Atto primo

 

Scena prima

Cortile.
Nella reggia di Vitellio in cui segue formidabile combattimento fra le parti contrarie, nel maggior fervore del quale esce Domiziano con spada alla mano incoraggiando i suoi Soldati alla sorpresa della reggia.

 Q 

<- combattenti, soldati

<- Domiziano, Sergio, soldati di Domiziano

 

DOMIZIANO

Al vibrar di questo brando  

cada oppressa l'empietà

ch'ai tiranni il cor piagando

riede Roma in libertà.

Chi nei regni dell'aurora

l'aureo Gange incatenò.

Saprà sciorre il Tebro ancora

dalla man, che l'annodò.

Chi nei regni dell'aurora

l'aureo Gange incatenò.

combattenti ->

 

Scena seconda

Sergio, e Domiziano.

 

SERGIO

Gran folgore di guerra, omai dal ferro  

abbattuta è la reggia.

DOMIZIANO

Sergio tu chiudi 'l varco:

io dal capo esecrando

di Vitellio l'indegno

volo a rapir co' la mia spada il regno.

(entra nella reggia seguìto da molti soldati)

Domiziano, soldati di Domiziano ->

 

Scena terza

Sergio con Soldati.

 

SERGIO

Vattene pur felice  

certa vittoria oggi 'l mio cor predice.

Ah Vitellio Vitellio, indarno ancora

al voler delle stelle il brando opponi?

Vespasian l'invitto

eletto è al trono ad impor leggi al Lazio,

e Domiziano il germe tuo feroce,

vinto, e depresso il contumace orgoglio

t'innalzerà qui di repente al soglio.

 

Sì sì vincerà.  

Da laccio severo

disciolto l'impero

ormai si vedrà.

Sì sì vincerà.

Atterrato,

debellato

sia l'orgoglio,

che nel soglio

lacerando altri se n' va.

Sì sì vincerà.

 

Scena quarta

S'ode dall'alto la voce di Vitellio. Sergio, e poi Domiziano, che spunta da un balcone.

 

VITELLIO

Cieli! Numi! Soccorso!  

SERGIO

Ma quai clamori?

VITELLIO

Pietà d'un re.

 

<- Domiziano

DOMIZIANO

Non merta

pietade il cor d'un empio,

egli d'Icaro ancor segua l'esempio.

 
Vitellio vien precipitato da una scala.

Domiziano ->

 

SERGIO

O spettacolo orrendo!  

Fende le vie di Giuno

esanimata strage.

Questi è l'empio Vitellio, ed ecco alfin

che fabbrica un tiranno

sovra base d'orgoglio alte ruine.

 

Scena quinta

Discende Domiziano da maestosa scala precorso da numeroso stuolo de' suoi Guerrieri, Sergio incontrandolo.

<- Domiziano, soldati di Domiziano

 

DOMIZIANO

Libertà libertà.  

Nel far guerra al ciel di Roma

arse il lauro a la sua chioma

il Tifeo de l'empietà.

Libertà libertà.

 

SERGIO

Qual fulmine di Marte  

splender mirai della tua spada il lampo.

DOMIZIANO

Ecco 'l tiranno.

Questi, che, l'orbe immenso

stimò vil pondo, e che tiranno ardito

aspirava su gli astri

del gran Giove a la sede

forma col capo suo base al mio piede.

(lo calpesta, e dai soldati vien gettato nel Tevere)
 

Scena sesta

Licinio con Soldati discende velocemente dalla suddetta scala portando nella destra la corona solita a cingersi da Vitellio. Domiziano, e Sergio.

<- Licinio, altri soldati

 

LICINIO

Signor compita è l'opra:  

ogni guerrier nemico

cesse a l'estremo fato:

fra l'orror della notte

era inciampo la fuga,

certa morte il coraggio, e questo serto,

che sul crin di Vitellio,

fu già stella crinita al Campidoglio

con lieta luce or splenderà nel soglio.

(Domiziano fissa lo sguardo nella corona)

SERGIO

Che più si tarda? Al tuo gran padre, o duce,

l'aureo diadema appresta.

S'adori omai Vespasian sul trono.

LICINIO

Sì sì del mesto Lazio

consola i voti, e 'l sospirato rege

anco del sonno in grembo

vegga qual sia del fato

l'avventuroso dono.

SERGIO

S'adori omai Vespasian sul trono.

DOMIZIANO

Vespasian sul trono?

(leva il guardo dalla corona)

LICINIO

Ad inchinarlo umile,

fuor dalle mura istesse

vola baccante il Tebro.

SERGIO

Dalla ragion d'un figlio

coronato ei risplenda.

DOMIZIANO

(Ah non fia ver.) Sergio fedel repente

con diluvi d'acciaro

vieta feroce al genitor l'ingresso.

Egli sappi, ch'in Roma

cinger vogl'io di regio allor la chioma

amici è questi 'l tempo.

(strappa la corona di mano a Licinio, e gettato l'elmo a terra se la pone sul capo)

LICINIO

(Stelle che miro!)

SERGIO

(Tradito il padre?)

LICINIO

Che dirà Roma? Il popolo? Il senato?

DOMIZIANO

Non più: Roma, il senato,

il popolo, l'Italia, il mondo tutto

vide sol da mia destra

la libertà nel regno.

SERGIO

Sì dell'imper Domiziano è degno.

(parte)

Sergio ->

 

LICINIO

(O inopinati casi!)  

DOMIZIANO

Rapidi gli ottimati

venghino a piè del soglio.

LICINIO

Ubbidirò, signore.

(Costui fu sempre un Gerion d'orgoglio.)

 

Di novi strali armato  

fra novi sdegni irato

il Tebro si vedrà.

Opporsi al tuo disegno,

negarti e scettro, e regno

costante egli vorrà.

Di novi strali armato

fra novi sdegni irato

il Tebro si vedrà.

Licinio ->

 

Scena settima

Nel partir Domiziano s'arresta alla vista d'Arricida, che discende dalla scala suddetta tra le favorite di Vitellio.

<- Arricida, favorite di Vitellio

 

DOMIZIANO

(Arricida? Che scorgo?)  

 

ARRICIDA

Sì sì gioisci, o cor.  

Le mie stelle

già rubelle

han cangiato alfin tenor.

Sì sì gioisci, o cor.

 

DOMIZIANO

(Qual fragranza osservo?)  

ARRICIDA

Signor dalla tua spada,

che 'l sangue dei tiranni diffonde, e beve

di quest'alma l'onor vita riceve.

DOMIZIANO

Vaga diva del Lazio, e come? E quando

dell'estinto Tarquinio

tu fra lo stuolo impuro?

ARRICIDA

Violenza tiranna in questa notte

me rapì dagl'alberghi, e 'l ciel t'elesse

a conservarmi intatta.

DOMIZIANO

Temerario Vitellio. Io del tuo labbro

nido d'amor alle dolcezze aspiro.

ARRICIDA

(Numi ch'ascolto.)

DOMIZIANO

Vieni.

(vuol prenderla per la mano ella si ritira)

ARRICIDA

Dove?

DOMIZIANO

Fra le mie braccia.

ARRICIDA

Son moglie a Tito.

DOMIZIANO

Or d'un regnante in seno

ti conduce la sorte.

ARRICIDA

Tu re? Come sul Lazio

vibri contro il germano

incestuose fiamme?

DOMIZIANO

Egli abbastanza

arse dell'onor tuo.

(di nuovo vuol prenderla per la mano, ella si ritira, e s'inginocchia)

ARRICIDA

Deh mio gran sire

col folgore del brando

struggi popoli immensi,

ardi scettri, città, province, e regni

ma di sposa pudica

lascia, deh lascia almeno

per trionfo maggior intatto il seno.

DOMIZIANO

Seguimi: ho già risolto.

(strascinandosela addietro)

ARRICIDA

Indegno ferma:

ferma sesto lascivo, e qual ragione...

DOMIZIANO

Non più: tosto, o miei fidi

fra le veneri ancelle

venga costei, nelle cui luci avvampo.

(vien circondata da soldati)

ARRICIDA

Fuggo da Scilla, e in Cariddi inciampo.

 

DOMIZIANO

Tu non sarai sì cruda  

quando ti bacerò.

Con mille frodi, e vezzi

vorrai, che t'accarezzi,

e forse io riderò.

Tu non sarai sì cruda

quando t'abbraccerò.

Con mille inganni, ed arti

mi pregherai d'amarti,

e forse io non vorrò.

Tu non sarai sì cruda

quando t'abbraccerò.

Domiziano ->

 

Scena ottava

Arricida fra le Favorite circondata dai Soldati di Domiziano.

 

ARRICIDA

O stelle, e ancor tardate  

a fulminar l'indegno?

Dal Tebro uscì novo tiranno al regno.

 

Chi mi difende olà? Chi mi difende?  

Falangi guerriere

del Tebro invitte schiere

che tardate? Ove siete?

Se voi non accorrete

generose, e severe

la rocca del mio onore

d'un tiran contr 'l rigore

sol con armi di sdegno invan contende.

Chi mi difende olà? Chi mi difende?

soldati, Arricida, favorite di Vitellio ->

 
 

Scena nona

Gran padiglione di Gesilla nell'esercito di Vespasiano attendato sul Tevere, in cui penetra un raggio di luna.
Attilio che pian piano s'introduce; Zelto e Niso addormito a piè d'altro picciolo padiglione, nel quale sta celata la Schiava.

 Q 

Zelto, Niso, Elvida, Gesilla

<- Attilio

 

ATTILIO

Notte amica ai dolci amori  

scaccia omai la dèa triforme

per baciar un sol, che dorme

l'ombre chieggo, amo gl'orrori

scaccia omai la dèa triforme.

 

 

O Gesilla, Gesilla  

felice 'l dì, ch'a Vespasian ti rese

prigioniera la sorte,

poiché sì caro laccio,

spesso m'annoda alle tue fiamme in braccio,

ma qui nel comun sonno

miro Zelto il custode: o quanto in petto

pietà d'amor chiude ver me costui

preda fa del mio sen le prede altrui.

 

Scena decima

Attilio, Elvida da una parte del padiglione, che dorme scoperta dalla tenda, Niso, Zelto a piedi del medesimo.

 

ATTILIO

Amico, amico.  

ZELTO

Olà.

ATTILIO

Sorgi.

ZELTO

Chi sei?

ATTILIO

Della tua dèa non odi

l'Endimion notturno? Attilio sono.

ZELTO

Attilio? Or che pretendi?

ATTILIO

Temprar dell'alma i tormentosi incendi.

ZELTO

Duce lascia ch'io dorma.

ELVIDA

(È quest'il tempo.

Usa l'ardire Elvida,

e già che amico cielo

t'offre la sorte, vanne,

scopri l'ardor del core,

e svegliali nel sen fiamma d'amore.)

ATTILIO

Ah Zelto, Zelto

usa pietade, ascolta.

ELVIDA

Ah duce Attilio, ah porgi

a chi more per te subita aita.

ZELTO

(sorge in piedi)

Che voi da me?

ATTILIO

Che chiedi?

ELVIDA

Amor.

ATTILIO

L'occaso

vide tre volte il sol che de' suoi baci

mi fu avara Gesilla.

ELVIDA
(ad Attilio)

Così rispondi?

ATTILIO
(ad Elvida)

Ah taci.

ELVIDA
(ad Attilio)

Idolo amato.

ATTILIO
(ad Elvida)

Quanto sei importuna.

ELVIDA

E tu spietato.

ZELTO

Sin che non giunge il campo

di Romolo alla sede

vano è sperar dall'amor tuo mercede.

ELVIDA
(ad Attilio)

Così sprezzi il mio affetto?

ELVIDA E ATTILIO

Ah tu m'uccidi.

ZELTO
(ad Attilio)

Parti.

ELVIDA

T'arresta.

ATTILIO

Oh dio!

ZELTO

Deh parti dico.

ELVIDA

Né placherò quella beltà che adoro.

Insieme

ATTILIO

Nemmen vedrò quella beltà che adoro.

 

ZELTO E ATTILIO

O questo no.

ELVIDA
(ad Attilio)

Crudele (io peno, e moro);

almeno in pochi accenti

d'un'anima penante odi i tormenti.

ATTILIO
(ad Elvida)

Non odo, io son di scoglio.

Almen con brevi detti

concedimi svelar del cor gli affetti.

ZELTO

Non posso, oh strano imbroglio.

ATTILIO

E perché mai?

ZELTO

In preda

ella giace del sonno.

ATTILIO

Lascia, deh lascia almeno,

ch'io vibri un guardo al paradiso in seno.

ELVIDA

Deh per un solo istante

ti provi l'alma impietoso amante.

ATTILIO

Parla.

ELVIDA

Rispondi.

ATTILIO

Zelto.

ELVIDA

Attilio, cresce

tra speranza, e timore il mio tormento.

ATTILIO

T'accheterai.

ZELTO

Ma tu sarai contento?

ELVIDA E ATTILIO

Sì.

ZELTO

Seguimi vieni.

ATTILIO
(ad Elvida)

O caro Zelto, ecco ch'al sen t'allaccio.

(Fingerò.) Io ti stringo.

ELVIDA

O caro laccio.

ATTILIO

Vanne.

ELVIDA

Ti lascio, addio.

Ma teco resta il cor già non più mio.

 

Ingannatemi pur luci belle,  

che di voi la vendetta sarò.

Se schernite chi tanto vi adora,

farò scorgermi in brev'ora,

ch'ancor'io lusingar vi saprò.

Ingannatemi pur luci belle,

che di voi la vendetta sarò.

Elvida ->

 

ZELTO

Mira.  

(alza la cortina del padiglione in cui si vede addormita Gesilla sopra due cuscini alla turchesca)

ATTILIO

Stelle! Numi! Che scorgo?

È questi 'l ciel? O pur del ciel l'imago?

Benché non vegga erranti

pupille i vostri giri

rote son d'Isione a' miei martiri.

ZELTO

Basta.

ATTILIO

O luci! O guance! O care labbra! O volto!

ZELTO

Diva sì vaga

latino giammai non vide. In Pafo, in Cnido

Venere fu men bella.

ATTILIO

Anco ritardi?

ZELTO

Non più.

(abbassa la cortina)

ATTILIO

Deh ferma, a la mia fiamma in braccio

cedimi per brev'ora.

 

ZELTO

Parti, vanne in buon'ora.  

ATTILIO

Non posso oh dio partir!

Se l'alma per gioir

non stringe il sen ch'adora.

ZELTO

Parti, vanne in buon'ora.

ATTILIO

Non può fuggir 'l piè

se 'l cor non ha mercé

dal bel che l'innamora.

ZELTO

Parti, vanne in buon'ora.

 

ATTILIO

Parto sì, ma questo core

resta in preda al caro ben.

Se il tuo gelido rigore

vie più accende questo sen.

Parto sì, ma questo core

resta in preda al caro ben.

Attilio ->

 

Scena undicesima

Niso si leva in piedi, e Zelto.

 

NISO

Ti ci ho pur colto,  

ti ci ho pur visto,

no 'l puoi negar.

ZELTO

E chi t'ha sciolto

faccia di tristo

tu déi sognar.

 

NISO

Sì sì che siamo allocchi,  

quando tu hai aperto il padiglione,

io faceva il minchione,

ma ti stav'a osservar

con tanti d'occhi.

ZELTO

E ben che male ho fatto?

NISO

Or te 'l dichiaro:

hai mostrata Gesilla a un cavaliere,

ed hai fatto un mestiere,

chiamato volgarmente il campanaro.

ZELTO

Siamo due per un paro:

ora sai come l'è,

lasciam le burle ormai, son uom d'onore,

e non somiglio a te.

NISO

Oh povero signore!

Dimmi che li mostravi allora quando

seco andavi ciarlando

in guisa di Volpone.

 

ZELTO

Gli mostrai nel padiglione  

una cosa lunga, e larga,

che dell'uom fu sempre amica,

e la chiamano la ~ targa,

ch'è compagna alla lorica.

 

NISO

Oh questa è calzantissima ragione.  

Or via non occor'altro,

ed io tosto che sia,

Vespasian destato

voglio farti la spia.

ZELTO

Taci Niso garbato,

mi vuol dar quel signore un bel regalo,

e n'averai la parte ancora tu.

NISO

Facciamo pace, io non ne parlo più.

Niso ->

 

Scena dodicesima

Esce Tito dall'altra parte. Zelto immobile ad osservarlo.

<- Tito

 

TITO

Care tende adorate,  

stanze dell'idol mio,

so ch'in un dolce oblio

sonnacchiosa l'aurora in voi celate.

Care tende adorate,

stanze dell'idol mio.

 

ZELTO

Tito.  

TITO

Zelto qui desto? Or di Cocito

sulle tremende soglie

non ha sì vigil drago

la vezzosa Euridice.

ZELTO

Per evitar che di guerriero audace

passo, o guardo non giunga

furtivo a queste tende

la beltà di Gesilla Argo mi rende.

TITO

Lascia, ch'al sen t'annodi.

ZELTO

Ma tu signor che vuoi?

TITO

Queste luci bear, negl'occhi suoi.

ZELTO

O questo no: fra mille squadre, in campo

ciò permetter non deggio.

TITO

Cheto riposa ogni guerriero.

ZELTO

Altrove

farò paghe le tue voglie.

TITO

Pena d'inferno è l'amoroso indugio.

(s'invia verso il padiglione, Zelto lo trattiene)

ZELTO

Deh ferma o duce a Vespasiano al fine

rapida andrà l'accusa.

TITO

Nulla temo del padre.

ZELTO

A me di Zelto

cale ben sì la vita.

TITO

Lascia: così risolsi.

ZELTO

Non fia ver.

TITO

Lasciami dico indegno.

(lo minaccia)

ZELTO

Un sfrenato desir non vuol ritegno.

(si ritira)

Zelto ->

 

Scena tredicesima

Tito di propria mano alza la cortina del padiglione. Gesilla si risveglia.

 

GESILLA

Chi ruba la pace  

del sonno al mio core?

È forse d'amore

la fiamma vorace?

Chi ruba la pace

del sonno al mio core?

Sfondo schermo () ()

 

TITO

Deh svegliati cor mio.  

GESILLA

Qui gente? Olà: Zelto. Custode, aita!

(sbalza fuori del padiglione)

TITO

Ferma Gesilla, ah taci

Tito non scorgi?

GESILLA

Tito!

TITO

Ah sì: t'arresta

con le nevi del seno omai pietosa

all'infocate brame porgi ristoro.

GESILLA

Miro in faccia alle stelle il sol, ch'adoro.

(corre ad abbracciarlo)

TITO

Non è tempo d'indugi

di quella dea, che sulle sfere onori

bella schiava gentile

forz'è sottrarsi al guardo.

GESILLA

Già nell'Etna d'amor avvampo ed ardo.

 

 

Un labbro di cinabro  

avventa ardori al sen,

ma se la bocca un riso scocca,

l'ardore soave divien.

Un labbro di cinabro

avventa ardori al sen.

TITO

Il dardo d'un bel guardo

impiaga, e ancide il cor,

ma se tranquilla è una pupilla,

ancide con dolce rigor.

Il dardo d'un bel guardo

impiaga, e ancide il cor.

 
(s'ode fremito di trombe)

 

Ma qual di tromba audace  

ingrato suon l'aria notturna avviva.

GESILLA

Tacito il piè mi segua

faran nelle mie tende

eco i baci soavi.

(prende per mano Tito conducendolo verso il padiglione)
 

Scena quattordicesima

Zelto anelante poi Vespasiano con lettera in mano.

<- Zelto

 

ZELTO

Tito, Gesilla fuggi.  

Qui Vespasiano.

 

<- Vespasiano

VESPASIANO

E dove?  

(mentre Tito vuol sottrarsi da Gesilla ella finge esser tenuta da lui per forza)

GESILLA

Lasciami indegno.

ZELTO

Lascia.

GESILLA

Cotant'osa un impuro?

VESPASIANO

Temerario che chiedi? E qual ardire

t'arma d'osceni oltraggi?

ZELTO

Sappi.

GESILLA

Signor.

VESPASIANO

Tronca i singulti, o bella:

Tito queste l'imprese

son del tuo braccio? Incatenar l'aurora

te vide il trace: al Siloe, al Giordano

poner ceppi di ferro, ed or sul Tebro

dove l'armi, la patria, 'l cielo offendi,

di servile beltà schiavo ti rendi?

TITO

Padre.

VESPASIANO

Mira o lascivo.

(gli dà una lettera)

Mira se in molle arnese

Ercole effeminato

tempo è celarsi ad una Iole in seno.

TITO

(Perfida mi tradisti.)

(si ritira a leggere)

VESPASIANO

Or tu Gesilla

inulta non andrai. S'ai patrii nidi

t'involò quest'acciar, l'acciar medesmo

farà scudo all'onor: libero intanto

giunto che sia sulla romulea sede

spera veder dalle catene 'l piede.

GESILLA

Mi prostro umil a tante grazie, o duce.

VESPASIANO

Leggesti?

TITO

Lessi: io del german rubello

con quest'acciar, ch'a tuo favor guerreggia

l'alma...

VESPASIANO

Non più: fra i taciturni orrori

rapido ognun mi segua, e tu mio fido

sempre vi e più zelante

presta a costei la cura.

ZELTO

Non dubitar signore

appo di Zelto è l'onestà sicura.

 

VESPASIANO

Su fieri  

guerrieri

vittoria, o morir.

Oppresso

depresso

da cieco furore

il nostro valore

non deve languir.

Su fieri

guerrieri

vittoria, o morir.

Vespasiano ->

 

Scena quindicesima

Nel partir che fa Vespasiano col figlio, Zelto pian piano prende per le vesti Tito, e Gesilla finge di piangere.

 

ZELTO

Signor.  

GESILLA

Condona o Tito

il mio trascorso error. Del tuo gran padre

finsi così sol per sottrami all'ira.

TITO

Tergi o bella le luci,

e placato ogni sdegno

sagace cor sempre di lode è degno.

ZELTO

Andiam: l'orme reali

forz'è seguir, signora.

GESILLA

Tito, serba la fede a chi t'adora.

 

Ricordati di me se vuoi, ch'io t'ami.  

Questo seno è tuo ricetto,

tua delizia è questo petto

mi son cari i tuoi legami.

Ricordati di me se vuoi, ch'io t'ami.

Zelto, Gesilla ->

 

Scena sedicesima

Tito solo.

 

 

Tito sei giunto in Roma.  

Arricida? La moglie? O ciel! Preveggo

turbine infausto al gioir mio vicino

e lascerò Gesilla?

E fuggirò la moglie?

Ahi che l'una non posso,

ahi che l'altra non deggio; in qual Egeo

di confusi pensieri

sta fluttuando il core?

 

Cinosura mi sia l'astro d'amore;  

se ad un cor innamorato

un sol dardo è sì molesto,

dimmi amor che fia di questo,

da due strali esanimato?

Se talor così vorace

sembra all'alma un foco solo,

quanto fia più acerbo il duolo,

se in due fiamme il cor si sface?

Tito ->

 
 

Scena diciassettesima

Sala dove si preparano le regie mense.
Domiziano alla reale, con Licinio.

 Q 

Domiziano, Licinio

 

DOMIZIANO

Stragi, lutto, incendi, e morti  

armi sian d'offeso re.

Cada, pera,

Roma altera

spiri l'anima al mio piè.

Stragi, lutto, incendi, e morti

armi sian d'offeso re.

 

LICINIO

Dunque o signor...  

DOMIZIANO

Così risolsi. E niega

sconoscente il senato

sparger incensi al regnator suo nume?

Tosto i miei cenni adempi

di Silla ancor vo' rinnovar gl'esempi.

LICINIO

O sommi dèi!

DOMIZIANO

Ma ferma: al novo giorno.

Si serban le stragi.

Apprestate le mense,

olà venga Arricida, e seco unite

sian del cielo latin le dèe più belle.

Lasciami o duce a vagheggiar le stelle.

 
(si preparano le mense)
 

LICINIO

Purché l'ira in sen rallenti  

a tue brame assentirò.

Se dar morte altrui non tenti

fido ognor a te sarò.

Purché l'ira in sen rallenti

a tue brame assentirò.

 

DOMIZIANO

Ah dispietata in breve  

fia che ceda il rigor dell'alma audace,

che all'amorosa face

mal sicuro resiste un sen di neve.

 

Scena diciottesima

Arricida tra le Favorite di Vitellio. Domiziano e Licinio in disparte.

<- Arricida, favorite di Vitellio, dame, cavalieri

 

ARRICIDA

Eccomi, che pretendi?  

DOMIZIANO

Bella, temprasti ancora

la crudeltà dell'alma?

ARRICIDA

A tue preghiere

selce son d'Arimaspe

che più s'indura al lacrimar del cielo,

chiudo in petto di smalto un cor di gelo.

LICINIO

(Che farà mai?)

DOMIZIANO

Lascia almen, ch'in quegl'occhi

l'anima agonizzante

trovi 'l suo rogo, e incenerisca amando.

LICINIO

(O temerario.)

ARRICIDA

D'altri son queste luci, e s'egli è vero

che per me fido amante avvampi, ed ardi

quest'occhi miei non tormentar coi guardi.

LICINIO

(Generosa costanza.)

DOMIZIANO

Perfida, e vieti al ciglio

la libertà del guardo? Ah se tu affretti

la morte mia perché 'l morir ritardi?

ARRICIDA

Quest'occhi miei non tormentar co' guardi.

DOMIZIANO

A tuo dispetto appagherò mie voglie.

Meco a regal convito

bella intanto qui siedi,

voi qui sedete ancora,

e a lato di ciascun sieda un'aurora.

ARRICIDA

(Assistenza dagl'astri il cor implora.)

 
(Domiziano presa per mano Arricida s'asside alla mensa frapponendosi a ciascuno cavaliere una dama; segue bizzarra sinfonia di stromenti, dopo la quale)

DOMIZIANO

Tu sola in lauta mensa  

mesta il labbro non pasci?

ARRICIDA

Cibo che basta ad Arricida è il duolo.

DOMIZIANO

Porgi la dolce bocca.

(vuol baciarla ella si ritira)

ARRICIDA

Indegno, ed anco.

(si leva da tavola)

DOMIZIANO

Svelami il sen.

ARRICIDA

Frena la destra, o impuro,

de lascivi Tarquini

son rinomati in Roma

gli abominevoli incesti?

(Licinio si leva da tavola prostrandosi a' piedi di Domiziano)

LICINIO

Ah Domiziano, ah cesare, ah signore

deh se tu brami...

DOMIZIANO

Siedi.

LICINIO

Che l'alta fama alle tue glorie...

DOMIZIANO

Siedi.

LICINIO

Alzi grido immortal, di sen pudico

l'alma svenar ricusa.

DOMIZIANO

Servo mi sia, chi le mie grazie abusa.

(gli dà un calcio rovesciandolo per terra)

LICINIO

Questi è 'l rispetto a un cavalier latino?

DOMIZIANO

Chiudi quel labbro o indegno.

(sorge in piedi)

LICINIO

Apri, o signor della ragione i lumi.

DOMIZIANO

Olà? Costui nel Tebro

cada sepolto.

LICINIO

Licinio a morte? In che t'offesi, o duce?

DOMIZIANO

Voi eseguite

d'insano ardir sian le follie punite.

 
(vien circondato da soldati)

<- soldati

LICINIO

Stelle  

rubelle

a torto morirò.

Vostro fato

dispietato

può svenarmi,

trucidarmi,

ma che tu tiranno indegno

viva lieto, e impune al regno

non te 'l credere no no.

Stelle

rubelle

a torto morirò.

soldati, Licinio ->

 

Scena diciannovesima

Domiziano, ed Arricida.

 

DOMIZIANO

Tanto rigor in sì bel volto annida?  

ARRICIDA

Oh dio lasciami in pace.

DOMIZIANO

Così ostinata?...

ARRICIDA

Sì.

DOMIZIANO

Voglia, o non voglia.

 

Scena ventesima

Mentre Domiziano vuol tentare di abbracciarla per forza sopraggiunge Sergio.

<- Sergio

 

SERGIO

Sire, signor delle più scelte spade  

munito è 'l Lazio, a tua difesa in Roma

veglia un mondo d'armati, or tu sicuro

senza temer del genitor lo sdegno

leggi puoi dar già di Quirino al regno.

ARRICIDA

(O traditor) a Vespasiano, a Tito

si negherà l'ingresso?

DOMIZIANO

È mio l'imper: tua la corona, e 'l trono

sarà se 'l cor m'appaghi.

SERGIO

(Che ascolto, o dèi!) Teco Arricida al trono?

DOMIZIANO

Per mia diva l'elessi, e in brev'ora

sovra fulgido scoglio

porgerà nova luce al Campidoglio.

ARRICIDA

Pria caderò svenata.

(tenta risorgere dalla tavola egli l'impedisce)

SERGIO

E Tito?

DOMIZIANO

Olà non mi s'opponga. Tosto

entro calice aurato or tu m'arrechi

liquid'ambra spumante.

SERGIO

Pronti ubbidisco.

DOMIZIANO

Deh placatevi omai lumi crudeli!

ARRICIDA

(Ditemi voi, che deggio fare o cieli!)

SERGIO

Eccoti, o invitto re.

(gli porge la coppa)

DOMIZIANO

Di licor soave e grato

questo d'or nappo gemmato

bella dèa consacro a te.

ARRICIDA

(Fosse la morte al labbro tuo mercé.)

DOMIZIANO

Olà: mentre di Creta

fra gli accesi rubini

arde il lucido vetro

di sirena canora odasi il metro.

 
(musico canta a capriccio, in questo mentre Domiziano vien preso dal sonno)
 

DOMIZIANO

Cessino i dolci canti, omai dal sonno  

vinte son le mie luci.

Dileguatevi tosto, e tu mia diva

lascia che nel bel seno

sovra i gigli nevosi

abbia l'egra pupilla i suoi riposi.

 
(levato ognuno da tavola s'adagia in grembo ad Arricida)

dame, cavalieri, favorite di Vitellio ->

 

ARRICIDA

(O sommo Giove!)  

SERGIO

(E quali eccessi, o numi?)

ARRICIDA

(Ah sì: mentre del ciglio

tempra l'impuro affanno

dorma sonni di morte un re tiranno.)

(preso un coltello da tavola tenta di uccidere Domiziano, Sergio le trattiene il colpo)

SERGIO

Ferma: che fai?  

ARRICIDA

Lasciami indegno.

(Domiziano si risveglia balzando in piedi)

DOMIZIANO

Come?  

Barbara dispietata

contro d'un re ignudo acciaro avventi?

Olà soldati, costei si sveni.

(abbassano le lance contro Arricida)

<- soldati

 

(cade sulla sedia)  

Ma no,

traetela a mie stanze:

con assalti di baci

vendicherò quest'alma,

fa' pur quanto tu vuoi,

son mantici d'amor gli sdegni tuoi.

 
(vien di nuovo circondata da soldati)

ARRICIDA

All'assalti d'un tiranno  

fermo scoglio è questo cor,

e non può d'un re l'inganno

atterrar costante onor.

All'assalti d'un tiranno

fermo scoglio è questo cor.

Arricida, soldati ->

 

Scena ventunesima

Domiziano, Sergio.

 

DOMIZIANO

Sergio.  

SERGIO

Signor.

DOMIZIANO

Su la tua fé riposa

questo regal diadema.

SERGIO

Servo son tanto basti.

DOMIZIANO

Fedel m'assisti.

SERGIO

Obbligo è di buon duce.

DOMIZIANO

Ma come oh dio su la regal pupilla

grave sopor più m'incatenai i sensi

veglia con l'armi.

SERGIO

Intesi o re.

DOMIZIANO

Sonno importuno al labbro

vai troncando gl'accenti:

Sergio guidami in braccio a' miei contenti.

 

D'una Venere nel seno  

tragga i sonni un cor regnante,

scese in lucido baleno

anco a Danae il gran tonante.

D'una Venere nel seno

tragga i sonni un cor regnante.

 

SERGIO

In un profondo oblio  

già sepolte ha le luci:

a' cenni miei, voi lo traete o duci.

Sergio ->

 

Fine (Atto primo)

Atto primo Atto secondo Atto terzo

Cortile nella reggia di Vitellio.

<- combattenti, soldati

(formidabile combattimento fra le parti contrarie)

combattenti, soldati
<- Domiziano, Sergio, soldati di Domiziano
soldati, Domiziano, Sergio, soldati di Domiziano
combattenti ->

Gran folgore di guerra

soldati, Sergio
Domiziano, soldati di Domiziano ->

Vattene pur felice

Cieli! Numi! Soccorso!

soldati, Sergio
<- Domiziano
soldati, Sergio
Domiziano ->

(Vitellio vien precipitato da una scala)

O spettacolo orrendo!

soldati, Sergio
<- Domiziano, soldati di Domiziano

Qual fulmine di Marte

soldati, Sergio, Domiziano, soldati di Domiziano
<- Licinio, altri soldati

Signor compita è l'opra

soldati, Domiziano, soldati di Domiziano, Licinio, altri soldati
Sergio ->

O inopinati casi!

soldati, Domiziano, soldati di Domiziano, altri soldati
Licinio ->
soldati, Domiziano, soldati di Domiziano, altri soldati
<- Arricida, favorite di Vitellio

Arricida? Che scorgo?

Qual fragranza osservo?

soldati, soldati di Domiziano, altri soldati, Arricida, favorite di Vitellio
Domiziano ->

O stelle, e ancor tardate

soldati di Domiziano, altri soldati
soldati, Arricida, favorite di Vitellio ->

Gran padiglione di Gesilla nell'esercito di Vespasiano attendato sul Tevere, in cui penetra un raggio di luna.

Zelto, Niso, Elvida, Gesilla
 

(Zelto e Niso addormiti; Gesilla nascosta dalla cortina del padiglione)

Zelto, Niso, Elvida, Gesilla
<- Attilio

O Gesilla, Gesilla

(Elvida da una parte del padiglione; Attilio sveglia Zelto)

Amico, amico / Olà

Zelto, Niso, Gesilla, Attilio
Elvida ->

Mira / Stelle! Numi! Che scorgo?

Zelto, Niso, Gesilla
Attilio ->

(Niso si leva in piedi)

Niso e Zelto
Ti ci ho pur colto

Sì sì che siamo allocchi

Oh questa è calzantissima ragione

Zelto, Gesilla
Niso ->
Zelto, Gesilla
<- Tito

Tito / Zelto qui desto? Or di Cocito

Gesilla, Tito
Zelto ->

(Gesilla si risveglia)

Deh svegliati cor mio

Gesilla e Tito
Un labbro di cinabro

(s'ode fremito di trombe)

Ma qual di tromba audace

Gesilla, Tito
<- Zelto

Tito, Gesilla fuggi

Gesilla, Tito, Zelto
<- Vespasiano

E dove? / Lasciami indegno

Gesilla, Tito, Zelto
Vespasiano ->

Signor / Condona o Tito

Tito
Zelto, Gesilla ->

Tito sei giunto in Roma

Tito ->

Sala dove si preparano le regie mense.

Domiziano, Licinio
 

Dunque o signor / Così risolsi

(si preparano le mense)

(Licinio in disparte)

Ah dispietata in breve

Domiziano, Licinio
<- Arricida, favorite di Vitellio, dame, cavalieri

Eccomi, che pretendi?

(bizzarra sinfonia di strumenti)

Tu sola in lauta mensa

Domiziano, Licinio, Arricida, favorite di Vitellio, dame, cavalieri
<- soldati

(i soldati circondano Licinio)

Domiziano, Arricida, favorite di Vitellio, dame, cavalieri
soldati, Licinio ->

Tanto rigor in sì bel volto annida?

Domiziano, Arricida, favorite di Vitellio, dame, cavalieri
<- Sergio

Sire, signor delle più scelte spade

(un musico canta a capriccio)

Cessino i dolci canti

Domiziano, Arricida, Sergio
dame, cavalieri, favorite di Vitellio ->

(Domiziano si addormenta)

O sommo Giove!

(Arricida preso un coltello da tavola tenta di uccidere Domiziano, Sergio le trattiene il colpo)

Ferma: che fai?

(Domiziano si risveglia)

Come? Barbara dispietata

Domiziano, Arricida, Sergio
<- soldati

Ma no, traetela a mie stanze

Domiziano, Sergio
Arricida, soldati ->

Sergio / Signor / Su la tua fé riposa

(Domiziano si addormenta)

In un profondo oblio

Domiziano
Sergio ->
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Scena diciassettesima Scena diciottesima Scena diciannovesima Scena ventesima Scena ventunesima
Cortile nella reggia di Vitellio. Gran padiglione di Gesilla nell'esercito di Vespasiano attendato sul Tevere, in cui penetra un raggio di luna. Sala dove si preparano le regie mense. Suburbi illuminati con porta della città in lontano. Orride prigioni nella reggia. Palazzo delizioso, che corrisponde ad un giardino. Anfiteatro. Anfiteatro. Stanze di Gesilla. Salone imperiale. Piazza attendata.
Atto secondo Atto terzo

• • •

Testo PDF Ridotto