Atto secondo

 

Scena prima

Città d'Artassata.
Coro di Cittadini, Artabano, Surena.

 Q 

cittadini, Artabano, Surena

 

CORO

Chi non serba incorrotta al suo signore  

la fedeltà, nel folgorar del cielo,

merta, come Prometeo esposto al gelo,

ch'adunco rostro li divori il core.

Non pallidi disagi, o del nemico

Marte l'offese, e non l'orror di morte,

signor, potero farti aprir le porte,

difese ognor dal nostro omaggio antico.

Ostinata sarebbe anco, il confessa,

questa città nella difesa, o sire,

ma Tigrane è già vinto, e nel perire

gl'ha la fortuna ogni speranza oppressa.

Or questa fé, che le sciagure ha dome,

ch'or non corruppe, o intimorì Bellona,

al destino cedendo, a te si dona,

e si consacra, o invitto, al tuo gran nome.

 

ARTABANO

Per suddita l'accetto, e ben m'aggrada  

d'aver scorto di lei prove sì forti.

Da man rapace, e d'adirata spada

la città resti intatta, io danno i torti;

scorri Sarcano tu, scorri ogni via,

e chi depreda, o uccide, ucciso sia.

CORO

Di vassallaggio in segno

Artassata, signor, con la mia bocca

umil ti bacia questa man possente,

che pose il giogo al collo all'oriente.

SURENA

Avrete un re, che quasi ciel benigno

più che folgori ha tuoni,

che se giusto punisce, e premia altrui

eccedono le pene i premi sui.

ARTABANO

A ragion l'orgoglioso,

e superbo Tigrane,

dalla real grandezza

sospinto, ed abbattuto

misero a terra giace,

pria che mercar la pace

con un lieve tributo,

spronato a guerreggiar da pazzo ardire,

ha voluto perire,

or esule, e ramingo,

spargendo indarno le querele al vento,

deve aver per compagno il pentimento.

SURENA

Così vanno coloro,

che nelle lor follie son pertinaci,

e senza forze inutilmente audaci.

ARTABANO

Dentro le mura alloggi

il campo vincitore, e tu Surena

a me conduci Eurinda e quel guerriero,

che facesti prigione, oh quanto bramo

di rimirarlo, e bench'offeso io l'amo.

SURENA

Forza della virtù, che spinge il core

ad amar l'offensore.

 
 

Scena seconda

Deserto tra l'Armenia, e l'Assiria.
Tigrane.

 Q 

Tigrane

 

 

Con infocati teli  

fulminatemi o cieli,

apra le fauci, e tra perpetue eclissi

Ope mi mandi ad abitar gl'abissi.

 

Siami il tutto inclemente,    

uccisi una innocente.

Sol per me avvelenati

l'aure spirino i fiati,

e per me sol pestiferi, e nocenti

dell'eleusina dèa sian gl'alimenti.

Siami il tutto inclemente,

uccisi una innocente.

Belve, se qui annidate,

me crudel divorate,

ciascuna sia contro di me severa,

chiuda ventre ferino un cor di fera.

Siami il tutto inclemente,

uccisi una innocente.

S

Sfondo schermo () ()

 

 

Ma tu ferro, che festi  

le campagne arassene

oggi laghi di sangue,

che mi dimori neghittoso al fianco?

Al loco più vital la man ti guidi,

fammi tu spirto errante, uccidi, uccidi.

Ah dal duolo agitato,

che ragiono, che tento?

Ombra e polve insepolta

il parto mi vorrebbe, acciò turbata

non gli fosse la pace, e l'usurpata

corona armena dal suo crin ritolta:

vivrà Tigrane, e nelle sue cadute,

quasi libico Anteo, fatto più forte

risorgerà dell'armi assire armato,

e da brama servente

di vendetta spronato

turberà suoi riposi acerbamente,

placherà l'alma bella

con il suo sangue, e resti in vita, o mora

non cesserà di molestarlo ogn'ora.

 

Scena terza

Mercurio, Farnace, Tigrane.

<- Mercurio, Farnace

 

MERCURIO

Guerrier, s'armeno sei  

un armeno difendi

dalla partica rabbia, e salvo il rendi.

FARNACE

Indarno fuggi, indarno

tra deserti m'aggiri

cavaliero villano,

morrai per questa mano.

TIGRANE

O Farnace?

FARNACE

O Tigrane

te ricerco, a te vengo

per svelarti gl'inganni

dell'assiro malvagio, e traditore,

col parto vincitore,

te scorto dalla sorte abbandonato,

agli stermini tuoi s'ha collegato.

TIGRANE

Sull'esecranda testa

dell'assiro infedele

versate ogni castigo

o disprezzati, e spergiurati dèi,

e vendicate i vostri oltraggi, e i miei.

FARNACE

Agl'editti del cielo

piegar convien la volontà Tigrane:

la paterna mia reggia,

nell'indegno tu' esiglio,

io t'offro per asilo, e per ricetto,

e divider prometto,

quando fia mio l'impero,

teco l'aurea corona, e il trono ibero.

TIGRANE

O di leale amico

espression d'affetto

più che cortese, or cedo

già che il fato mi toglie

al coraggio l'acciaro,

il potere alle voglie.

Qual naufrago, a cui l'oro il mare avaro,

e le merci inghiottì l'Iberia afferro,

per ora il parto ha vinto, io lascio il ferro.

FARNACE

A militar co' parti

ad offender le leggi

dell'amicizia amor m'indusse, amore,

che l'arbitrio di noi sforza violente,

ma se feria la destra, ah che dolente

l'alma a colpi piangeva in mezzo al core.

TIGRANE

Scusar meco non déi

nell'opre sue le mie,

anch'io pugnai contro il mio caro Idaspe

per colei, ch'or estinta, o dio Farnace,

ch'estinta, ohimè, se n' giace.

FARNACE

Sieno di pianto le tue luci prive,

colei, che morta piangi, e spira, e vive.

TIGRANE

È viva Doriclea?

FARNACE

È viva, e ignota nelle tende parte

le medica le piaghe il mio scudiero.

TIGRANE

Credo, che qui ti scorse

amica deità per liberarmi

da' tradimenti assiri,

e a dar esiglio in parte a' miei martiri.

FARNACE

D'umanità vestito

certo un nume fu quello,

ch'alle sponde del fiume

con assalti improvvisi

pria provoconmi all'ire,

poi si diede a fuggire, intimorito,

mira più non si vede, egl'è sparito.

TIGRANE

Fra tante stelle ai miei desii moleste

ha pur cura di me qualche celeste.

Ma come a te pervenne

l'anima mia ferita?

FARNACE

Per il cammin darotti ampia contezza,

andiamo, e la speranza in te ravviva,

che sovente il mortale

cangia fortuna col mutar del pelo,

e varia spesso anco tenore il cielo.

Giran di là dal foco

gl'orbi puri, e lucenti,

con incessante moto eterne menti.

E le stelle in lor fisse, e inchiodate

sono ancor lor sforzate

influenze a cangiar cangiando loco.

TIGRANE

Invincibile il core avrà Tigrane

ver lui ruotino pure a lor volere

maligne, o pie le sfere.

 

Tigrane, Farnace ->

 

Scena quarta

Mercurio.

 

 

Sotto forme mentite, e armene spoglie  

appagai pur di Citerea le voglie,

ora lei mi prepari

le promesse dolcezze, e i baci cari.

Che non impetra un amoroso volto?

Egli m'ha fatto trascurar di Giove

gl'alti comandi, e spiegar l'ali altrove.

 

O quanto impero avete  

sopra noi donne belle, e lo sapete;

v'è noto, che nel viso

vi splende il paradiso,

che rendete beate,

l'alme, da' rai del vostro bel ferite,

onde fastose andate,

e per cotante glorie insuperbite.

O quanto impero avete

sopra noi donne belle, e lo sapete.

Il mondo a voi soggiace,

al vostro volto accende amor la face,

voi l'armate de' strali

mortiferi, e vitali,

voi date legge a' cori,

voi di noi siete intelligenze, e menti,

voi spronate agl'errori

i seguaci più saggi, e più prudenti.

O quanto impero avete

sopra noi donne belle, e lo sapete.

La vostra bocca puote

incantar la ragion con dolci note,

sono infocati dardi

vostri lascivi sguardi,

con i quali impiagate

i petti di macigno, e di diamante,

e con il crin predate

ogni più cauto, e più sagace amante.

O quanto impero avete

sopra noi donne belle, e lo sapete.

 

 

Ma frettoloso io vado  

ad eseguir gl'imperi

del supremo monarca,

per rieder tosto al polo,

e d'amor tra gl'amplessi, e i scherzi estremi

ottener da Ciprigna i dolci premi.

 

Mercurio ->

 
 

Scena quinta

Cortile del palazzo supremo d'Artassata, alloggiamento d'Artabano.
Artabano, Eurinda, Melloe, Surena, Doriclea.

 Q 

Artabano, Eurinda, Melloe

 

ARTABANO

Del regio sangue ibero,  

Eurinda, dunque è Ciro, il cavaliero?

EURINDA

Ciò mi disse Farnace.

Ecco ch'a te Surena

languidetto il conduce,

Amor m'abbaglia ohimè con tanta luce,

egli debole, e stanco

appoggia a un legno il non ben sano fianco.

 

<- Doriclea, Surena

ARTABANO

Mira, com'ei non perde  

la maestà reale

tra le sciagure, e il male.

EURINDA

Avezzo ad impiagare,

seppe ferito i cori ancor ferire.

SURENA

Quest'è il guerriero o sire.

DORICLEA

Col poderoso piede

sì mi premono il dorso i rei destini,

ch'avvien, ch'umile il mio nemico inchini.

Perché neghi, ch'io baci, o re sublime,

quella man generosa, e così forte,

che fabbricai sepolcri anco alla morte

con l'ergerti di gloria all'alte cime?

ARTABANO

Non vo' dal tuo valore

sudditi ossequi, e ligi,

com'amico t'abbraccio, e al petto stringo;

ben si dovea mercar di sangue a prezzo

tua conoscenza in marziale arringo.

DORICLEA

Troppo signor m'onori,

non merta no, non merta

privato cavalier tanti favori.

ARTABANO

Dell'anima i tuoi fregi

meritevoli sono

d'esser riveriti infin da' regi.

EURINDA

Di Citerea l'arciero

ogn'ora più dagl'occhi suoi vitali

m'avventa acuti strali.

DORICLEA

Che non concentra 'l ferro

pigra mano, in quel seno,

che nutre un core ostile?

Trafiggi via, trafiggi ardita, e presta:

che parli Doriclea? Le voglie arresta,

commette i tradimenti anima vile.

ARTABANO

Sarai de' miei più cari,

e se natura avara

non t'adornò di diadema il crine,

né ti diede alla destra aurato pondo,

da me li avrai, di tanti regni abbondo.

DORICLEA

D'offerte così vaste

grazie ti rendo immense,

non voglio, ch'aurei pesi

mi ritardin la strada,

per cui d'eternità vassi al delubro,

scettro della mia destra è questa spada.

SURENA

O magnanimi eroi,

dona l'impero l'un, l'altro il rifiuta.

EURINDA

La signoria dell'alme a lui sol piace.

ARTABANO

Più che ti mostri di virtù fecondo

più ti pregio, e t'ammiro:

andianne, e sempre al fianco

siami la gloria trasformata in Ciro.

DORICLEA

Principessa leggiadra

m'offro tuo cavaliero.

EURINDA

Ti ricevo per mio,

gentil guerrier, oh dio.

 

Artabano, Doriclea, Surena ->

 

Scena sesta

Melloe, Eurinda.

 

MELLOE

Qual fervido sospiro, e repentino  

a infiammar l'aere invii? qual improvviso

mesto pallor ti rende esangue il viso?

 

EURINDA

O Melloe, o Melloe mia  

è un gran tiranno amore,

sfortunato quel core,

ch'è dell'empio in balia.

O Melloe, o Melloe mia

è un gran tiranno amore,

sfortunato quel core,

ch'è dell'empio in balia.

 

MELLOE

Che novitade esprimi?  

Qual nascente fiammella

render ti tenta al vecchio ardor rubella?

EURINDA

Contempla tu di Ciro

il pallidetto viso,

pallido sì, ma bello,

in cui lo spiritello

di Cupido crudel dimora assiso,

saettando quell'alme,

che stimando affettati

i rapporti dell'occhio

corrono, abbandonati

i vitali ricetti,

a mirar loro stesse

d'alte bellezze i non creduti oggetti;

osserva del guerriero

come le stelle erranti, e luminose

scoccano ardenti, e d'amorosi rai,

ch'allor chi m'innamora ah tu saprai.

MELLOE

Così dunque volubile qual fronda

allo spirar de' zefiri volanti

offri il petto di neve a nova face?

Così dunque incostante

segui novello amante,

e tradisci la fé del tuo Farnace?

Ritorna al primo ardore,

non cangi affetto, e desiderio il core.

EURINDA

Non si può calcitrare

alle leggi d'Amore, ei così vuole,

tenti invan, ch'io disami il mio bel sole.

MELLOE

Amor dal bello nasce,

la volontà il nutrisce,

affogalo prudente entro le fasce.

EURINDA

Consigli? medicina a chi languisce.

S'ami tu Melloe Eurinda,

faconda messaggera al vago mio

deh palesa ti prego il mio desio.

MELLOE

Già che ti vela un cieco

il lume di ragione, errar vo' teco.

Non rimarranno a Ciro

dentro 'l silenzio ascose

le tue pene amorose.

 

EURINDA

In te confido amor,  

s'amareggiasti raddolcisci il cor:

io t'offesi, lo so,

perdon, mercé, pietà,

lingua, che t'oltraggiò ti loderà.

In te confido Amor,

s'amareggiasti raddolcisci il cor.

Felice mai non è

chi non inciampa ne' tuoi lacci il piè:

non ha nume a te egual

l'eterno, e puro dì,

benedetto lo stral, che mi ferì;

in te confido Amor,

s'amareggiasti raddolcisci il cor.

 

Eurinda, Melloe ->

 

Scena settima

Orindo.

<- Orindo

 

 

Oh ch'intesi, oh ch'intesi,  

tradito è il mio signor,

sprezzata è la sua fé,

la crudele poté

volgersi ad altro amor,

io non ho fiato, io non ho spirto più,

fidati in donna tu.

Avrei piuttosto creso

a chi detto l'avesse,

ch'il ghiaccio s'accendesse,

che la fiamma gelasse,

ch'altri, ch'il mio Farnace Eurinda amasse.

Oh ch'intesi, oh ch'intesi,

io non ho fiato, io non ho spirto più,

fidati in donna tu.

 

Donne credo, ch'avete  

una lupa nel ventre, e nella gola,

che non vi sazia una vivanda sola:

il ritratto voi siete

di quel meschino antico

dalla fame agitato,

che più, che si cibava era affamato.

Con gli amanti garrite

se i vedete ammirar altra bellezza,

e ciascuna di voi dieci accarezza:

di lusinghe mentite,

di vezzi menzogneri,

di voci inzuccherate

tutti pascete, né pur uno amate.

S'io fossi Amor, vorrei

farvi caste morire, ovver donzelle

voi, che tradite i poverelli, o belle;

una legge farei,

che colei, che smorzasse

le primiere faville

se n' vivesse digiuna in braccio a mille.

 

Scena ottava

Sabari, Orindo.

<- Sabari

 

SABARI

Ardo, e l'ardor celato  

convien, ch'in seno io serbi,

ond'egli più mi coce; o fati acerbi.

ORINDO

O Sabari, o Sabari

io non ho fiato, io non ho spirto più,

fidati in donna tu.

SABARI

Sazio di tue follie di già son io,

da me partiti omai.

ORINDO

Tu non sai, tu non sai,

oh ch'intesi, oh ch'intesi.

SABARI

E ch'intendesti?

ORINDO

Gran cose; il nostro principe Farnace.

Io non ho fiato, io non ho spirto più,

fidati in donna tu.

SABARI

Che gl'avvenne?

ORINDO

È tradito.

SABARI

È tradito? Da chi?

ORINDO

Da Eurinda ingrata,

lei sconoscente, e alla sua fé scortese

d'un altro amor s'accese,

e sai di cui? di quel guerrier ferito,

di quel bel giovanetto,

che di sue piaghe quasi hai tu guarito.

Io non ho fiato, io non ho spirto più,

fidati in donna tu.

SABARI

Meraviglie tu fai,

come s'avessi rimirato un uomo

volare al ciel senz'ale,

è cosa naturale,

come 'l salir de' spiriti leggeri,

alla donna il mutar voglie, e pensieri.

ORINDO

Maledette le femine,

che son tanto volubili,

se stesse a me le vorrei tutte uccidere,

o nel più cupo, e vasto mar sommergerle.

Sabari arrivederci;

voglio di questi amori

investigar più a pieno, e notte, e giorno

per avvisar Farnace al suo ritorno.

SABARI

Osserva bene il tutto.

ORINDO

E come.

SABARI

O sciocco.

 

ORINDO

Bugiarde, e perfide  

vostri inganni a prova io so,

nella vostra rete

non mi colgierete

non m'avrete no, no, no,

vostri inganni a prova io so.

 

Orindo ->

 

Scena nona

Sabari.

 

 

Chi non s'accenderebbe  

de tuoi begl'occhi a' soli, o mio bel sole?

S'arde, e per te sospira

chi ti vagheggia, e mira,

che far deve colui, che fortunato

non sol contempla il bello,

che t'arrichisce il volto,

ma del candido seno

osserva, e palpa i palpitanti amori?

O portenti d'amor, fuggo il veleno

con i sguardi da' gigli, e traggo ardori

dalle nevi animate,

dalle nevi dal ciel quaggiù fioccate.

O vaghezze, o bellezze,

perché non è concesso

baciar a questa innamorata bocca

ciò che la destra ancor medica, e tocca?

Ah Doriclea crudele

io ti do la salute, e tu m'uccidi?

Io ti sano le piaghe,

e son da te ferito

con luci ardenti, e di mia morte vaghe?

S'io diedi a te la vita,

deh porgi a me ristoro,

dispietata innocente io moro, io moro.

Concordemente Eurinda

ardiamo noi tra fiamma disperata,

tu d'Amore ingannata,

l'impossibile segui,

e negano al mio foco

di refrigerio onda non sol, ma stilla,

la nemica fortuna, e la natura,

che mi dier vile cuna, e faccia oscura.

Ma pera il mondo, e pera

l'infelice Sabari,

vo' che la mia guerriera

sappia, ch'io per lei vivo in pianti amari;

taciturno amator morir non voglio,

ella non è di scoglio,

né chiude in petto un'anima di fera:

chissà, chissà, sovente

chi prega ottien, né impetra mai chi tace,

la sorte amica è dell'amante audace.

Moro son io, ma non ritoglie il bello

alla forma il colore,

e se di terre, e d'oro

poveri furo li natali miei,

son di merito ricco appresso lei.

Ardisci dunque, ardisci, e scopri omai

alla tua feritrice, alla tua inferma

l'ampie ferite medico languente,

chissà, chissà, sovente

chi prega ottien, né impetra mai chi tace,

la sorte amica è dell'amante audace.

 
 

Scena decima

Reggia di Marte.
Venere, coro di Amorini.

 Q 

Venere, amorini

 

VENERE

Ecco del disleale  

la reggia, o miei guerrieri,

voi qui l'offese mie

avete da punire,

apprestate l'ardire.

CORO
primo

Dell'amante ribelle

trionferai Ciprigna io t'assicuro,

ei cadrà, qual imbelle,

a' colpi miei, che il suo valor non curo.

Sebbene egl'è di ferro

impenetrabil cinto,

di già l'ho debellato, e di già vinto.

CORO
secondo

Troppo ti vanti, e troppo parli audace,

forse è qui tal, che tace, e non si gloria,

e che pender dal lui può la vittoria.

CORO
primo

A quel, che soglio oprar poch'io ragiono,

e se non fosse qui la nostra dèa

sapresti quanto valgo, e quale io sono.

CORO
secondo

Rispetti da codardo.

Or or vedrassi, quanto

è bugiardo alle prove ogni tuo vanto.

VENERE

O mie forze, o mie spemi, o cari amori

quai discordie civili, e quai furori?

Emuli valorosi

serbate a dimostrarvi allor ch'al fronte

sarem di Marte, in vendicarmi l'onte.

O della reggia abitatori insani,

ch'avidi ognor di sangue

i mortali uccidete,

le città distruggete,

uscite, uscite,

udite, udite.

 

Scena undecima

Ira, Furor, Discordia, Venere, coro d'Amorini.

<- Ira, Furore, Discordia

 

IRA

Olà chi siete,  

e che chiedete?

CORO
primo

Dov'è quel traditor del tuo signore?

IRA

Vendetta, Furore,

Discordia, compagni,

qui venite, e ciascun desti sue furie

del nostro duce per punir l'ingiurie.

CORO
secondo

Cieca ne' tuoi disdegni

questo colpo t'atterra.

IRA

Armi, armi, guerra, guerra.

FURORE E DISCORDIA

Armi, armi, guerra, guerra.

 

FURORE

Che apportano costoro,  

risse! con scempio loro

or si combatterà,

e strage si farà.

DISCORDIA

Temerari fanciulli,

e tu lasciva dèa

vedrete come indarno

la vostra destra effemminata, e molle

il grave scudo impugna, e l'asta afferra.

 

IRA, FURORE E DISCORDIA

Armi, armi, guerra, guerra.

 

Scena duodecima

Marte, Venere, coro d'Amorini, Discordia, Ira, Furore.

<- Marte

 

MARTE

Che gridi, e che tumulti, o forsennati?  

O Venere, o di Marte

più cara, e miglior parte.

VENERE

Taci, taci, mentisci.

Tu con finte parole, e finti vezzi

me credula accarezzi, e poi tradisci.

Così, così l'Armenia a me devota,

s'oppugna, e si fa serva

de' popoli stranieri?

Così de' culti miei

difensore tu sei? Sprezzata amica

cangio in odio l'affetto,

e qual crucciosa Aletto

t'agiterò nemica.

CORO
primo

Vuoi tu che questo cerro

passi l'usbergo, e il core

al falso adulatore?

VENERE

No, ferma, udiamo pria

delle discolpe sue l'alta bugia.

MARTE

Io ti tradisco, di'?

VENERE

Tu mi tradisci, sì.

MARTE

O voci replicate

quante pene in un punto ahi m'arrecate.

Per il parto pugnai, confesso, è vero,

ma fui costretto a guerreggiar dal fato,

che perdesse l'armeno

egli avea decretato;

or, che libera lascia a me la spada

vedrai, mia diva, divenir vittrice

l'Armenia vinta, e respirar felice.

 

Deh girami    

cortese i rai,

deh mirami

placida omai,

pugnerà,

ferirà

amor mio

a tua voglia il trace dio.

S

 

VENERE

O se questo credessi  

non sol lieta, Gradivo, io diverrei,

ma con novi diletti

premiar ti vorrei.

MARTE

Incomincisi l'opra.

Tu, ch'ovunque te n' vai

semini risse ed alla guerra inciti

vola tosto tra' sciti,

che quasi fuor del mondo

chiuse Alessandro il grande,

e fa' sì, che sforzate

le porte caspie, inondino feroci

nella Media Atropazia, e ch'ogni loco

di quella region, suddita al parto,

sia di lor preda, o lo divori il foco.

DISCORDIA

Di già la Media allaga

lo scitico torrente,

di già la meda gente

alla fiamma s'invola, ed alla piaga.

 

Semi di guerra  

apporterò,

io spargerò,

la mia face accenderà

il mio tosco infetterà.

 

MARTE

Commosso il parto dall'incendio interno  

volgerà l'armi a raffrenar lo scita,

allor lieve a me sia di far, ch'al giogo

si sottragga l'armeno, e s'Artabano

andrà per castigar de' tuoi fedeli

il ribellante ardir, più lieve ancora

a me sarà di far, che i campi istessi,

in cui nacquero pria le sue vittorie,

germoglino funesti i suoi cipressi.

 

Deh girami  

cortese i rai,

deh mirami

placida omai,

pugnerà,

ferirà

amor mio

a tua voglia il trace dio.

 

VENERE

Sdegni fuggite

dal petto mio,

il mio caro amato dio

abbia baci, e non ferite.

CORO
primo e secondo

Fuggan l'ire

al gioire.

VENERE, MARTE

Con il vento de' sospiri

ravviviamo ora gl'ardori,

alle paci, a' dolci amori.

CORO
primo e secondo

Fuggan l'ire,

al gioire.

 

Fine (Atto secondo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo

Città d'Artassata.

cittadini, Artabano, Surena
 

Per suddita l'accetto, e ben m'aggrada

Deserto tra l'Armenia, e l'Assiria.

Tigrane
 

Con infocati teli

Ma tu ferro, che festi

Tigrane
<- Mercurio, Farnace

Guerrier, s'armeno sei

Mercurio
Tigrane, Farnace ->

Sotto forme mentite, e armene spoglie

Ma frettoloso io vado

Mercurio ->

Cortile del palazzo supremo d'Artassata, alloggiamento d'Artabano.

Artabano, Eurinda, Melloe
 

Del regio sangue ibero

Artabano, Eurinda, Melloe
<- Doriclea, Surena

Mira, com'ei non perde

Eurinda, Melloe
Artabano, Doriclea, Surena ->

Qual fervido sospiro, e repentino

Che novitade esprimi?

Eurinda, Melloe ->
<- Orindo

Oh ch'intesi, oh ch'intesi

Orindo
<- Sabari

Ardo, e l'ardor celato

Sabari
Orindo ->

Chi non s'accenderebbe

Reggia di Marte.

Venere, amorini
 

Ecco del disleale

Venere, amorini
<- Ira, Furore, Discordia
Ira, Furore, Discordia, Coro
Olà chi siete

Che apportano costoro

 
Venere, amorini, Ira, Furore, Discordia
<- Marte

Che gridi, e che tumulti, o forsennati?

O se questo credessi

Commosso il parto dall'incendio interno

Marte, Venere, Coro
Deh girami
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undecima Scena duodecima
Il monte della Virtù, nelle cui cime si rimira il tempio della Gloria. Si figura la scena alpestre, e sassosa, divisa dall'Arasse, fiume. Città d'Artassata. Deserto tra l'Armenia, e l'Assiria. Cortile del palazzo supremo d'Artassata, alloggiamento d'Artabano. Reggia di Marte. Giardino. Altro cortile del palazzo supremo d'Artassata. Stanze reali. Appartamenti d'Artabano. Varie prospettive di villaggi e di cittadi armene.
Prologo Atto primo Atto terzo

• • •

Testo PDF Ridotto