Prologo

 

Scena unica

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Ovidio

 

OVIDIO

Da' fortunati campi, ove immortali    

godonsi all'ombra de' frondosi mirti

i graditi dal ciel felici spirti,

mostromi in questa notte a voi mortali.

Quel mi son io, che su la dotta lira

cantai le fiamme celesti de' celesti amanti

e i trasformati lor vari sembianti

soave sì, ch'il mondo ancor m'ammira.

Indi l'arte insegnai come si deste,

in un gelato sen fiamma d'amore,

e come in libertà ritorni un core

cui son d'amor le fiamme aspre, e moleste.

Ma qual par che tra l'ombre, e 'l ciel rischiari

nova luce, e splendor di rai celesti

qual maestà vegg'io? Son forse questi

gl'eccelsi augusti miei felici, e chiari?

Ah riconosco io ben l'alta regina

gloria, e splendor de' lotaringi regi

il cui nome immortal gl'alteri fregi

celebra 'l mondo, e 'l nobil Arno inchina.

Seguendo di giovar l'antico stile

con chiaro esempio a dimostravi piglio

quanto sia donne, e cavalier periglio

la potenza d'amor recarsi a vile.

Vedrete lagrimar quel dio ch'in cielo

reca in bel carro d'or la luce, e 'l giorno,

e dell'amata ninfa il lume adorno

adorar dentro al trasformato stelo.

S

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