Atto terzo

 

Scena prima

Camera chiusa, con porte, sedia e tavolino, con sopra da scrivere.
Tito e Publio.

Bozzetti

 Q 

Tito, Publio

 

PUBLIO

Già de' pubblici giuochi,  

signor, l'ora trascorre. Il dì solenne

sai che non soffre il trascurarli. È tutto

colà, d'intorno alla festiva arena,

il popolo raccolto, e non si attende

che la presenza tua. Ciascun sospira,

dopo il noto periglio,

di rivederti salvo. Alla tua Roma

non differir sì bel contento.

TITO

Andremo,

Publio, fra poco. Io non avrei riposo,

se di Sesto il destino

pria non sapessi. Avrà il senato ormai

le sue discolpe udite; avrà scoperto,

vedrai, ch'egli è innocente; e non dovrebbe

tardar molto l'avviso.

PUBLIO

Ah! troppo chiaro

Lentulo favellò.

TITO

Lentulo forse

cerca al fallo un compagno,

per averlo al perdono. Ei non ignora

quanto Sesto m'è caro. Arte comune

questa è de' rei. Pur dal senato ancora

non torna alcun! Che mai sarà? Va', chiedi

che si fa, che s'attende. Io tutto voglio

saper pria di partir.

PUBLIO

Vado: ma temo

di non tornar nunzio felice.

TITO

E puoi

creder Sesto infedele? Io dal mio core

il suo misuro; e un impossibil parmi

ch'egli m'abbia tradito.

PUBLIO

Ma, signor, non han tutti il cor di Tito.

 

Tardi s'avvede  

d'un tradimento

chi mai di fede

mancar non sa.

Un cor verace,

pieno d'onore,

non è portento,

se ogni altro core

crede incapace

d'infedeltà.

(parte)

Publio ->

 

Scena seconda

Tito e poi Annio.

 

TITO

No, così scellerato  

il mio Sesto non credo. Io l'ho veduto

non sol fido ed amico,

ma tenero per me. Tanto cambiarsi

un'alma non potrebbe.

 

<- Annio

 

Annio, che rechi?

L'innocenza di Sesto,

come la tua, di', si svelò? Che dice?

Consolami.

ANNIO

Ah! signor, pietà per lui

io vengo ad implorar.

TITO

Pietà! Ma dunque

sicuramente è reo?

ANNIO

Quel manto, ond'io

parvi infedele, egli mi diè. Da lui

sai che seppesi il cambio. A Sesto in faccia,

esser da lui sedotto

Lentulo afferma, e l'accusato tace.

Che sperar si può mai?

TITO

Speriamo, amico,

speriamo ancora. Agl'infelici è spesso

colpa la sorte; e quel che vero appare,

sempre vero non è. Tu ne hai le prove:

con la divisa infame

mi vieni innanzi; ognun t'accusa: io chiedo

degl'indizi ragion; tu non rispondi,

palpiti, ti confondi... A tutti vera

non parea la tua colpa? E pur non era.

Chi sa? Di Sesto a danno

può il caso unir le circostanze istesse,

o somiglianti a quelle.

ANNIO

Il ciel volesse!

Ma se poi fosse reo?

TITO

Ma, se poi fosse reo, dopo sì grandi

prove dell'amor mio; se poi di tanta

enorme ingratitudine è capace,

saprò scordarmi appieno

anch'io... ma non sarà: lo spero almeno.

 

Scena terza

Publio con foglio, e detti.

<- Publio

 

PUBLIO

Cesare, no 'l diss'io? Sesto è l'autore  

della trama crudel.

TITO

Publio, ed è vero?

PUBLIO

Pur troppo ei di sua bocca

tutto affermò. Coi complici il senato

alle fiere il condanna. Ecco il decreto

terribile, ma giusto;

(dà il foglio a Tito)

né vi manca, o signor, che il nome augusto.

TITO

Onnipotenti dèi!

(si getta a sedere)

ANNIO

Ah! pietoso monarca...

(inginocchiandosi)

TITO

Annio, per ora

lasciami in pace.

(Annio si leva)

PUBLIO

Alla gran pompa unite

sai che le genti ormai...

TITO

Lo so. Partite.

(Publio si ritira)

Publio ->

 

ANNIO

Pietà, signor, di lui!  

So che il rigore è giusto;

ma norma i falli altrui

non son del tuo rigor.

Se a' prieghi miei non vuoi,

se all'error suo non puoi,

donalo al cor d'augusto,

donalo a te, signor.

(parte)

Annio ->

 

Scena quarta

Tito solo a sedere.

 

 

Che orror! che tradimento!  

Che nera infedeltà! Fingersi amico,

essermi sempre al fianco, ogni momento

esiger dal mio core

qualche prova d'amore; e starmi intanto

preparando la morte! Ed io sospendo

ancor la pena? e la sentenza ancora

non segno?... Ah! sì, lo scellerato mora.

(prende la penna per sottoscrivere, e poi s'arresta)

Mora!... ma senza udirlo

mando Sesto a morir?... Sì, già l'intese

abbastanza il senato. E s'egli avesse

qualche arcano a svelarmi? Olà!

(depone la penna; intanto esce una guardia)

<- guardia

 

(S'ascolti,

e poi vada al supplizio.) A me si guidi

Sesto.

(parte la guardia)

guardia ->

 

È pur di chi regna

infelice il destino!

(s'alza)

A noi si niega

ciò che a' più bassi è dato. In mezzo al bosco

quel villanel mendico, a cui circonda

ruvida lana il rozzo fianco, a cui

è mal fido riparo

dall'ingiurie del ciel tugurio informe,

placido i sonni dorme,

passa tranquillo i dì, molto non brama,

sa chi l'odia e chi l'ama, unito o solo

torna sicuro alla foresta, al monte,

e vede il core a ciascheduno in fronte.

Noi fra tante grandezze

sempre incerti viviam; ché in faccia a noi

la speranza o il timore

su la fronte d'ognun trasforma il core.

Chi dall'infido amico... Olà!... chi mai

questo temer dovea?

 

Scena quinta

Publio e Tito.

<- Publio

 

TITO

Ma, Publio, ancora  

Sesto non viene.

PUBLIO

Ad eseguire il cenno

già volaro i custodi.

TITO

Io non comprendo

un sì lungo tardar.

PUBLIO

Pochi momenti

sono scorsi, o signor.

TITO

Vanne tu stesso;

affrettalo.

PUBLIO

Ubbidisco.

(nel partire)

I tuoi littori

veggonsi comparir: Sesto dovrebbe

non molto esser lontano. Eccolo.

TITO

Ingrato!

All'udir che s'appressa,

già mi parla a suo pro l'affetto antico.

Ma no; trovi il suo prence e non l'amico.

(siede e si compone in atto di maestà)

 

Scena sesta

Tito, Publio, Sesto e Custodi. Sesto, entrato appena, si ferma.

<- Sesto, custodi

 

SESTO

(guardando Tito)

(Numi! è quello ch'io miro  

di Tito il volto? Ah! la dolcezza usata

più non ritrovo in lui. Come divenne

terribile per me!)

TITO

(Stelle! ed è questo

il sembiante di Sesto? Il suo delitto

come lo trasformò! Porta sul volto

la vergogna, il rimorso e lo spavento.)

PUBLIO

(Mille affetti diversi ecco a cimento.)

 

TITO
(a Sesto con maestà)

Avvicinati.

SESTO

(Oh voce

che mi piomba sul cor!)

TITO
(a Sesto con maestà)

Non odi?

SESTO

(due passi e si ferma)

(Oh dio!

Mi trema il piè; sento bagnarmi il volto

da gelido sudore;

l'angoscia del morir non è maggiore.)

TITO

(Palpita l'infedel.)

PUBLIO

(Dubbio mi sembra,

se il pensar che ha fallito

più dolga a Sesto, o se il punirlo a Tito.)

TITO

(E pur mi fa pietà.) Publio, custodi,

lasciatemi con lui.

(parte Publio e le guardie)

Publio, custodi ->

 

SESTO

(No, di quel volto  

non ho costanza a sostener l'impero.)

TITO

(rimasto solo con Sesto, depone l'aria maestosa)

Ah! Sesto, è dunque vero?

Dunque vuoi la mia morte? E in che t'offese

il tuo prence, il tuo padre,

il tuo benefattor? Se Tito augusto

hai potuto obliar, di Tito amico

come non ti sovvenne? Il premio è questo

della tenera cura

ch'ebbe sempre di te? Di chi fidarmi

in avvenir potrò, se giunse, oh dèi!

anche Sesto a tradirmi? E lo potesti?

E il cor te lo sofferse?

SESTO

(prorompe in un dirottissimo pianto e se gli getta a' piedi)

Ah, Tito! ah, mio

clementissimo prence!

Non più, non più. Se tu veder potessi

questo misero cor, spergiuro, ingrato,

pur ti farei pietà. Tutte ho su gli occhi,

tutte le colpe mie; tutti rammento

i benefizi tuoi: soffrir non posso

né l'idea di me stesso,

né la presenza tua. Quel sacro volto,

la voce tua, la tua clemenza istessa

diventò mio supplizio. Affretta almeno,

affretta il mio morir. Toglimi presto

questa vita infedel; lascia ch'io versi,

se pietoso esser vuoi,

questo perfido sangue a' piedi tuoi.

TITO

Sorgi, infelice!

(Sesto si leva)

 

(Il contenersi è pena

a quel tenero pianto.) Or vedi a quale

lagrimevole stato

un delitto riduce, una sfrenata

avidità d'impero! E che sperasti

di trovar mai nel trono? Il sommo forse

d'ogni contento? Ah! sconsigliato, osserva

quai frutti io ne raccolgo;

e bramalo, se puoi.

SESTO

No, questa brama

non fu che mi sedusse.

TITO

Dunque che fu?

SESTO

La debolezza mia,

la mia fatalità.

TITO

Più chiaro almeno

spiegati.

SESTO

Oh dio! non posso.

TITO

Odimi, o Sesto:

siam soli; il tuo sovrano

non è presente. Apri il tuo core a Tito,

confidati all'amico; io ti prometto

che augusto no 'l saprà. Del tuo delitto

di' la prima cagion. Cerchiamo insieme

una via di scusarti. Io ne sarei

forse di te più lieto.

SESTO

Ah! la mia colpa

non ha difesa.

TITO

In contraccambio almeno

d'amicizia lo chiedo. Io non celai

alla tua fede i più gelosi arcani;

merito ben che Sesto

mi fidi un suo segreto.

SESTO

(Ecco una nuova

specie di pena! o dispiacere a Tito,

o Vitellia accusar.)

TITO

(comincia a turbarsi)

Dubiti ancora?

Ma, Sesto, mi ferisci

nel più vivo del cor. Vedi che troppo

tu l'amicizia oltraggi

con questo diffidar. Pensaci.

(con impazienza)

Appaga

il mio giusto desio.

SESTO

(con impeto di disperazione)

(Ma qual astro splendeva al nascer mio!)

TITO

E taci? e non rispondi? Ah! già che puoi

tanto abusar di mia pietà...

SESTO

Signore...

sappi dunque... (Che fo?)

TITO

Siegui.

SESTO

(Ma quando

finirò di penar?)

TITO

Parla una volta:

che mi volevi dir?

SESTO

Ch'io son l'oggetto

dell'ira degli dèi; che la mia sorte

non ho più forza a tollerar; ch'io stesso

traditor mi confesso, empio mi chiamo;

ch'io merito la morte e ch'io la bramo.

TITO

(ripiglia l'aria di maestà)

Sconoscente! e l'avrai! Custodi! il reo

toglietemi dinanzi.

(alle guardie, che saranno uscite)

<- custodi

 

SESTO

Il bacio estremo  

su quella invitta man...

TITO

(no 'l concede)

Parti.

SESTO

Fia questo

l'ultimo don. Per questo solo istante

ricordati, signor, l'amor primiero.

TITO

(senza guardarlo)

Parti; non è più tempo.

SESTO

È vero, è vero!

 

Vo disperato a morte;  

né perdo già costanza

a vista del morir.

Funesta la mia sorte

la sola rimembranza

ch'io ti potei tradir.

(parte con le guardie)

Sesto, custodi ->

 

Scena settima

Tito solo.

 

 

E dove mai s'intese  

più contumace infedeltà! Poteva

il più tenero padre un figlio reo

trattar con più dolcezza? Anche innocente

d'ogni altro error, saria di vita indegno

per questo sol. Deggio alla mia negletta

disprezzata clemenza una vendetta.

(va con isdegno verso il tavolino, e s'arresta)

Vendetta! Ah! Tito, e tu sarai capace

d'un sì basso desio, che rende eguale

l'offeso all'offensor? Merita in vero

gran lode una vendetta, ove non costi

più che il volerla. Il torre altrui la vita

è facoltà comune

al più vil della terra: il darla è solo

de' numi e de' regnanti. Eh! viva... invano

parlan dunque le leggi? Io lor custode

le eseguisco così? di Sesto amico

non sa Tito scordarsi? Han pur saputo

obliar d'esser padri e Manlio e Bruto.

Sieguansi i grandi esempi.

(siede)

Ogni altro affetto

d'amicizia e pietà taccia per ora.

Sesto è reo: Sesto mora!

(sottoscrive)

Eccoci al fine

su le vie del rigore:

(s'alza)

eccoci aspersi

di cittadino sangue, e s'incomincia

dal sangue d'un amico. Or che diranno

i posteri di noi? Diran che in Tito

si stancò la clemenza,

come in Silla e in Augusto

la crudeltà. Forse diran che troppo

rigido io fui; ch'eran difese al reo

i natali e l'età; che un primo errore

punir non si dovea; che un ramo infermo

subito non recide

saggio cultor, se a risanarlo invano

molto pria non sudò; che Tito al fine

era l'offeso, e che le proprie offese,

senza ingiuria del giusto,

ben poteva obliar... ma dunque io faccio

sì gran forza al mio cor? Né almen sicuro

sarò ch'altri m'approvi? Ah! non si lasci

il solito cammin.

(lacera il foglio)

Viva l'amico,

benché infedele; e, se accusarmi il mondo

vuol pur di qualche errore,

m'accusi di pietà, non di rigore.

(getta il foglio lacerato)

Publio!

 

Scena ottava

Tito e Publio.

<- Publio

 

PUBLIO

Cesare.  

TITO

Andiamo

al popolo che attende.

PUBLIO

E Sesto?

TITO

E Sesto

venga all'arena ancor.

PUBLIO

Dunque il suo fato...

TITO

Sì, Publio, è già deciso.

PUBLIO

(Oh sventurato!)

 

TITO

Se all'impero, amici dèi,    

necessario è un cor severo,

o togliete a me l'impero,

o a me date un altro cor.

Se la fé de' regni miei

con l'amor non assicuro,

d'una fede io non mi curo

che sia frutto del timor.

(parte)

S

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Tito ->

 

Scena nona

Vitellia, uscendo dalla porta opposta, richiama Publio, che seguiva Tito.

<- Vitellia

 

VITELLIA

Publio, ascolta.  

PUBLIO

(in atto di partire)

Perdona;

deggio a cesare appresso

andar...

VITELLIA

Dove?

PUBLIO

(come sopra)

All'arena.

VITELLIA

E Sesto?

PUBLIO

Anch'esso.

VITELLIA

Dunque morrà?

PUBLIO

(come sopra)

Pur troppo.

VITELLIA

(Ahimè!) Con Tito

Sesto ha parlato?

PUBLIO

E lungamente.

VITELLIA

E sai

quel ch'ei dicesse?

PUBLIO

No. Solo con lui

restar cesare volle: escluso io fui.

(parte)

Publio ->

 

Scena decima

Vitellia, e poi Annio e Servilia da diverse parti.

 

VITELLIA

Non giova lusingarsi;  

Sesto già mi scoperse: a Publio istesso

si conosce sul volto. Ei non fu mai

con me sì ritenuto; ei fugge; ei teme

di restar meco. Ah! secondato avessi

gl'impulsi del mio cor. Per tempo a Tito

dovea svelarmi e confessar l'errore.

Sempre in bocca d'un reo, che la detesta,

scema d'orror la colpa. Or questo ancora

tardi saria. Seppe il delitto augusto,

e non da me. Questa ragione istessa

fa più grave...

 

<- Annio, Servilia

SERVILIA

Ah, Vitellia!

ANNIO

Ah, principessa!

SERVILIA

Il misero germano...

ANNIO

Il caro amico...

SERVILIA

È condotto a morir.

ANNIO

Fra poco, in faccia

di Roma spettatrice,

delle fiere sarà pasto infelice.

VITELLIA

Ma che posso per lui?

SERVILIA

Tutto. A' tuoi prieghi

Tito lo donerà.

ANNIO

Non può negarlo

alla novella augusta.

VITELLIA

Annio, non sono

augusta ancor.

ANNIO

Pria che tramonti il sole

Tito sarà tuo sposo. Or, me presente,

per le pompe festive il cenno ei diede.

VITELLIA

(Dunque Sesto ha taciuto! Oh amore! oh fede!)

Annio, Servilia, andiam. (Ma dove corro

così, senza pensar?) Partite, amici:

vi seguirò.

ANNIO

Ma, se d'un tardo aiuto

Sesto fidar si dée, Sesto è perduto.

(parte)

Annio ->

 

VITELLIA
(a Servilia)

Precedimi tu ancor. Un breve istante  

sola restar desio.

SERVILIA

Deh! non lasciarlo

nel più bel fior degli anni

perir così. Sai che fin or di Roma

fu la speme e l'amore. Al fiero eccesso

chi sa chi l'ha sedotto. In te sarebbe

obbligo la pietà. Quell'infelice

t'amò più di sé stesso; avea fra' labbri

sempre il tuo nome; impallidia qualora

si parlava di te. Tu piangi!

VITELLIA

Ah! parti.

SERVILIA

Ma tu perché restar? Vitellia, ah! parmi...

VITELLIA

Oh dèi! parti, verrò: non tormentarmi!

 

SERVILIA

Se altro che lagrime  

per lui non tenti,

tutto il tuo piangere

non gioverà.

A questa inutile

pietà che senti,

oh, quanto è simile

la crudeltà!

(parte)

Servilia ->

 

Scena undicesima

Vitellia sola.

 

 

Ecco il punto, o Vitellia,  

d'esaminar la tua costanza. Avrai

valor che basti a rimirare esangue

il tuo Sesto fedel? Sesto, che t'ama

più della vita sua? che per tua colpa

divenne reo? che t'ubbidì crudele?

che ingiusta t'adorò? che in faccia a morte

sì gran fede ti serba? E tu frattanto,

non ignota a te stessa, andrai tranquilla

al talamo d'augusto? Ah! mi vedrei

sempre Sesto d'intorno, e l'aure e i sassi

temerei che loquaci

mi scoprissero a Tito. A' piedi suoi

vadasi il tutto a palesar. Si scemi

il delitto di Sesto,

se scusar non si può. Speranze, addio,

d'impero e d'imenei! nutrirvi adesso

stupidità saria. Ma, pur che sempre

questa smania crudel non mi tormenti,

si gettin pur l'altre speranze a' venti.

 

Getta il nocchier talora  

pur que' tesori all'onde,

che da remote sponde

per tanto mar portò;

e, giunto al lido amico,

gli dèi ringrazia ancora,

che ritornò mendico,

ma salvo ritornò.

(parte)

Vitellia ->

 
 

Scena dodicesima

Luogo magnifico, che introduce a vasto anfiteatro, di cui per diversi archi scopresi la parte interna. Si vedranno già nell'arena i Complici della congiura, condannati alle fiere.
Nel tempo che si canta il coro, esce Tito, preceduto da' Littori, circondato da' Senatori e Patrizi romani, e seguìto da' Pretoriani; indi Annio e Servilia da diverse parti.

 Q 

complici della congiura

<- littori, Tito, senatori, patrizi, pretoriani

 

CORO

Che del ciel, che degli dèi  

tu il pensier, l'amor tu sei,

grand'eroe, nel giro angusto

si mostrò di questo dì.

Ma cagion di meraviglia

non è già, felice augusto,

che gli dèi chi lor somiglia

custodiscano così.

 

TITO

Pria che principio a' lieti  

spettacoli si dia, custodi, innanzi

conducetemi il reo. (Più di perdono

speme ei non ha: quanto aspettato meno,

più caro esser gli dée.)

 

<- Annio, Servilia

ANNIO

Pietà, signore!  

SERVILIA

Signor, pietà!

TITO

Se a chiederla venite

per Sesto, è tardi. È il suo destin deciso.

ANNIO

E sì tranquillo in viso

lo condanni a morir?

SERVILIA

Di Tito il core

come il dolce perdé costume antico?

TITO

Ei s'appressa: tacete!

SERVILIA

Oh Sesto!

ANNIO

Oh amico!

 

Scena ultima

Publio e Sesto fra' Littori, poi Vitellia, e detti.

<- Publio, Sesto, altri littori

 

TITO

Sesto, de' tuoi delitti  

tu sai la serie, e sai

qual pena ti si dée. Roma sconvolta,

l'offesa maestà, le leggi offese,

l'amicizia tradita, il mondo, il cielo

voglion la morte tua. De' tradimenti

sai pur ch'io son l'unico oggetto. Or senti.

 

<- Vitellia

VITELLIA

Eccoti, eccelso augusto,

(s'inginocchia)

eccoti al piè la più confusa...

TITO

Ah! sorgi:

che fai? che brami?

VITELLIA

Io ti conduco innanzi

l'autor dell'empia trama.

TITO

Ov'è? chi mai

preparò tante insidie al viver mio?

VITELLIA

No 'l crederai.

TITO

Perché?

VITELLIA

Perché son io.

TITO

Tu ancora!

SESTO E SERVILIA

Oh stelle!

ANNIO E PUBLIO

Oh numi!

TITO

E quanti mai,

quanti siete a tradirmi?

VITELLIA

Io la più rea

son di ciascuno; io meditai la trama;

il più fedele amico

io ti sedussi; io del suo cieco amore

a tuo danno abusai.

TITO

Ma del tuo sdegno

chi fu cagion?

VITELLIA

La tua bontà. Credei

che questa fosse amor. La destra e il trono

da te speravo in dono; e poi negletta

restai due volte, e procurai vendetta.

TITO

Ma che giorno è mai questo! Al punto istesso

che assolvo un reo, ne scopro un altro! E quando

troverò, giusti numi!

un'anima fedel? Congiuran gli astri,

cred'io, per obbligarmi, a mio dispetto,

a diventar crudel. No! non avranno

questo trionfo. A sostener la gara

già s'impegnò la mia virtù. Vediamo

se più costante sia

l'altrui perfidia o la clemenza mia.

Olà! Sesto si sciolga: abbian di nuovo

Lentulo e i suoi seguaci

e vita e libertà. Sia noto a Roma

ch'io son l'istesso, e ch'io

tutto so, tutti assolvo e tutto oblio.

PUBLIO E ANNIO

Oh generoso!

SERVILIA

E chi mai giunse a tanto?

SESTO

Io son di sasso!

VITELLIA

Io non trattengo il pianto!

TITO

Vitellia, a te promisi

la destra mia; ma...

VITELLIA

Lo conosco, augusto:

non è per me. Dopo un tal fallo, il nodo

mostruoso saria.

TITO

Ti bramo in parte

contenta almeno. Una rival sul trono

non vedrai, te 'l prometto. Altra io non voglio

sposa che Roma: i figli miei saranno

i popoli soggetti;

serbo indivisi a lor tutti gli affetti.

Tu d'Annio e di Servilia

agl'imenei felici unisci i tuoi,

principessa, se vuoi. Concedi pure

la destra a Sesto: il sospirato acquisto

già gli costa abbastanza.

VITELLIA

Infin ch'io viva

fia sempre il tuo voler legge al mio core.

SESTO

Ah cesare! ah, signore! e poi non soffri

che t'adori la terra e che destini

tempii il Tebro al tuo nume? E come, e quando

sperar potrò che la memoria amara

de' falli miei...

TITO

Sesto, non più: torniamo

di nuovo amici, e de' trascorsi tuoi

non si parli più mai. Dal cor di Tito

già cancellati sono:

me gli scordo, t'abbraccio e ti perdono.

 

CORO

Che del ciel, che degli dèi  

tu il pensier, l'amor tu sei,

grand'eroe, nel giro angusto

si mostrò di questo dì.

Ma cagion di meraviglia

non è già, felice augusto,

che gli dèi chi lor somiglia

custodiscano così.

 

Fine (Atto terzo)

Atto primo Atto secondo Atto terzo

Camera chiusa, con porte, sedia e tavolino.

Tito, Publio
 

Già de' pubblici giuochi

Tito
Publio ->

No, così scellerato

Tito
<- Annio

Tito, Annio
<- Publio

Cesare, no 'l diss'io?

Tito, Annio
Publio ->
Tito
Annio ->

Che orror! che tradimento!

Tito
<- guardia

Tito
guardia ->

Tito
<- Publio

Ma, Publio, ancora

Tito, Publio
<- Sesto, custodi

Numi! è quello ch'io miro

Tito, Sesto
Publio, custodi ->

No, di quel volto

Tito, Sesto
<- custodi

Il bacio estremo

Tito
Sesto, custodi ->

E dove mai s'intese

Tito
<- Publio

Cesare / Andiamo

Publio
Tito ->
Publio
<- Vitellia

Publio, ascolta

Vitellia
Publio ->

Non giova lusingarsi

Vitellia
<- Annio, Servilia

Vitellia, Servilia
Annio ->

Precedimi tu ancor

Vitellia
Servilia ->

Ecco il punto, o Vitellia

Vitellia ->

Luogo magnifico, che introduce a vasto anfiteatro.

complici della congiura
 
complici della congiura
<- littori, Tito, senatori, patrizi, pretoriani

Pria che principio a' lieti

complici della congiura, littori, Tito, senatori, patrizi, pretoriani
<- Annio, Servilia

Pietà, signore!

complici della congiura, littori, Tito, senatori, patrizi, pretoriani, Annio, Servilia
<- Publio, Sesto, altri littori

Sesto, de' tuoi delitti

complici della congiura, littori, Tito, senatori, patrizi, pretoriani, Annio, Servilia, Publio, Sesto, altri littori
<- Vitellia

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena ultima
Logge a vista del Tevere negli appartamenti di Vitellia. Innanzi, atrio del tempio di Giove; indietro, parte del foro romano; da' lati, veduta del monte Palatino e... Ritiro delizioso nel soggiorno imperiale sul colle Palatino. Portici. Galleria terrena adornata di statue, corrispondente a' giardini. Camera chiusa, con porte, sedia e tavolino. Luogo magnifico, che introduce a vasto anfiteatro.
Atto primo Atto secondo

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