in legno.

Misero Apollo i tuoi trionfi or vanta

di crear giorno, ove le luci giri,

puoi sol cangiato in vento de' sospiri

baciar le foglie all'adorata pianta.

Sgorghino omai con dolorosi uffici

dai languid'occhi miei lagrime amare,

vadino in doppio fonte ad irrigare

d'un lauro le dolcissime radici.

Era meglio per me, che fuggitiva,

ma bella oltre le belle io ti vedessi,

che con sciapiti, e non giocondi amplessi

un arbore abbracciar su questa riva.

Giove, crea novo lume, io più non voglio

esser chiamato il sole, e dentro all'onde

delle lagrime mie calde, e profonde

immergo il caro, e de' miei rai mi spoglio.

Spezza tu la mia sfera, o tu l'aggira,

al zodiaco per me puoi dir addio;

de' pianti in mar novo Nettun son io,

suona agonie la mia lugubre lira.

A te ricorro onnipotente Amore,

al mio gran mal le medicine appresta;

di questo alloro un ramoscello innesta

con incalmo divin sopra il mio core.

Così, lauro mio bello, e peregrino,

orto sarà il mio petto ai rami tuoi,

sarà con union dolce tra noi,

la mia divinitade il tuo giardino.

S

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AMORE

Dimmi, Apollo dolente,  

del bambin, del pigmeo pungono l'armi?

Sei tu quell'insolente,

che vaneggiò così nel disprezzarmi?

 

 

Or trionfa di te la mia saetta,  

nuota ne' pianti tuoi la mia vendetta.

 

 

Tu con Amor puntigli,

e gonfio d'ambizion sprezzi i maggiori,

e con ciechi consigli

trescan con il mio dardo i tuoi splendori;

col sangue di tua piaga or scritto sia,

l'irritar i più forti è una follia.

Asciuga gl'occhi, Apollo,

che'l vano lagrimar non sana i mali;

piega al mio giogo il collo,

giura servaggio agl'amorosi strali:

il cedermi non è tuo disonore,

perché se tu sei il solo, io son Amore.

Che su tu apporti il die,

io scopro il paradiso a' miei devoti,

e all'immagini mie

assai più, ch'alle tue s'appendon voti.

Anzi, che i miei vassalli han per costume

d'andar notturni, e rinnegar tuo lume.

Di tue lacrime omai

ho fatto perle, e me n'ingemmo l'arco;

tu da qui innanzi andrai

nel dirmi oltraggi più modesto, e parco.

Mortali or chi da me salvar si vuole,

se 'l mio dardo ha trafitto il core al sole.

 

Amore ->

 

Scena quarta

Pan, Apollo, Dafne trasformata.

<- Pan

 

PAN

Che lagrime son queste,    

o luminoso dio?

Invece di apportare al basso mondo

allegrezza col raggio,

il sereno del ciel turbi col pianto?

Che stilleran le nubi,

se in nova pioggia si distilla il sole?

Se curioso affetto

non accresce i tuoi mali

dimmi, cortese Apollo, i tuoi cordogli.

Servirà di singulti questo petto,

abbonderà di lagrime pietose

il mio core a' tuoi casi.

Non toglier a te stesso

i benefici dell'affetto mio,

ben è infelice il tuo presente stato,

se aborre i modi d'esser consolato.

S

APOLLO

Pietosissimo Pane,

non sanno le parole,

come venir dal core alla mia bocca,

perché a mezzo viaggio

il duol le prende, e le dissolve in pianto;

e 'l concetto, che parte

dall'anima dolente

crede esser favellato

ma resta lagrimato.

PAN

E quale è la cagione

di tanto tuo dolore.

APOLLO

È la cagione Amore.

PAN

O disturbo del mondo,

o scompiglio del cielo,

o furia dell'Olimpo, o cieco nume.

La madre tua si generò nell'acque

ed il zoppo tuo padre è dio del foco,

e tu fai scaturire a mille a mille

da cori amanti e lagrime, e faville.

Ma come è quale amore

t'ha sì mal concio, o sconsolato Apollo?

APOLLO

Vedi tu là quell'arbore gentile,

che smeraldeggia nelle belle frondi?

Quella è Dafne, il cui viso

con armi di beltà piagommi il seno.

Io volea darle a bere

nella coppa d'un bacio i pianti miei;

ella sdegnosa mi fuggì repente,

io la seguia pregando,

ed ella per schernirmi,

e toglier a' miei baci

di sua bocca il dolcissimo tesoro

s'è cangiata di ninfa in un alloro;

d'ogni tuo bene o derelitto Apollo.

 

Son geloso del bosco,  

che con le sue radici

unir si può per sotterranea via

con le radici della vita mia.

Son geloso dell'aure,

che baciano sovente

la sempreverde ed onorata fronde,

e quando sarò in cielo

i raggi manderò sovra di lei,

sarò geloso ancor de' raggi miei.

 

 

Pan, tu non piangi? E dove  

serrasti la pietade,

se dagl'occhi non t'esce in torbid'onde.

Piangete erbe, ombre, antri, aure, augelli, e fronde.

PAN

Vedi tu queste canne,

son della mia Siringa

armoniche memorie aspre membranze.

Or non sai tu, ch'amai

la mia bella Siringa,

e ch'ella ricusando

riamar chi l'amava

trasformossi in istante in canna lieve?

Lo san le selve, e i sassi,

e ne piansero i rivi.

Io come Amor dettommi

della canna adorata

quest'organo silvestre

di calami sonori

ho poi formato,

e se abbracciar non puoti

la bella ninfa in sua sembianza vera

me l'ho legata trasformata al collo,

e feci sospirando

della necessità virtute, o Apollo.

Così lo spirto mio

si racconsola, e in questi

calami sospirati

musico innamorato impiego i fiati.

Prendi tu di quei rami,

e te ne fa' corona al biondo crine;

coronane la cetra, e ti consola,

che ne' fronzuti, ed immortali allori

la memoria vivrà d'eterni amori.

DAFNE

Ohimè dunque sì crudo

contro ninfa innocente

stendi la man feroce?

Questi sono gli amori,

o insidioso Apollo,

nemico del mio onor, mentre fui donna;

frattor de' rami miei, mentre son pianta.

Perdona almen perdona

alla vivente umanità sepolta,

abbian pace una volta

da ingiurïoso amante

se non le ninfe imbelli, almen le piante.

APOLLO

E che fieri consigli

mi desti, o Pane? Ahi come ho lacerato

il prezïoso tronco.

Senti le voci, senti

della mia cara vita

dalle mie proprie mani, ohimè ferita.

DAFNE

Questo povero tronco,

se non merta pietà, svellasi omai.

Sia però noto al mondo, Apollo ingrato,

ch'io non t'offesi mai.

Miserabile Dafne

che trovar puossi paragone in terra

alle tue disventure.

Perché il destin le tue sventure vuole,

fatt'è un sicario, un omicida il sole.

APOLLO

Perdona, o ninfa cara,

sotto cortecce ruvide, e silvestri

singolar mio conforto, anima mia.

Perdona a questa mano,

e se 'l castigo mio brami vedere,

sappi, ch'a questo mio misero core

patiboli, e torture appresta amore.

DAFNE

Assai son soddisfatta, anzi mi pento

di esserti stata cruda, o biondo dio

rasciuga i pianti, ch'io

con le frondi, e coi rami

con le radici a te mi prostro, e dico

in idïoma umano,

e in linguaggio d'alloro

te come amante, e come sole adoro.

PAN

O parole ben degne

d'esser scritte in caratteri di stelle.

DAFNE

Amico Apollo, addio;

quest'arbore non può più lungamente

organizzar parole;

della sua Dafne non si scordi il sole.

APOLLO

Se sopra l'esser dio

si ritrovasse altezza,

colà su porterei la tua bellezza.

Eterna avrò memoria

di te, mia cara Dafne,

e staranno in perpetuo uniti insieme

nel verace amor mio

l'esser di Dafne amante, e l'esser dio.

Or consolato vivo,

Pane, e m'accordo teco,

or a vicenda sia

di tua zampogna, e di mia cetra il suono;

cantiam di Dafne, e di Siringa insieme

con sinfonie gioconde

le belle metamorfosi gradite.

 

APOLLO

Dafne mia, Dafne bella  

delle tue frondi omai mi cingo il crine;

ceda pure ogni stella

a corone sì altere, e peregrine.

Più della luce mia de' miei splendori

stimo il caro diadema aver allori.

PAN

Siringa, a te s'inchina

ogni forma terrena, ogni celeste,

tua bellezza divina

sempre si canterà nelle foreste.

Né sarà mai ch'in terra, o in ciel dipinga

più bel sembiante mai, che di Siringa.

APOLLO

Questa bella, alma fronde

verdeggierammi eternamente in fronte,

né sie mai, che si sfronde

suo ramo fulminato in valle, o in monte.

Se al zodiaco mancar potesse un segno,

l'alloro andar lassù saria ben degno.

PAN

Canne mie preziose,

memoria del mio foco, e del mio pianto;

l'angosce mie penose,

sì come vuole Amor, rivolgo in canto.

Le nostre ninfe trasformate in piante

canti ognuno di noi giocondo amante.

 

APOLLO E PAN

Sì sì vivano eterne

di nostre fiamme l'amorose luci.

Sia perpetuo il decoro

a chi ci nutre in sì beato ardore.

Né rimbombare il ciel sia mai satollo

sempre Siringa, e Pan, Dafne, ed Apollo.

 
Qui macchina s'abbassa per ricever Apollo, e condurlo in cielo.
 

Scena quinta

Aurora, Apollo, Pan da una parte.

<- Aurora

 

AURORA

Mentre ritorni in cielo,  

o luce, ed allegria dell'universo,

non isdegnar, che teco

venga la tua foriera.

APOLLO

E quando, e come

in queste valli apriche

discendesti, o lucente

pittrice mattutina?

AURORA

Di mia venuta in terra

l'amorosa cagion ti dirò poi.

APOLLO

Vientene meco pur; vagheggi intanto

l'occhio mortale, e additi

l'Aurora, e 'l sol in bella nube uniti.

AURORA

Se Titon ti dimanda

s'oggi ho retto il tuo carro,

rispondi un sì mendace;

bella maschera sia

di stratagemmi miei la tua bugia.

APOLLO

Come vuoi, che la luce

gl'uffici delle tenebre eseguisca?

Nacqui a svelar, non a coprir i falli.

Del temerario mondo

purtroppo sentirei

incolpar di bugiardi i raggi miei.

AURORA

Orsù, quando bisogna, e altrui non nuoce,

è gentilezza il falseggiar bugie,

e tra due contendenti

sempre è sicuro direttor di pace

prudente mentitor, scaltro mendace.

APOLLO

Così parlan le donne, e non le dèe,

così s'usa nel mondo, e non nel cielo.

L'uom scellerato, ch'ha smarrite omai

della sincerità tutte le vie

chiama prudenza il rimbellir bugie.

Ma non dimen per compiacerti, o bella,

ti prometto mentir, quanto vorrai,

e al tuo vecchio Titone

creder farò, che tu sii stata in cielo,

e ch'all'uscir del luminose die

hai sostenute in ciel le veci mie.

 
Qui Apollo e l'Aurora ascendono in cielo.

Apollo, Aurora ->

 

PAN

L'Aurora afferma al sole,  

ch'amorosa cagione

l'abbia condotta in terra,

e vuol ch'al suo Titone

bugie sian dette, e stratagemmi orditi?

O folli amanti, o poveri mariti,

o donne, o belle donne,

mora pur mora

chi non v'adora,

ma chi è possente

d'andar esente

dalle scaltre bugie del vostro sesso,

se guardar non sen n' puote il cielo stesso?

O bellezze, o bellezze

non merta fama

chi non vi brama,

ma se il pensiero

penetra il vero,

dappertutto abbondar beltà si vede,

e sol si prova carestia di fede.

Quel è saggio e prudente

che solo crede

a ciò, che vede.

Negozia sano

col pegno in mano,

ma con voi donne belle, a quant'io vedo,

non presto fede, e al pegno ancor non credo.

 

Pan ->

<- fiori danzanti

Segue il ballo de' Fiori.
 

CORO

Novo alle selve  

nume s'aggiunge

novo decoro

e meraviglia

riceve la frondosa ampia famiglia

celebriamo così

sì lieto dì.

Virtù celeste,

voler divino

cangia, e trasforma

in verde alloro

della Tessaglia il singolar decoro;

così lodata va

tanta beltà.

Balliam Giacinto,

danziam Narciso,

alzati Adone

né star afflitto

a tue radici, o vago ciparisso;

ora con lieve piè

formisi un «D».

Trecce, e catene

groppi, e viluppi

e labirinti

in vari giri

a ritrar, a formar ognuno aspiri,

e in bella novità

stampisi una «A».

La leggiadria

impenni l'ali

al nostro piè,

men presti, e snelli

sian del nostro danzar gl'istessi augelli;

faccia un, «F», gentil

musico stil.

Pure venite

al paragon,

venti non sete

sì presti al volo

com'è di nostra danza un salto solo.

Or l'«N», in un balen

formato vien.

Formiamo al metro

d'alta armonia

danze volanti,

e a dolci corde

moviamo il passo, e 'l piè sempre concorde.

E 'l passo istesso, e 'l piè

riposi in «E»?

Comincia in, «D»,

poi segue in, «A»,

indi, «F», vien,

continua in, «N»,

e a terminare in «E», suo nome viene.

Sempre onorar si vuol

Dafne, ed il sol.

Dafne si canti

ninfa del sole

amor d'Apollo

baciate, o fiori

il piede alla regina degli allori.

Finché il ciel durerà

Dafne vivrà.

 

fiori danzanti ->

 

Scena sesta ed ultima

Filena, Cirilla.

<- Filena, Cirilla

 

FILENA

Or hai finite, o Dafne,  

l'indomite pazzie.

Non era meglio, o stolta,

compiacere ad Apollo,

che diventare un tronco?

Or delle colpe tue soffri la pena

sì pazza già non sarà mai Filena.

Ricusar dolci baci

rifiutar godimenti,

per crescer alle selve arbori novi,

ben il volgo ha ragione

nel dir, che 'l mondo tutto è opinione.

Un incalmo de' fiori

si paga a prezzo d'oro,

ed è pompa, e tesoro de' giardini,

un incalmo de' frutti

si guarda, e custodisce,

e gli si dà a misura e pioggia, e sole,

e negl'orti de' sensi innamorati

e nei giardini amabili dell'alme

opinion non vuol, ch'amor s'incalme,

quel che lice, e conviene

alle colombe stesse,

che della purità sono l'idee;

quel che lice agl'agnelli

esempi d'innocenza, e d'umiltade.

Tra le ninfe, e i pastori

è nota di vergogna, e disonori.

O Filena infelice

non serenar più mai la faccia mesta;

tempi, e costumi rei, che legge è questa?

CIRILLA

Alfesibeo m'ha detto

il mistero del sogno,

ed è toccato a Dafne il trasformarsi.

FILENA

Guarda, Cirilla, guarda,

ecco l'arbore novo,

in cui cangiossi l'ostinata Dafne.

CIRILLA

Metamorfosi bella, ed onorata,

ninfa degna d'eterne ricordanze.

E tu circondi di mordace biasimo

un'azione sì nobile, ed illustre?

Trangugia quelle voci

scostumata Filena,

che il fiore virginale conservato

divide per metà con Giove stesso

il titolo d'eterno, e di beato.

E donzella ben nata

più stimar dée la gioia dell'onore,

che le proprie pupille, e 'l proprio core.

Sebbene (o nostri dì caliginosi)

or sono le citelle

purtroppo baldanzose,

né tali io le vorrei

così già non s'usava a' tempi miei.

Ora la giovinetta

dal guscio appena uscita

alla finestra aspetta,

se al vezzo alcun la invita,

mentre di latte ancor sua bocca sente

studia co' sguardi avvelenar la gente.

Morde il labbro lascivo

poi con la lingua il molce

fa l'occhio semivivo

in un deliquio dolce,

mentre l'incauta madre è intenta all'ago

getta la sfacciatella i baci al vago.

Nel fior dell'età verde

coglie d'infamia il frutto.

Ma sull'onor, che perde,

apre un fondaco brutto,

perché subordinando inganni rei

si vende per donzella a cinque, e a sei.

Se fosse in mia balia

citella senza ingegno,

le trarrei la pazzia

a fé con questo legno,

che può solo un baston co' suoi rigori

mortificar pruriti, e pizzicori.

FILENA

Ma se tu non fossi vecchia

avresti altri pensieri,

ma insomma così va

fredda decrepità,

che rincresce a sé stessa, e gli altri annoia,

mentre di dolce brillo i spirti ha privi,

fa la satrapa addosso ai sensi vivi.

Queste vecchie befane

insensate, ed insane

mordon sempre co' detti lor pungenti,

mentre per morder pan non hanno denti.

Sempre fanno bisbigli

con sciapiti consigli,

e stanche omai di godimenti mille,

or che non posson più, fan le sibille.

 

Fine (Atto terzo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo
Filena, Dafne
 

E sarai così stolta

Dafne
Filena ->
Dafne
<- Penèo

Figlia indarno da me soccorso attendi

(Penèo trasforma Dafne in un alloro)

Dafne
Penèo ->
Dafne
<- Apollo, Amore

Ohimè, che miro? Ohimè dunque, in alloro

Dimmi, Apollo dolente

Dafne, Apollo
Amore ->
Dafne, Apollo
<- Pan

Che lagrime son queste

Pan, tu non piangi? E dove

(qui macchina s'abbassa per ricever Apollo, e condurlo in cielo)

Dafne, Apollo, Pan
<- Aurora

Mentre ritorni in cielo

Dafne, Pan
Apollo, Aurora ->

L'Aurora afferma al sole

Dafne
Pan ->
Dafne
<- fiori danzanti

(ballo de' fiori)

Dafne
fiori danzanti ->
Dafne
<- Filena, Cirilla

Or hai finite, o Dafne

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta ed ultima
Prologo Atto primo Atto secondo

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