Il conte ce l'ha fatta.  

Ma n'ebbe egli sin qui poco piacere,

e in questo mi consola,

che nell'esser schernita io non fui sola.

Questa consolazione a me non basta,

né a voi bastar dovrebbe,

che al gran mondo avvezzata,

e nel mestiero usata,

d'uccellar chi si può troppo soffrite,

che a nostro danno unite,

v'abbia fatta una burla così strana,

con una bottegaia, una villana.

E cosa far di meglio?

O meglio assai,

far ci potria da noi,

e basterebbe aver destro l'ingegno,

siccome abbiamo i piedi,

che a tentar un bel salto oggi v'insegno.

Dite pure, e farò senza dimora,

quanto poss'io.

Voglio pensarci ancora,

ma quel conte pasticcio,

non ha da corbellar due ballerini;

o almen gli ha da costar cento zecchini.

Mi rincresce signora,  

e se avessi ancor io tanti denari,

come le vostre pari,

per voi stessa, e per me farmi io vorrei,

un abito a scoruccio.

E perché un tal vestito?

Io senza moglie, e voi senza marito.

Quanto a me non m'importa,

che ancora non son morta;

e basta ben ch'io sulle scene appaia,

mi piovono i mariti a centinaia.

Ma... poveri villani.

Eh potete anche voi batter le mani.

Del resto poi ci son conti, marchesi,

e per tutti i paesi,

c'è l'amante, il marito, il protettore,

e spesso mi confondo,

nello sceglier fra tanti il più opportuno.

Ma intanto qui finché non c'è nissuno?

Cosa?

Far non potrei

da protettore io stesso, e da servente?

Tu?

Sì signora.

A me?

Meglio che niente.

Va' alla zappa, villano,

va' a lavorar di mano.

Oh mi perdoni,

che quanto a lavorare

non c'è, se non lo sa vostra eccellenza,

tra le gambe, e le man gran differenza.

La differenza è tale,

che sei tu un animale;

e de giumento tutto il dì lavori,

ma il lavoro che fa una ballerina,

lo fa una principessa, e una regina.

Guarda là quanto fumo ha nella testa!  

Quanta aria signorile,

e chissà non sia nata entro un fienile!

Con tutta la sua boria io non mi degno,

di cangiar seco lei vita, e mestiero.

Son un villan è vero,

ma alfin mangio del mio: dove colei,

con tante sue pretese,

mangia, veste, e solazza all'altrui spese.

Non c'è, che bile intorno; ed io la prima  

ho tanta rabbia in seno,

che non so dove vado,

e contro di colui sputo veleno.

Con tal disinvoltura,  

se la passa Dorina?

E che farebbe,

Lisetta istessa ora che fu schernita?

Io sono imbestialita

contro quel mancator senza cervello,

che fa con tutte il bello.

Ed io ne rido,

perché la moda è questa,

che s'impara da noi, se a tutti quanti

usan le donne ancor far le galanti.

Ma tre mogli in un giorno? Io non so come

trattenuta mi son da bastonarlo.

Colla moneta sua voglio pagarlo.

Cioè cosa pensate?

Burlar chi n'ha burlate.

Va ben, ma in qual maniera?

La troverò ben io, prima di sera.

E Cicala che dice?

Oh quanto a lui

la regola non varia,

di tenermi fra due sospesa in aria.

E vuol dir di tenerlo intanto a bada,

perché egli non si stanchi,

e se il conte mancò, quello non manchi.

Per appunto così.

Brava sorella.

Per esser villanella,

tu ne sai più di me s'io non m'inganno.

Nissun sa troppo, e chi non sa suo danno.

Ma speri tu che il conte

sposar ti voglia.

E siete voi sicura

che non v'abbia a mancar?

C'è la scrittura.

C'era ancora per me la sua parola;

eppur mancò.

Perché non sei tu sola.

Ma se sola tu fossi

quanto alle di lui nozze?

Oh quanto a queste

quello stesso farei, che voi fareste.

C'è una gran differenza

fra i pomi e le castagne.

Per quanto io so veder siamo compagne.

Dorina abbi giudizio,

o che alla mia bottega

non venderai mai più né un fior, né un frutto.

Eh la mia gioventù val dappertutto.

Ma qui fai dei denari.

Quando il conte non vien siamo del pari.

Molto ei ti sta sul cuore,

benché del par schernita abbia te stessa.

Si tratta poi di diventar contessa.

Sì sì fidati pure

di quella sua contea.

Non me ne fido

ma pur mi piacerebbe

mangiar ben, vestir meglio, e andare a spasso.

Per questa io te la passo,

ma che t'abbia a sposare molto ne temo.

Vendichiamoci e poi discorreremo.

Vendichiamoci pure

che io do cento scritture,

per un solo puntiglio: ei non mi piace,

rido della contea, presto finiti,

saran di questo passo i suoi denari;

ma mettermi del pari

con una ballerina;

e peggio di Dorina

esser da lui burlata,

non m'accheto se pria non l'ha pagata.

Oh che fortuna mia! Sola è Dorina  

che più dell'altre adoro; e se potessi

coglier il buon momento

di far pace con essa io son contento.

Bella Dorina mia.

Bella! Per voi

son tutte del par belle e vezzose;

né a me siate importuno;

che voi tre ne volete, ed io nessuno.

(parte)

Oh l'affar s'imbroglia e queste donne  

meglio di me far sanno il lor mestiero

con esse io scherzo, ed esse fan davvero.

Ecco qui il mancatore.  

Son un uomo d'onore.

Di voi mi meraviglio.

Un galantuomo

non promette a tre donne entro d'un giorno.

Quello che ho detto a replicar io torno

ma prudenza ci vuol.

Sì. Dice bene:

prudenza aver conviene

quando c'è una scrittura antecedente;

del resto poi o mia sorella, o niente.

Per me non mi ritiro. (Ora bisogna

dargli buone parole.)

E dove mai si vuole

trovar per voi di meglio?

A me non tocca

di lodar mia sorella,

ma giovinetta... bella...

in su' primi teatri accreditata,

da tutti corteggiata.

E basta dire ch'oltre i regaletti

un forciero ella avrà pien di sonetti.

Tutto va bene, amico,

ma c'è quella scrittura.

Anch'io lo dico.

Ma pur sa un vostro pari,

che a forza di denari

si fa di tutto al mondo; e s'io mi fossi

d'annullar quello scritto oggi capace

cosa dareste voi?

Quel che vi piace.

Per esempio, signor, trenta zecchini

vi parerian di troppo?

Ve li conto ad un tratto.

(gli conta i denari)

(Son pochi.)

(Un po' di flemma, e il colpo è fatto.)

Questi son trenta in punto.

Ora pensavo

quanti anni son, che fatta è la scrittura.

Tre anni.

Oh per tre anni ho gran paura.

Sarà maggior la spesa.

Basta ben che si faccia ella con frutto.

Altri trenta zecchini, e si fa tutto.

Ahimè cresce la dose;

ma qui starci convien or che ci sono...

Eccovi gli altri trenta.

Or dite un poco

la scrittura è privata?

No: per man di notaio è stipulata.

Male, non farem nulla.

Non bastano i sessanta?

Ce ne vogliono almeno altri quaranta.

Gran zecchini mi costa

un sol foglio di carta.

E questo è niente.

Un maneggio di testa

inoltre ci vorrà che non si stima.

Era meglio poi dir cento alla prima.

Ecco gli altri quaranta.

Amico, addio

e tra poco vedrete

che sanno far per voi due ballerini

perché spendiate ben cento zecchini.

(parte)

Sperate ben; perché di me si tratta.  

(Se non mi sposa più son soddisfatta.)

(parte)

Di Dorina l'amante ecco se n' viene,  

e di Lisetta il padre;

ma per celar a lor quel che si fa,

soggezione, contegno, e gravità.

Con chi l'avete voi!  

A chi credi parlar conte dei matti,

marchese leccapiatti? E non rammenti

che tu meco ragioni!

Parlo co' miei lacchè: tutti bricconi.

Lo volevo ben dire.

Intendiamoci bene.

Ma lasciarmi Dorina oggi conviene.

Ma conviene sposar oggi mia figlia.

A me non si consiglia,

a me non si comanda;

perché sempre da banda

due, tre, mille zecchini aver io soglio

per farvi...

Cosa far?

Quello, ch'io voglio.

(parte)

Queste minacce a noi?  

Colui si provi, e poi.

Ma non gli deve

così passar intanto.

E che pretendi

far a colui, s'egli di qua se n' vada?

Di sfidarlo son buono anche alla spada.

Ma sai tu maneggiarla?

Tra la zappa, e la spada,

c'è una gran differenza, e tu la credi,

che sia tutta una pasta.

Quando lo so ammazzar, so quel che basta.

Basteria bastonarlo,

o cacciarlo in un fosso a notte oscura.

Ne faranno un processo addirittura.

Peggio sarebbe assai se tu l'ammazzi.

Se fossimo due pazzi,

da lasciarsi trovar dopo un tal fatto.

Si può cambiar paese,

e cento scudi allora a chi ne piglia.

Eh non voglio spiantar la mia famiglia.

Sai che possiamo fare?

Cosa?

Te lo dirò prima di sera.

La storia è troppo lunga,

e tanto non si aspetta,

a far una vendetta.

La farem, non temere.

Senza però che nasca un precipizio,

lasciati riveder, zitto, e giudizio.

Fermate un sol momento  

eccomi a vostri piè bella Dorina,

pietà, pentito io sono.

Non c'è pietà, o perdono

per un vile, un ingrato, un mancatore.

Levatevi di qua.

Tanto furore!

Morire a' vostri piedi

ma levarmi di qua senza il perdono

non mai, crudel, non mai.

Pietosa io sono

(ma pietosa con arte)

via sorgete, e sentiamo

cosa in discolpa vostra

sappiate dir... Prima però sediamo.

Benedette parole!

Benedetto perdono... Ecco ubbidita

(siede)

chi mi dona la vita

ed in mercede avrà questa mia mano.

Tutto ben, ma un po' più da me lontano.

(si ritira)

Non è fatta la pace, e non avete

già perdonato o cara

ad uno che vi adora?

Lontan vi ho detto, e più lontano ancora.

(ritirandosi colla sedia in collera)

Basta così ben mio?

(si ritira colla sedia)

Guardate quanto loco

fra noi resta di mezzo.

Un altro poco.

(si ritira ancor ella)

Così vi basterà? Discreto io sono.

(va colla sedia fino alla scena)

Farete il dover vostro

e in tal forma chi sa? basta, sentiamo

quali discolpe avete.

(Se mi vo' vendicar questa è la rete.)

Sia la prima discolpa

ch'amo voi sola; e sola voi pretendo

in quest'oggi sposar.

Che? Non v'intendo.

M'accosterò un po' più.

(si accosta colla sedia e Dorina fa lo stesso)

Via seguitate.

Se voi non vi fidate

d'una sola promessa

in questa notte istessa

io vi trarrò dalle paterne soglie.

Non intesi... a che far?

Farvi mia moglie.

E il caffettiere allora?

E Lisetta sua figlia, e la scrittura?

Eh! ch'io non ho paura;

né colui farà il bravo

perché prima d'andar di qua lontani

io lo bastonerò colle mie mani.

Tornate un poco a dir.

Datemi mente.

Alto là, che voi siete un insolente.

Così ubbidite voi quando vi dico

che mi stiate lontan? Fede migliore

in altri casi ancor da voi non spero.

Non fate più rumor: torno dov'ero.

(si ritira alla scena e le volge le spalle)

Così stiam meglio assai.

(fa lo stesso)

Più spietata che mai!

Voi più bugiardo.

Questa è la pace ingrata?

E questi sono

in mercé del perdono

i notturni sponsali.

Io me ne andrei

per questa disumana anche sul foco;

e se mi accosto un poco

mi tratta ella così.

Così si vede

che non sa serbar fede.

Ingannatrice!...

Ingannator chi 'l dice.

Un cavalier mio pari!...

Che far dei suoi denari

se amar egli non sa con altro frutto.

So chi è causa di tutto;

ma non son quel che son, se non l'accoppo.

E tra poco vedrem.

(nell'accorgersene)

Questo è poi troppo

di voi mi meraviglio; e chi vi diede

(si leva in collera)

una tal confidenza?

A me dunque così?... Basta pazienza.

Ho saputo di più che non volevo;  

e valermene or devo

per fargli far cervello a modo mio;

ma vo' pensarci anch'io,

perché alfin tal marito

per me stessa sarebbe un buon partito.

Egli è incostante, è vero,

vuol far con tutte il bello

e a tre donne in un giorno egli ha promesso,

ma qual uomo oggidì non fa lo stesso.

Dove è andato colui?  

Qui per l'appunto

con Dorina io lo vidi

quando venni a chiamarvi.

E chi sa dove

iti saranno insieme?

Questo è quel che mi preme

ma li vado a cercar, e vi protesto...

Dorina è qua, da lei sapremo il resto.

Tregua insieme per poco,  

che a tutti un brutto gioco

di far prepara in questa notte il conte;

se noi perdendo qui troppe parole

d'accordo non restiam.

Faccia che vuole.

In tasca ho già del suo cento zecchini,

e voglio che cammini

sino in Moscovia, per averli indietro:

così tutto è finito,

né manca a mia sorella altro partito.

Se questo basta a voi,

altro ci vuol per noi.

Che burla è questa,

che il conte ha per la testa,

ed ultimar pretende a cielo oscuro?

Non mi tocchi Dorina, altro io non curo.

Qui ti volevo appunto,

seco ei la vuole; e m'ha già persuasa,

che mi lasci rapir fuori di casa.

Poter di me! no 'l faccia,

no 'l tenti, non si azzardi, o gli protesto...

Ma taci un poco, e ascolta in prima il resto.

E come mai pretende,

colui rapirti a forza?

Io l'ingannai:

fingendo mi lasciai,

quasi a forza sedur dal suo pensiero,

per iscoprirlo a voi.

Brava da vero!

Non si potrà far meglio.

E a noi s'aspetta adesso,

che sull'ingannator cada l'inganno.

S'ei me la fa mio danno.

Eh voi prima che sia l'ora di cena,

guardatevi la schiena;

che un po' più tardi non saprei che farvi.

Perché?

Cosa farà?

Vuol bastonarvi.

L'accopperemo lui se avrà l'ardire

d'entrare in casa, o di venir qua fuori.

Io fuggirò i rumori,

e andrò con madamina mia sorella,

senza far qui per lui tanti lunari,

a metter in sicuro i suoi denari.

No, che tutti d'accordo,

noi fummo offesi, e a tutti ancor si aspetta

di farne la vendetta. Il primo io sono,

che questa notte istessa,

giacché tanto ho saputo,

gli vuo' dar quando viene il benvenuto.

E che pensi di far?

Lo so ben io.

Bastonar un par mio!

Non voglio esser da meno,

né la perdono a lui s'anche mi prega,

o se credo mangiar sin la bottega.

E noi cosa faremo

per beffarsi di lui?

Ci penseremo.

Anzi ci abbiam pensato;

ma se il vento ha cangiato,

cangiar bisogna, e andar sempre a seconda.

O venga, o si nasconda,

zitto, all'erta, e veder cosa ne nasce,

ma vendicarci al certo,

che donne siamo, e son le donne usate

di dar la burla a chi le vuol burlate.

(parte)

Anch'io non mi ritiro,  

vo con essa e sarò dov'ella stima,

per castigar colui sempre la prima.

(parte)

Veramente io lo seppi,

a quest'ora punir meglio di voi.

Ma pur starò a vedere, e in ogni caso,

se le bravate mie fosser qui vane,

sempre poi per fuggir le gambe ho sane.

(parte)

Orsù ci siamo intesi

il ciel si oscura, e buonanotte amico;

fa' pur, che anch'io farò più che non dico.

(parte)

Se non erro, già vien cheto, e pensoso,  

quel pazzo glorioso,

ch'oggi fece impazzir la villa tutta;

e per fargli paura

mentre pretende a noi farla sì bella,

su quel tronco io mi metto in sentinella.

L'ora è adesso opportuna,  

raggio non c'è di luna,

e nissun vede intorno il colpo mio.

(dall'albero)

Il buffone non sa che ci son io.

Questa è la breve scala apparecchiata,

di seta intrecciata;

e quella di Dorina, e la finestra.

Colla mano maestra

la getto in alto. Eccola in alto appesa,

dove appunto io volea,

il peso a sostener d'una contea.

Son general d'armata,

che tento una scalata... Ecco la piazza,

dalli... ferisci... ammazza... Ombre notturne

voi fate almeno i sforzi miei sicuri.

Zitto trombe, e tamburi,

che non mi senta alcun... Via fucilieri...

addietro granatieri,

che solo io voglio in compagnia d'amore,

di montar questa breccia il primo onore.

(monta la scala)

A tiro di cannone or che l'ho scorto

io la fo al general.

(dà fuoco)

Stelle son morto.

(cade e siede va sopra un sasso)

Veggio l'ombre della morte,    

sono in riva a Flegetonte,

spettri, larve d'ogni sorte,

dove vai povero conte?

Così mori in fresca età?

Niente, niente addirittura,

fu un tantino di paura,

che tra poco passerà.

V'han ferito, o bastonato?

Ad un conte delle botte?

Ah che son storpio,

non posso muovermi,

chiamate un medico,

per carità.

Con che tremore,

mi batte il core:

so in un stato,

già disperato,

chissà se il medico

mi guarirà?

Signor conte allegramente:

ecco un medico francese,

e un chirurgo assai valente

che vi ponno risanar.

Sono qui per accidente,

e domani al suo paese,

senza dubbio han da tornar,

Siete vu le malade,

mio caro monsieur?

Ici sur l'estrade,

che mal avez vu?

Monsieur medicin,

le polso touché.

Monsieur chirurgien,

faites vous c'est assé.

Oh cedo a mon maitre,

domando pardon.

C'è fretta peut etre:

d'accord, sans facons.

Ah men cerimonie,

che il male è gravissimo,

e intanto meschino,

monsù eccellentissimo,

di me che sarà?

Il mio mal sia nella testa,

o sia in fondo della schiena,

mi guariscano alla presta,

questo è quel che importa a me.

Risanarvi? Oui monsieur.

Mais signore, c'est a vous.

Vi darò cento luigi,

e verrò fino a Parigi,

a trovarvi qualche dì.

Ch'il me promette,

che ma sorelle,

ch'est pur tre belle,

l'epouserà.

Se non volete

altro che questo,

vostra sorella

sposo al più presto,

prima che io vada

lunge di qua.

Ma monsieur caro

votre Dorine

de vous meschine

cosa dirà!

Io non mi degno,

d'una villana.

Monsieur le conte,

vous avez pure

le nozze pronte

della dilette

votre Lisette,

ed ella cedervi

mai non vorrà.

Io cavaliere,

sposar la figlia

d'un caffettiere?

Monsù non pa.

Vous donc monsieur,

me promettez

che ma sorelle

vous sposeré?

Sì ve 'l prometto,

sì ve lo giuro,

vada Dorina,

che non la curo.

Vada Lisetta,

che la rinuncio

né più di loro

si parlerà.

Monsieur bravissimo

fate benissimo.

Ma medicine

subitamente

vous guerira.

Ora ci sono:

non val perdono

ma è ben terribile

tal novità.

Io non mi degno

d'una villana;

monsieur Fripone

tenez comsà.

(lo deride con gesti)

Io cavaliere

sposar la figlia

d'un caffettiere

monsieur Fripone

tenez comsà.

(come sopra)