Atto unico

 

Scena prima

Pastori, Ninfe, Tirsi, Eco, Apollo

 

PASTORE DEL CORO (I)

Tra queste ombre segrete  

s'inselva e si nasconde

l'orrida belva; cauti il piè muovete,

ninfe e pastori, ah non scotete fronda

PASTORE DEL CORO (II)

Dunque senza timor, senza spavento,

pe' nostri dolci campi

non guiderem mai più gregge od armento?

NINFA DEL CORO (I)

E quando mai per queste piagge e quelle

fronda corremo o fiore,

misere verginelle;

che di terror non ci si agghiacci 'l core?

TIRSI

Giove immortal, che tra baleni e lampi

scoti la terra e 'l cielo,

mandane o fiamma, o telo

che da mostro sì rio n'affidi, e scampi.

PASTORE DEL CORO (III)

Mira dal ciel, deh mira:

nudi di fronde omai questi arboscelli,

pallide l'erbe e torridi i ruscelli;

mira dal ciel, deh mira:

tra lagrime e lamenti

tender le palme al cielo

sconsolati pastor, ninfe innocenti.

 

PASTORE DEL CORO (I) E CORO

Se lassù tra gli aurei chiostri  

puote un cor trovar mercé,

odi il pianto e i preghi nostri,

o del ciel monarca e re.

 

CORO

Se a ferir la turba altera

che sovr'ossa Olimpo alzò,

d'atro foco ira severa

tra le nubi il cielo armò.

Odi il pianto e i preghi nostri,

o del ciel monarca e re.

De la destra onnipotente

non vil pregio ancor sarà

sterminar crudo serpente

che struggendo il mondo va.

Odi il pianto e i preghi nostri,

o del ciel monarca e re.

 

PASTORE DEL CORO (III) E CORO

Pera, pera il rio veleno,

non attoschi il mondo più;

verde il prato e 'l ciel sereno

torni omai, torni qual fu.

Odi il pianto e i preghi nostri,

o del ciel monarca e re.

 

PASTORE DEL CORO (II)

Ma dove oggi trarrem tranquilla un'ora  

senza temer l'abominevol tosco?

PASTORE DEL CORO (I)

Ebra di sangue in questo oscuro bosco

giacea pur dinanzi la terribil fera.

ECO

Era.

PASTORE DEL CORO (II)

Dunque più non attosca

nostre belle campagne? altrove è gita?

ECO

Ita.

PASTORE DEL CORO (I)

Farà ritorno più per questi poggi?

ECO

Oggi.

PASTORE DEL CORO (II)

Ohimè! che n'assicura

s'oggi tornar pur deve il mostro rio?

ECO

Io.

TIRSI

Chi sei tu, che n'affidi e ne console?

ECO

Sole.

PASTORE DEL CORO (I)

Il sol tu sei? tu sei di Delo il dio?

ECO

Dio.

TIRSI

Hai l'arco teco ferirlo, Apollo?

ECO

Hollo.

TIRSI E CORO

S'hai l'arco tuo, saetta infin che mora

questo mostro crudel che ne dimora.

ECO

Ora.

 
Qui Apollo mette mano all'arco e saetta il Fitone.
 

CORO

Ohimè che veggio! o divo, o nume eterno,  

ecco l'orribile angue:

spenga forza del ciel mostro d'inferno.

O benedetto stral! mirate il sangue!

O glorioso arciero!

Ah, mostro fero, ancor non cadi esangue?

Arma di nuovo stral l'arco possente.

(qui il Fitone si parte e Apollo lo seguita verso la strada)

 

Vola, vola pungente;

spezza l'orrido tergo,

giungilo al cor dove ha la vita albergo.

(seguitano Apollo)

APOLLO

Poi giacque estinto al fine

in sul terren sanguigno

da l'invitt'arco mio l'angue maligno.

Securi itene al bosco,

ninfe e pastori, ite securi al prato:

non più fiamma e tosco

infetta 'l puro ciel l'orribil fiato.

Tornin le belle rose

ne le guance amorose;

torni tranquillo il cor; sereno 'l volto:

io l'alma e 'l fiato al crudo serpe ho tolto.

 

CORO

Almo dio, che 'l carro ardente  

per lo ciel volgendo intorno

vesti 'l dì d'un aureo manto,

se tra l'ombra orrida algente

splende il ciel di lume adorno,

pur tua la gloria e 'l vanto.

Se germoglian frondi e fiori,

selve e prati, e rinnovella

l'ampia terra il suo bel manto,

se de' suoi dolci tesori

ogni pianta si fa bella,

pur tua la gloria e 'l vanto.

Per te vive e per te gode

quanto scerne occhio mortale

o Rettor del carro eterno:

ma si taccia ogn'altra lode;

sol de l'arco e de lo strale

voli il grido al ciel superno.

Nobil vanto! il fier dragone

di velen, di fiamme armato

sul terren versat'ha l'alma:

per trecciar fregi e corone

al bel crin di raggi ornato

qual fia degno edera, o palma?

 

Scena seconda

<- Amore, Venere

 

AMORE

Che tu vada cercando o giglio, o rosa  

per infiorarti i crini,

non ti vo' creder, no, madre vezzosa.

VENERE

Che cerco dunque, o figlio?

AMORE

Rosa non già, né giglio.

Cerchi d'Adone, o d'altro vieppiù bello

leggiadro pastorello.

VENERE

Ah tristo, tristo! Ecco 'l signor di Delo;

pe' boschi oggi se 'n van gli dèi del cielo.

APOLLO

Dimmi, possente arciero

qual fera attendi, o qual serpente al varco

c'hai la faretra, e l'arco?

AMORE

Se da quest'arco mio

non fu Pitone ucciso,

arcier non son però degno di riso,

e son del cielo, Apollo, un nume anch'io.

APOLLO

Sollo; ma quando scocchi

l'arco, sbendi tu gli occhi

o ferisci a l'oscuro, arciero esperto?

VENERE

S'hai di saper desìo

d'un cieco arcier le prove,

chiedilo al re de l'onde,

chiedilo in cielo a Giove.

E tra l'ombre profonde

del regno orrido oscuro

chiedi, chiedi a Pluton, s'ei fu sicuro!

APOLLO

Se in cielo, in mare, in terra

amor trionfi in guerra

dove dove m'ascondo?

Chi novo ciel m'insegna, o novo mondo?

AMORE

So ben, che non paventi

la forza d'un fanciullo,

saettator di mostri e di serpenti:

ma, prendi pur di me giuoco e trastullo!

APOLLO

Ah, tu t'adiri a torto:

o mi perdona, Amore,

o, se mi vuoi ferir, risparmia 'l core.

VENERE

Vedrai, che grave rischio è scherzar seco,

bench'ei sia pargoletto, ignudo e cieco.

AMORE

Se in quel superbo core

non fo piaga mortale,

più tuo figlio non son, non sono Amore.

VENERE

Amato pargoletto,

come giust'ira e sdegno

oggi t'infiamma il petto,

sì spero al nostro regno

veder l'altero dio servo e suggetto.

AMORE

Non avrò posa mai, non avrò pace

fin ch'io no 'l vegga lagrimar ferito

da quest'arco schernito.

Madre, ben mi dispiace

di lasciarti soletta,

ma toglie assai d'onor tarda vendetta.

VENERE

Vanne pur lieto, o figlio;

lieta rimango anch'io,

che troppo è gran periglio

averti irato a canto:

per queste selve intanto

farò dolce soggiorno;

poscia faremo insieme al ciel ritorno.

 

Amore ->

Chi da' lacci d'Amor vive disciolto    

de la sua libertà goda pur lieto,

superbo no: d'oscura nube involto

stassi per noi del ciel l'alto decreto;

s'or non senti d'amor poco né molto,

avrai dimani il cor turbato e 'nqueto,

e signor proverai crudo, e severo

Amor, che dianzi disprezzasti altero.

S

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Venere ->

CORO

Nudo arcier, che l'arco tendi  

che, velat'ambe le ciglia,

ammirabil meraviglia,

mortalmente i cori offendi

se così t'infiammi, e 'ncendi

verso un dio, quai saran poi

sovra noi gli sdegni tuoi?

D'un leggiadro giovinetto

già de' boschi onore e gloria

suona ancor fresca memoria

che m'agghiaccia 'l cor nel petto,

qual per entro un ruscelletto

sé mirando, arse d'amore,

e tornò piangendo in fiore.

Apollo ->

 

Scena terza

<- Dafne

 

DAFNE

Per queste piante ombrose  

scorgimi, Cintia, tu selvaggio nume,

dove fuggì la fera, ove s'ascose.

PASTORE DEL CORO (III)

Ecco il pregio, ecco il sol di queste selve,

ecco la bella Dafne

che al suon de l'arco fa tremar le belve.

ALTRO PASTORE

Cacciatrice gentil, che col bel ciglio

splendor raddoppi a questo di sereno,

spento è il crudo Fiton: mira il terreno

de l'empio sangue ancor caldo e vermiglio.

DAFNE

Dolcissima novella! E qual si forte

avventurosa mano

lasciato ha il mostro rio preda di morte?

PASTORE DEL CORO (I)

Febo, che su ne l'alto

rota la face onde s'aggiorna il mondo,

spenselo alfin dopo un mortale assalto.

Deh, come fu giocondo

mirar quel divo, in un feroce e vago,

moversi incontro al formidabil drago!

Or minaccioso a fronte

stavagli ardito, or sovra il piè leggiero

de l'immenso animai scherma la rabbia

che da l'accese labbia

fremendo invan spargea fiamma e veleno.

Sovra la belva atroce

fermo tenea talor lo sguardo intento,

or movea tardo e lento,

or rapido, or veloce

pur come avesse ne le piante il vento.

Né mai felice arciera

spinse da l'arco strale.

Che di piaga mortale

non lasciasse trafitto il mostro fero,

tal che a fuggir si diè tutto tremante:

ma da l'alate piante

del gran saettator fuggissi invano,

ch'ei pur lo giunse; o memorabil palma!

E privo d'alma lo lasciò sul piano.

DAFNE

O di celeste eroe ben degni vanti!

Felicissimo giorno! Al suono, a' balli

tornate omai, pastor,

tornate a' canti.

Vie più sicura anch'io per monti e valli

saettando n'andrò le fere erranti.

 

CORO

Ogni ninfa in doglie e 'n pianti  

posto avea per sua bellezza,

ma del cor l'aspra durezza

non piegar l'afflitte amanti;

quelle voci e quei sembianti

ch'avrian mosso un cor di fera,

schernia pur quell'alma altera.

 

<- Apollo

APOLLO

(dalla via)

Deh come lieto in queste piagge io torno,  

piagge dilette e care

ove colsi d'amor palme sì chiare!

Ma, deh, che miro! e qual d'un ciglio adorno

spira lume gentil che al cor mi giunge!

DAFNE

Certo non molto lunge,

se non m'ingannan l'orme, è damma o cervo.

Or vedrò se 'l mio strai va dritto e punge.

APOLLO

Ah, ben sent'io se son pungenti i dardi

de' tuoi soavi sguardi!

PASTORE DEL CORO (III)

Ben a ragion s'apprezza,

se ne sospira un dio, l'alta bellezza.

APOLLO

Dimmi, qual tu ti sei,

o ninfa o dèa, che tale

rassembri a gli occhi miei,

che cerchi armata di faretra e strale?

DAFNE

Seguendo io me ne giva,

sì come è l'uso mio, fugace fera;

e son donna mortai, non del ciel diva.

APOLLO

Se cotal luce splende in bellezza mortale,

del ciel più non mi cale.

DAFNE

Dove mi volgo? Dove

moverò 'l passo che la fera trove?

APOLLO

Senza che dardo avventi o l'arco scocchi

valli cercando o monti,

far nobil preda puoi co' tuoi begli occhi.

DAFNE

Altra preda non bramo, altro diletto

che fere e selve; e son contenta e lieta

se damma errante o fer cignal saetto.

APOLLO

Ah, che non sol di fere

saettatrice sei,

ma contro a gli alti iddèi

saette aventi da le luci altere.

DAFNE

Del ciel gli eterni numi

umile onoro e colo,

e per le selve solo

pongo su l'arco i dardi:

ma tu per gioco il mio cammin ritardi.

APOLLO

Deh non sdegnar che teco

prenda ne' boschi anch'io dolce diletto;

anch'io so tender l'arco, anch'io saetto.

E qui pur dianzi insanguinato ha l'erba,

trofeo di questa man, belva superba.

DAFNE

Serva di Cintia, altri che l'arco mio

meco non voglio. Invïolabil legge

vuoi ch'io recusi per compagno un dio.

APOLLO

Ohimè! Non tanta fretta:

aspetta, ninfa, aspetta.

 

Dafne, Apollo ->

TIRSI

Oh come ratta fugge! Ed è già lunge.

Veder vo' s'ei la giunge.

 

Tirsi ->

<- Amore

AMORE

Ve' che ti giunsi al varco;  

o' impara a disprezzar l'etate, e l'arco.

PASTORE DEL CORO (III)

Qui Fiton giacque estinto,

trofeo d'Apollo; e qui trafitto il cuore

pianse il gran vincitor, trofeo d'Amore.

AMORE

Or su de l'alto cielo

mirin gli eterni dèi

le glorie e i vanti miei;

e voi quaggiù, mortali,

celebrate il valor de gli aurei strali.

PASTORE DEL CORO (I)

Altri celebri e canti,

trofei del sommo Giove,

le fulminate moli e i rei giganti:

io canterò d'Amor l'inclite prove.

 

CORO

Una al pianto in abbandono  

lagrimando uscì di vita,

che fu poi per gli antri udita

rimbombar, nud'ombra e suono;

or qui più non ha perdono,

più non soffre Amore irato

l'impietà del core ingrato.

Punto 'l sen di piaga acerba

da quell'armi ond'altri ancise,

non pria fine al pianto ei mise

che un bel fior si fe' sull'erba;

o beltà cruda e superba

non fia già, ch'invan m'insegni

come irato Amor si sdegni.

 

Scena quarta

 

AMORE

Qual de' mortali o de' celesti a scherno  

più recherassi Amore?

Ah bella, ah fera,

benché fasciato gli occhi, io ben scerno

ridi, ridi pur lieta, anima altera,

vanne fastosa pur, vanne superba

de le lagrime altrui, di tua bellezza.

Ma quest'armi pungenti,

quest'arco e queste piume

rimira, e ti rammenti

che fatto ho sospirar del cielo un nume.

 

<- Venere

VENERE

Figlio, dolce diletto  

del cor, de gli occhi miei,

come sì lieto e baldanzoso sei?

Dillo, bel pargoletto,

dimmelo, Amor, che anch'io

senta le gioie tue dentr'al cor mio.

AMORE

Madre, di gemme, e d'oro

un bel carro m'appresta;

ponmi su l'aurea testa

nobil fregio d'onor, cerchio frondoso;

vegganmi oggi gli dèi de l'alto cielo

trionfator pomposo,

quel dio, ch'intorno gira

il carro luminoso,

vinto da l'arco mio piange e sospira.

VENERE

Qual degl'iddei del cielo

de la faretra invitta

non sentì dentr'al cor pungente telo?

Io, che madre ti sono, ahi quanto, ahi quanto

il molle sen trafitta,

e 'n ciel e in terra ho lagrimato e pianto!

AMORE

S'hai lagrimato e pianto, hai riso ancora.

Dimmi, piangevi allora

che del Fabro geloso

non potesti schivar l'inganno ascoso?

VENERE

Taci, taci, bel figlio;

pur troppo, e tu lo sai

il mio bel viso allor si fe' vermiglio;

ma di tornare al cielo è tempo ormai.

 

CORO

Non si nasconde in selva  

sì dispietata belva,

né su per l'alto polo

spiega le penne a volo, augel solingo

né per le piagge ombrose,

tra le fere squamose alberga core

che non senta d'amore.

Arder miriam le piante

l'una dell'altra amante,

e gl'elementi ancora

bel foco arde e innamora, e insieme accora

sol contro gl'aurei strali,

i semplici mortali armano il core

che non senta d'amore.

Questi l'albe, e le sere

perde cacciando fere,

e quei s'al ciel rimbomba

di Marte altera tromba, all'armi corre;

altri la mente vaga

di mortal fasto appaga, e 'ndura il core,

che non senta d'amore.

Ma se d'un ciglio adorno

mira le fiamme un giorno;

o pregio d'un bel volto

scherzar con l'aure sciolto un capel d'oro

già vinto ogn'altro affetto;

prova, ch'in uman petto non è core

che non senta d'amore.

 

Scena quinta

<- Tirsi

 

TIRSI

Qual nova meraviglia  

veduto han gl'occhi miei?

O sempiterni dèi,

che per lo cielo volgete

nostre sorte mortali, o triste, o liete,

fu castigo, o pietate

cangiar l'alma beltate?

PASTORE DEL CORO (III)

Pastor deh narra a noi

le nove meraviglie,

che visto han gl'occhi tuoi.

TIRSI

Non senza trar dal core

lagrime di dolore

udirete, pastori,

il destin della bella cacciatrice

pur troppo miserabile, e infelice.

PASTORE DEL CORO (III)

Di' pur, saggio pastore,

che non senza dolore

lagrima per pietate un gentil core.

TIRSI

Quando la bella ninfa

sprezzando i prieghi del celeste amante

vidi che per fuggir movea le piante,

da voi mi tolsi anch'io

l'orme seguendo dell'acceso dio.

Ella quasi cervetta

ch'innanzi a crudo veltro il passo affretta

fuggia veloce, e spesso

si volgeva a mirar se lungi, o presso

avea l'odiato amante,

ma fatt'accorta omai,

ch'era ogni fuga invano,

i lagrimosi rai

al ciel rivolse, e l'una, e l'altra mano,

e 'n lamentevol suono,

ch'io non udii che troppo era lontano

sciolse la lingua: ed ecco in un momento

che l'uno, e l'altro leggiadretto piede

che pur dianzi al fuggir parve aura, o vento

fatto immobil si vede

di selvatica scorza insieme avvinto,

e le braccia, e le palme al ciel distese,

veste selvaggia fronde;

le crespe chiome, e bionde

più non riveggo, e 'l volto, e 'l bianco petto.

Ma del gentile aspetto

ogni sembianza si dilegua, e perde;

sol miro un arboscel fiorito, e verde.

PASTORE DEL CORO (III)

O miserabil caso, o destin rio,

che fe', che disse allora

l'innamorato dio?

TIRSI

All'alta novitate

fermò repente il passo

e, confuso d'orrore e di pietate,

restò per lungo spazio immobil sasso.

Poscia a le fronde amate

levando gl'occhi sospirosi, e molli

stese le braccia, e 'l nobil tronco avvinse

e mille volte ribacciollo, e strinse;

piangean dintorno le campagne, e i colli

sospiravan pietosi, e l'aure, e i venti

ed ei nel gran dolore

sciogliea sì mesti accenti,

ch'io sentii per pietà mancarmi il core.

PASTORE DEL CORO (III)

Ahi dura, ahi ria novella!

Mira, deh, Tirsi mio, che il ciel ne piange,

senti gli augei lagnar tra' secchi rami

e le fere ulular per le campagne:

odi come piangendo ognun la chiami.

NINFA DEL CORO (II)

Piangete, o ninfe, e con voi pianga Amore;

raccogliete le penne, aure celesti,

e voi pietosi e mesti

fermate i pie' d'argento, o fonti, o fiumi;

lagrimate ne l'alto eterni numi.

CORO

Sparse più non vedrem di quel fin oro

le bionde chiome a 'l vento;

ahi! Né più s'udirà tra 'l bel tesoro

di perle e di rubin l'alto concento.

Ahi! Ch'eclissato e spento

è del ciglio seren l'almo splendore.

Piangete, Ninfe, e con voi pianga Amore.

Dov'è la bella man, dove il bel seno,

dove, dove il bel viso?

E dov'è il dolce riso,

dov'è del guardo il lampeggiar sereno?

PASTORE DEL CORO (III)

Ahi lagrime, ahi dolor!

Piangete, ninfe, e con voi pianga Amore.

TIRSI

Ma vedete lui stesso

che verso noi se n' viene,

tutto carco di pene;

deh come fuor del luminoso volto

traspare il duol ch'ha dentr'al petto accolto.

 

Scena sesta

<- Apollo

 

APOLLO

Dunque ruvida scorza  

chiuderà sempre la beltà celeste?

Lumi, voi che vedeste

l'alta beltà, ch'a lagrimar vi sforza,

affisatevi pure in questa fronde:

qui posa, e qui s'asconde

il mio bene, il mio core, il mio tesoro,

per cui, ben ch'immortal languisco, e moro.

TIRSI

Deh come invan s'affigge, invan si duole!

Odilo, bella Dafne, e godi almeno

che le sventure tue lagrimi il Sole!

APOLLO

Un guardo, un guardo appena,

un guardo appena, ahi lasso,

affissai ne la fronte alma e serena

che disdegnosa, ohimè, volgesti il passo.

Semplicetta beltà qual te n'avesti

ma non sapeva ancora

che offesa non buon fa di lei celesti.

Non mai nell'alto polo

volgerò della luce il carro ardente

che, misero e dolente,

gli occhi girando alle frondose chiome

non chiami mille volte il tuo bel nome.

Ninfa degnosa, e schiva,

che fuggendo l'amor d'un dio del cielo

cangiasti in verde lauro il tuo bel velo,

non fia però ch'io non t'onori ed ami,

ma sempre al mio crin d'oro

faran ghirlanda le tue fronde e' rami;

ma deh, se in questa frond'odi il mio pianto,

senti la nobil cetra

quai doni a te dal ciel cantando impetra.

 

Non curi la mia pianta, o fiamma, o gelo,    

sian del vivo smeraldo eterni i pregi

né l'offenda già mai l'ira del cielo.

I bei cigni di Dirce, e i sommi regi

di verdeggianti rami al crin famoso

portin segno d'onor ghirlande, e fregi

gregge mai né pastor sia che noioso

del verde manto suo la spogli, e prive;

alla grat'ombra il dì lieto, e gioioso

traggan dolce cantando, e ninfe, e dive.

S

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CORO

Bella ninfa fuggitiva,  

sciolta, e priva

del mortal suo nobil velo

godi pur pianta novella

casta, e bella

cara al mondo, e cara al cielo.

Tu non curi, e nembi e tuoni

tu coroni

cigni, regi, e dèi celesti

geli il cielo, o 'nfiammi, e scaldi,

di smeraldi

lieta ogn'or t'adorni, e vesti.

Godi pur de' doni egregi;

i tuoi pregi

non t'invidio, e non desio:

io se mai d'amor m'assale

aureo strale

non vo' guerra con un dio.

Sia vil canna il mio crin biondo

che l'immondo

gregge ogn'or schianti, e dirame

sia vil fien, ch'a i crudi denti

degl'armenti

tragga ogn'or l'avida fame.

Ma s'a' preghi sospirosi,

amorosi,

di pietà sfavillo, ed ardo,

s'io prometto all'altrui pene

dolce speme

con un riso, e con un guardo.

Non soffrir, cortese Amore,

che 'l mio ardore

prenda a scherno alma gelata;

non soffrir, ch'in piaggia, o 'n lido

cor infido

m'abbandoni innamorata.

Fa' ch'al foco de miei lumi

si consumi

ogni gelo, ogni durezza;

ardi poi quest'alma all'ora

ch'altra adora,

qual si sia la mia bellezza.

 

Fine (Atto unico)

Prologo Atto unico
Pastori, Ninfe, Tirsi, Eco, Apollo
 

Tra queste ombre segrete

Ma dove oggi trarrem tranquilla un'ora

(Apollo mette mano all'arco e saetta il Fitone)

Ohimè che veggio! o divo, o nume eterno

Pastori, Ninfe, Tirsi, Eco, Apollo
<- Amore, Venere

Che tu vada cercando o giglio, o rosa

Pastori, Ninfe, Tirsi, Eco, Apollo, Venere
Amore ->
Pastori, Ninfe, Tirsi, Eco, Apollo
Venere ->
Pastori, Ninfe, Tirsi, Eco
Apollo ->
Pastori, Ninfe, Tirsi, Eco
<- Dafne

Per queste piante ombrose

Pastori, Ninfe, Tirsi, Eco, Dafne
<- Apollo

Deh come lieto in queste piagge io torno

Pastori, Ninfe, Tirsi, Eco
Dafne, Apollo ->

Pastori, Ninfe, Eco
Tirsi ->
Pastori, Ninfe, Eco
<- Amore

Ve' che ti giunsi al varco

Qual de' mortali o de' celesti a scherno

Pastori, Ninfe, Eco, Amore
<- Venere

Figlio, dolce diletto

Pastori, Ninfe, Eco, Amore, Venere
<- Tirsi

Qual nova meraviglia

Pastori, Ninfe, Eco, Amore, Venere, Tirsi
<- Apollo

Dunque ruvida scorza

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta
Prologo

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