Atto terzo

 

Scena prima

Prigione.
Manlio e poi Servilia.

 Q 

Manlio

 

MANLIO

Sonno, se pur sei sonno e non orrore,  

spargi d'ombra funesta il ciglio mio.

Sonno, se pur sei sonno e non orrore,

spargi d'ombra funesta il ciglio mio.

 

<- Servilia

SERVILIA

Deposta Amor la benda,  

chiusi ha i begl'occhi al sonno,

ma uniti in questi orrori,

sonno, e catene, o dio! come andar ponno?

La catena, che troppo

è grave pondo al piede, infin penosi

rende i suoi riposi.

Vanne, o Servilia, e la solleva alquanto.

 

Tu dormi in tante pene,    

e qui per tormentarti

vegliano le catene.

Dormite, o luci vaghe,

sfere del foco mio,

delizie di mie piaghe,

amato bene.

Tu dormi in tante pene,

e qui per tormentarti

vegliano le catene.

S

 

SERVILIA

(prende in mano le catene)  

Oh! crudo indegno laccio,

potesse il pianto mio...

MANLIO
(sognando)

Cara, t'abbraccio.

SERVILIA

Manlio!

MANLIO
(si risveglia)

Servilia, o dèi, dove ti stringo?

nel carcere? tra ferri? e tu qui meco?

Compagna nel delitto

a me tu già non fosti,

e nel carcere mio mi sei compagna?

SERVILIA

Manlio, mio ben, cor mio:

qui da Tito impetrai

venir nelle tue luci

quel giorno a rimirar, che mi si asconde;

ma in quest'orrendo, e chiuso

sepolcro de' viventi

il fratello di morte, ah, con quai vani

importuni fantasmi

perturbò i tuoi riposi?

MANLIO

Ascolta: mi parea

colà nel Campidoglio

fra gli applausi, e le pompe, e circondato

dal popolo roman seder in alto

di carro d'or, che a i vincitor di guerra

Roma invitta prepara.

Pareami, che sul crine

con sua destra di luce

mi ponesse la gloria il verde alloro.

Tito il console in volto

teneri m'imprimeva

caldi paterni baci: e mi parea

meco sul carro assisa

stringer al sen te, mia consorte, e dea.

 
(Servilia piange)
 

MANLIO

Piangi? dan questi applausi al mio trionfo

le tue pupille? (O dèi.)

SERVILIA

Piango que' baci

che ti stampò sulla tradita imago

il genitor tiranno.

MANLIO

Chi sa: talor co' sogni il ciel favella.

Dalle labbra di Tito uscir potrebbe

nel bacio, ch'io sognai,

il messaggio di pace al mio tormento.

SERVILIA

Ah, che bacio sognato è tradimento.

Portai le preci a Tito:

poco il labbro parlò, ché a i mesti lumi

lasciai l'uffizio: e questi impiegar tutta

la facondia del pianto.

Ma Tito ancor più crudo

del crudel Radamanto,

lodò il mio dir, e negò il dono: e disse,

che fato irrevocabile già scrisse.

MANLIO

Son reo, bella Servilia: e reo di morte.

Il fratello t'uccisi.

SERVILIA

Eh, ché al fratel non penso: ed al pensiero

il toglie la cagione,

per cui nel suol per la tua destra ei cadde.

Penso a te, del mio cor parte più cara:

ma di perderti, lassa;

or, ch'io sono in periglio,

Manlio, di te, di me, che mai sarà?

MANLIO

Sia ciò, che vuol Fortuna,

ché a te dovunque io sia sarò fedele.

Non pianger più; l'avversa

malignità degli astri

meco sopporta, e soffri

l'ingiustizia del fato,

che al nostro amor sempre nemico fu.

 
(Servilia piange)
 

MANLIO

Deh: cara anima mia, non pianger più.

Senti: a Tito ritorna.

Gli obblighi tuoi, gli oblighi miei tu esprimi;

perché a me fra quest'ombre

di venir ti concesse:

digli, che per portarmi alle sue piante

nel labbro tuo la supplica presento.

SERVILIA

Speri, con le preghiere,

duro ammollir quel core?

MANLIO

Spero, ché Tito a Manlio è genitore.

 

SERVILIA

Parto contenta,  

volto vezzoso,

labbro amoroso,

e sperar voglio,

che l'aspra sorte

si cangerà.

Il ciel irato,

forse placato,

al gran cordoglio,

il dolce balsamo

ci recherà.

Parto contenta,

volto vezzoso,

labbro amoroso,

e sperar voglio,

che l'aspra sorte

si cangerà.

 
 

Scena seconda

Manlio. Lucio che sopraggiunge leggendo, Servilia in disparte.

<- Lucio

 

MANLIO

Toglie, s'ella più resta,  

al mio cor sempre forte

parte del suo vigor, e indebolisce

la mia costanza.

LUCIO

Manlio.

MANLIO

(Lucio?) Amico: se pure

il mio perfido fato

d'amico il nome, e l'opre a te non toglie.

LUCIO

A te nel carcer tenebroso, e cieco

e morte, e vita arreco.

(gli presenta la sentenza di Tito, Manlio la legge)

MANLIO

«A Manlio, che la legge

del senato, e del console, nel campo

de' nemici latini

non ubbidì, e Geminio

lor duce svenò in singolar cimento,

quando nuova dal mar sorge l'aurora

recisa sia l'indegna testa, e mora.»

(Manlio confuso pensa)

 

LUCIO

Degno campion del Tebro: al tuo valore,

ah, che mal corrisponde

la patria sconoscente;

e fa più che da giudice, e da padre

teco Tito crudele,

le parti da tiranno.

MANLIO

(È ver: peccato è trasgredir la legge)

LUCIO

Fuggi da questi orrori:

ti attendono, se vuoi, palme, ed allori.

MANLIO

Allori a Manlio? Eh Lucio, ben un tempo

più d'un allor mi circondò la chioma;

ora l'eroica fronda

anche indegni a mirar son questi rai.

La legge è trasgredita ed io peccai.

LUCIO

Odimi: in questo foglio

l'esercito latino

me per suo duce acclama.

Io per giovarti sol, non perché il grado

m'alletti, o m'innamori,

accetterò l'offerta; ed or, ch'è sorta

la notte, e che riposa,

per sorger poi più vigorosa, e forte,

la pena a darti morte;

in Roma bellicose

introdurrò le schiere:

e togliendoti a' ceppi, ed alla scure,

alzerò, tuo campione, aste, e bandiere

MANLIO

Ah, Lucio: ben si scorge

che il Tebro al tuo natal non diè le fasce,

e che non sai qual sia

petto roman, che intrepido resiste

a i colpi della sorte.

Il carcere io non veggo;

non sento le ritorte.

LUCIO

(Lucio, che ascolti!)

MANLIO

Sempre

il favor della patria, e quanto aspetta

a cittadin fedele

io fedelmente oprai:

né veggan del Tarpeo gl'incliti eroi,

che strugga Manlio i benefizi suoi.

Servilia: ora ben veggo,

che son bugie di sopor cieco i sogni.

Vergognoso teatro

di Manlio alle vittorie è il Campidoglio.

Sono applausi gli obbrobri,

trofei le calpestate

trombe della mia fama;

la scure è il sacro alloro:

fa il carnefice infame

della gloria la vice; e carro eccelso

del mio trionfo in popolata arena

dell'orrendo spettacolo è la scena.

 
(Servilia piangendo dice)

SERVILIA

Pena maggior non v'è della mia pena.

MANLIO

Mia Servilia: va': parti.

Bell'alma senza colpa; udir non déi

quest'ordine di pena, anzi di morte

apparato funesto.

Loco pe' gl'innocenti, ah, non è questo.

LUCIO

Io parto.

MANLIO

A Tito narra,

che di mia giusta morte

bacio il decreto: bacio

chi me l'arreca, e bacerò il ministro

esecutor, perché di lui ministro.

Aggiungi, che il mio labbro umile chiede,

se indegno è della mano,

anche baciar di chi lo scrisse il piede.

LUCIO

(O qual animo eccelso in lui risiede!)

 

Chi seguir vuol la costanza  

o non cerca il suo contento,

o tradisce il suo piacer.

Ché se il bene è in lontananza

troppo costa al debil core

di sospiri, e di tormento,

finché giunga al suo goder.

Chi seguir vuol la costanza

o non cerca il suo contento,

o tradisce il suo piacer.

 

Lucio ->

 

Scena terza

Manlio, Servilia.

 

MANLIO

Servilia, tu qui resti, e quel tormento  

che non mi dà l'annunzio

del mio morir vicino, or tu mi dai.

Va' con Lucio.

SERVILIA

Sì, vado, ora che veggo

che per fuggirmi corri

incontro alla bipenne;

e per far onta all'amorose faci,

pria, che baciar la sposa,

al carnefice reo tu porti i baci.

MANLIO

All'affetto d'amante...

(si volta, e vede Servilia)

Servilia tu non parti?

SERVILIA

Io movo il piede.

MANLIO

All'affetto di moglie...

SERVILIA

Come...

MANLIO

Ancor qui?

SERVILIA

M'affretto.

MANLIO

Virtù d'eroe...

(si volta e la vede)

T'intendo.

SERVILIA

Vedimi.

MANLIO

Restar tu vuoi lo veggo, e il so,

qui per più tormentarmi: io partirò.

 

SERVILIA

Non mi vuoi con te, o crudele,  

e pur sono a te fedele,

e pur teco io vo' morir.

MANLIO

Se ben parton gl'occhi miei,

tu negl'occhi ogn'ora sei

e mi dai pena e martir.

SERVILIA

Non mi vuoi con te, o crudele,

e pur sono a te fedele.

MANLIO

Di te amante ancor fedele,

e sarò nel mio morir.

SERVILIA

E pur sono a te fedele,

e pur teco io vo' morir.

 
 

Scena quarta

Sala nel palazzo di Tito.
Lindo e Vitellia.

 Q 

Lindo, Vitellia

 

LINDO

Signora: d'ogni intorno  

stanno genti raccolte:

stretti sono i discorsi,

folte le radunanze.

VITELLIA

Affretteran di Manlio

la strage co i lor voti: e accuseranno

d'interessato troppo

nell'affetto di padre

il genitor, che prolungò sua vita.

LINDO

Manlio non morirà?

VITELLIA

Sì, morirà, ma quando more il sole.

Tu va': ciò che ragiona,

sempre loquace il volgo,

di penetrar procura

pria che venga l'orror

di notte oscura.

 

Brutta cosa è il far la spia,  

ma far tutto ogn'ora suole

chi il pan d'altri ha da mangiar.

Può anche dir qualche bugia

e mischiar delle parole

onde il serio col faceto

s'abbia un poco da imbrogliar.

Brutta cosa è il far la spia,

ma far tutto ogn'ora suole

chi il pan d'altri ha da mangiar.

 

Lindo ->

 

Scena quinta

Lucio (che viene) e Vitellia.

<- Lucio

 

LUCIO

Bella Vitellia...  

VITELLIA

Fosti

al prigioniero? Intese

l'annunzio della pena a i suoi delitti?

LUCIO

Il foglio lesse.

VITELLIA

Lesse?

LUCIO

È la costanza,

virtù di chi è romano,

forte mostrò nell'incontrarlo invitto.

VITELLIA

Tolleranza sforzata

non è virtù.

LUCIO

Servigio della patria

fu Geminio trafitto.

VITELLIA

E mancante di fede il suo servigio

LUCIO

E me, che fido sono

servo di tua beltà, tu pur uccidi.

VITELLIA

Qual vanti servitù, s'oggi comincia?

LUCIO

Che de' tuoi rai cocenti

ardo, è lunga stagion; se ben la fiamma

in questo dì si scopre.

VITELLIA

Merto di servitù sol vien dall'opre.

LUCIO

Dimmi, che oprar dovrò, perché quel ciglio

splenda per me sereno?

VITELLIA

Tu mi reca di Manlio

il capo tronco, ed io t'avrò nel seno.

 

A te sarò fedele  

se fido a me sarai,

usando crudeltà.

Se da me tu vuoi la vita

aprir déi cruda ferita,

che vitale a te sarà.

A te sarò fedele

se fido a me sarai,

usando crudeltà.

 

Vitellia ->

 

Scena sesta

Lucio, poi Tito e Servilia che sopraggiungono.

 

LUCIO

Manlio mi baciò in volto, e in ricompensa  

il suo capo reciso

io porterò d'un'empia donna al piede?

Non sia mai ver:

non serbo alma di tigre in petto.

Né la crudel Vitellia;

avvezza sempre ad essere spietata

con questo cor fedele,

insegnerà al mio core

il divenir crudele.

Già la sua crudeltade

mi scioglie da' suoi lacci

e fa pormi in oblio la sua beltade.

Lascio, ma, come, o dio,

s'oppone il core amante al labbro mio.

Ah, tutto il suo rigore

estinguere non puote

in questo seno il troppo acceso ardore;

e, piena l'alma mia

del barbaro dolcissimo sembiante,

finge di non curarlo, e pur l'adora,

dice di non amarlo, e l'ama ancora.

 

Non basta al labbro  

sprezzar l'amore;

forz'è che il core

non voglia amar.

Quel non è fabbro

di nostra mente,

sol v'acconsente

col favellar.

Non basta al labbro

sprezzar l'amore;

forz'è che il core

non voglia amar.

 

Scena settima

Tito, Servilia, e detto.

<- Tito, Servilia

 

TITO

Ch'ei venga a me dinanzi  

in virtù di tue preci,

Servilia, comandai.

LUCIO

Baciarti il piede,

prima di spirar l'alma,

signor, Manlio ti chiede.

TITO

Manlio tosto fra ceppi a me sia scorto.

SERVILIA

(Di questo cor dolcissimo conforto.)

 

TITO

No che non vedrà Roma  

su queste luci il pianto,

son tutto crudeltà.

Già la pietade è doma,

e nel mio core in tanto

ricetto più non ha.

No che non vedrà Roma

su queste luci il pianto,

son tutto crudeltà.

 

Scena ottava

Manlio e detti.

<- Manlio

 

MANLIO

Padre, Tito, signor: a queste labbra  

pria, che porgan le preci,

baciar tua invitta destra ora permetti.

TITO

Chi dée baciar la faccia della morte,

del giudice la mano

baciar più non è degno.

SERVILIA

(Che implacabile cor.)

LUCIO

(Che fiero sdegno.)

MANLIO

Bacerò in essa il folgore, o almen l'orme

del folgore, che scrisse.

Bacerò di giustizia

le sante leggi, e bacerò...

TITO

Non posso

mirar più di quel volto...

(in quest'atto Manlio gli bacia la mano)

O temerario cor, la man baciasti,

e da me non concesso il don rubasti?

SERVILIA

(Cielo porgigli aita.)

TITO

(Insidïoso bacio,

con vigor penetrante

della man per le vene al cor sei giunto.

E introduci pietà dov'è il rigore.)

SERVILIA

Manlio.

MANLIO

Servilia.

SERVILIA E MANLIO

O amore.

TITO

Troppo ardito roman: sei reo di colpa.

MANLIO

Il tuo comando trascurai.

TITO

La legge

del senato offendesti.

MANLIO

La giusta legge offesi.

TITO

E Geminio uccidesti.

MANLIO

Geminio uccisi.

TITO

Gravi

rendono queste accuse i tuoi delitti.

MANLIO

Giudacate da te sono mie colpe.

TITO

Le conobbe il senato,

le giudicò la legge: ella prescrisse

la morte che leggesti; e Tito scrisse.

MANLIO

Piego, pria che alla scure,

il capo a te; precede

il mio duol la bipenne,

il duol, che mi trafigge, e dalle labbra

l'alma nel suo partir ti bacia il piede.

TITO

Lévati.

SERVILIA

Lucio, io moro.

TITO

(Intenerito io sono, e quasi viene

il pianto a questi luci.)

Figlio: l'amor di padre io desto in seno;

ma perché non oblio quel della legge,

e perché andar impune

non denno i gravi errori,

se ti negai la mano,

queste braccia ti do.

(Tito abbraccia Manlio)

Vattene, e mori.

SERVILIA

(Crudele.)

LUCIO

(Astri inclementi.)

MANLIO

La grazia per cui venni, o Tito, ascolta:

Servilia, a cui svenai

l'adorato germano, e che la pace

già ti portò, dall'innocente colpa

d'esser latina assolvi.

Con occhio di pietà mira i suoi casi.

Da te non parta, e sia

degna del tua favor l'anima mia.

TITO

A Servilia, di Tito

anche l'amor prometto;

se non del figlio, avrà del padre il letto.

Al carcere tornate il prigioniero.

Vieni, o Lucio.

LUCIO

(In amor, io che più spero?)

 

Tito, Lucio ->

 

Scena nona

Servilia, e Manlio.

 

SERVILIA

Ingrato Manlio: ascolta.  

Perché un altro m'abbracci, a me t'involi?

MANLIO

Tito sia tuo consorte:

abbraccia il tuo destin; io vado a morte

SERVILIA

Ferma: sol per donarmi ad un tiranno

qui nunzia de' tuoi preghi

me a pregiudizio mio venir facesti?

MANLIO

Tito non è Tiranno:

nemico io solo fui delle mie glorie:

già che mie colpe son le mie vittorie.

SERVILIA

Manlio, o dio, tu mi lasci?

MANLIO

Ti lascio, ed a te lascio

la fé d'amante pria, poscia di sposo.

La supplica ti lascio

di conceder perdono

a chi il fratel t'uccise, e all'onorata

cagion, per cui l'uccise.

Lascio la pace al cor, e in fin ti lascio

l'ultima mi preghiera

di amar Tito, la legge,

la volontà degli astri, e la tua sorte,

Roma, la mia costanza, e la mia morte.

SERVILIA

Ah, che 'l più non mi lasci e teco porti.

MANLIO

Che lasciarti di più, che mai poss'io?

L'alma? Quaggiù non resta.

Il cor? è della patria, e non più mio.

 

Ti lascerei  

gl'affetti miei,

ma questi meco portare io vo'.

Colassù fra gli alti dèi

pudico amante t'adorerò.

 

Manlio ->

 

Scena decima

Servilia sola.

 

 

O tu, che per Alcide  

la notte prolungasti:

per me, deh, quest'ancora

prolunga sì, che più non venga aurora,

né il sol, dalle cui luci

spuntar agl'occhi miei l'alba si scorge,

abbia l'occaso allor, che l'astro sorge.

 

Sempre copra notte oscura  

la più pura luce al giorno,

né già mai faccia ritorno

nuovo sol, e nuova aurora.

Senza moto, e mormorio

resti il vento immoto, e l'onda

al mio pianto sol risponda

pietosa Eco infin ch'io mora.

Sempre copra notte oscura

la più pura luce al giorno,

né già mai faccia ritorno

nuovo sol, e nuova aurora.

 

Servilia ->

 

Scena undecima

Luogo pubblico in Roma.
Vitellia e Lindo.

 Q 

Vitellia, Lindo

 

VITELLIA

Tu il vedesti?  

LINDO

E a momenti

dal carcer fra i littori

andrà in catene al taglio della scure.

VITELLIA

Io, io con questa mano

gli benderò le luci:

farò, che a viva forza

pieghi al suol le ginocchia: e più dal tempo

termine a uscir di vita

quel tiranno d'amor già non attende.

LINDO

Vedi, che il novo Febo in ciel risplende.

 

VITELLIA

Mi fa da piangere  

la sorte misera

del poveretto,

fra lacci stretto,

che va a morir.

Io vorrei frangere

con le mie lacrime

quelle catene,

che in tante pene

lo fan perir.

Mi fa da piangere

la sorte misera

del poveretto,

fra lacci stretto,

che va a morir.

 

Scena duodecima

Lindo, Servilia e Vitellia.

<- Servilia

 

LINDO

Servilia vien.  

VITELLIA

Servilia, al fin!

SERVILIA

Vitellia!

VITELLIA

Di Manlio è irreparabile la strage.

SERVILIA

Ingiusto guiderdone alla virtude.

VITELLIA

Sembianza ha di virtù, ma è fasto vano

di cor superbo, e altero.

SERVILIA

Sempre degno è d'allor valor guerriero.

LINDO

Ecco Manlio, vedetelo!

VITELLIA

Pur viene.

 

Scena decima terza

Manlio, Lucio, Soldati, Littori, e detti.

<- Manlio, littori, Lucio, soldati

 

MANLIO

(È qui Servilia?) Bella,  

vado dove si vieta

più ritornar colà donde si parte.

Ne gli amori, ne gli odi,

perdona, s'io t'offesi;

sol mi è grave il morir, perché mi è tolto

celebrar con la spada

tuo merto illustre, e far più grande il nome.

SERVILIA

(Morir mi sento.)

LUCIO

(Io dall'acerbo duolo

sento passarmi il cor.)

MANLIO

Vitellia, parto.

Più non avrai negl'occhi

chi ti svenò l'amante.

Perdono a te non chieggo,

poiché allor, che l'uccisi,

ignoto era il tuo foco: io no 'l sapea;

né con te di sua morte ho l'alma rea.

VITELLIA

Va' pur alla bipenne,

barbaro dispietato.

(Mio Geminio svenato.)

MANLIO

Servilia: de' tuoi sguardi

Manlio degno non è, nulla mi dici.

SERVILIA

O mio sol che tramonta,

Manlio, degno campion dei sette colli,

specchio d'onor, e di valor esempio;

Manlio, va' in pace: va' dei tuoi trionfi

a goder fra le stelle

la gloria degl'eroi; va', che al tuo crine

son preparate in cielo

le stellate corone.

E a te serbato fu

dal primo infra gli dèi... non posso più.

VITELLIA

Guidatelo, o littori.

SERVILIA

Ahi, tanta fretta.

MANLIO

Vengo. Lucio: con questo

bacio, che di mie labbra è a te il secondo,

pregoti contro Roma

non portar l'armi de' latini. Lascia

la cara patria in pace: e tu la pace

rendile, ch'io le tolsi,

quando Geminio, provocato, uccisi.

LUCIO

Signor, con l'alma mia, che teco viene,

teco porta la fede

che dà questa mia destra alla tua destra.

MANLIO

Un solo amplesso almeno.

SERVILIA

Manlio t'abbraccio.

LUCIO

(E di Vitellia in petto,

il core non si spezza?)

MANLIO

Dal labbro di Vitellia

queste grazie non chiedo:

elle sarieno offese.

VITELLIA

E più m'offendi

con tua dimora: va'.

MANLIO

Senza baciarti vado,

o cruda Vitellia,

dove per la mia morte ardon le faci.

 
(Vitellia gli corre dietro)
 

VITELLIA

No, Manlio, ferma: ecco gl'amplessi e i baci.

LUCIO

(Ciel!)

MANLIO

Vitellia...

VITELLIA

Fratello.

(piange)

MANLIO

Lasciami.

VITELLIA

Teco io venir voglio.

SERVILIA

Anch'io.

MANLIO

No: fermatevi, il vanto

di morir per la patria, e allor, ch'io moro

lasciar di nuovi allori

coronata sua fronte, a me si ascriva.

VITELLIA E SERVILIA

No.

MANLIO

Restate.

SOLDATI E POPOLO

Viva Manlio, viva.

MANLIO

Quai popoli?

VITELLIA E SERVILIA

Quai voci?

 

Scena decima quarta

Arriva Decio con le Falangi armate, e detti.

<- Decio, falangi armate

 

DECIO

Viva il Marte del Tebro: itene voi.  

Nostro è Manlio guerrier, non più di Roma.

Di lauro vincitor degna è sua chioma.

(gli mette la corona d'alloro)

SERVILIA

(O giusti numi!)

MANLIO

Amici,

a voi per voi rinasco.

LUCIO

(Io volo a Tito.)

DECIO

Va' pur al genitore: e ben si denno

i già pronti obelischi al tuo valore.

VITELLIA

Al ciel porgiamo i voti.

SERVILIA

E ad Amore.

 

MANLIO

Dopo sì rei disastri    

torna la calma al sen.

L'empio tenor degli astri

non più mi toglie al core

di pace il bel seren.

Dopo sì rei disastri

torna la calma al sen.

S

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Scena decima quinta

Tito e detti.

<- Tito

 

TITO

Non morì Manlio? Vilipeso in Roma  

il comando del console? di Tito?

DECIO

Questi, non più di Roma,

non più di Tito figlio,

d'empia Cloto sottratto al ferro indegno

è del romano Marte

sua conquista deità guerriera.

Il vegga Tito e veggalo il senato.

Il fil de nostri brandi

raggruppò di sua vita oggi lo stame;

che non si dée, gran Tito,

a chi merta l'allor, la scura infame.

TITO

(Tito, che vedi?) Decio:

è il voler delle squadre

legge alla legge; in mano

chi tiene Roma, impero ha sul romano.

Manlio, figlio, alla patria

vivi, ed al padre: e questa

nel tuo nuovo natal virtute impara.

Quel cittadin, che vago è di vittoria,

della sua patria cerchi

l'ubbidienza pria, poscia la gloria.

A Servilia, che degno

e d'amor, e di fede è al mondo esempio,

e che diverso in petto

il core ha da i natali;

stringi la man di sposa.

MANLIO

Mia vita!

SERVILIA

Mio tesoro!

MANLIO

Quanto il sogno mi diede al fin posseggo.

LUCIO

Signor, fa' che, ritrosa,

Vitellia a me s'annodi, e alla tua destra

do l'armi de' latini ed il comando.

(Gli dà la lettera dei latini.)

Del caduceo disponi tu, e del brando.

VITELLIA

Spontanea ecco la destra.

La pace abbia la patria, e con l'ulivo.

DECIO

E con l'allor di Manlio.

SERVILIA E DECIO

Oggi si scriva

viva l'eroe dei Campidoglio!

TUTTI

Viva!

 

Sparì già dal petto  

la tema, e' l dolor;

la gioia, e' l diletto,

già scherza sul cor.

Sparì già dal petto

la tema, e' l dolor.

 

Fine (Atto terzo)

Atto primo Atto secondo Atto terzo

Prigione.

Manlio
 
Manlio
<- Servilia

Deposta Amor la benda

Oh! crudo indegno laccio

Manlio, Servilia
<- Lucio

Toglie, s'ella più resta

Manlio, Servilia
Lucio ->

Servilia, tu qui resti, e quel tormento

Sala nel palazzo di Tito.

Lindo, Vitellia
 

Signora: d'ogni intorno

Vitellia
Lindo ->
Vitellia
<- Lucio

Bella Vitellia... / Fosti

Lucio
Vitellia ->

Manlio mi baciò in volto, e in ricompensa

Lucio
<- Tito, Servilia

Ch'ei venga a me dinanzi

Lucio, Tito, Servilia
<- Manlio

Padre, Tito, signor: a queste labbra

Servilia, Manlio
Tito, Lucio ->

Ingrato Manlio: ascolta.

Servilia
Manlio ->

O tu, che per Alcide

Servilia ->

Luogo pubblico in Roma.

Vitellia, Lindo
 

Tu il vedesti? / E a momenti

Vitellia, Lindo
<- Servilia

Servilia vien / Servilia, al fin! / Vitellia!

Vitellia, Lindo, Servilia
<- Manlio, littori, Lucio, soldati

È qui Servilia? Bella

Vitellia, Lindo, Servilia, Manlio, littori, Lucio, soldati
<- Decio, falangi armate

Viva il Marte del Tebro: itene voi

Vitellia, Lindo, Servilia, Manlio, littori, Lucio, soldati, Decio, falangi armate
<- Tito

Non morì Manlio? Vilipeso in Roma

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undecima Scena duodecima Scena decima terza Scena decima quarta Scena decima quinta
Luogo pubblico in Roma, per li solenni giuramenti, con statua di Plutone, e Proserpina. Appartamenti di Vitellia nel palazzo di Tito. Campo dei latini. Sala nel palazzo di Tito. Cortile con tomba di Geminio. Sala nel palazzo di Tito. Prigione. Sala nel palazzo di Tito. Luogo pubblico in Roma.
Atto primo Atto secondo

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