Atto primo

 

Scena prima

Gigante, Angelica, Orlando.

 Q 

(nessuno)

<- Angelica, Gigante

 

ANGELICA

Lassa! chi mi soccorre?  

Ahi, ahi, da questo crudo

chi mi potrà disciorre?

Chi di sé mi fa scudo?

GIGANTE

Pur ti giunsi una volta!

ANGELICA

Ahi!

GIGANTE

Son vani i sospiri,

vane le strida or, che nessun t'ascolta.

ANGELICA

Lasciami! Ah, così dunque

per le pubbliche vie

non va sicuro il piede?

Con insidie sì rie

dunque s'inganna all'or, che meno il crede,

donzella mal accorta?

Lasciami, ohimè, son morta!

Chi soccorso m'appresta?

 

<- Orlando

ORLANDO

Codardo, empio, scortese, i passi arresta!  

A dimostrarti io vegno

che l'oltraggiar donzella è vanto indegno.

GIGANTE

Ecco di là lontano

rapido corre Orlando,

e con l'irata mano

stretto il feroce brando,

al suon dell'altrui pene

nelle mie reti a traboccar se n' viene.

ORLANDO

Ahi, che Angelica parmi.

Colei, che fu rapita.

ANGELICA

Orlando, aita, o cavaliero, aita!

GIGANTE

Ferma! Dove si fugge?

Qual aita si spera?

Renditi prigioniera,

misera, se non voi,

che in queste selve alpine

siano pasto d'un drago i membri tuoi.

ANGELICA

A che strazio son giunta? Orlando, aita!

ORLANDO

L'aspettato soccorso omai t'arreco.

Dall'alma sbigottita

se n' fugga ogni paura: Orlando è teco.

GIGANTE

Seguimi, o donna, o ch'io ti passo il seno!

ANGELICA

Ah, poni all'ira il freno:

al tuo valor poco rileva, o nulla,

che resti da te vinta una fanciulla.

GIGANTE

Cessino il pianto, e i prieghi,

ché son gettate a i venti

le preghiere, e i lamenti.

ANGELICA

A chi ricorrer devo, o cieli, o stelle?

ORLANDO

Se contro donna imbelle

sol mostri il tuo valore,

hai sublime ogni parte, eccetto il core.

Ma tu, superbo, e vile,

le donne oltraggi, e i cavalier paventi?

GIGANTE

Menti, bugiardo, menti!

ORLANDO

Fu mio talento, e stile,

ogn'or d'esser verace;

a gran torto m'offendi.

Scendi, scortese, alla battaglia, scendi;

e in paragone audace,

a provar, ch'io non erro,

resti muta la lingua, e parli il ferro.

Scendi, scortese, alla battaglia, scendi.

GIGANTE

Scenderò, se m'attendi.

Ma qual destin t'invita

con insana pietade

a perder oggi per costei la vita?

Con quale avversa sorte

per quest'erme contrade

disconsigliato il piè ti guida a morte?

ORLANDO

Il tuo folle ardimento

or, che ne stai lontano,

minaccia l'aria, e tira i colpi al vento;

ma tu, campione invitto, eroe sovrano,

schivando in chiusa parte

i perigli di Marte,

una fanciulla inerme

di superar ti pregi:

o sublimi trionfi, o vanti egregi!

GIGANTE

Se meco brami di trovarti a fronte,

che badi? Io qui t'aspetto,

m'accingo all'armi, e la battaglia accetto.

ANGELICA

Ahi, ch'a gli scherni, all'onte

l'empio mi tragge, Orlando, e tu mi lassi?

 

Gigante, Angelica ->

ORLANDO

O donzella infelice!  

In quai lacci, in quai reti hai volto i passi!

Dunque porgerti aita a me non lice?

O donzella infelice!

Ma qui più non si vede,

ché lo spron del timore affretta il piede.

Or dove andarne io deggio

contro a quello infedele?

Dove? Chi me l'insegna? Il ciel mi guidi.

Cèlati pur, crudele,

ché per punire i tuoi misfatti infidi,

come nell'alma ho fisso,

ti seguirò nel più profondo abisso.

Orlando ->

 

Scena seconda

Atlante.

<- Atlante

 

 

Tra tant'altri guerrieri, Orlando alfine  

pur messe il piè nell'incantata soglia;

ma non fia già, che da sì bel confine

ei di legger si scioglia

però, che, sempre a nuovi inganni intento,

a chi tra queste mura il piè ripone,

dall'aperta prigione

il partir non consento,

ma con mentite larve,

cangiando ogn'or, ch'è d'uopo,

l'ingannevol sembiante,

sembro or ninfa, or valletto, ed or Gigante.

Così chiuso, o Ruggiero, io qui ti serbo,

benché forse a te spiaccia,

per involarti al tuo destino acerbo,

che nel tuo vago april forte minaccia.

E che non fei per prolungare illesa

vita sì degna a più tranquilla sorte?

Alto castello, e forte

eressivi in sua difesa;

poscia, benché celato,

a lui sempre vicino,

il riparar da più d'un colpo irato

dell'avverso destino,

solo a ciò volta ogni mia cura, ogn'arte,

e sol perch'egli viva

in sì remota riva

fuor d'i rischi di Marte,

poscia inalzai questo palagio altero:

tanto rileva il conservar Ruggiero.

Nel tener qui sì gran virtute ascosa,

rigido forse io sembrerò, ma pure

con crudeltà pietosa

per dar rimedio al male,

pria, che vada crescendo a poco a poco

il periglio mortale,

opra medico industre, e ferro, e foco.

Atlante ->

 

Scena terza

Bradamante, Marfisa.

<- Bradamante

 

BRADAMANTE

Sol per breve momento  

lasciatemi, o martìri,

tanto sol, ch'io respiri

dal mio grave tormento,

mentre languir, mentre morir mi sento.

E se morir conviene

consentan le mie pene,

che almeno per brev'ora

io veggia chi m'uccide, e poi mi mora.

 

<- Marfisa

MARFISA

Qual nuovo affanno il tuo gioir invola,  

cara mia Bradamante?

Perché, perché sì sola?

Perché pallido, e mesto il bel sembiante?

Delle ciglia serene

qual turba lo splendor nembo di pene?

BRADAMANTE

A te ben posso aprire,

Marfisa, il mio martìre;

ma tu, che sei d'Amor aspra nemica,

se la cagion verace

ti narrerò di duol sì grave, e tanto,

riderai del mio pianto.

MARFISA

Ardi dunque d'amore?

BRADAMANTE

Ardo, e mi sfaccio.

MARFISA

Benché divenga un Mongibello il core,

benché sia stretto in aspro nodo, e rio,

non dée porre in oblio

la costanza, e il valore.

Lascia i sospiri, e i pianti:

usin modi sì bassi, i bassi amanti.

BRADAMANTE

Chi la pena non sente,

prodigo è di consigli

a chi giace languendo;

ma per chi soffre, ogni consiglio è vano.

MARFISA

L'amor colmo è d'affanni:

fugga ciascun lontano

da sì penoso affetto,

e per fuggir suoi danni

non riserbi d'amor altro, che i vanni.

Un magnanimo petto

là sol, dove ha l'impero

la virtude, e l'onor, prenda il sentiero.

BRADAMANTE

Tu parli il vero, e ben la strada è tale,

ove ragion prevale;

ma dove oppresso è il seno

da grave incendio, ogni ragion vien meno.

MARFISA

A te, nobil guerriera,

par, che mal si convenga

l'alma aver prigioniera:

un generoso ardire lacci sdegna.

BRADAMANTE

Amor figlio è di Marte, e per usanza

in fra gli archi, e li strali anch'esso impera;

onde mi pregio, e bramo,

che mostrin lor possanza

con nodo amico, e fido

Marte nella mia destra, in sen Cupido.

MARFISA

Se di Marte, e di guerra

hai con sì nobil vanto il cor seguace,

come qui si riserra,

quasi in ozio languendo, il petto audace?

Moviam rapido il piè da queste mura,

ove d'armi risuona altro confine,

e sarà nostra cura

d'inghirlandar con nuove palme il crine.

BRADAMANTE

E non posso, e non deggio

di qua partir, se pria Ruggier non veggio,

che la saggia Melissa,

Melissa, a cui si svela anche il futuro,

con presagio sicuro

noto mi fe', che qui trovato avrei

il sol degli occhi miei,

e che qui chiuso, e stretto

da invisibil catena

avverrà, ch'io rimiri,

chi tiene incatenati i miei desiri.

Quindi ne vo da mille cure oppressa,

cercando altrui per ritrovar me stessa.

MARFISA

Anch'io teco esser voglio,

e se d'uopo sarà, come t'aggrada,

comanda alla mia spada;

ma tu frena il cordoglio,

e sovrasta a' tuoi danni.

Non sempre acerbo fia

lo stral, che ti ferì;

verrà forse anche un dì,

che sarà dolce il raccontar gli affanni.

Chi sa? chi sa? questi sospiri, e queste

lagrime tue ben può far liete amore.

BRADAMANTE

Non nego già, ch'a i nembi, alle tempeste

d'un avverso timore

non segua ancor di speme aura tranquilla;

ma fra dubbie speranze il cor vacilla.

Bradamante, Marfisa ->

 

Scena quarta

Ferraù, Sacripante.

<- Ferraù, Sacripante

 

FERRAÙ

Ogni fatica, o Sacripante, è vana,  

ch'Angelica, o s'asconde, o forse ancora

stassi di qua lontana.

SACRIPANTE

Come lungi esser puote,

s'io stesso, o Ferraù, la vidi or ora?

Io stesso ho udito le sue dolci note.

Se finti eran quei detti, e quei sembianti

sì, che deluso io resti,

potrò ben dir, che questi

siano alberghi d'incanti.

FERRAÙ

Sollecito pensiero

sembra, ch'al cor m'additi

un non so che, che a sospettar m'inviti;

onde in seguir della donzella i passi,

bramo assai, poco spero,

non desisto però: troppo a me pesa,

d'abbandonar la cominciata impresa.

SACRIPANTE

Séguasi dunque, e scorgeranne il piede

quella, che sola all'infelici avanza,

una dubbia speranza.

 

FERRAÙ E SACRIPANTE

O speme gradita  

a gli egri mortali,

ristoro ne' mali:

tu sola conforto,

tu sola sei porto,

nel mar della vita,

o speme gradita.

Ferraù, Sacripante ->

 

Scena quinta

Angelica.

<- Angelica

 

 

Nelle spiagge vicine,  

molto non è, che dimorava Orlando,

e forsi giunto a così bel confine,

dée ricercar con agio

il superbo palagio.

Io nell'ampio soggiorno

affretterò, per ritrovarlo, il piede;

ché, se di far ritorno

m'accingo al patrio regno,

qual può guerrier più degno

scorgermi là, dov'il desio richiede,

se porta ovunque move

con l'eccelse sue prove

il cavalier sovrano

l'ardir nel volto, e la vittoria in mano?

Ma se prendo consiglio

di fidarmi al guerriero,

invan poi chiederò, cangiando voglia,

ch'esso da me si scioglia.

No, no, stia pur lontano;

ogn'altro è minor male,

che la sua libertà porre in non cale.

Non men forte di mano,

ma più pronto a' miei cenni è Sacripante,

l'altro mio fido amante;

se volge meco i passi

il gran re de' circassi,

a lui potrà dar legge un guardo solo.

Egli sia dunque eletto all'alta impresa

nel numeroso stuolo

de' quei, ch'hanno per me l'anima accesa.

Pur fia, ch'io ti riveggia,

o mia paterna reggia!

E perché a voi ne rieda,

o miei regni pregiati,

ritroveranno un dì la strada i fati

in sì lieto successo.

Ma se non erra il guardo,

Ruggiero è quel, che di là scende: è desso.

Ah, fusse pur mio duce

il famoso garzone,

in cui l'alma riluce

colma sì di valor, come di fede!

Ei, sublime campione,

d'alta virtù seguace,

sempre si mostra, ovunque volga il piede,

invitto in guerra, e generoso in pace.

 

Scena sesta

Ruggiero, Angelica.

<- Ruggiero

 

RUGGIERO

Angelica beltade, ove ne vai?  

Pur mirarti a me lice,

quando meno il pensai!

ANGELICA

Vedi incontro felice!

Quando tu sei qui giunto,

all'idea del valore io tutta intesa,

di te pensavo appunto

però, ch'io mi rammento

con dolce rimembranza ogni momento,

Ruggier, di ciò, che oprasti in mia difesa,

all'or, ch'ero io su la deserta rena

preda d'empia balena.

RUGGIERO

Fu mia dovuta cura,

e d'amor, e del mondo

fu non poca ventura,

se con evento al mio desir secondo

fei, ch'estinto non giacque

l'ardor di mille cori in riva all'acque.

ANGELICA

Oh, come a tempo il mio destin ti scorse

all'isola del pianto,

ove la tua virtute

con ammirabil vanto,

all'or, ch'io, senza error già fatta rea,

tomba, e morte attendea,

mi tolse a morte, e mi recò salute.

Già l'orca smisurata,

rivolto in me lo sdegno

(ah, che a pensarlo sol tutta pavento!),

quasi rocca animata, il salso regno

empiva di spavento,

e già quasi celare

tutto parea con ampia mole il mare,

io languida, e tremante,

confusa, e sbigottita,

invan chiedendo aita

col pianto, e coi sospiri,

leggevo il mio morire in quel sembiante.

Ed ecco tu giungesti,

sceso, cred'io, dagli stellanti giri,

Ruggiero, e mi sciogliesti;

sciogliesti no, ma raddoppiasti i nodi,

ch'il valor, la bontà, e la cortesia,

onde ti pregi, e godi,

ch'a te non abbia il mondo altri simìle,

son lacci di diamante a un cor gentile.

RUGGIERO

Ma tu poi t'involasti in un momento,

rapida a par del vento;

e fu, cred'io, gradita

l'opra, ma non la mano; onde la vita,

che da me ricevesti, a me tu nieghi.

ANGELICA

Ruggier, ti lagni a torto:

nel centro del cor mio

la memoria ne porto;

aver non può ricetto,

un vergognoso oblio

d'immenso benefizio in nobil petto.

 

Scena settima

Bradamante, e detti.

<- Bradamante

 

BRADAMANTE

(Veggo il mio bene, o parmi?  

Il veggo, o pur m'inganna

con la speme il desio?)

ANGELICA

Chi per ingrata Angelica condanna,

a torto la condanna;

pronta al cenno, e spedita,

Ruggier, sempre m'avrai;

e come posso mai

negar l'amore, a chi mi diè la vita?

BRADAMANTE

(Seco d'amor favella.

Or sì, che me n'adiro.)

ANGELICA

Mi pregio esserti ancella:

questa vita è tuo dono,

per te vivo, a te spiro.

RUGGIERO

Troppo cortese è di tue voci il suono,

ché, se dài legge all'alme, a te conviene

serbare anco di me l'arbitrio intiero...

BRADAMANTE

(Questo dunque, o Ruggiero?)

RUGGIERO

...tale han virtù le luci tue serene.

BRADAMANTE

(Dormo, sogno, o vaneggio, o sento il vero?)

ANGELICA

O mie venture...

BRADAMANTE

(O pene...)

ANGELICA

...se tu mi fossi amante!

BRADAMANTE

(...se Ruggiero è incostante!)

RUGGIERO

Ma se non prendi il mio servire a sdegno,

perché, all'ora, ch'io fei

di me scudo al tuo scampo,

sparisti a gli occhi miei,

quasi folgore o lampo?

ANGELICA

Provar fu mia vaghezza in quelle sponde

l'alta virtù dell'ammirabil gemma,

che, tra' labbri nascosa, altri nasconde;

questa poscia a me cara...

BRADAMANTE

(O sorte a me d'ogni contento avara!)

ANGELICA

...sempre fu sì, che al tempo lieto, al grave,

ogni caso, ogn'incontro, ogni successo

trovolla a me d'appresso,

di tua destra gentil pegno soave.

 

BRADAMANTE

O mio crudo martoro!  

Tu mi togli la vita, e pur non moro!

RUGGIERO

Ah, Bradamante! Oh, pur al fin ti trovo,

mio bramato conforto!

BRADAMANTE

Forse più, che piacer noia t'apporto.

ANGELICA

Sommo diletto in rivederti io provo.

RUGGIERO

Così dunque m'accogli?

BRADAMANTE

Ah, disleale!

RUGGIERO

In che t'offesi mai?

BRADAMANTE

Finger non vale.

ANGELICA

Anzi, in che non mostrasti un vivo affetto?

Non ben comprendo il tuo parlar confuso.

RUGGIERO

Da te resto deluso,

cruda, mentr'io tutt'ardo.

ANGELICA

Ruggier, che parli? Ove rivolgi il guardo?

Che veggo? Or chiaro ogni sua voce intendo.

BRADAMANTE

Il sai tu, se a ragion d'ira m'accendo.

ANGELICA

Io partirò, ché là, dov'han contesa

amore, e gelosia,

assai più, che diletto arreca offesa

ogn'altra compagnia.

Angelica ->

 

Scena ottava

Ruggiero, Bradamante.

 

RUGGIERO

Or quale sdegno ha la tua mente accesa?  

Poi, che d'ira cotanta armasti il seno,

fammi palese almeno

qual la cagion ne fu.

BRADAMANTE

Mi schernisci di più,

così la fé disprezzi?

RUGGIERO

Bradamante!

BRADAMANTE

Togliti a me d'avante!

Anche nomarmi ardisci?

Come il puoi far, mentre m'offendi, come?

Fa', che mai più, mai più non sia sì ardita,

che risuoni il mio nome

quella lingua mentita,

o ch'a vietarlo io spenderò la vita.

Ahi, ch'a mirar son giunta i danni miei,

onde a morte se n' corre omai la salma.

Venni, vidi, perdei.

E che perdei? Perdei la vita, e l'alma.

Ma credi tu, che il cielo

o non vegga, o non curi

l'onta de' tuoi spergiuri?

RUGGIERO

Odimi almeno!

BRADAMANTE

Taci!

Taci! Forse hai speranza, o lusinghiero,

che mi si adombri il vero

con tue scuse mendaci?

Taci, perfido, taci!

Taci, tu, che incostante

hai potuto l'amor porre in oblio,

privo di lealtà!

RUGGIERO

S'incostante son io

amor, il cielo il sa.

BRADAMANTE

Errai, no 'l niego, errai,

e nel dirti incostante

fallii, perché tu mai

non fosti, no, ma ti fingesti amante.

Or va', ch'io non mi doglio

della tua mente infida;

va' pur, ch'è ben ragione,

ch'ogni labro, che rida,

ogni chioma, che splenda,

d'un gentil cavaliero il core accenda.

Chi non volge il pensiero

a qualunque beltà, che si propone,

gioir non sa nell'amoroso stuolo.

Ah, Ruggiero, Ruggiero,

amor vuol esser solo,

e tosto inciampa il piede,

tosto trabocca il core,

se scorta a lui non son costanza, e fede.

RUGGIERO

Non m'odi, e mi condanni?

BRADAMANTE

Troppo udii, troppo vidi, e troppo intesi.

RUGGIERO

Or dinne, in che t'offesi?

BRADAMANTE

Dinne a me tu: dov'è quel cerchio aurato,

che Melissa a te diede,

pegno della mia fede?

Non l'ho veduto io stessa

(ohimè, vista dolente!),

pur or nell'altrui mano?

Quest'è la pura fé, Ruggiero ingrato,

disleale, inumano,

quest'è la face ardente,

quest'è l'amor, che non conosce oblio?

Ma se più t'amo, iniquo,

veder possa schernito il pianto mio

dal tuo superbo orgoglio!

Se più t'amo, o crudele,

cresca senza rimedio il mio cordoglio,

e non trovin pietà le mie querele!

E se non prendo di mia fé schernita

le dovute vendette,

per privarmi di vita

piova il ciel sopra me nembi, e saette!

RUGGIERO

Ah, tolga il ciel così funesti auguri!

Ascolta il vero in brevi note espresso.

BRADAMANTE

A bastanza ascoltai

quei simulati accenti;

a bastanza m'è noto ogni successo.

Vattene pure omai,

che, già rotti d'amor gli strali ardenti,

tanto ti sdegnerò, quanto t'amai.

Bradamante ->

 

Scena nona

Ruggiero.

 

 

Oh, come è breve l'ora  

d'ogni gioia mortale,

che, se fa nel venir longa dimora,

al partir mette l'ale!

O quanto è vero, o quanto,

che pur troppo han vicini

i lor dubbi confini il riso, e il pianto!

Quando sperai gioire,

non son lungi al morire;

quando sperai godere il bel sembiante,

privo di lui rimango;

trovata Bradamante,

sperai conforto, e piango.

Fermati, Bradamante, ove t'involi?

Ah, se non chiudi in petto alma di sasso,

se non è il sen di scoglio, o di diamante,

ferma, deh, ferma il passo!

E se brami cotanto il mio morire,

torna, ond'io pèra omai,

perché ogni doglia ad atterrarmi è vana,

crudel, mentre ne vai,

tu, che sei la mia morte, a me lontana.

Ma dove, lasso! Ed a chi spargo i preghi?

Ascoltate almen voi l'acerbo affanno,

udite, o sorde mura, i miei tormenti,

che forse in voi potranno,

mentre, pria di morire, il morir provo,

destar quella pietà, che in lei non trovo.

Ruggiero ->

 

Scena decima

Alceste, Fiordiligi, Eco.

<- Alceste, Fiordiligi

 

ALCESTE

Tu per gli altrui vestigi  

lieta muovi le piante,

leggiadra Fiordiligi,

poiché ben sai, che il tuo gradito amante,

benché lungi pur sia,

per unirsi con te l'alma t'invia.

FIORDILIGI

Chiudon due seni un cor, due cori un'alma.

Ma pur non nego, Alceste: anche un momento

grave si rende a me, se mi diparte

dal gentil Brandimarte.

ALCESTE

Prosperi il ciel secondo il tuo contento,

poiché in sorte a te diede

il fido amor di cavalier sì degno,

di cui più prode il mondo altri non vede;

e dovunque il piè muove,

dell'imprese sue rare

suona la terra, e ne risuona il mare.

FIORDILIGI

Ma se qui cerco in darno, io voglio altrove

drizzare i passi a ritrovarlo intenti,

ché senza il caro sposo, ah, troppo lenti

fanno per me ritorno

alla notte l'aurora, espero al giorno.

ALCESTE

Vanne felice; io qui, dove tal'ora

miro di Lidia ingrata il bel sembiante

trarrò, misero amante,

in sì vaghi soggiorni

torbide l'ore, e sconsolati i giorni.

Alceste ->

 

FIORDILIGI

Se mi toglie mia sventura,  

chi le faci ancor mi desta,

l'alte mura

cangerò con la foresta.

ECO

Resta, resta.

FIORDILIGI

Or, ch'io prendo altro sentiero,

udir parmi il suono istesso

del guerriero,

che nel seno io porto impresso.

ECO

Esso, esso.

FIORDILIGI

L'aspre pene omai consolo,

attendendo i dì sereni,

se nel duolo

fido amante a me sovvieni.

ECO

Vieni, vieni.

 

FIORDILIGI

Deh, chi mi chiama a sé? Temo non sia  

l'aura, che prende a gioco il mio tormento.

Ma chi molto desia

crede anco i sogni, e presta fede al vento.

Fiordiligi ->

 

Scena undicesima

Orlando.

<- Orlando

 

 

Tra tanti avvolgimenti, ond'è ripieno  

il palagio sublime, in darno ho preso

a ricercar colei, che porto in seno:

anzi a trovarla, io fui d'appresso

quasi a perder me stesso.

Angelica infelice,

dell'anime più fere,

de' più selvaggi cori

già nobil predatrice,

or d'altri fatta preda, a quai rigori

serba nemico fato i casi tuoi?

Forse gli sdegni altrui

in te rivolge amor, perché, sdegnosa

alla face amorosa,

a' miei lamenti, al mio servir fedele

ti mostrasti crudele?

Ma se per mia cagione

déi tu pena soffrire,

volgasi in me più tosto il tuo martìre.

Miei sono i tuoi tormenti, e del tuo danno

teco provo l'affanno.

Ma quanto più si rende

per le sventure tue grave il mio duolo,

anche vie più s'accende

di punire il desio

colui, che tanto ardìo.

Vedrà, vedrà, l'involatore indegno,

che no 'l faran dell'ira mia sicuro

né la fuga, né il muro;

e se giammai d'Orlando

fu la destra possente, e fiero il brando,

per sì degna cagione

mostrerò in paragone,

quant'abbia forza in generoso core

lealtà con valore.

Orlando ->

 

Scena dodicesima

Prasildo, Coro.

<- Prasildo

 

PRASILDO

Non è pendice in queste selve, o piano,  

non è riviera, o monte,

ove io non abbia invano

cercato Iroldo, onde già stanco il piede,

e tutta aspersa ho di sudor la fronte.

Oh, che gentil albergo! E pur si vede

tacito, e solo. Oh, come il bel soggiorno,

di vaghezza ripieno,

arreca d'ogni intorno

diletto a gli occhi, e meraviglia al seno!

Ma da lieta armonia

odo l'aria arricchita

l'alma, da lei rapita,

quasi sé stessa, e le sue cure oblia.

 

CORO

Nell'ampia sede,  

guerrier famoso,

arresta il piede.

Dolce riposo

ti sia ritegno:

quest'è d'amore, e delle grazie il regno.

 

PRASILDO E CORO

Ah, tra sì liete mura

vada, se saggio sei, lungi ogni cura.

 

PRASILDO

A sì cortese invito il piè si move.  

Chi sa? trovar potrei

nella gradita stanza

colui, che in darno ho ricercato altrove.

Tal'or, ch'ogni speranza

altri da sé recide,

cangiata sorte alle sue voglie arride.

Prasildo ->

 

Scena tredicesima

Mandricardo, Gradasso.

<- Mandricardo

 

MANDRICARDO

Ove sei tu? Qual parte,  

Doralice gentile,

rendi di quest'albergo al ciel simìle?

Ah, voglia amor, ch'omai

a me faccia ritorno

il mio bel sole, e mi riporti il giorno.

 

<- Gradasso

GRADASSO

Mandricardo!  

MANDRICARDO

Gradasso, ove ne vai?

GRADASSO

A te veniva, e mi fu scorta amore.

Ei, che soffrire omai di Rodomonte

non può gli oltraggi, e l'onte,

di quell'alma rubella,

di quel fastoso orgoglio

l'aspre minacce a rintuzzar t'appella.

MANDRICARDO

Pronto sarò, qual soglio.

Narrami il tutto, e qui potrebbe intanto

giunger colei, che suole

altrui mostrar, che non è solo il sole.

GRADASSO

E qual cagion ti rese a lei lontano?

MANDRICARDO

Appunto ieri, affaticato, e stanco,

presso al fonte vicino

davo insieme con lei riposo al fianco,

quando ecco al fonte arriva

con vestir peregrino,

con volto sovra umano,

non so se ninfa, o diva,

che con gentile inchino

presa colei per mano,

la conduce ridendo a questa soglia.

Dopo lunga dimora,

colmo d'immensa doglia,

qua volgo i passi, e non la trovo ancora.

GRADASSO

Spera pur, Mandricardo,

all'or, che il pensi meno,

quella, per cui senti d'amore il dardo,

farà tranquillo il seno.

Gioia, che amor prepara,

quanto aspettata è men, tanto è più cara.

Fammi, prego, palese

il fin delle contese,

onde a pugnar con Rodomonte avesti.

Io narrerotti poi

il temerario ardir de' pensier suoi.

MANDRICARDO

Mentre il contender nostro

a palesarti io prendo,

passeggiam, se ti piace, in questo chiostro,

e il caso ascolta.

GRADASSO

Attendo.

MANDRICARDO

Ero già mosso a singolar tenzone

col re di Sarza, e pari era il desire

d'ottener Doralice, o pur morire;

nel mortal paragone

s'interpose Agramante,

ed a' consigli suoi

si stabilì fra noi,

ch'ella scegliesse il più gradito amante,

e che pago al suo detto

cedesse l'altro all'amator eletto;

quindi, poiché del volto

gli animati ligustri in fra le rose

vergognosetta Doralice ascose,

lo sguardo a terra volto,

di prepormi le piacque al mio rivale.

GRADASSO

Rodomonte che fe'? che disse all'ora?

MANDRICARDO

Qual ei restasse, e quale

sdegno, e rossor n'avesse,

a dispiegar bastante altri non fòra.

Ma poi, che il campo cesse

l'improvvisa vergogna all'ardimento,

il ferro impugna, a nuova pugna intento,

e dice, che da quella

vana sentenza alla sua spada appella;

duolsi, minaccia, e giura

no 'l consentir fin, ch'avrà core in petto.

Io sorgo all'ora, e la tenzone accetto,

ma lo vieta Agramante,

e con aperti detti anco non cela,

ch'omai più meco il rifiutato amante

prender briga non può per tal querela;

ond'ei parte confuso,

dal re convinto, e dalla donna escluso.

GRADASSO

Sospinto or dallo sdegno,

di lacerar non cessa

il femminile ingegno.

Biasma ogni donna, e in essa

accusando la fede

con lingua acerba in oltraggiarla eccede.

MANDRICARDO

Vano, bugiardo, e folle! Or dunque annida

malvagità cotanta?

GRADASSO

Anzi, quant'io n'intesi, aspra disfida

publicò poscia, e sostener si vanta,

ch'ogni femmina è lieve,

e che brama ogn'or più ciò, che men deve.

MANDRICARDO

Perch'egli affermi a suo dispetto il vero,

con frettoloso passo

già m'accingo al sentiero.

Andianne pur, Gradasso,

e per diversa via,

chi prima in lui si abbatte,

s'appresti a rintuzzar tanta follia.

È la donna un ricetto, in cui riluce

senno, fede, valore;

tesoro è di virtù, seggio d'onore.

GRADASSO

Quant'oro illustra il Tago, e quante gemme

han l'eritree maremme,

vile, e negletto al paragon diviene

di due luci serene.

MANDRICARDO

Con splendor sì giocondo

voi sète, anime belle,

a questo basso mondo

lo specchio delle stelle;

anzi, del sole istesso

è la vostra beltà ritratto espresso.

GRADASSO

Partiamo, amico, e delle donne i pregi,

onde il mondo s'onora,

spieghi lingua canora.

MANDRICARDO

I loro eccelsi vanti,

mal si ponno adombrar ne i nostri canti.

 

GRADASSO E MANDRICARDO

Ha lampi immortali  

la vostra beltà:

avventa li strali,

ma morte non dà.

Se l'alma n'accende,

offende sì, ma senza offesa offende.

 

DAMA
(dentro)

Ahi!  

GRADASSO

Qual orribil suono

l'orecchio, e il cor mi fiede?

DAMA

Ohimè! pietà! mercede!

MANDRICARDO

Sento donna, che plora.

VOCE
(di dentro)

Che più si tarda? Ah, mora!

DAMA

Quest'a me dunque, ingrato? Ohimè, se in seno

hai spirto di pietade,

perdoni il ferro alla mia verde etade,

o non si neghi alla mia vita almeno,

poiché morir pur deggio, una brev'ora.

VOCE
(di dentro)

Ah, mora l'empia, mora!

DAMA

Cavalieri, accorrete!

MANDRICARDO

Traditori, ove sète?

GRADASSO

Ove sète?

Mandricardo, Gradasso ->

 

Scena quattordicesima

Atlante, Olimpia, coro di otto Ninfe.

<- Atlante

 

ATLANTE

Per la frondosa riva  

a passi tardi, e lenti

ecco soletta una donzella arriva.

Di trarla nel palagio omai si tenti.

 

<- Olimpia

 

Qualunque oggi t'invita  

elezione, o sorte,

della magion gradita

alle sublimi porte,

prosperi i cieli appella,

poiché qui trarre i giorni in lieta pace

potrai, nobil donzella.

OLIMPIA

In pace no, che se fan guerra al seno

amor crudo, empia sorte,

non fia, che per me splenda il ciel sereno

fin, che io non giaccia, ohimè, trofeo di morte.

Né solo è mio cordoglio,

che de' suoi strazi amore

mi fe' misero esempio;

ma più, ch'altro mi doglio

di aver creduto a un empio.

Inerme abbandonata, anzi tradita

da menzognero amante,

alla selva romita

narro l'angosce mie sì gravi, e tante,

fatta omai, fra quell'ombre, un'ombra errante.

Deh, lascia, ch'io ritorni, ove son volta,

a ridir l'altrui frodi, i miei tormenti

alle fiere, alle piante, all'onde, a i venti.

ATLANTE

Ah, non partire, ascolta:

troverai qui cento donzelle, e cento,

nella cui lieta schiera

si renderà più lieve il tuo tormento.

Giovi la speme, a chi sospira, e s'ange;

ogni pena più dura il tempo frange

con invitta possanza.

OLIMPIA

Non crede un'infelice a gran speranza.

ATLANTE

Voi, donzelle gradite,

a gentil peregrina incontro uscite,

voi con dolce diporto

fate, ch'abbia conforto

l'alma ne' dolor suoi.

 

<- otto ninfe

QUATTRO NINFE

Eccone!  

OTTO NINFE

Eccone, eccone a i cenni tuoi!

 

NINFE

Di Cupido entro alla reggia  

godi omai l'ore serene;

mal conviene,

dove amor ha regno, e vanto,

che di pianto

una stilla pur si veggia:

in sì beato albergo ogn'un festeggia.

Sia lunge dal fior degli anni

il gel d'aspro tormento;

pur troppo sul crine d'argento

un nembo piove d'affanni.

(a due)

Chi poté sperar mai scampo

dall'onte del tempo avaro,

se al mondo ciò, che è più caro,

sparisce con piè di lampo?

(a quattro)

Se il sole tramonta, e cade,

più vago ride col giorno;

ma passa, né fa ritorno

il pregio di fresca etade.

(a quattro)

Sia lunge dal fior degli anni

il gel d'aspro tormento;

pur troppo sul crine d'argento

un nembo piove d'affanni.

(a due)

All'aura, che dolce spira,

si sciolga la vela audace,

che l'onda, ch'immobil giace,

fremendo poscia s'adira.

(a cinque)

Se n' fugge spiegando il volo

bellezza, che l'alme ancide,

qual rosa, che mentre ride

languendo ne cade al suolo.

(a quattro)

Sì, sì, gioisca il cor, sia lunge il duolo.

Sfondo schermo () ()

 

OLIMPIA

Di render grazie a tanta grazia eguali  

già non presumo, e la mia lingua è muta.

Ben folle è chi rifiuta

opportuno conforto a' suoi gran mali.

Andianne, ove a voi piace,

che mercé vostra i miei dolor consolo.

NINFE

(a otto)

Sì, sì, gioisca il cor, sia lungi il duolo!

otto ninfe, Olimpia ->

 

Scena quindicesima

Alceste, Ferraù, Mandricardo, Marfisa, Finardo, Bradamante, Angelica, Prasildo, Orlando, Ruggiero, Fiordiligi, Atlante.

<- Alceste, fantasme

 

ALCESTE

Se il petto, in cui t'annidi,  

trafiggi ad ora, ad ora,

dispietato dolor, ché non m'uccidi?

Deh, poiché tanto il mio dolor severo

oggi meco s'irrìta,

ei mi tolga la speme, e tu la vita.

 

<- Prasildo

PRASILDO

Stanco il piè, mesto il core, il fianco lasso,  

io più non so, dove mi volga il passo.

 

<- Orlando

ORLANDO

Senza pro ricercai  

ogni più chiusa stanza,

e per me cade omai

di vetro ogni speranza.

 

<- Angelica

ANGELICA

Invano al fin s'attende  

ciò, che il ciel ne contende.

 

<- Ferraù

FERRAÙ

Entro a questo palagio  

corse il ladron malvagio. Io vo' novella

dimandarne a costui.

Dinne, veduto avresti una donzella

cinta di azzurre vesti?

Un masnadiero indegno a me la toglie.

ATLANTE

Giunse colei pur dianzi in queste soglie.

Quanta pietà del tuo dolor mi punge!

Affretta il piè, la troverai non lunge.

 

<- Mandricardo

MANDRICARDO

Che tu meco non sia,  

o Doralice, or, che il mio cor si lagna,

già tua colpa non è, ma d'empia sorte,

che da me ti scompagna.

Io, dalle stelle, e non da te deluso,

solo il tenor del mio destino accuso.

 

<- Marfisa

MARFISA

Per l'orme istesse io mi rigiro invano.  

 

<- Finardo

FINARDO

O mio caro germano,  

in sì tenera età condotto a morte!

Ahi, ch'il crudel leon selvaggio,

uscito a fargli oltraggio,

dentro a quest'empie porte,

per divorarlo, ohimè, lo strascinò!

O fato, o strazio indegno!

Dunque più no 'l vedrò?

ALCESTE

O mura a me funeste, altrui serene,

rendetemi il mio bene!

 

<- Bradamante

BRADAMANTE

Fera, che in ferità passa ogni segno!  

ALCESTE

Per pietà di mie pene

rendetemi il mio bene!

BRADAMANTE

A queste mura insegno

risonar del mio duolo.

 

<- Ruggiero

RUGGIERO

Esangue, afflitto, e solo,  

mentre di lei son privo,

no, che non vivo, no, che non vivo...

 

<- Fiordiligi

FIORDILIGI

Eccomi al loco istesso, o rio destino!  

RUGGIERO

...che viver non si può senza la vita.

ORLANDO

Ohimè, chi me l'addita?

MANDRICARDO

Ove drizzo il camino?

O mie cure mordaci!

Furo, o veglio gentile,

tue speranze fallaci.

Già mai non ebbi ancora

pur un momento qui sereno il ciglio.

ATLANTE

Prendi dunque da me nuovo consiglio:

non far qui più dimora.

MANDRICARDO

Fuor di questo soggiorno

non andrò, no, ché se il mio sol qui splende,

per me non sorge in altra parte il giorno.

Qui riman la mia vita, e il mio tesoro:

s'io ne vo lungi, impoverisco, e moro.

 

<- Doralice

ORLANDO

Angelica!

CORO DI FANTASME

Orontea!

DORALICE

Cleante!

PRASILDO

Iroldo!

Dunque al vento è dispersa ogni mia brama!

TUTTI

Oh, quanto è duro il non trovar, chi s'ama!

 

CORO DI FANTASME

Ahi, che strana cecità!  

Un mortale in mille modi

dalle frodi

vien deluso, e non lo sa.

Ahi, che strana cecità!

Quali impacci

tesi sono, e quanti lacci,

onde ogn'or trabocchi il piede!

O che lieve ingannar, chi tosto crede!

Chi giammai sicuro fu,

mentre piovano l'inganni,

se a' lor danni

non è schermo alta virtù?

Chi, chi, chi giammai sicuro fu?

Quasi ha spento

nell'orror del tradimento

i suoi raggi omai la fede.

O che lieve ingannar, chi tosto crede!

Mai non va libero il piè,

perché il mondo,

cui non s'apre un dì giocondo,

fuor, ch'insidie, altro non è.

Mai, mai, mai, mai non va libero il piè.

Ride l'erba,

ma celato anche riserba

angue reo, che a morte siede.

O che lieve ingannar, chi tosto crede!

 

Fine (Atto primo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo

Il palazzo incantato di Atlante.

 
<- Angelica, Gigante

Lassa! chi mi soccorre?

Angelica, Gigante
<- Orlando

Codardo, empio, scortese, i passi arresta!

Orlando
Gigante, Angelica ->

O donzella infelice!

Orlando ->
<- Atlante

Tra tant'altri guerrieri

Atlante ->
<- Bradamante

Sol per breve momento

Bradamante
<- Marfisa

Qual nuovo affanno il tuo gioir invola

Bradamante, Marfisa ->
<- Ferraù, Sacripante

Ogni fatica, o Sacripante, è vana

Ferraù e Sacripante
O speme gradita
Ferraù, Sacripante ->
<- Angelica

Nelle spiagge vicine

Angelica
<- Ruggiero

Angelica beltade, ove ne vai?

Angelica, Ruggiero
<- Bradamante

(Bradamante non vista)

Veggo il mio bene, o parmi?

(Bradamante si rivela)

O mio crudo martoro!

Ruggiero, Bradamante
Angelica ->

Or quale sdegno ha la tua mente accesa?

Ruggiero
Bradamante ->

Oh, come è breve l'ora

Ruggiero ->
<- Alceste, Fiordiligi

Tu per gli altrui vestigi

Fiordiligi
Alceste ->
Fiordiligi, Eco da dentro
Se mi toglie mia sventura

Deh, chi mi chiama a sé?

Fiordiligi ->
<- Orlando

Tra tanti avvolgimenti

Orlando ->
<- Prasildo

Non è pendice in queste selve

Coro e Prasildo
Nell'ampia sede

A sì cortese invito il piè si move

Prasildo ->
<- Mandricardo

Ove sei tu? Qual parte

Mandricardo
<- Gradasso

Mandricardo! / Gradasso, ove ne vai?

Gradasso e Mandricardo
Ha lampi immortali

(voci da dentro)

Ahi / Qual orribil suono

Mandricardo, Gradasso ->
<- Atlante

Per la frondosa riva

Atlante
<- Olimpia

Qualunque oggi t'invita

Atlante, Olimpia
<- otto ninfe

Eccone! / Eccone, eccone a i cenni tuoi!

Di render grazie a tanta grazia eguali

Atlante
otto ninfe, Olimpia ->
Atlante
<- Alceste, fantasme

Se il petto, in cui t'annidi

Atlante, Alceste, fantasme
<- Prasildo

Stanco il piè, mesto il core

Atlante, Alceste, fantasme, Prasildo
<- Orlando

Senza pro ricercai

Atlante, Alceste, fantasme, Prasildo, Orlando
<- Angelica

Invano al fin s'attende

Atlante, Alceste, fantasme, Prasildo, Orlando, Angelica
<- Ferraù

Entro a questo palagio

Atlante, Alceste, fantasme, Prasildo, Orlando, Angelica, Ferraù
<- Mandricardo

Che tu meco non sia

Atlante, Alceste, fantasme, Prasildo, Orlando, Angelica, Ferraù, Mandricardo
<- Marfisa

Per l'orme istesse io mi rigiro in vano

Atlante, Alceste, fantasme, Prasildo, Orlando, Angelica, Ferraù, Mandricardo, Marfisa
<- Finardo

O mio caro germano

Atlante, Alceste, fantasme, Prasildo, Orlando, Angelica, Ferraù, Mandricardo, Marfisa, Finardo
<- Bradamante

Fera, che in ferità passa ogni segno!

Atlante, Alceste, fantasme, Prasildo, Orlando, Angelica, Ferraù, Mandricardo, Marfisa, Finardo, Bradamante
<- Ruggiero

Esangue, afflitto, e solo

Atlante, Alceste, fantasme, Prasildo, Orlando, Angelica, Ferraù, Mandricardo, Marfisa, Finardo, Bradamante, Ruggiero
<- Fiordiligi

Eccomi al loco istesso, o rio destino!

Atlante, Alceste, fantasme, Prasildo, Orlando, Angelica, Ferraù, Mandricardo, Marfisa, Finardo, Bradamante, Ruggiero, Fiordiligi
<- Doralice

Coro di Fantasme
Ahi, che strana cecità!
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima
Il palazzo incantato di Atlante. Il palazzo incantato di Atlante svanisce.
Prologo Atto secondo Atto terzo

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