Atto quinto

 

Scena prima

Uranio. Carino.

Immagine d'epoca ()

 Q 

Uranio, Carino

 

URANIO

Per tutto è buona stanza, ov'altri goda,  

ed ogni stanza al valent'uomo è patria.

CARINO

Gli è vero, Uranio, e troppo ben per prova

te 'l so dir io, che le paterne case

giovinetto lasciando, e d'altro vago,

che di pascer armenti, o fender solco,

or qua, or là peregrinando; alfine

torno canuto, onde partii già biondo.

Pur è soave cosa a chi del tutto

non è privo di senso il patrio nido:

che diè natura al nascimento umano

verso il caro paese, ov'altri è nato

un non so che di non inteso affetto,

che sempre vive, e non invecchia mai.

Come la calamita, ancor che lunge

il sagace nocchier la porti errando,

or dove nasce, or dove more il sole,

quell'occulta virtute ond'ella mira

la tramontana sua, non perde mai:

così chi va lontan dalla sua patria;

benché molto s'aggiri, e spesse volte

in peregrina terra ancor s'annidi;

quel naturale amor sempre ritiene,

che pur l'inchina alle natie contrade.

Oh da me più d'ogn'altra amata, e cara

più d'ogn'altra gentil terra d'Arcadia,

che col piè tocco, e con la mente inchino:

se ne' confini tuoi, madre gentile,

foss'io giunto a chiusi occhi, anco t'avrei

troppo ben conosciuto. Così tosto

m'è corso per le vene un certo amico

consentimento incognito, e latente,

sì pien di tenerezza, e di diletto,

che l'ha sentito in ogni fibra il sangue.

Tu dunque, Uranio mio, se del cammino

mi se' stato compagno, e del disagio,

ben è ragion, che nel gioire ancora

delle dolcezze mie tu m'accompagni.

URANIO

Del disagio compagno, e non del frutto

stato ti son, che tu se' giunto omai

nella tua terra; ove posar le stanche

membra potrai, e più la stanca mente.

Ma io, che giungo peregrino, e tanto

dal mio povero albergo, e dalla mia

più povera, e smarrita famigliuola

dilungato mi son, teco traendo

per lunga via l'affaticato fianco;

posso ben ristorar l'afflitte membra,

ma non l'afflitta mente, a quel pensando,

che m'ho lasciato addietro; e quanto ancora

d'aspro cammin per riposar m'avanza.

Né so qual altro in questa età canuta

m'avesse se non tu, d'Elide tratto,

senza saper della cagion, che mosso

t'abbia a condurmi in sì remota parte.

CARINO

Tu sai, che 'l mio dolcissimo Mirtillo,

che 'l ciel mi diè per figlio, infermo venne

qui per sanarsi: e già passati sono

duo mesi, e più fors'anco, il mio consiglio,

anzi quel dell'oracolo, seguendo,

che sol potea sanarlo il ciel d'Arcadia.

Io, che veder lontan pegno sì caro

lungamente non posso, a quella stessa

fatal voce ricorsi, a quella chiesi:

del bramato ritorno anco consiglio:

la qual rispose in cotal guisa appunto.

Torna all'antica patria, ove felice

sarai col tuo dolcissimo Mirtillo:

però, ch'ivi a gran cose il ciel sortillo;

ma fuor d'Arcadia il ciò ridir non lice.

Tu dunque, o fedelissimo compagno,

diletto Uranio mio, che meco a parte

d'ogni fortuna mia se' stato sempre;

posa le membra pur, ch'avrai ben onde

posar anco la mente. Ogni mia sorte,

s'ella pur fia, come l'addita il cielo,

teco sarà comune. Indarno fora

di sua felicità lieto Carino,

se si dolesse Uranio.

URANIO

Ogni fatica,

che sia fatta per te, pur che t'aggradi,

sempre, Carino mio, seco ha il suo premio.

Ma qual fu la cagion, che fe' lasciarti,

se t'è sì caro, il tuo natio paese?

CARINO

Musico spirto in giovanil vaghezza

d'acquistar fama, ov'è più chiaro il grido,

ch'avido anch'io di peregrina gloria,

sdegnai, che sola mi lodasse, e sola

m'udisse Arcadia, la mia terra; quasi

del mio crescente stil termine angusto.

E colà venni, ov'è sì chiaro il nome

d'Elide, e Pisa, e fa sì chiaro altrui.

Quivi il famoso EGON di lauro adorno

vidi: poi d'ostro, e di virtù pur sempre:

sì che Febo sembrava: ond'io devoto

al suo nome sacrai la cetra, e 'l core.

E 'n quella parte, ove la gloria alberga,

ben mi dovea bastar d'esser omai

giunto a quel segno, ov'aspirò il mio core;

se come il ciel mi feo felice in terra,

così conoscitor, così custode

di mia felicità fatto m'avesse.

Come poi per veder Argo, e Micene

lasciassi Elide, e Pisa; e quivi fussi

adorator di deità terrena,

con tutto quel, che 'n servitù soffersi;

troppo noiosa istoria a te l'udirlo,

a me dolente il raccontarlo fora.

Ti dirò sol, che perdei l'opra, e 'l frutto.

Scrissi, piansi, cantai, arsi, gelai,

corsi, stetti, sostenni, or tristo, or lieto,

or alto, or basso, or vilipeso, or caro.

E come il ferro delfico strumento,

or d'impresa sublime, or d'opra vile,

non temei risco, e non schivai fatica.

Tutto fei, nulla fui. Per cangiar loco,

stato, vita, pensier, costumi, e pelo,

mai non cangiai fortuna. Alfin conobbi,

e sospirai la libertà primiera.

E dopo tanti strazi Argo lasciando,

e le grandezze di miseria piene,

tornai di Pisa ai riposati alberghi:

dove, mercé di provvidenza eterna,

del mio caro Mirtillo acquisto fei,

consolator d'ogni passata noia.

URANIO

Oh mille volte fortunato, e mille

chi sa por meta a suoi pensieri in tanto,

che per vana speranza immoderata,

di moderato ben non perde il frutto.

CARINO

Ma chi creduto avria di venir meno

tra le grandezze, e 'mpoverir nell'oro?

I' mi pensai, che ne' reali alberghi

fossero tanto più le genti umane,

quant'esse han più di tutto quel dovizia,

ond'è l'umanità sì nobil fregio.

Ma vi trovai tutto 'l contrario, Uranio.

Gente di nome, e di parlar cortese;

ma d'opre scarsa, e di pietà nemica.

Gente placida in vista, e mansueta;

ma più del cupo mar tumida, e fera.

Gente sol d'apparenza; in cui se miri

viso di carità, mente d'invidia

poi trovi; e 'n dritto sguardo animo bieco;

e minor fede allor, che più lusinga.

Quel, ch'altrove è virtù, quivi è difetto

dir vero: oprar non torto; amar non finto,

pietà sincera; inviolabil fede;

e di core, e di man vita innocente,

stiman d'animo vil, di basso ingegno,

sciocchezza, e vanità degna di riso.

L'ingannare: il mentir; la frode; il furto

e la rapina di pietà vestita;

crescer col danno, e precipizio altrui,

e far a sé dell'altrui biasmo onore,

son le virtù di quella gente infida.

Non merto; non valor; non riverenza,

né d'età, né di grado. Né di legge;

non freno di vergogna; non rispetto,

né d'amor, né di sangue non memoria

di ricevuto ben; né finalmente

cosa sì venerabile, o sì santa,

o sì giusta esser può, ch'a quella vasta

cupidigia d'onori; a quella ingorda

fame d'avere inviolabil sia.

Or io, ch'incauto, e di lor arti ignaro

sempre mi vissi; e portai scritto in fronte

il mio pensiero, e disvelato il core,

tu puoi pensar s'a non sospetti strali

d'invida gente fui scoperto segno.

URANIO

Or chi dirà d'esser felice in terra,

se tanto alla virtù noce l'invidia?

CARINO

Uranio mio, se da quel dì, che meco

passò la musa mia d'Elide in Argo,

avessi avuto di cantar tant'agio,

quanta cagion di lagrimar sempr'ebbi,

con sì sublime stil forse cantato

avrei del mio signor l'armi, e gli onori,

ch'or non avria de la meonia tromba

da invidiar Achille; e la mia patria,

madre di cigni sfortunati, andrebbe

già per me cinta del secondo alloro.

Ma oggi è fatta (oh secolo inumano)

l'arte del poetar troppo infelice.

Lieto nido, esca dolce; aura cortese

bramano i cigni; e non si va in Parnaso

con le cure mordaci: e chi pur garre

sempre col suo destino, e col disagio,

vien roco, e perde il canto, e la favella.

Ma tempo è già di ricercar Mirtillo,

benché sì nuove, e sì cangiate i' trovi,

da quel ch'esser solean, queste contrade,

che 'n esse a pena i' riconosco Arcadia.

Con tutto ciò vien lietamente, Uranio.

Scorta non manca a peregrin, c'ha lingua.

Ma forse è ben ch'al più vicino ostello,

poiché se' stanco, a riposar ti resti.

 

Uranio, Carino ->

 

Scena seconda

Titiro. Messo.

<- Titiro

 

TITIRO

Che piangerò di te prima, mia figlia,  

la vita, o l'onestate?

Piangerò l'onestate;

che di padre mortal se' tu ben nata,

ma non di padre infame:

e 'nvece della tua,

piangerò la mia vita; oggi serbata

a veder in te spenta

la vita, e l'onestate.

Oh Montano, Montano,

tu sol co' tuoi fallaci,

e mali intesi oracoli, e col tuo

d'amore, e di mia figlia

disprezzator superbo, a cotal fine

l'hai tu condotta. Ahi quanto meno incerti,

degli oracoli tuoi,

son oggi stati i miei.

Ch'onestà contr'Amore

è troppo frale schermo

in giovinetto core.

E donna scompagnata

è sempre mal guardata.

 

<- Messo

MESSO

Se non è morto; o se per l'aria i venti  

non l'han portato, i' devrei pur trovarlo:

ma eccol, s'io non erro,

quando meno il pensai.

Oh da me tardi, e per te troppo a tempo,

vecchio padre infelice, alfin trovato.

Che novelle t'arreco.

TITIRO

Che rechi tu nella tua lingua? Il ferro

che svenò la mia figlia?

MESSO

Questo non già; ma poco meno: e come

l'hai tu per altra via sì tosto inteso?

TITIRO

Vive ella dunque?

MESSO

Vive, e 'n man di lei

sta il vivere, e 'l morire.

TITIRO

Benedetto sii tu, che m'hai da morte

tornato in vita. Or come non è salva,

s'a lei sta il non morire?

MESSO

Perché viver non vuole.

TITIRO

Viver non vuole? E qual follia l'induce

a sprezzar sì la vita?

MESSO

L'altrui morte.

E se tu non la smovi,

ha così fisso il suo pensiero in questo,

che spende ogn'altro in van preghi, e parole.

TITIRO

Or che si tarda? Andiamo.

MESSO

Fermati, che le porte

del tempio ancor son chiuse.

Non sai tu, che toccar la sacra soglia,

se non a piè sacerdotal non lice;

finché non esca del sacrario adorna

la destinata vittima agli altari?

TITIRO

E s'ella desse intanto

al fiero suo proponimento effetto?

MESSO

Non può, ch'è custodita.

TITIRO

In questo mezzo dunque

narrami il tutto; e senza velo omai

fa', che 'l vero n'intenda.

MESSO

Giunta dinanzi al sacerdote (ahi vista

piena d'orror) la tua dolente figlia;

che trasse, non dirò dai circostanti;

ma, per mia fé, dalle colonne ancora

del tempio stesso, e dalle dure pietre,

che senso aver parean, lagrime amare,

fu quasi in un sol punto

accusata, convinta, e condannata.

TITIRO

Misera figlia. E perché tanta fretta?

MESSO

Perché della difesa eran gli indici

troppo maggiori; e certa

sua ninfa, ch'ella in testimon recava

dell'innocenza sua,

né quivi era presente, né fu mai

chi trovar la sapesse.

I fieri segni intanto,

e gli accidenti mostruosi, e pieni

di spavento, e d'orror, che son nel tempio

non pativano indugio:

tanto più gravi a noi, quanto più nuovi,

e più mai non sentiti

dal dì, che minacciar l'ira celeste,

vendicatrice dei traditi amori

del sacerdote Aminta:

sola cagion d'ogni miseria nostra.

Suda sangue la dèa; trema la terra;

e la caverna sacra

mugge tutta, e risuona

d'insoliti ululati, e di funesti

gemiti; e fiato sì putente spira,

che dall'immonde fauci

più grave non cred'io, l'esali Averno.

Già con l'ordine sacro,

per condur la tua figlia a cruda morte,

il sacerdote s'inviava; quando,

vedendola Mirtillo (oh che stupendo

caso udirai), s'offerse

di dar con la sua morte a lei la vita:

gridando ad alta voce.

Sciogliete quelle mani: ah lacci indegni;

ed invece di lei, ch'esser dovea

vittima di Diana;

me traete agli altari,

vittima d'Amarilli.

TITIRO

Oh di fedele amante,

e di cor generoso atto cortese.

MESSO

Or odi meraviglia.

Quella, che fu pur dianzi

sì dalla tema del morire oppressa;

fatta allor di repente,

alle parole di Mirtillo invitta,

con intrepido cor così rispose.

Pensi dunque, Mirtillo,

di dar col tuo morire

vita a chi di te vive?

Oh miracolo ingiusto. Su ministri:

su, che si tarda? Omai

menatemi agli altari.

Ah che tanta pietà non volev'io,

soggiunse allor Mirtillo.

Torna cruda Amarilli,

che cotesta pietà sì dispietata,

troppo di me la miglior parte offende.

A me tocca il morire. Anzi a me pure

rispondeva Amarilli, che per legge

son condannata. E quivi

si contendea tra lor, come s'appunto

fosse vita il morire, il viver morte.

Oh anime ben nate: oh coppia degna

di sempiterni onori:

oh vivi, e morti gloriosi amanti.

Se tante lingue avessi, e tante voci,

quant'occhi il cielo, e quante arene il mare

perderien tutte il suono, e la favella

nel dir appien le vostre lodi immense.

Figlia del cielo eterna,

e gloriosa donna,

che l'opre de' mortali al tempo involi,

accogli tu la bella istoria, e scrivi

con lettere d'oro in solido diamante

l'alta pietà dell'uno, e l'altro amante.

TITIRO

Ma qual fin ebbe poi

quella mortal contesa?

MESSO

Vinse Mirtillo. Oh che mirabil guerra,

dove del vivo ebbe vittoria il morto.

Però che 'l sacerdote

disse alla figlia tua. Quetati, Ninfa

che campar per altrui

non può, chi per altrui s'offerse a morte:

così la legge nostra a noi prescrive.

Poi comandò, che la donzella fosse

sì ben guardata, che 'l dolore estremo

a disperato fin non la traesse.

In tale stato eran le cose, quando

di te mandommi a ricercar Montano.

TITIRO

Insomma egli è pur vero,

senz' odorati fiori

le rive, e i poggi, e senza i verdi onori

vedrai le selve alla stagion novella,

prima che senza amor vaga donzella:

ma, se qui dimoriam, come sapremo

l'ora di gir al tempio?

MESSO

Qui meglio assai, ch'altrove;

che questo appunto è 'l loco, ov'esser deve

il buon pastore in sacrificio offerto.

TITIRO

E perché non nel Tempio?

MESSO

Perché si dà la pena, ove fu il fallo.

TITIRO

E perché no nell'antro,

se nell'antro fu il fallo?

MESSO

Perché a scoperto ciel sacrar si deve.

TITIRO

Ed onde hai tu questi misteri intesi?

MESSO

Dal ministro maggior. Così dic'egli

dall'antico Tirenio aver inteso,

che 'l fido Aminta, e l'infedel Lucrina

sacrificati furo.

Ma tempo è di partire. Ecco che scende

la sacra pompa al piano.

Sarà forse ben fatto,

che per quest'altra via

ce n'andiam noi per la tua figlia al tempio.

 

Messo, Titiro ->

 

Scena terza

Coro di Pastori. Coro di Sacerdoti. Montano. Mirtillo.

<- pastori, sacerdoti, Montano, Mirtillo

 

CORO DI PASTORI

Oh figlia del gran Giove:  

oh sorella del Sol, ch'al cieco mondo

splendi nel primo ciel Febo secondo.

CORO DI SACERDOTI

Tu, che col tuo vitale,

e temperato raggio,

scemi l'ardor della fraterna luce,

onde quaggiù produce

felicemente poi l'alma natura

tutti i suoi parti; e fa d'erbe, e di piante,

d'uomini, e d'animai ricca, e feconda

l'aria, la terra, e l'onda:

deh, sì come in altrui tempri l'arsura,

così spegni in te l'ira,

ond'oggi Arcadia tua piange, e sospira.

CORO DI PASTORI

Oh figlia del gran Giove;

oh sorella del sol, ch'al cieco mondo

splendi nel primo ciel Febo secondo.

 

MONTANO

Drizzate omai gli altari,  

sacri ministri; e voi,

o devoti pastori alla gran dèa,

reiterando le canore voci,

invocate il suo nome.

 

CORO DI PASTORI

Oh figlia del gran Giove;

oh sorella del sol, ch'al cieco mondo

splendi nel primo ciel Febo secondo.

 

MONTANO

Traetevi in disparte,

pastori, e servi miei: né qua venite,

se dalla voce mia non sete mossi.

Giovane valoroso,

che, per dar vita altrui, vita abbandoni,

mori pur consolato.

Tu con un breve sospirar, che morte

sembra agli animi vili,

immortalmente al tuo morir t'involi.

E quando avrà già fatto

l'invida età dopo mill'anni, e mille

di tanti nomi altrui l'usato scempio,

vivrai tu allor di vera fede esempio.

Ma perché vuol la legge,

che taciturna vittima tu moia,

prima, che pieghi le ginocchia a terra,

se cosa hai qui da dir, dilla, e poi taci.

MIRTILLO

Padre, che padre di chiamarti, ancora

che morir debbia per tua man, mi giova,

lascio il corpo alla terra,

e lo spirto a colei ch'è la mia vita.

Ma s'avvien ch'ella moia,

come di far minaccia, ohimè qual parte

di me resterà viva?

Oh che dolce morir, quando sol meco

il mio mortal moria,

né bramava morir l'anima mia.

Ma se merta pietà; colui che more

per soverchia pietà; padre cortese,

provvedi tu, ch'ella non moia; e ch'io

con questa speme a miglior vita i' passi.

Paghisi il mio destin della mia morte;

sfoghisi col mio strazio.

Ma poi ch'io sarò morto, ah non mi tolga,

ch'i' viva almeno in lei

con l'alma dalle membra disunita,

se d'unirmi con lei mi tolse in vita.

MONTANO

A gran pena le lagrime ritegno.

Oh nostra umanità quanto se' frale.

Figlio, sta' di buon cor; che quanto brami

di far prometto: e ciò per questo capo

ti giuro: e questa man ti do per pegno.

MIRTILLO

Or consolato moro, e consolato

a te vengo, Amarilli.

Ricevi il tuo Mirtillo,

del tuo fido pastor l'anima prendi,

che nell'amato nome d'Amarilli

terminando la vita, e le parole,

qui piego a morte le ginocchia; e taccio.

MONTANO

Or non s'indugi più, sacri ministri

suscitate la fiamma;

e spargendovi sopra incenso, e mirra,

traetene vapor: ch'in alto ascenda.

 

CORO DI PASTORI

Oh figlia del gran Giove;

oh sorella del sol ch'al cieco mondo,

splendi nel primo ciel Febo secondo.

 

Scena quarta

Carino. Montano. Nicandro, Mirtillo.
Coro di Pastori.

<- Carino, Nicandro

 

CARINO

Chi vide mai sì rari abitatori  

in sì spessi abituri? Or s'io non erro,

eccone la cagione.

Velli qua tutti in un drappel ridotti.

Oh quanta turba; oh quanta;

com'è ricca, e solenne: veramente

qui si fa sacrificio.

MONTANO

Porgimi il vasel d'oro,

Nicandro, ov'è riposto

l'almo licor di Bacco.

NICANDRO

Eccote 'l pronto.

MONTANO

Così il sangue innocente

ammollisca il tuo petto, o santa dèa,

come rammorbidisce

l'incenerita, ed arida favilla

questa, d'almo licor, cadente stilla.

Or tu riponi il vasel d'oro, e poscia

dammi il nappo d'argento.

NICANDRO

Eccoti il nappo.

MONTANO

Così l'ira sia spenta,

che destò nel tuo cor, perfida ninfa,

come spegne la fiamma

questa cadente linfa.

CARINO

Pur questo è sacrificio,

né vittima ci veggio.

MONTANO

Or tutto è preparato,

né manca altro che 'l fin. Dammi la scure.

CARINO

Vegg'io forse, o m'inganno: un che nel tergo

ad uom si rassomiglia,

con le ginocchia a terra?

È forse egli la vittima? Oh meschino,

egli è per certo: e gli tien già la mano

il Sacerdote in capo.

Infelice mia patria: ancor non hai

l'ira del ciel dopo tant'anni estinta?

 

CORO DI PASTORI

Oh figlia del gran Giove;

oh sorella del sol, ch'al cieco mondo,

splendi nel primo ciel Febo secondo.

 

MONTANO

Vindice dèa, che la privata colpa,

con pubblico flagello in noi punisci

(così ti piace, e forse

così sta nell'abisso

dell'immutabil provvidenza eterna)

poi, che l'impuro sangue

dell'infedel Lucrina in te non valse

a dissetar quella giustizia ardente,

che del ben nostro ha sete,

bevi questo innocente

di volontaria vittima, e d'amante

non men d'Aminta fido,

ch'al sacro altare in tua vendetta uccido.

 

CORO DI PASTORI

Oh figlia del gran Giove;

oh sorella del sol, ch'al cieco mondo,

splendi nel primo ciel Febo secondo.

 

MONTANO

Deh come di pietà pur ora il petto

intenerirmi sento:

che 'nsolito stupor mi lega i sensi.

Par che non osi il cor, né la man possa

levar questa bipenne.

CARINO

Vorrei prima nel viso

veder quell'infelice, e poi partirmi,

che non posso mirar cosa sì fiera.

MONTANO

Chissà, che 'n faccia al sol, ben che tramonti

non sia fallo il sacrar vittima umana?

E perciò la fortezza

languisca in me dell'animo, e del corpo?

Volgiti alquanto: e gira

la moribonda faccia inverso il monte.

Così sta ben.

CARINO

Misero me; che veggio?

Non è quello il mio figlio?

Il mio caro Mirtillo?

MONTANO

Or posso.

CARINO

È troppo desso.

MONTANO

E 'l colpo libro.

CARINO

Che fai, sacro ministro?

MONTANO

E tu, uomo profano,

perché ritieni il sacro ferro, ed osi

di por tu qui la temeraria mano?

CARINO

Oh Mirtillo, ben mio:

già d'abbracciarti in sì dolente guisa.

NICANDRO

Va' in malora insolente, e pazzo vecchio.

CARINO

Non mi credev'io mai.

NICANDRO

Scostati dico,

che con impura man toccar non lice

cosa sacra agli dèi.

CARINO

Caro agli dèi

son ben anch'io; che con la scorta loro

qui mi condussi.

MONTANO

Cessa,

Nicandro. Udiamlo prima, e poi si parta.

CARINO

Deh, ministro cortese,

prima, che sopra il capo

di quel garzon cada il tuo ferro, dimmi

perché more il meschino. Io te ne prego

per quella dèa ch'adori.

MONTANO

Per nume tal tu mi scongiuri, ch'empio

sarei, se te 'l negassi:

ma che t'importa ciò?

CARINO

Più che non credi.

MONTANO

Perch'egli stesso a volontaria morte

s'è per altrui donato.

CARINO

Dunque per altrui more?

Anch'io morrò per lui. Deh per pietate

drizza invece di quello

a questo capo già cadente il colpo.

MONTANO

Amico, tu vaneggi.

CARINO

E perché a me si nega,

quel ch'a lui si concede?

MONTANO

Perché se' forestiero.

CARINO

E s'io non fussi?

MONTANO

Né fare anco il potresti:

che campar per altrui

non può, chi per altrui s'offerse a morte.

Ma dimmi chi se' tu? Se pur è vero

che non sii forestiero:

all'abito tu certo

arcade non mi sembri.

CARINO

Arcade sono.

MONTANO

In questa terra già non mi sovviene

d'averti io mai veduto.

CARINO

In questa terra nacqui, e son Carino,

padre di quel meschino.

MONTANO

Padre tu di Mirtillo? Oh come giugni

a te stesso, ed a noi troppo importuno,

scostati immantenente,

che col paterno affetto

render potresti infruttuoso, e vano

il sacrificio nostro.

CARINO

Ah, se tu fussi padre.

MONTANO

Son padre, e padre ancor d'unico figlio;

e pur tenero padre: nondimeno,

se questo fosse del mio Silvio il capo,

già non sarei men pronto

a far di lui quel, che del tuo far deggio.

Che sacro manto indegnamente veste

chi per pubblico ben del suo privato

comodo non si spoglia.

CARINO

Lascia ch'i 'l baci almen prima che mora.

MONTANO

E questo molto meno.

CARINO

O sangue mio,

e tu ancor se' sì crudo,

che non rispondi al tuo dolente padre?

MIRTILLO

Deh padre omai t'acqueta.

MONTANO

Oh noi meschini

contaminato è 'l sacrificio. Oh dèi.

MIRTILLO

Che spender non potrei più degnamente

la vita, che m'hai data.

MONTANO

Troppo ben m'avvisai,

ch'alle paterne lagrime costui

romperebbe il silenzio.

MIRTILLO

Misero, qual errore

ho io commesso: o come

la legge del tacer m'uscì di mente?

MONTANO

Ma che si tarda? Su ministri: al tempio

rimenatelo tosto;

e nella sacra cella un'altra volta

da lui si prenda il volontario voto.

Qui poscia ritornandolo, portate

con esso voi per sacrificio novo,

nov'acqua, novo vino, e novo foco.

Su speditevi tosto,

che già s'inchina il sole.

 

Mirtillo, Nicandro, sacerdoti, pastori ->

 

Scena quinta

Montano. Carino. Dameta.

<- Dameta

 

MONTANO

Ma tu, vecchio importuno,  

ringrazia pur il ciel che padre sei

se ciò non fosse, i' ti farei (per questa

sacra testa te 'l giuro) oggi sentire

quel che può l'ira in me, poiché sì male

usi la sofferenza.

Sai tu forse chi sono?

Sai tu che qui con una sola verga

reggo l'umane e le divine cose?

CARINO

Per domandar mercede

signoria non s'offende.

MONTANO

Troppo t'ho io sofferto; e tu per questo

se' venuto insolente.

Né sai tu, che se l'ira in giusto petto

lungamente si coce,

quanto più tarda fu, tanto più noce.

CARINO

Tempestoso furor non fu mai l'ira

in magnanimo petto;

ma un fiato sol di generoso affetto,

che spirando nell'alma,

quand'ella è più con la ragione unita,

la desta, e rende alle bell'opre ardita.

Dunque se grazia non impetro, almeno

fa', che giustizia i' trovi; e ciò negarmi

per debito non puoi:

che chi dà legge altrui,

non è da legge in ogni parte sciolto:

e quanto se' maggiore

nel comandar, tanto più d'ubbidire

se' tenut'anco a chi giustizia chiede:

ed ecco i' te la chieggio:

s'a me far non la vuoi, falla a te stesso,

che Mirtillo uccidendo, ingiusto sei.

MONTANO

E come ingiusto son? Fa' che l'intenda.

CARINO

Non mi dicesti tu, che qui non lice

sacrificar d'uomo straniero il sangue?

MONTANO

Dissilo, e dissi quel, che 'l ciel comanda.

CARINO

Pur quello è forestier, che sacrar vuoi.

MONTANO

E come forestier? Non è tuo figlio?

CARINO

Bastiti questo, e non cercar più innanzi.

MONTANO

Forse perché tra noi no 'l generasti?

CARINO

Spesso men sa, chi troppo intender vuole.

MONTANO

Ma qui s'attende il sangue, e non il loco.

CARINO

Perché no 'l generai, straniero il chiamo.

MONTANO

Dunque è tuo figlio, e tu no 'l generasti?

CARINO

E se no 'l generai, non è mio figlio.

MONTANO

Non mi dicesti tu, ch'è di te nato?

CARINO

Dissi ch'è figlio mio, non di me nato.

MONTANO

Il soverchio dolor t'ha fatto insano.

CARINO

Non sentirei dolor, se fussi insano.

MONTANO

Non puoi fuggir d'esser malvagio, o stolto.

CARINO

Come può star malvagità col vero?

MONTANO

Come può star in un figlio, e non figlio?

CARINO

Può star, figlio d'amor, non di natura.

MONTANO

Dunque s'è figlio tuo, non è straniero;

e se non è, non hai ragione in lui:

così convinto se' padre, o non padre.

CARINO

Sempre di verità non è convinto

chi di parole è vinto.

MONTANO

Sempre convinta è di colui la fede,

che nel suo favellar si contraddice.

CARINO

Ti torno a dir, che tu fai opra ingiusta.

MONTANO

Sopra questo mio capo,

e sopra il capo di mio figlio cada

tutta questa ingiustizia.

CARINO

Tu te ne pentirai.

MONTANO

Ti pentirai ben tu, se non mi lasci

fornir l'ufficio mio.

CARINO

In testimon ne chiamo uomini, e dèi.

MONTANO

Chiami tu forse i dèi ch'hai disprezzati?

CARINO

E poiché tu non m'odi,

odami cielo, e terra,

odami la gran dèa, che qui s'adora,

che Mirtillo è straniero,

e che non è mio figlio, e che profani

il sacrificio santo.

MONTANO

Il ciel m'aiuti

con quest'uomo importuno.

Chi è dunque suo padre,

se non è figlio tuo?

CARINO

Non te 'l so dire.

So ben, che non son io.

MONTANO

Vedi come vacilli?

È egli del tuo sangue?

CARINO

Né questo ancora.

MONTANO

E perché figlio il chiami?

CARINO

Perché l'ho come figlio,

dal primo dì, ch'i' l'ebbi,

per fin a questa età sempre nudrito

nelle mie case, e come figlio amato.

MONTANO

Il comprasti? Il rapisti? Onde l'avesti?

CARINO

In Elide l'ebb'io, cortese dono

d'uomo straniero.

MONTANO

E quell'uomo straniero

donde l'ebb'egli?

CARINO

A lui l'avea dat'io.

MONTANO

Sdegno tu movi in un sol punto, e riso.

Dunque avesti tu in dono

quel, che donato avevi?

CARINO

Quel ch'era suo gli diedi,

ed egli a me ne fe' cortese dono.

MONTANO

E tu (poi ch'oggi a vaneggiar mi tiri)

onde avuto l'avevi?

CARINO

In un cespuglio d'odorato mirto

poco prima i' l'aveva

nella foce d'Alfeo trovato a caso;

per questo solo il nominai Mirtillo.

MONTANO

Oh come ben favole fingi, ed orni.

Han fere i vostri boschi?

CARINO

E di che sorte?

MONTANO

Come no 'l divoraro?

CARINO

Un rapido torrente

l'avea portato in quel cespuglio, e quivi

lasciatolo, nel seno

di picciola isoletta,

che d'ogn'intorno il difendea con l'onda.

MONTANO

Tu certo ordisci ben menzogne, e fole;

ed era stata sì pietosa l'onda,

che non l'avea sommerso?

Son sì discreti in tuo paese i fiumi,

che nudriscon gl'infanti?

CARINO

Posava entr'una culla: e questa quasi

discreta navicella,

d'altra soda materia,

che soglion ragunar sempre i torrenti,

accompagnata, e cinta,

l'avea portato in quel cespuglio a caso.

MONTANO

Posava entro una culla?

CARINO

Entr'una culla.

MONTANO

Bambino in fasce?

CARINO

E ben vezzoso ancora.

MONTANO

E quanto ha, che fu questo?

CARINO

Fa' tuo conto,

che son passati già diciannove anni

dal gran diluvio. E son tant'anni appunto.

MONTANO

Oh qual mi sento orror vagar per l'ossa.

CARINO

Egli non sa che dire.

Oh superbo costume

delle grand'alme: oh pertinace ingegno,

che vinto anco non cede;

e pensa d'avanzar così di senno,

come di forze avanza.

Questi certo è convinto, e se ne duole.

S'io bene al mal inteso

suo mormorar l'intendo: e 'n qualche modo

ch'avesse pur di verità sembianza,

coprir vorrebbe il fallo

dell'ostinata mente.

MONTANO

Ma che ragione in quel bambino avea

quell'uom, di cui tu parli? Era suo figlio?

CARINO

Questo non ti so dir.

MONTANO

Né mai di lui

notizia avesti tu maggior di questa?

CARINO

Tanto appunto ne so. Vedi novelle.

MONTANO

Conosceresti 'l?

CARINO

Sol ch'io 'l vedessi,

rozzo pastor all'abito, ed al viso.

Di mezzana statura, e di pel nero;

d'ispida barba, e di setose ciglia.

MONTANO

Venite a me, pastori, e servi miei.

DAMETA

Eccoci pronti.

MONTANO

Or mira

a qual di questi più si rassomiglia

l'uom di cui parli.

CARINO

A quel, che teco parla,

non sol si rassomiglia,

ma quegli appunto è desso:

e mi par quello stesso,

ch'era vent'anni già; ch'un pelo solo

non ha canuto, ed io son tutto bianco.

MONTANO

Tornatevi in disparte; e tu qui meco

resta, Dameta, e dimmi:

conosci tu costui?

DAMETA

Mi par di sì; ma dove

già non so dirti, o come.

CARINO

Or io di tutto

ben ricordar farollo.

MONTANO

A me tu prima

lascia favellar seco; e non t'incresca

d'allontanarti alquanto.

CARINO

E volentieri

fo quanto mi comandi.

MONTANO

Or mi rispondi,

Dameta, e guarda ben di non mentire.

CARINO

Che sarà questo, o dèi?

MONTANO

Tornando tu da ricercar (già sono

vent'anni) il mio bambin; che con la culla

rapì il fiero torrente;

non mi dicesti tu, che le contrade

tutte, che bagna Alfeo, cercate avevi

senz'alcun frutto?

DAMETA

E perché ciò mi chiedi?

MONTANO

Rispondi a questo pur. Non mi dicesti,

che ritrovato non l'avevi?

DAMETA

Il dissi.

MONTANO

Or che bambino è quello,

ch'allor donasti in Elide a colui,

che qui t'ha conosciuto?

DAMETA

Or son vent'anni,

e vuoi ch'un vecchio si ricordi tanto?

MONTANO

Ed egli è vecchio, eppur se ne ricorda.

DAMETA

Piuttosto egli vaneggia.

MONTANO

Or il vedremo.

Dove se', peregrino?

CARINO

Eccomi.

DAMETA

Oh fossi

tanto sotterra.

MONTANO

Dimmi,

non è questo il pastor, che ti f' il dono?

CARINO

Questo per certo.

DAMETA

E di qual dono parli?

CARINO

Non ti ricordi tu, quando nel tempio

dell'olimpico Giove; avendo quivi

dall'Oracolo avuta

già la risposta; e stando

tu per partire, i' mi ti feci incontro,

chiedendoti di quello,

che ricercavi i segni, e tu li desti:

indi poi ti condussi

alle mie case, e quivi il tuo bambino

trovasti in culla, e me ne festi il dono?

DAMETA

Che vuoi tu dir per questo?

CARINO

Or quel bambino,

ch'allor tu mi donasti, e ch'io poi sempre

ho come figlio appresso me nudrito,

è 'l misero garzon, ch'a questi altari

vittima è destinato.

DAMETA

Oh forza del destino.

MONTANO

Ancor t'infingi?

È vero tutto ciò, ch'egli t'ha detto?

DAMETA

Così morto fuss'io, com'è ben vero

MONTANO

Ciò t'avverrà, s'anco nel resto menti.

E qual cagion ti mosse

a donar quello altrui, che tuo non era?

DAMETA

Deh non cercar più innanzi,

padron; deh non per dio, bastiti questo.

MONTANO

Più sete or me ne viene.

Ancor mi tieni a bada? Ancor non parli?

Morto, se' tu, s'un'altra volta il chiedo.

DAMETA

Perché m'avea l'oracolo predetto,

che 'l trovato bambin correa periglio,

se mai tornava alle paterne case,

d'esser dal padre ucciso.

CARINO

E questo è vero,

che mi trovai presente.

MONTANO

Ohimè, che tutto

già troppo è manifesto. Il caso è chiaro.

Col sogno, e col destin s'accorda il fatto.

CARINO

Or che ti resta più? Vuoi tu chiarezza

di questa anco maggior?

MONTANO

Troppo son chiaro.

Troppo dicesti tu. Troppo intes'io.

Cercato avess'io men. Tu men saputo.

O Carino, Carino,

come teco dolor cangio, e fortuna.

Come gli affetti tuoi son fatti miei.

Questo è mio figlio. Oh figlio

troppo infelice d'infelice padre:

figlio dall'onde assai più fieramente

salvato, che rapito:

poiché cader per le paterne mani

dovevi ai sacri altari,

e bagnar del tuo sangue il patrio suolo.

CARINO

Padre tu di Mirtillo? Oh meraviglia.

In che modo il perdesti?

MONTANO

Rapito fu da quel diluvio orrendo,

che testé mi dicevi. Oh caro pegno,

tu fusti salvo allor, che ti perdei;

ed or solo ti perdo,

perché trovato sei.

CARINO

Oh provvidenza eterna,

con qual alto consiglio,

tanti accidenti hai fin'a qui sospesi,

per farli poi cader tutti in un punto.

Gran cosa hai tu concetta;

gravida se' di mostruoso parto,

o gran bene, o gran male

partorirai tu certo.

MONTANO

Questo fu quel, che mi predisse il sogno.

Ingannevole sogno;

nel mal troppo verace;

nel ben troppo bugiardo:

questa fu quella insolita pietate:

quell'improvviso orrore,

che nel mover del ferro

sentii scorrer per l'ossa:

ch'aborriva natura un così fiero,

per man del padre, abominevol colpo.

CARINO

Ma che? Darai tu dunque

a sì nefando sacrificio effetto?

MONTANO

Non può per altra man vittima umana

cader a questi altari.

CARINO

Il padre al figlio

darà dunque la morte?

MONTANO

Così comanda a noi la nostra legge.

E qual sarà di perdonarla altrui

carità sì possente, se non volle

perdonar a sé stesso il fido Aminta?

CARINO

Oh malvagio destino,

dove m'hai tu condotto?

MONTANO

A veder di duo padri

la soverchia pietà fatta omicida;

la tua verso Mirtillo,

la mia verso gli dèi.

Tu credesti salvarlo

col negar d'esser padre, e l'hai perduto.

Io cercando, e credendo

d'uccider il tuo figlio,

il mio trovo, e l'uccido.

CARINO

Ecco l'orribil mostro,

che partorisce il fato. Oh caso atroce;

oh Mirtillo mia vita. È questo quello,

che m'ha di te l'oracolo predetto?

Così nella mia terra

mi fai felice? Oh figlio,

figlio di questo sventurato vecchio

già sostegno, e speranza; or pianto, e morte.

MONTANO

Lascia a me queste lagrime, Carino,

che piango il sangue mio.

Ah perché sangue mio,

se l'ho da sparger io? Misero figlio,

perché ti generai? Perché nascesti?

A te dunque la vita

salvò l'onda pietosa,

perché te la togliesse il crudo padre?

Santi numi immortali,

senz'il cui alto intendimento eterno,

neppur in mar un'onda

si move, o in aria spirto, o in terra fronda,

qual sì grave peccato

ho contra voi commesso, ond'io sia degno

di venir col mio seme in ira al cielo?

Ma s'ho pur peccat'io,

in che peccò il mio figlio?

Ché non perdoni a lui?

E con un soffio del tuo sdegno ardente

me folgorando, non ancidi, o Giove?

Ma se cessa il tuo strale,

non cesserà il mio ferro.

Rinnoverò d'Aminta

il doloroso esempio;

e vedrà prima il figlio estinto il padre,

che 'l padre uccida di sua mano il figlio.

Mori dunque, Montano. Oggi morire

a te tocca, a te giova.

Numi, non so s'io dica

del cielo, o dell'inferno,

che col duolo agitate

la disperata mente;

ecco, il vostro furore;

poiché così vi piace, ho già concetto.

Non bramo altro che morte: altra vaghezza

non ho, che del mio fine.

Un funesto desio d'uscir di vita

tutto m'ingombra, e par che mi conforte.

Alla morte, alla morte.

CARINO

Oh infelice vecchio;

come il lume maggiore

la minor luce abbaglia,

così il dolor, che del tuo male i' sento,

il mio dolore ha spento.

Certo se' tu d'ogni pietà ben degno.

 

Dameta ->

 

Scena sesta

Tirenio. Montano. Carino.

<- Tirenio

 

TIRENIO

Affrettati, mio figlio,  

ma con sicuro passo,

sì ch'i' possa seguirti, e non inciampi

per questo dirupato, e torto calle,

col piè cadente, e cieco.

Occhio se' tu di lui, come son io

occhio della tua mente:

e quando sarai giunto

innanzi al sacerdote, ivi ti ferma.

MONTANO

Ma non è quel, che colà veggio il nostro

venerando Tirenio,

ch'è cieco in terra, e tutto vede in cielo?

Qualche gran cosa il move:

che da molt'anni in qua non s'è veduto

fuor della sacra cella.

CARINO

Piaccia all'alta bontà de' sommi dèi

che per te lieto, ed opportuno giunga.

MONTANO

Che novità vegg'io, padre Tirenio?

Tu fuor del tempio? Ove ne vai? Che porti?

TIRENIO

A te solo ne vengo;

e nuove cose porto, e nuove cerco.

MONTANO

Come teco non è l'ordine sacro?

Che tarda? Ancor non torna

con la purgata vittima, e col resto,

ch'all'interrotto sacrificio manca?

TIRENIO

Oh quanto spesso giova

la cecità degli occhi al veder molto.

Ch'allor non traviata

l'anima, ed in sé stessa

tutta raccolta, suole

aprir nel cieco senso occhi lincei.

Non bisogna, Montano,

passar sì leggermente alcuni gravi

non aspettati casi,

che tra l'opere umane han del divino.

Però che i sommi dèi

non conversano in terra,

né favellan con gli uomini mortali;

ma tutto quel di grande, o di stupendo,

ch'al cieco caso il cieco volgo ascrive,

altro non è che favellar celeste:

così parlan tra noi gli eterni numi:

queste son le lor voci;

mute all'orecchie, e risonanti al core

di chi le 'ntende. Oh quattro volte, e sei

fortunato colui, che ben le 'ntende.

Stava già per condur l'ordine sacro,

come tu comandasti, il buon Nicandro;

ma il ritenn'io per accidente nuovo

nel tempio occorso: ed è ben tal, che mentre

vo con quello accoppiandolo, che quasi

in un medesmo tempo

è oggi a te incontrato:

un non so che d'insolito, e confuso

tra speranza, e timor tutto m'ingombra,

che non intendo: e quanto men l'intendo,

tanto maggior concetto

o buono, o rio ne prendo.

MONTANO

Quel che tu non intendi,

troppo intend'io miseramente, e 'l provo.

Ma dimmi. A te, che puoi

penetrar del destin gli alti segreti,

cosa alcuna s'asconde?

TIRENIO

Oh figlio, figlio:

se volontario fosse

del profetico lume il divin'uso,

saria don di natura, e non del cielo.

Sento ben io nell'indigesta mente,

che 'l ver m'asconde il fato,

e si riserba alto segreto in seno.

Questa sola cagione a te mi mosse,

vago d'intender meglio,

chi è colui, che s'è scoperto padre

(se da Nicandro ho ben inteso il fatto)

di quel garzon, ch'è destinato a morte.

MONTANO

Troppo il conosci. Oh quanto

ti dorrà poi, Tirenio,

ch'ei ti sia tanto noto, e tanto caro.

TIRENIO

Lodo la tua pietà, ch'umana cosa

è l'aver degli afflitti

compassione, oh figlio. Nondimeno

fa' pur, che seco i' parli.

MONTANO

Veggio ben'or, che 'l cielo,

quanto aver già solevi,

di presaga virtute, in te sospende.

Quel padre, che tu chiedi,

e con cui brami di parlar, son io.

TIRENIO

Tu padre di colui, ch'è destinato

vittima alla gran dèa?

MONTANO

Son quel misero padre

di quel misero figlio.

TIRENIO

Di quel fido pastore,

che, per dar vita altrui, s'offerse a morte?

MONTANO

Di quel, che fa morendo

viver, chi gli dà morte;

morir, chi gli diè vita.

TIRENIO

E questo è vero?

MONTANO

Eccone il testimonio.

CARINO

Ciò che t'ha detto è vero.

TIRENIO

E chi se' tu, che parli?

CARINO

Io son Carino,

padre fin qui di quel garzon creduto.

TIRENIO

Sarebbe questo mai quel tuo bambino,

che ti rapì il diluvio?

MONTANO

Ah tu l'hai detto,

Tirenio.

TIRENIO

E tu per questo

ti chiami padre misero, Montano?

Oh cecità delle terrene menti;

in qual profonda notte,

in qual fosca caligine d'errore

son le nostr'alme immerse,

quando tu non le illustri, oh sommo sole.

A che del saper vostro

insuperbite, oh miseri mortali?

Questa parte di noi, che 'ntende, e vede,

non è nostra virtù, ma vien dal cielo.

Esso la dà come a lui piace, e toglie.

O Montano, di mente assai più cieco,

che non son io di vista,

qual prestigio, qual demone t'abbaglia,

sì, che s'egli è pur vero,

che quel nobil garzon sia di te nato,

non ti lasci veder, ch'oggi se' pure

il più felice padre,

il più caro agli dèi di quanti al mondo

generasser mai figli?

Ecco l'alto segreto,

che m'ascondeva il fato.

Ecco il giorno felice,

con tanto nostro sangue,

e tante nostre lagrime aspettato.

Ecco il beato fin de' nostri affanni.

Oh Montano, ove se'? Torna in te stesso.

Come a te solo è della mente uscito

l'oracolo famoso?

Il fortunato oracolo nel core

di tutta Arcadia impresso?

Come, col lampeggiar, ch'oggi ti mostra

inaspettatamente il caro figlio,

non senti il tuon della celeste voce?

Non avrà prima fin quel, che v'offende

che duo semi del ciel congiunga Amore.

(Scaturiscon dal core

lagrime di dolcezza in tanta copia,

ch'io non posso parlar). Non avrà prima

non avrà prima fin quel, che v'offende,

che duo semi del ciel congiunga Amore;

e di donna infedel l'antico errore,

l'alta pietà d'un PASTOR FIDO ammende.

Or dimmi tu, Montan; questo pastore,

di cui si parla; e che dovea morire,

non è seme del ciel, s'è di te nato?

Non è seme del cielo anco Amarilli?

E chi gli ha insieme avvinti altro che Amore?

Silvio fu dai parenti e fu per forza

con Amarilli in matrimonio stretto.

Ed è tanto lontan, che gli strignesse

nodo amoroso; quanto

l'aver in odio è dall'amar lontano.

Ma s'esamini il resto, apertamente

vedrai, che di Mirtillo ha solo inteso

la fatal voce. E qual si vide mai,

dopo il caso d'Aminta,

fede d'amor, che s'agguagliasse a questa

chi ha voluto mai per la sua donna,

dopo il fedele Aminta,

morir se non Mirtillo?

Questa è l'alta pietà del Pastor fido,

degna di cancellar l'antico errore

dell'infedele, e misera Lucrina.

Con quest'atto mirabile, e stupendo,

più, che col sangue umano,

l'ira del ciel si placa,

e quel si rende alla giustizia eterna,

che già le tolse il femminile oltraggio.

Questa fu la cagion, che non sì tosto

giuns'egli al tempio a rinnovar il voto,

che cessar tutti i mostruosi segni.

Non stilla più dal simulacro eterno

sudor di sangue: e più non trema il suolo,

né strepitosa più, né più putente

è la caverna sacra: anzi da lei

vien sì dolce armonia, sì grato odore,

che non l'avrebbe più soave il cielo,

se voce, o spirto aver potesse il cielo.

Oh alta provvidenza, oh sommi dèi;

se le parole mie

fosser anime tutte,

e tutte al vostro onore

oggi le consacrassi; alle dovute

grazie non basterian di tanto dono

ma come posso, ecco le rendo: oh santi

numi del ciel, con le ginocchia a terra

umilemente. Oh quanto

vi son io debitor, perch'oggi vivo.

Ho di mia vita corsi

cent'anni già, né seppi mai che fosse

viver, né mi fu mai

la cara vita, se non oggi cara.

Oggi a viver comincio; oggi rinasco.

Ma che perd'io con le parole il tempo,

che si dée dar'all'opre?

Ergimi figlio, che levar non posso

già senza te queste cadenti membra.

MONTANO

Un'allegrezza ho nel mio cor, Tirenio,

con sì stupenda meraviglia unita,

che son lieto, e no 'l sento.

Né può l'alma confusa

mostrar di fuor la ritenuta gioia.

Sì tutti lega alto stupore i sensi.

Oh non veduto mai, né mai più inteso

miracolo del cielo:

oh grazia senza esempio:

oh pietà singolar de' sommi dèi.

Oh fortunata Arcadia:

oh sovra quante il sol ne vede, e scalda,

terra gradita al ciel, terra beata.

Così il tuo ben m'è caro,

che 'l mio non sento: e del mio caro figlio,

che due volte ho perduto,

e due volte trovato; e di me stesso,

che da un abisso di dolor trapasso

a un abisso di gioia,

mentre penso di te; non mi sovviene,

e si disperde il mio diletto; quasi

poca stilla insensibile confusa

nell'ampio mar delle dolcezze tue.

Oh benedetto sogno,

sogno non già, ma vision celeste:

ecco ch'Arcadia mia,

come dicesti tu, sarà ancor bella.

TIRENIO

Ma che tardi, Montano?

Da noi più non attende

vittima umana il cielo.

Non è più tempo di vendetta, e d'ira;

ma di grazia, e d'amore. Oggi comanda

la nostra dèa, che 'nvece

di sacrificio orribile, e mortale,

si faccian liete, e fortunate nozze.

Ma dimmi tu, quant'ha di vivo il giorno.

MONTANO

Un'ora, o poco più.

TIRENIO

Così vien sera?

Torniamo al tempio; e quivi immantinente

la figliuola di Titiro, e 'l tuo figlio

si dian la fede maritale, e sposi

divengano d'amanti; e l'un conduca

l'altra ben tosto alle paterne case,

dove convien prima che 'l sol tramonti,

che sian congiunti i fortunati eroi.

Così comanda il ciel. Tornami, figlio,

onde m'hai tolto: e tu, Montan, mi segui:

MONTANO

Ma guarda ben, Tirenio,

che senza violar la santa legge,

non può ella a Mirtillo

dar quella fé, che fu già data a Silvio.

CARINO

Ed a Silvio fiè data

parimente la fede: che Mirtillo

fin dal suo nascimento ebbe tal nome,

se dal tuo servo mi fu detto il vero:

ed egli si compiacque,

ch'io 'l nomassi Mirtillo, anzi che Silvio.

MONTANO

Gli è vero. Or mi sovviene, e cotal nome

rinnovai nel secondo,

per consolar la perdita del primo.

TIRENIO

Il dubbio era importante. Or tu mi segui.

 

Tirenio ->

MONTANO

Carino, andiamo al tempio. E da qui innanzi

duo padri avrà Mirtillo. Oggi ha trovato

Montano un figlio, ed un fratel Carino.

CARINO

D'amor padre a Mirtillo; a te fratello;

di riverenza all'un servo, ed all'altro

sarà sempre Carino.

E poi che verso me se' tanto umano,

ardirò di pregarti,

che ti sia caro il mio compagno ancora,

senza cui non sarei caro a me stesso.

MONTANO

Fanne quel, ch'a te piace.

CARINO

Eterni numi: oh come son diversi

quegli alti inaccessibili sentieri,

onde scendono a noi le vostre grazie

da que' fallaci, e torti,

onde i nostri pensier salgono al cielo.

 

Montano, Carino ->

 

Scena settima

Corisca. Linco.

<- Corisca, Linco

 

CORISCA

E così Linco il dispietato Silvio,  

quando men se 'l pensò, divenne amante.

Ma che seguì di lei?

LINCO

Noi la portammo

alle case di Silvio, ove la madre

con lagrime l'accolse,

non so se di dolcezza, o di dolore.

Lieta sì, che 'l suo figlio

già fosse amante, e sposo; ma del caso

della ninfa dolente, e di due nuore

suocera mal fornita,

l'una morta piangea, l'altra ferita.

CORISCA

Pur è morta Amarilli?

LINCO

Dovea morir. Così portò la fama.

Per questo sol mi mossi inverso 'l tempio

a consolar Montano, che perduta

s'oggi ha una nuora, ecco ne trova un'altra.

CORISCA

Dunque Dorinda non è morta?

LINCO

Morta?

Fossi sì viva tu; fossi sì lieta.

CORISCA

Non fu dunque mortal la sua ferita?

LINCO

Alla pietà di Silvio,

se morta fosse stata,

viva saria tornata.

CORISCA

E con qual arte

sanò sì tosto?

LINCO

I' ti dirò da capo

tutta la cura: e meraviglie udrai.

Stavan d'intorno alla ferita ninfa

tutti con pronta mano,

e con tremante core uomini e donne:

ma ch'altri la toccasse

non volle mai, che Silvio suo: dicendo,

la man, che mi ferì, quella mi sani.

Così soli restammo,

Silvio, la madre, ed io,

duo col consiglio, un con la mano oprando.

Quell'ardito garzon, poi che levata

ebbe soavemente

dal nudo avorio ogni sanguigna spoglia,

tentò di trar dalla profonda piaga

la confitta saetta: ma cedendo,

non so come, alla mano

l'insidioso calamo, nascosto

tutto lasciò nelle latebre il ferro.

Qui daddovero incominciar l'angosce.

Non fu possibil mai,

né con maestra mano,

né con ferrigno rostro,

né con altro argomento indi spiantarlo.

Forse con altra assai più larga piaga

la piaga aprendo, alle segrete vie

del ferro penetrar con altro ferro

si poteva, o doveva;

ma troppo era pietosa, e troppo amante,

per sì cruda pietà la man di Silvio.

Con sì fieri strumenti,

certo non sana i suoi feriti Amore.

Quantunque alla fanciulla innamorata

sembrasse che 'l dolor si raddolcisse

tra le mani di Silvio;

il qual perciò nulla smarrito, disse:

«quinci uscirai ben tu, ferro malvagio,

e con pena minor, che tu non credi».

Chi t'ha spinto qui dentro,

è ben anco di trartene possente:

ristorerò con l'uso della caccia

quel danno, che per l'uso

della caccia patisco.

D'un'erba or mi sovviene,

ch'è molto nota alla silvestre capra,

quand'ha lo stral nel saettato fianco:

essa a noi la mostrò, natura a lei.

Né gran fatto è lontana. Indi partissi,

e nel colle vicin subitamente,

coltone un fascio, a noi se n' venne; e quivi

trattone succo, e misto

con seme di verbena; e la radice

giuntavi del centauro; un molle impiastro

ne feo sopra la piaga.

Oh mirabil virtù. Cessa il dolore

subitamente, e si ristagna il sangue;

e 'l ferro indi a non molto,

senza fatica, o pena

la man seguendo, ubbidiente n'esce.

Tornò il vigor nella donzella, come

se non avesse mai piaga sofferta.

La qual però mortale

veramente non fu: però che 'ntatto

quinci l'alvo lasciando, e quindi l'ossa,

nel muscoloso fianco

era sol penetrata.

CORISCA

Gran virtù d'erba, e via maggior ventura

di donzella mi narri.

LINCO

Quel che tra lor sia succeduto poi,

si può piuttosto immaginar, che dire.

Certo è sana Dorinda; ed or si regge

sì ben sul fianco, che di lui servirsi

ad ogn'uso ella può. Con tutto questo,

credo, Corisca, e tu fors'anco il credi,

che di più d'uno stral ferita sia

ma come l'han trafitta arme diverse,

così diverse ancor le piaghe sono.

D'altra è fero il dolor, d'altra è soave:

l'una saldando si fa sana, e l'altra

quanto si salda men, tanto più sana:

e quel fero garzon di saettare,

mentr'era cacciator, fu così vago,

che non perde costume; ed or ch'egli ama,

di ferir anco ha brama.

CORISCA

Oh Linco: ancor se' pure

quell'amoroso Linco,

che fosti sempre.

LINCO

Oh Corisca mia cara,

d'animo Linco, e non di forze sono;

e 'n questo vecchio tronco

è più che fosse mai verde il desio.

CORISCA

Or ch'è morta Amarilli

mi resta di veder quel ch'è seguito

del mio caro Mirtillo.

 

Linco ->

 

Scena ottava

Ergasto. Corisca.

<- Ergasto

 

ERGASTO

Oh giorno pien di meraviglie: oh giorno  

tutt'amor, tutto grazie, e tutto gioia:

oh terra avventurosa, oh ciel cortese.

CORISCA

Ma ecco Ergasto. Oh come viene a tempo.

ERGASTO

Oggi ogni cosa si rallegri: terra,

cielo, aria, foco, e 'l mondo tutto rida.

Passi il nostro gioire

anco fin nell'inferno,

né oggi e' sia luogo di pene eterno.

CORISCA

Quanto è lieto costui.

ERGASTO

Selve beate;

se sospirando in flebili sussurri,

al nostro lamentar vi lamentaste,

gioite anco al gioire; e tante lingue

sciogliete, quante frondi

scherzano al suon di queste,

piene del gioir nostro aure ridenti.

Cantate le venture, e le dolcezze

de' duo beati amanti.

CORISCA

Egli per certo

parla di Silvio, e di Dorinda. Insomma,

viver bisogna. Tosto

il fonte delle lagrime si secca;

ma il fiume della gioia abbonda sempre.

Della morta Amarilli,

ecco più non si parla; e sol s'ha cura

di goder con chi gode. Ed è ben fatto.

Purtroppo è pien di guai la vita umana.

Ove si va sì consolato, Ergasto?

A nozze forse?

ERGASTO

E tu l'hai detto appunto.

Inteso hai tu l'avventurosa sorte

de' duo felici amanti? Udisti mai

caso maggior, Corisca?

CORISCA

I' l'ho da Linco,

con molto mio piacer, pur ora udito.

E quel dolor ho mitigato in parte,

che per la morte d'Amarilli i' sento.

ERGASTO

Morta Amarilli? E come? E di qual caso

parli tu ora? O pensi tu ch'io parli?

CORISCA

Di Dorinda, e di Silvio.

ERGASTO

Che Dorinda, che Silvio.

Nulla dunque sai tu. La gioia mia

nasce da più stupenda,

e più alta, e più nobile radice.

D'Amarilli ti parlo, e di Mirtillo:

coppia di quante oggi ne scaldi Amore,

la più contenta, e lieta.

CORISCA

Non è morta

dunque Amarilli?

ERGASTO

Come morta? È viva

e lieta, e bella, e sposa.

CORISCA

Eh tu mi beffi.

ERGASTO

Ti beffo? Il vedrai tosto.

CORISCA

A morir dunque

condannata non fu?

ERGASTO

Fu condannata,

ma tosto anche assoluta.

CORISCA

Narri tu sogni, oppur sognando ascolto?

ERGASTO

Tosto la vedrai tu, se qui ti fermi,

col fortunato suo fedel Mirtillo

uscir dal tempio, ov'ora sono; e data

s'hanno la fe' già maritale; e verso

le case di Montano ir li vedrai,

per cor di tante, e di sì lunghe loro

amorose fatiche, il dolce frutto.

Oh se vedessi l'allegrezza immensa;

s'udissi il suon delle gioiose voci,

Corisca. Già d'innumerabil turba

è tutto pieno il tempio: uomini, e donne

quivi vedresti tu; vecchi, e fanciulli:

sacri, e profani in un confusi, e misti;

e poco men che per letizia insani.

Ognun con meraviglia

corre a veder la fortunata coppia.

Ognun la riverisce, ognun l'abbraccia:

chi loda la pietà, chi la costanza;

chi le grazie del ciel, chi di natura.

Risuona il monte, e 'l pian, le valli e i poggi

del Pastor fido il glorioso nome.

Oh ventura d'amante,

il divenir sì tosto

di povero pastore un semideo.

Passar in un momento

da morte a vita; e le vicine esequie

cangiar con sì lontane,

e disperate nozze;

ancor che molto sia,

Corisca, è però nulla.

Ma goder di colei, per cui morendo,

anco godeva? Di colei, che seco

volle sì prontamente

concorrer di morir, non che d'amare?

Correr in braccio di colei, per cui

dianzi sì volentier correva a morte?

Questa è ventura tal, questa è dolcezza,

ch'ogni pensiero avanza.

E tu non ti rallegri? E tu non senti

per Amarilli tua quella letizia,

che sent'io per Mirtillo?

CORISCA

Anzi sì pur, Ergasto;

mira come son lieta.

ERGASTO

Oh se tu avessi

veduta la bellissima Amarilli;

quando la man per pegno della fede

a Mirtillo ella porse;

e per pegno d'amor Mirtillo a lei,

un dolce sì, ma non inteso bacio,

non so se dir mi debbia, o diede, o tolse,

saresti certo di dolcezza morta,

che purpura? Che rose?

Ogni colore o di natura, o d'arte

vincean le belle guance;

che vergogna copriva

con vago scudo di beltà sanguigna,

che forza di ferirle

al feritor giungeva;

ed ella in atto ritrosetta, e schiva,

mostrava di fuggire

per incontrar più dolcemente il colpo;

e lasciò in dubbio, se quel bacio fosse

o rapito, o donato,

con sì mirabil arte

fu conceduto, e tolto. E quel soave

mostrarsene ritrosa,

era un no, che voleva: un atto misto

di rapina, e d'acquisto;

un negar sì cortese, che bramava

quel che negando, dava:

un vietar, ch'era invito,

sì dolce d'assalire,

ch'a rapir, chi rapiva, era rapito:

un restar, e fuggire,

ch'affrettava il rapire.

Oh dolcissimo bacio.

Non posso più Corisca.

Vo diritto, diritto

a trovarmi una sposa:

che 'n sì alte dolcezze,

non si può ben gioir, se non amando.

 

Ergasto ->

CORISCA

Se costui dice il vero;

questo è quel dì, Corisca,

che tutto perdi, o tutto acquisti il senno.

 

Scena nona

Coro di Pastori. Corisca. Amarilli. Mirtillo.

<- pastori

 

CORO

Vieni santo Imeneo;  

seconda i nostri voti, e i nostri canti,

scorgi i beati amanti,

l'uno, e l'altro celeste semideo;

stringi il nodo fatal santo Imeneo.

 

CORISCA

Ohimè che troppo è vero. E cotal frutto  

dalle tue vanità, misera, mieti.

Oh pensieri, oh desiri

non meno ingiusti, che fallaci, e vani.

Dunque d'una innocente

ho bramata la morte,

per adempir le mie sfrenate voglie?

Sì cruda fui? Sì cieca?

Chi m'apre or gli occhi? Ah misera che veggio?

L'orror del mio peccato,

che di felicità sembianza avea.

 

CORO

Vieni santo Imeneo;

seconda i nostri voti, e i nostri canti,

scorgi i beati amanti,

l'uno, e l'altro celeste semideo;

stringi il nodo fatal santo Imeneo,

deh mira, o Pastor fido,

dopo lagrime tante,

e dopo tanti affanni ove se' giunto.

Non è questa colei, che t'era tolta

dalle leggi del cielo, e della terra?

Dal tuo crudo destino?

Dalle sue caste voglie?

Dal tuo povero stato?

Dalla sua data fede, e dalla morte?

Eccola tua, Mirtillo.

Quel volto amato tanto, e que' begli occhi:

quel seno, e quelle mani,

e quel tutto, che miri, ed odi, e tocchi,

da te già tanto sospirato invano,

sarà ora mercede

della tua invitta fede. E tu non parli?

 

<- Mirtillo, Amarilli

MIRTILLO

Come parlar poss'io,  

se non so d'esser vivo?

Né so s'io veggia, o senta

quel, che pur di vedere,

e di sentir mi sembra?

Dica la mia dolcissima Amarilli;

però che tutta in lei

vive l'anima mia, gli affetti miei.

 

CORO

Vieni santo Imeneo;

seconda i nostri voti, e i nostri canti,

scorgi i beati amanti,

l'uno, e l'altro celeste semideo;

stringi il nodo fatal santo Imeneo.

 

CORISCA

Ma che fate voi meco,

vaghezze insidiose, e traditrici;

fregi del corpo vil, macchie dell'alma?

Itene. Assai m'avete

ingannata, e schernita.

E perché terra sete, itene a terra.

D'amor lascivo un tempo arme vi fei,

or vi fo d'onestà spoglie, e trofei.

 

CORO

Vieni santo Imeneo;

seconda i nostri voti, e i nostri canti,

scorgi i beati amanti,

l'uno, e l'altro celeste semideo;

stringi il nodo fatal santo Imeneo.

 

CORISCA

Ma che badi, Corisca?

Comodo tempo è di trovar perdono:

che fai? Temi la pena?

Ardisci pur: che pena

non puoi aver maggior della tua colpa.

Coppia beata, e bella,

tanto del cielo, e della terra amica

s'al vostro altero fato oggi s'inchina

ogni terrena forza;

ben'è ragion, che vi s'inchini ancora

colei, che contra il vostro fato, e voi

ha posto in opra ogni terrena forza.

Già no 'l nego, Amarilli, anch'io bramai

quel, che bramasti tu: ma tu te 'l godi,

perché degna ne fusti.

Tu godi il più leale

pastor, che viva, e tu, Mirtillo, godi

la più pudica ninfa

di quante n'abbia, o mai n'avesse il mondo

credete'l pur a me, che cote fui

di fede all'uno, e d'onestate all'altra.

Ma tu, ninfa cortese,

prima che l'ira tua sopra me scenda;

mira nel volto del tuo caro sposo:

quivi del mio peccato,

e del perdono tuo vedrai la forza.

In virtù di sì caro

amoroso tuo pegno

all'amoroso fallo oggi perdona,

amorosa Amarilli: ed è ben dritto,

ch'oggi perdon delle sue colpe trovi

Amore in te, se le sue fiamme provi.

AMARILLI

Non solo i' ti perdono.

Corisca, ma t'ho cara:

l'effetto sol, non la cagion mirando:

che 'l ferro, e 'l foco, ancor che doglia apporti,

pur che risani, a chi fu sano, è caro,

qualunque mi sii stata

oggi amica, o nemica,

basta a me, che 'l destino

t'usò per felicissimo strumento

d'ogni mia gioia. Avventurosi inganni,

tradimenti felici, E se ti piace

d'esser lieta ancor tu, vientene, e godi

delle nostre allegrezze.

CORISCA

Assai lieta son io

del perdon ricevuto, e del cor sano.

MIRTILLO

Ed io pur ti perdono

ogni offesa, Corisca, se non questa

troppo importuna tua lunga dimora.

CORISCA

Vivete lieti: addio.

 

Corisca ->

CORO

Vieni santo Imeneo,

seconda i nostri voti, e i nostri canti,

scorgi i beati amanti,

l'uno, e l'altro celeste semideo,

stringi il nodo fatal santo Imeneo.

 

Scena decima

Mirtillo. Amarilli. Coro di Pastori.

 

MIRTILLO

Così dunque son io  

avvezzo di penar, che mi conviene

in mezzo delle gioie anco languire?

Assai non ci tardava

di questa pompa il neghittoso passo,

se tra' piè non mi dava anco quest'altro

intoppo di Corisca?

AMARILLI

Ben se' tu frettoloso.

MIRTILLO

O mio tesoro,

ancor non son sicuro, ancor'i' tremo,

né sarò certo mai di possederti,

perfin che nelle mie case

non se' del padre mio fatta mia donna.

Questi mi paion sogni,

a dirti il vero, e mi par d'ora in ora

che 'l sonno mi si rompa,

e che tu mi t'involi, anima mia.

Vorrei pur ch'altra prova

mi fesse omai sentire

che 'l mio dolce vegghiar non è dormire.

 

CORO DI PASTORI

Vieni santo Imeneo,

seconda i nostri voti, e i nostri canti,

scorgi i beati amanti,

l'uno, e l'altro celeste semideo,

stringi il nodo fatal santo Imeneo.

 
 

CORO ULTIMO

Oh fortunata coppia,  

che pianto ha seminato, e riso accoglie;

con quante amare doglie

hai raddolciti tu gli affetti tuoi.

Quinci imparate voi,

o ciechi, e troppo teneri mortali

i sinceri diletti, e i veri mali.

Non è sana ogni gioia,

né mal ciò che v'annoia.

Quello è vero gioire,

che nasce da virtù dopo il soffrire.

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Fine (Atto quinto)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo Atto quarto Atto quinto

Arcadia.

Uranio, Carino
 

Per tutto è buona stanza, ov'altri goda

Uranio, Carino ->
<- Titiro

Che piangerò di te prima, mia figlia

Titiro
<- Messo

Se non è morto; o se per l'aria i venti

Messo, Titiro ->
<- pastori, sacerdoti, Montano, Mirtillo

Drizzate omai gli altari

 

 
pastori, sacerdoti, Montano, Mirtillo
<- Carino, Nicandro

Chi vide mai sì rari abitatori

 

 

Montano, Carino
Mirtillo, Nicandro, sacerdoti, pastori ->
Montano, Carino
<- Dameta

Ma tu, vecchio importuno

Montano, Carino
Dameta ->
Montano, Carino
<- Tirenio

Affrettati, mio figlio

Montano, Carino
Tirenio ->

Montano, Carino ->
<- Corisca, Linco

E così Linco il dispietato Silvio

Corisca
Linco ->
Corisca
<- Ergasto

Oh giorno pien di meraviglie: oh giorno

Corisca
Ergasto ->

Corisca
<- pastori

Ohimè che troppo è vero. E cotal frutto

 
Corisca, pastori
<- Mirtillo, Amarilli

Come parlar poss'io

 

 

pastori, Mirtillo, Amarilli
Corisca ->
 

Così dunque son io

 
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima
Arcadia. Arcadia. Arcadia. Arcadia. Arcadia. Arcadia.
Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo Atto quarto

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