Atto terzo

 

Scena prima

Scarabea.

 Q 

<- Scarabea

 

O cieli, o mari, o terra,  

o fere, o furie, o genti

lagrimate dolenti

una disgrazia rea

è morta Scarabea.

 

 

Son morta (meschinella) e s'io ragiono  

è perché amante ho il core;

questi i primi non sono

miracoli d'amore.

O pianti dolorosi,

che gli asciutti canali del mio volto

rendete rugiadosi,

ingrossatevi tanto,

che s'io vissi in ardor mora nel pianto.

M'hanno tolto Rosmondo;

il bel corpo gentile

han fatto un drago immondo;

che maledetta sia

l'empia negromanzia.

Come curva, e tremante

potrò incarco portar di doglie tante?

A fronda secca, e frale

ogni vento è mortale.

Amor forse mi scherne

perch'ho 'l volto caverne?

Ah che se ben sfiorio

posso con l'altre stare

ho le mie grazie anch'io.

Ti lascio infame reggia,

né vuò, che più mi veggia

se non orrida grotta, aspro deserto;

scinta andronne al scoperto

per vie sassose, e torte

ai soli ardenti, ed alle fredde piogge

chiedendo in elemosina la morte.

Entro concavi tufi

nasconderò gli orror di mie sventure;

piangerò mie sciagure

insieme co' le nottole, e coi gufi.

Mi strapperò la chioma,

e de' falsati argenti

farò l'aure cassiere

e tesorieri, i venti.

Mi graffierò le gote;

e gioirò nel duolo

di lacerar alle noiose etati

le fredde pompe, i lividi apparati.

Poca discrezione

d'ingiustissima stella,

por in tal confusione

debole vecchiarella

cara almen, se non bella.

Ma così va chi veste umano velo;

donna, impara a mie spese,

infelice è l'amar fuor che nel cielo.

Scarabea ->

 

Scena seconda

Floridoro, Artusia dentro la scena; Rodomira, e Filaura incantate; Rosmondo cangiato in drago.

<- Floridoro

 

FLORIDORO

Poiché tacito ognuno  

di questa regia no, ma infernal chiostra

al mio parlar si mostra,

dal mio duolo percossi,

invece di faville,

vibrate lingue o sassi;

di fiati invece, o venti,

spirate voci, e sussurrate accenti.

Ove posi, ove sia, deh, voi mi dite,

la sospirata mia

soave compagnia.

Deh voi mi favorite;

aure, se moderate

del sole i raggi ardenti

temprate i miei tormenti;

sassi, e voi, s'ai mortali

di sepolcri servite

il mio duolo (pietosi) seppellite.

ARTUSIA
(dentro)

A me tocca, a me tocca

(barbaro cavaliere)

farti questo piacere;

a me, che spero in breve

(così sei di cor pio, d'alma amorosa)

servirti in maggior cosa.

Addietro volgi il guardo che vedrai

(degno del tuo desire, e del tuo core)

un spettacol bellissimo d'amore.

 
 
Qui s'apre la prospettiva, e si vedono gl'Incantati entr'una spelonca.

 Q 

<- Rodomira, Filaura, Rosmondo

 

RODOMIRA E FILAURA

Ahi che fiero martire  

provar la morte, e non poter morire!

FLORIDORO

O amarissima vista!

Rodomira, e Filaura, ogni mia gioia,

a brano a brano un fero drago ingoia;

e per più doglia è fatt'un serpe immondo

il mio caro Rosmondo.

RODOMIRA E FILAURA

Ahi che per evitare

d'inimico destino i colpi, ohimè,

non basta aver tesor, nascer di re.

FLORIDORO

Vengo a penar con voi

o, bench'in seno a un incantato orrore,

vive lampe di gloria, astri d'onore.

 
Qui si chiude la prospettiva, e spariscono gl'Incantati.

 Q 

Rodomira, Filaura, Rosmondo ->

 
 

FLORIDORO

Ma ch'il passo m'arresta, e mi vi toglie  

onorata cagion delle mie doglie?

Occhi frenate il pianto;

rade volte il ciel piange,

e bagna il suol di lagrimosi umori,

che non ombri, ed oscuri i suoi splendori.

Ho perduto l'amico

o memorabil danno!

È perdita dogliosa

la sorella gentil, la regia sposa,

ma al cor non reca si penace affanno.

Ahi che a un egro mortale

più degl'affini assai giova un leale;

e dove han loco le miserie, e i pianti

radi gli amici son, molti gli amanti.

Ecco un abisso eretto

sotto regia struttura

per orror di natura;

a questo ogni guerriere

accorre per vedere

meraviglie gentili, e singolari

(tal sua fama rimbomba)

e i spettacoli amari vi trova della morte

strana vi trova inusitata sorte;

a questo il mio Rosmondo

corse di gloria vago,

io lo seguii per trarnelo d'inganni,

ei venne a conquistar spoglia di drago

io venni a fare sempiterni i danni.

O nostra vita, quanto sei penosa!

Tu se' un tronco, e un rosaio,

che porgi a nostre voglie

più spin che rose, e più che frutti foglie.

Pessima donna, abominevol Maga

di mal oprar sì vaga,

ombri la mente pur d'errori il velo,

tutti i registri uman rivede il cielo.

Il fio tu pagherai d'ogni mal opra;

piede nel fango avvolto,

e nel vizio sepolto

a fuga non soccombe;

abbiam sotto le tombe

e i fulmini di sopra.

Morte de' tetri avelli

formidabil reina

il mio sasso funebre omai disserra;

è felice ruina

per ascender al ciel cader sotterra.

Alfin son sogni le grandezze umane;

senza la tomba mai non va la culla,

e dée chinarsi l'universo a un nulla.

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Floridoro ->

 

Scena terza

Artusia.

<- Artusia

 

 

E di sdegno, e d'amore  

ho sì gravido il core,

che d'amor, e di sdegno

al sicuro ho spogliato

e de' beati, e de' dannati il regno.

Ma diventa o mio seno

di rabbia, e di furor tutto veneno,

e amor, che da tue poppe

latte non vuol, ma sangue,

fa' ch'egli cada avvelenato esangue.

Sdegnose amanti faci,

che nel mio seno ardete,

spegner non vi volete?

Ardete pur vivaci,

servirete all'esequie

del perfido ribelle

di tetre lampe, e d'orride facelle.

Sì sì ch'io t'odierò quanto t'amai

barbaro traditore:

sì sì spegnerai

l'ardor mio col tuo sangue;

sì ch'io sarò una vipera al tuo core

s'al mio sen sei un angue.

 
Qui leggendo sul libro in basse note cangia la scena in mare.
 

 

O del spumoso cristallino impero

umidi abitatori

qual è vostr'onda errante

datemi alma incostante;

tutti i vostri rigori

corrano nel mio seno ad ondeggiare,

ch'io vuò vendetta fare

de' miei scherniti amori.

 
 

 Q 

DEITÀ INVISIBILI DEL MARE

Mostro di vanità  

rigor pari al rigor

del tuo barbaro cor

tutt'il mare non ha.

Cangia cangia consiglio,

il mal oprar non va senz'il periglio.

 

ARTUSIA

Iniquissimi numi!  

Onde tutti n'andiate arsi, e distrutti,

possano i vostri flutti

i cocenti adeguar tartarei fiumi.

 
Mentre dice i tre seguenti versi, va colla verga delineando in terra, e muta la scena in bosco.
 
 

 Q 

ARTUSIA

Sprezzata Artusia in questa forma? E tanto  

indugiai la vendetta?

ma i castighi più rei non vanno in fretta.

Su, su numi campestri,

voi di verdi contrade, e tetti alpestri

frondose deità; convenienti

a mie vendette acerbe

insegnatemi or or radici, ed erbe.

Vuò formar un incanto,

con cui sia da me tanto

l'odiato traditor martirizzato

quanto da me fu amato.

 

DEITÀ INVISIBILI DEL BOSCO

Insana femmina  

qual idea strania

tanta zizzania

nel sen ti semina?

Cangia il pensiero nubilo,

chi 'l ciel ha contro anco inimico ha 'l giubilo.

 

ARTUSIA

Barbari numi, i nostri infami tronchi  

eterno gelo opprima;

e dal piede alla cima

li copra ombra sì ria,

che di lei l'infernal men fera sia.

Sia maledetto amore

ammantato d'inganni, ancorch'ignudo.

Quale selva, qual bosco

produce per i strali il legno crudo?

Li forma in ciel, o in terra, o al centro fosco?

Sia l'aria, ch'il sostiene

aria d'inferne arene,

che ben merita un serpe aer di tosco.

Al primo volo possa

rompersi 'l collo, e l'ossa.

Per miracolo strano

possa mirar sbendato al primo colpo

l'arco impetrir, marmoreggiar la mano.

Tropp'è fiera la sorte

che struggano i mortali amore, e morte.

 
Qui reiterando i carmi, e le linee in terra formando segni nell'aria, volta la scena in inferno.
 
 

 Q 

ARTUSIA

O del regno d'orror numi di foco  

ombrose deità, spirti tremendi,

de' vostri spechi orrendi,

e mostri, e furie invoco:

vuò la terra agitare

cozzar con gli elementi, e la natura,

e di chi non mi cura

ai posteri d'amor norma lasciare;

vuò che lavi onda stigia amante scherno,

e che piaga d'amor sani l'inferno.

 

DEITÀ INVISIBILI D'AVERNO

O senza senno, e fé  

donna cruda, e bestial,

di furie, o d'altro tal

cede l'abisso a te.

Cangia cangia desio

o quant'è grande delle stelle il dio.

 

ARTUSIA

Olà? Dunque sì poco Artusia cura  

la terra, il mar, l'inferno?

Perch'io mi volga forse

a colui, ch'a suo modo il freno porse

al fato, e la natura,

mia beltà, mio valor, prendon'a scherno?

Mi volgerò ben io

ribelle sì, ma non mai fida a dio;

che s'è vero, ch'il cielo

è del tutto cagione,

altri ch'il cielo rio

inumano non fa l'idolo mio.

Vuò ravvivar titani,

vuò dar spirto a Nembrotti,

acciò ch'in modi strani

ti dian eterne noie

cielo crudo, ed avverso;

altri che tu, perverso,

non frastornò, né mi rapì mie gioie.

Che ciel, che ciel? Sian i cieli a noi stessi,

e finché non si sciolga il vital nodo

ognun viva a suo modo.

 
Qui vien fulminata dal cielo, ed inghiottita dalla terra.

Artusia ->

 
 

Scena quarta

Giove, Pallade, Mercurio.

 Q 

<- Giove, Pallade, Mercurio

 

GIOVE

A chi dell'arco non sovvien del cielo,  

quando se 'l crede meno

ratto le giunge al seno

l'irreparabil telo.

Troppo tropp'oltre scorse

la temeraria maga;

né insensata s'accorse,

che guida a morte non curata piaga.

Ahi son fatti i mortali

sì del mondo parziali

ch'han per nemico il cielo anco pietoso;

e pur miseria umana a loro insegna

che più doglia, che gioia al mondo regna.

PALLADE

Son cessati i diluvi;

meraviglia non è, dell'umana

folle superbia vana

innumerabil fumano i vesuvi.

Rustico agricoltore,

se lascia un tempo di piagar la vite

non speri, di raccor sano l'umore.

MERCURIO

O quant'è degno di pietà un mortale!

Ben sa quel, ch'opra il cielo;

è grave peso a un'alma il frale velo,

e di gran spoglia augel poco alto sale.

GIOVE

Creai l'uomo per gemma

del pavimento eterno

per compagno agli dèi

non per bersaglio mai de' folgor miei;

ma non cura l'ingrato un tanto dono,

e più prezza, e desia

goder di fango, che di stelle un trono.

Benché noto le sia

ch'al cenno mio si giri

la gran mole de' cieli,

che d'orror tutto geli

al mio gran nome Averno,

ch'al mio volere eterno

riverente soggiaccia.

Quanto chiude la terra, e 'l mar abbraccia

(qual talpa) gli occhi della mente serra,

e gli apre allor, che gir convien sotterra.

MERCURIO

È sì dolce a un vivente

il letargo del mondo,

ch'allor ei si risente,

che morte il desta dall'oblio profondo.

Con sì soavi scorte, e lusinghiere

lo tragge a sé 'l piacere,

ch'ei più non pensa, ch'ogni umano passo

va d'una tomba ad inciampar nel sasso.

PALLADE

Qual nobile scultore,

che di materia informe

fabbrica belle forme,

tal dell'alto motore

abbellisce la grazia, e la pietate

quant'han l'alme d'immondo al mondo nate.

O monarca sovrano

che i divoti sublimi,

ed i rubelli opprimi;

or or dal tuo gran soglio

volò folgor acceso

d'un'empia donna ad ammorzar l'orgoglio,

amica or la tua mano

diffonda i favor suoi

sul nobil stuol degl'incantati eroi;

quant'ha l'Asia di chiaro, e di pudico,

ed al mio nume amico

strazia barbara reggia,

e 'l tesoro d'onor Lete saccheggia.

GIOVE

Vanne, struggi l'incanto

coll'asta tua fatale,

lieta fa' la gentil coppia reale;

non dée gemma d'onor notar nel pianto.

PALLADE

Quel padre è giusto, e pio,

che sa al suo tempo esser pietoso, e rio.

MERCURIO

Ecco che pur si mira

gioir alfin chi per virtù sospira

pene dogliose, e felle

laggiù soffriro gl'innocenti eroi,

le reali donzelle,

ma ferito mortal di pene, e guai,

s'ha per medico il ciel non pere mai.

GIOVE

Ecco a qual fine giunge

chi 'l furore del ciel instiga, e punge.

Specchio alle genti sia

la Maga fulminata,

ch'ogni onta al cielo fatta, ogni opra ria

non resta invendicata.

Chi de' frali diletti avvolge il core

vive tre volte, e tra le spine more.

MERCURIO

Giove ne' raggi è chiuso

della sua gloria; ed io

profondar non ricuso

ne' bellissimi rai dell'idol mio.

Begli occhi senza par

di voi torno a cantar;

esser vuò sempre, ovunque spiego il vol,

Icaro al vostro sol;

né cader temo, poich'al sol d'amore

arde bensì, ma non trabocca un core.

Meco ogn'or vi vorrei

occhi d'amor trofei;

ma Febo allor, se voi foste quassù,

non piacerebbe più.

Val più (chi 'l crederia, luci mie belle?)

un vostro raggio sol, che mille stelle.

 
Qui s'oscura la scena, lampeggia, e tuona.
 

 

Ma tempestoso, e ner  

fatt'ecco, l'emisfer,

per ira, ch'è più bel vostro splendor

forse cambiò color?

Volo all'idolo mio, veloce, e sciolto,

non ha lampi, e tempeste il ciel d'un volto.

 
Qui cade la tempesta, e va in fumo il palazzo della Maga.

Giove, Mercurio ->

 Q 

<- eroi, otto cavalieri, altri cavalieri, Floridoro, Rosmondo, Filaura, Rodomira

 
 

Scena quinta

Pallade in terra.
Floridoro, Rosmondo, Filaura, Rodomira, Coro di cavalieri.

 

CORO DI CAVALIERI

Godete illustri eroi, amanti sposi,  

vi unisce il cielo amico,

v'annoda amor pudico.

Varcando un ocean d'aspri martiri

salvi giungete al porto;

non può restar assorto

chi fa servi del cielo i suoi desiri.

Non più timor d'incanti

le grand'alme v'ingombre;

chi fu cagion di pianti

or di riso è cagion sotterra all'ombre.

Itene ai regni vostri;

e dove nasce, e dove more il sole

viva d'un nodo tal l'alta memoria,

fate d'illustre, e generosa prole

festeggiar l'Asia, e giubilar la gloria.

Acciò con men disagio

ritrar possiate il piè dal regno infido

(che a molte miglia intorno

dal distrutto palazzo

la sciocca maga rese

deserto il rio paese)

per volere di Giove

bitina nave al mar vicin v'attende;

troverete per via scorta, ch'or prende

il cammin verso voi, e di là move.

Nel penoso viaggio della vita,

ch'arresta morte, e stanca,

a chi ha foriero il ciel nulla non manca.

Vado alle stelle; uniti, o cavalieri,

date gloria agli dèi con puro zelo:

seguitemi coll'alme, e coi pensieri,

che mal si regge chi non pensa al cielo.

 

CORO

Diva de' nostri errori  

regolatrice amica;

spiegar del ciel le lodi

non è lieve fatica;

tu vigor danne, e tu n'insegna i modi.

Ma se taccion le labbra i suoi onori

gradisce il ciel più che gli accenti i cori.

O dèi, vostri favori

narreran sugli altari,

ed Armeni, e Bitini

balsami ardenti, e chiari,

ricchi olocausti, e voti peregrini;

s'ora taccion le labbra i vostri onori

gradisce il ciel più che gli accenti i cori.

Pallade, eroi, altri cavalieri, Floridoro, Rosmondo, Filaura, Rodomira ->

 

Fine (Atto terzo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo Nettuno e Giove

Reggia d'Artusia.

<- Scarabea

Son morta (meschinella) e s'io ragiono

Scarabea ->
<- Floridoro

(Artusia dentro la scena)

Poiché tacito ognuno

(si muta la prospettiva in orrida spelonca)

Orrida spelonca.

Floridoro
<- Rodomira, Filaura, Rosmondo

(Rodomira e Filaura legate a due macigni, Rosmondo cangiato in drago, che le sta dilaniando)

Ahi che fiero martire

Qui si chiude la prospettiva.

Floridoro
Rodomira, Filaura, Rosmondo ->

Ma ch'il passo m'arresta, e mi vi toglie

Floridoro ->
<- Artusia

E di sdegno, e d'amore

Mare.

(deità invisibili del mare)

Deità invisibili del mare
Mostro di vanità

Iniquissimi numi!

Muta la scena in bosco.

(deità invisibili del bosco)

Sprezzata Artusia in questa forma?

Deità invisibili del bosco
Insana femmina

Barbari numi, i nostri infami tronchi

Inferno.

(deità invisibili d'Averno)

O del regno d'orror numi di foco

Deità invisibili d'Averno
O senza senno, e fé

Olà? Dunque sì poco Artusia cura

(Artusia fulminata dal cielo, ed inghiottita dalla terra)

Artusia ->

Reggia d'Artusia.

<- Giove, Pallade, Mercurio

A chi dell'arco non sovvien del cielo

(s'oscura la scena, lampeggia, e tuona)

Ma tempestoso, e ner

(cade la tempesta, e va in fumo il palazzo della maga)

Pallade
Giove, Mercurio ->

Torna ad essere suo innato il loco, cioè aria, e terra.

(si videro liberati eroi con altri cavalieri)

Pallade
<- eroi, otto cavalieri, altri cavalieri, Floridoro, Rosmondo, Filaura, Rodomira
otto cavalieri
Pallade, eroi, altri cavalieri, Floridoro, Rosmondo, Filaura, Rodomira ->

(bellissima danza)

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta
Aria tutta, e terra; un cielo tempestato di stelle facea credere, che in teatro fosse venuto ad abitare il... Cielo luminoso e chiaro, e palazzo reale dalla meravigliosa architettura. Si oscura il giorno, trema la terra, balena il cielo; s'apre l'inferno. Torna chiaro. Un bosco; paiono le di lui fronde tremolare, ed i ruscelli scorrere. Apparato spumoso, e marittimo; lito. Chiuso il cielo, si vide l'inferno. Reggia d'Artusia. Orrida spelonca. Qui si chiude la prospettiva. Mare. Muta la scena in bosco. Inferno. Reggia d'Artusia. Torna ad essere suo innato il loco, cioè aria, e terra.
Prologo Atto primo Atto secondo Nettuno e Giove

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