Azione terza

 

Scena prima

Apolline, e Delia.

 Q 

Apolline, Delia

 

APOLLINE

Seguo, o Delia, il costume  

de' pastori avvisati.

Aspetto il nuovo lume: e come io vedo

rasciutti i molli prati,

incontro al caldo raggio

di pecorelle meste

a pascer volgo ogn'or l'umide teste.

DELIA

O Nomio, questa mane

io zoppo credo, o smemorato il sole:

o quanto ei tarda, o quanto?

Forse, ch'egli dimora

a bella ninfa accanto,

che non si scorge in oriente ancora.

APOLLINE

Chissà, che tu non sia,

saggia ninfa, indovina

della di lui follia.

Qui pur su questa pietra

iracondo lasciai

la mia novella cetra.

DELIA

L'abbandonasti qui: ma questa mane

ch'ogni tuo nobil fregio

ha caramente in pregio,

seco la volle.

APOLLINE

Ah, l'hai

Delia, qui posta in basso,

e sotto il bigio sasso, alcun novello

citaredo s'asconde,

che tocca al lieve tocco

di questo legno vile,

l'istromento gentile.

DELIA

So ben, ch'io la racchiusi

sotto fidata chiave.

Corra alcuna di voi, ninfe, e mi rechi

la cetra imprigionata.

APOLLINE

Fiedi il selce ora tu: senti, ch'ei rende

al tocco del tuo dardo,

suono ancor più gagliardo.

DELIA

Meraviglia divina:

avvalorato il marmo

resto dal posamento

della tua bella cetra. Ah, ben diss'io,

non è di mortal mano

l'artificio sovrano.

APOLLINE

Mal si nasconde altrui

quel, che mostra la fronte.

Non mi vedi mortale?

DELIA

Ed ecco l'argomento,

che ti mostra celeste: or tocca dunque

tu le fila canore,

ch'io percotendo andrò col dardo mio

la discepola industre.

Udisti mai più vago

legamento concorde?

Chi più bella desia

union d'armonia?

Penuria non abbiamo

qui di musica omai,

mentre Nomio tu fai, dove t'appressi

musici i sassi stessi.

APOLLINE

Il piacer non fu poco.

DELIA

Sì certamente, quando

appieno rimanesse

soddisfatto il desio,

e, che Delia intendesse,

chi quegli sia, che con divina mano

avviva i sassi, e musiche le pietre

rende al par delle cetre.

APOLLINE

Gli occhi, solleva, e mira

colui, ch'a noi discende:

ei ti dirà l'autore

delle prove sonore.

 

Scena seconda

Admeto, Delia, Mercurio, ed Apolline.

<- Admeto, Mercurio

 

ADMETO

O ben siete intanate  

negli antri dell'oblio,

femmine smemorate? Sin quando lascerete

marcir dentro all'ovil l'armento mio?

DELIA

Deh taci, o genitore, e meco attendi

la nuova meraviglia.

MERCURIO

Gran monarca de' tempi, e della luce,

sommo rettor del luminoso carro,

a te Giove m'invia

messagger di perdon, nunzio di pace.

Assai vestito hai queste

spoglie d'umil pastore:

ritorna in ciel, ritorna

o sol, occhio, e 'l mondo aggiorna.

DELIA

O genitor, che sento?

Un rettor sì sublime

reggeva il nostro armento?

ADMETO

Chiniam pur le ginocchia, amara prole,

e adoriam devoti

la mascherata maestà del sole.

DELIA

Deh sempre il dicev'io, quanto più lo mirava,

non è cosa mortal lo sposo mio.

APOLLINE

Ambasciator benigno,

gradisco il favor santo:

se Giove mi richiama

su ne' celesti seggi

agli illustri maneggi, egli è ben dritto,

ch'io corrisponda alla mercede, e torni

a regolar i giorni.

Ma del pregiato ospizio esser dev'io

ricordevole imprima. Or dunque; chiedi,

cortesissimo Admeto;

chiedi ninfa, e 'n voi cada

la grazia, che v'aggrada.

DELIA

Chieder'altro non voglio,

assai mi promettesti.

ADMETO

Assai noi ricevemmo,

quando tu ci facesti

degni di tua presenza.

DELIA

Ohimè, che pensi, e degna ancora, e degna

non mi fai di risposta?

Ben la memoria ha lieve

chi della data fede

si scorda in tempo breve?

Macchina pur la fuga:

ordisci il tradimento:

altro Delia non chiede,

altro Delia non vuole

da te premio, o mercede.

ADMETO

Deh taci, e spera bene,

son le grazie del sole,

quanto aspettate più, tanto più piene.

APOLLINE

Per una volta, Admeto,

da morte io ti sottraggo.

ADMETO

O caro dono.

APOLLINE

Con tale legge però, ch'altri in tua vece,

quando morir tu deva,

di morir si contenti.

ADMETO

E chi sarà, cui mai

sì rio desire invogli

di morir in mia vece? Il cambio è duro,

né spero di trovare

un incontro sicuro.

DELIA

Io padre, io genitor, per te desio,

per te di morir'io: ah fosse questa,

fusse questa per te pur l'ultim'ora.

ADMETO

Adagio: adagio, e quale

rio furor ti consiglia?

Tu non gustasti, o figlia

s'esca di morte ancora.

DELIA

Cibo insalubre, e grave

dalla medica legge

ad infermo vietato,

s'all'appetito è grato

l'appetito il corregge;

il desiderio il rende

tale, ch'ei non l'offende:

e quel, che piace ogn'ora

ci nutre, e ci avvalora.

ADMETO

E qual nuova stoltezza oggi ti spinge

a sì dura profferta?

Che lagrime son queste?

DELIA

Chi nel sol fissa gli occhi

non può tener, ch'il pianto

fuori alfin non trabocchi.

MERCURIO

O rugiadose stille

da due cieli versate,

nella conca gentil di quel bel seno,

mercé di questo sol, perle vi fate.

DELIA

Come, schernita me, torbidi i giorni

dal sole abbandonata

ho ha provar miseramente in terra?

S'un nume è ingannatore,

s'un dio manca di fede,

che meraviglia è poi, s'altri non crede?

MERCURIO

Ben fu veloce Amore

oggi, o Delia, in colpirti,

che tosto ti accendesti

d'un peregrino ignoto?

ADMETO

D'un esule vagante?

MERCURIO

D'un mendico pastore?

ADMETO

Ricco sol di promesse.

MERCURIO

Largo sol di spergiuri?

ADMETO

Prodigo sol di canto?

MERCURIO

Ed obliasti intanto

ogni alto tuo devoto: oh ben è stolto

quell'occhio femminile,

cui saggio petto è vile,

e sol adora la beltà del volto.

DELIA

Ah ben s'avvide il core,

che Trace egli non era,

né di Nomio pastore aveva sembianze

questo celeste amante.

Così non fossi mai,

o fuggitivo Sol, tu qui venuto,

se nel mar del mio pianto

tramontar tu dovevi:

se rubi ogni tesoro,

dove ospizio ricevi:

mal mi paghi il ricovro,

esiliato nume,

se l'anima m'immoli.

O funeste bellezze agli occhi miei:

o cieli, o stelle, o dèi,

come fia più, ch'io viva,

s'appena veggo il sol, ch'io ne son priva.

APOLLINE

Ancor non son partito.

DELIA

Ma t'accingi al viaggio.

APOLLINE

Non vo del mondo fuore.

DELIA

Vai da Delia lontano.

APOLLINE

Io la porto nel core.

DELIA

E Delia qui si resta.

APOLLINE

Ma di lei non mi scordo.

DELIA

E della data fé non ti sovviene.

APOLLINE

Come Nomio promisi.

DELIA

Ed or, che torni Apolline, mi manchi.

Così tosto ti stanchi?

Così si fan gli onori, o dio del lume,

cangiar occhio, e costume?

Così guardan gli dèi la data fede?

APOLLINE

Per legge eterna, d'immutabil fato,

gli dèi unqua non denno

stringer nodo legittimo di nozze

con mortal donna in terra;

che non ammette queste

disuguaglianze il cielo.

DELIA

Dunque tu m'ingannasti,

che d'essermi consorte

dianzi rigiurasti?

S'eri un dio, s'eri il Sole,

perché a donna mortal desti la fede?

È facil ingannar donna, che crede.

Ascolta, Apollo, ascolta,

io son Delia, e non Dafne: ah non far meco

non far cieca vendetta

dell'altrui crudeltà. Rimanga un tronco

Dafne la discortese,

che di te non s'accese:

ma Delia, ch'al tuo raggio

incenerita cade,

in te trovi pietade.

Di crudel fuggitiva

conversa in lauro il polveroso crine

tornasti, o Febo, alfine,

e la tua mansueta ospite, o dio,

la Delia, che t'adora,

ti vien tosto in oblio,

ben è stolta del sol, chi s'innamora.

Misero esempio di schernita amante,

prodigiosa sorte,

il sol, vita del mondo è la mia morte.

O quanto sete, o quanto

mie suppliche infelici:

quanto è duro il pregar orecchie, in cui

dormono i benefici.

O mia voglia inquieta:

non so ciò, che desio:

di arrestarti, non mai:

di seguirti, assai meno:

di morir sì; ma dal gran duolo uccisa

divenissi una nube, un vapor denso,

ch'al mio bel sole avanti

mi dileguassi in lagrimosa pioggia;

e facesti ad ogn'ora

nugola rugiadosa,

mercé del tuo bel raggio,

da terra in ciel passaggio.

APOLLINE

Rasciuga, o Delia, il pianto,

che per quest'acque il core

troppo m'assedia Amore:

io giurai d'esser tuo, e sarò tuo.

DELIA

Mio sarai certo, mentre

il Sol co' suoi bei raggi,

senza regola alcuna,

a tutti s'accomuna.

APOLLINE

Dunque non posso ornare

Delia di grazie tali,

che fra l'altre mortali

felicissima il mondo

venga Delia a chiamare?

DELIA

Io non lo spero,

no, che da disfavori

non comincian gli onori.

APOLLINE

Ascolta, amata ninfa,

già nel mio cor disposi

di su condurti alle celesti sfere;

quivi sol posso entro la fragil scorza

del tuo mortal sembiante,

imprimer quel carattere divino,

che qui non son bastante,

che sol in ciel divinità si dona.

Ma perché tanto io solo

oprar, ninfa, non vaglio,

convien ch'io prenda il volo,

e dagli dèi concordi,

questa grazia, per te, mia diva, ottenga.

DELIA

Dimmi com'esser può, ch'il ciel riceva

un dio spergiuro, un dio

ch'a donzella innocente

ha potuto quaggiù mancar di fede?

È facil ingannar donna, che crede.

APOLLINE

Ecco, ninfa, io ti lascio

la cetra, l'arco, e la faretra in pegno.

DELIA

Quando tu m'abbandoni

col nutrimento solo

d'una speme fallace,

data da un dio mendace,

non ti crederò più, che mal si presta,

col pegno ancor d'una faretra in mano,

a fuggitivo amante orecchie, e fede,

a un dio che la schernì, Delia non crede.

MERCURIO

Ben'è costei malconcia

dal Sole in sì poch'ore.

DELIA

Ahi, dove sei trascorsa

trasportata dal duol, Delia schernita?

O mio Sol, o mia vita, o mio tesoro,

torna pur lieto in ciel, ch'io resto e moro.

ADMETO

Sostenetela, amici,

che le manca il vigore.

APOLLINE

Non dubitar di morte.

Si conduca la giovine dolente,

ove respiri alquanto:

Mercurio, non t'incresca

di farti un nuovo Atlante

a questo ciel tremante.

Mercurio, Delia, Apolline, Admeto ->

 

Scena terza

Proserpina.

<- Proserpina

 

PROSERPINA

Fuori, plebe orgogliosa:  

fuori della mia reggia...

che gente ardimentosa

sotto l'ombra di Giove

Proserpina beffeggia?

Il mio Cerbero dunque, iniqua prole

lascerò che tu strozzi; il mio diletto

mastin dalle tre gole?

O degli ardenti pozzi io soffrirò,

che la fiamma tu spegna?

Deh masnadieri a depredar discesi

nelle stigie foreste,

non sapete, ch'il vostro

Giove quaggiù non regna,

e che de' ciechi abissi il mondo è nostro.

Su, su miei fidi al serto

le qui depositate

anime de' ciclopi

adattatevi, e dove

Vulcano il dotto artefice compone

di Lemnia Creta i loro novelli corpi

per richiamargli in vita,

riconducete pur al fabbro in dono

questa merce gradita:

e dite al zoppo dio,

che per brev'ora entro gli eterni pianti

non alloggia l'inferno alme arroganti.

Proserpina ->

 

Scena quarta

Admeto, Mercurio, ed Apolline.

<- Admeto, Mercurio, Apolline

 

ADMETO

Di mal accorto padre  

Delia figlia malnata:

ti pose l'error mio

sì follemente in mano

d'ingratissimo dio.

Io maledico il canto,

e le corde, e le cetre, e i versi autori

di sì nocivi amori. Ah ben conosco,

ch'oggi son più mortali

del canto i vezzi, che d'Amor gli strali.

Ecco a sposo spergiuro

un ladro consigliero: ah ben tu sei

di due numi ridenti

fatta Delia lo scherno:

ma per meglio osservali, io qui m'interno.

MERCURIO

No, che restar non puoi,

che sei chiamato, o glorioso nume,

al maneggio del lume.

Né teco venir deve

la tessala bellezza

sulla celeste scena

con la salma terrena.

APOLLINE

Né qui lasciar io devo,

ch'a tante angosce muoia

Delia, da cui ricevo

tanto onor, tanta gioia.

ADMETO

Gran padre degli dèi,

l'alta tua provvidenza

ristori i danni miei.

APOLLINE

Ben può Giove invitarmi:

ma mentre lasci in terra

il mio ben, il mio sole,

Giove in ciel non mi vuole.

ADMETO

O medico dell'alme,

trova rimedio all'amoroso affanno.

Fosti amante ancor tu: trova tu schermo

al sol d'amore infermo.

APOLLINE

Regga pur Giove, regga

i volanti destrieri,

che ripien di cordoglio

tornar in ciel non voglio.

O venga Delia meco,

o resti Apollo seco:

così comanda Amore,

che di Giove è signore.

MERCURIO

Senti del ciel le strepitose trombe,

che gonfia il dio tonante.

Questi è Giove pentito,

che lassù ti richiama al ciel gradito.

APOLLINE

Quanto Giove più tuona,

più Delia m'imprigiona.

MERCURIO

Con la forza del canto

scender precipitosa

le donne di Tessaglia

fanno del ciel l'ammaliata luna.

Ma fa quest'importuna oggi col pianto,

ch'il sol ami la terra, e 'n ciel non saglia.

APOLLINE

Ecco avvivata dall'orribil bombo

aprì Delia le luci, e seco riede

il genitor timidamente audace.

MERCURIO

Ma vedi l'aurea face,

vedi Giove, che siede

del tuo carro al governo,

come ondeggia, e travia dal sentier dritto?

Mira, come all'afflitto

è caduta di man la bella sferza.

Raccoglila tu dunque, e 'n ciel ritorna.

Che presto, ohimè, nella stagion piovosa

per le fangose strade

Giove tracolla, e cade.

APOLLINE

Ahi poco ei tarda più

eccolo, eccolo a terra, eccolo giù.

MERCURIO

Impari a queste prove

a lasciar il pensiero

altrui d'un rio mestiero

anco lo stesso Giove.

 

Scena quinta

Giove in cielo sul carro della luce.

<- Giove

 

GIOVE

Non più t'arresti, o guidator del lume,  

l'amoroso pensiero in terra omai:

torna, ch'approva ogni celeste nume,

quanto all'ospite tua Delia farai.

Godrem, se tolta dal mortal costume,

divina eternità tu le darai.

Pur che tu regga, o sol, quest'aurea face,

fa' di Delia tuo sol, quanto a te piace.

Giove ->

 

Scena sesta

Mercurio, Delia, Ermafrodito, Apolline, ed Admeto.

<- Ermafrodito

 

MERCURIO

Udisti, o infa, udisti  

quanto gradisca alfin, Giove cortese,

un raggio di pietà. Ma tu pentita,

ch'al pentimento ogni donzella è presta,

non vuoi forse cangiare

le delizie di Tempe

con le glorie del cielo?

Tu non rispondi, o Delia, e fatta sei

di sì faconda irata,

mutola sì placata?

DELIA

Sospendi, anco sospendi

avido creder mio

a prestar fede, ancor che parli un dio.

ERMAFRODITO

Di greca gentilezza

ti spogli o donna, e vesti

barbara austerità, barbara asprezza?

APOLLINE

Apparecchiati pure,

bella incredula omai,

al salir meco a' sempiterni giri,

acciò, Delia, tu sia

eternamente mia.

ERMAFRODITO

Ma non risponde ancor ninfa dolente:

teme ella forse, teme, o dio canoro,

perché musico sei, musico amico

de' salti, e delle fughe,

per l'aereo sentiero

più degli strali tuoi

instabile, e leggero.

DELIA

La povertà del merto

mi tiene il core incerto.

L'immensità del dono

fa, che dubbia ancor sono.

ERMAFRODITO

Varia voglie, e sembiante,

cangia voce, e favella

quest'Iride novella

al suo bel sole avante.

DELIA

Se dianzi io t'adorai

con devota ignoranza

isconosciuto nume,

oggi, che dio del lume

ti scopro, ah ben sarebbe

sacrilego il mio core

in non renderti onore.

S'adempia il tuo comando,

fa' dell'ancella tua

quanto a te piace, e quando.

APOLLINE

Sia con tua pace, Admeto

ADMETO

Una lagrima pure

sparger non mi vedrai;

se d'allegrezza forse occhio paterno

di quattro stille, e quattro

non adornasse le rugose guance.

E qual gloria maggiore,

che produrre i suoi parti

per farne dono al ciel, di cui son dono?

A te la consacrai dal dì, ch'aperse

a' tuo' bei raggi i lumi:

e Delia la nomai,

non dal gran Delo tuo, ma perché nacque

in quella dubbia luce,

ch'in partendo da noi forma ogni sera

nell'angol d'occidente

la tua bassa lumiera.

Sorgeva in oriente

allor Giove benigno:

era il celeste cigno

nel più fitto meriggio, ond'io previdi

a lei gloria nel canto, e dal tuo nume

favor cortese, e santo.

MERCURIO

Ancor'io lungamente

ho Delia vagheggiata:

ma poiché vuol tua sorte,

che del Sol sia consorte,

cedo, m'appago, e lodo

sì fortunato nodo.

Parto; ch'il ciel m'insegna

che tra gli dèi rivalità non regna.

ERMAFRODITO

Senti del gran tonante

il cenno, che t'affretta

già tante volte, e tante.

APOLLINE

Un gran rimbombo è questo:

orben a Giove sembra

ogni indugio molesto

MERCURIO

Affretta la partenza,

serenissimo sposo,

Giove, se tardi più, di carro è senza.

Mercurio ->

 

Scena settima

Apolline, Admeto, Ermafrodito, e Delia.

 

APOLLINE

O suocero gradito,  

quando io giunga a posarmi

dal faticar diurno,

deposto il lume, e l'armi,

ozioso notturno,

di Delia troverò co' bianchi lini

le belle mani pronte

asciugarmi la fronte.

Sciorremo uniti il freno

a' miei stanchi destrieri;

gli laveremo all'oceano in seno:

e mentre pasceranno

entro a prato fiorito,

godrà la bella Delia i cari intanto

amplessi del fortissimo marito.

Aurea mia cetra in serbo

a te, suocero, io lascio,

ne sarai tu di lei

rozzo custode sol; ch'un saper tale

nelle tue dita volatrici infondo,

che non avrà mortale

di te più detto in animarla il mondo.

ADMETO

Cortese dio, non puoi

porgere a un re cantore

onoranza maggiore.

APOLLINE

Su, su porgimi alfin gli ultimi amplessi:

stringiti Admeto al sen la cara prole:

rendimi degno di licenza, e forma,

per altrui norma, il benservito al sole.

ADMETO

Gite pur fortunati

a que' chiostri beati: a te, mia figlia

del prencipe dell'ore

prego di nobil frutto il seno adorno.

Acciò mi scherzi intorno

alcun nipote degno

di mia fragil'età fido sostegno.

ERMAFRODITO

Sforzati in ogni guisa

di madre divenir, mentre sei moglie

di sì pregiato nume:

sempre regna felice

feconda genitrice.

 

DELIA

Addio tessale madri,    

addio regno, addio patria, e padre addio.

Io non vi lascio, e solo

per sì bramate nozze

al ciel distendo il volo.

Ogni dì mi vedrete

sulla vermiglia sera

di gioia scintillare: allor direte

vaghe de' miei contenti,

or gode Delia or gode,

del Sol gli abbracciamenti.

S

Sfondo schermo () ()

 

Scena ultima

La Luna, il Tempo, coro dell'Ore, e delle Stagioni, Apolline, Admeto, Delia, ed Ermafrodito.

<- Luna, Tempo, coro dell'ore e delle stagioni

 

LUNA

Vieni, o Sol del mio Sole,  

stendi la bella mano,

e di donna mortal, di morte priva

comincia ad esser diva.

T'adempie le promesse,

o Delia, il dio di Delo:

chi crederia, che desse

la terra i fregi, e le delizie al cielo?

Nel mio cerchio sovrano

ecco Imeneo t'aspetta,

fanciulla, oggi per farti

mia cognata diletta.

Avrai nel bel sereno

cieli al piè, stelle al crine, e 'l Sole in seno.

TEMPO

Noi famiglia del Sole

fida insieme, e volante,

Tempo, Stagioni, ed Ore,

eccoci pronti alle tue leggi sante.

Non fia mai, che divore

tue memorie il mio dente;

eterna in cielo, eterna in terra andrai:

che cessando la fama

di portar il tuo nome, alfin udrai

in teatro novello, in toschi accenti,

sulle venete rive

stuol di cigni canori

di Delia rinnovar gli antichi onori.

 

DELIA

Tutto è grata mercede  

del vostro, e mio signore,

se la mia pura fede

gode un premio immortale,

tutto è celeste amore:

ch'io non ho merto a tante grazie uguale.

APOLLINE E CORO IN CIELO

Arder al Sole il core,

non ogni donna vale,

DELIA

Tutto è celeste amore.

ADMETO E CORO IN TERRA

Arder al Sole il core,

non ogni donna vale.

DELIA

Io non ho merto a tante grazie uguale.

TUTTI IN CIELO E IN TERRA

Arder al Sole il core,

non ogni donna vale.

 

ERMAFRODITO

S'altri al meriggio gode,  

s'altri brama l'aurora,

il Sol la Sera adora,

e la Sera del Sol fatta è consorte:

ecco de' gran misteri

tolto, o mortali, il velo,

oggi la terra si marita al cielo.

CORO IN CIELO

O dive non tardate:

a queste nozze, a questi

spettacoli celesti il piè volgete.

Di bellezze non sia la vostra lite,

che Delia di beltà vince ogni bella.

Ma tra voi gareggiate

di canto, e di carole

in festeggiar negli imenei del Sole.

ERMAFRODITO

E voi, e voi, che fate

delle vostre bellezze

melense spettatrici?

Volete esser felici,

poverelle innocenti? Amate, amate.

 
Acciocché tu accordi gli occhi con l'orecchie, sappi, o squisito lettore, che nel rappresentarla si sono levati dall'opera più di 300 versi, e questo per non abusar della tua cortesia.
Egli è dovere, ch'il poeta lasci le sue gorghe, che sono le digressioni, e gli episodi, per dar luogo ai passaggi de' signori musici.
Onde non attribuire tu ad errore de' recitanti quello, c'hanno fatto per meglio servirti.
 

Fine (Azione terza)

Prologo Azione prima Azione seconda Azione terza

Tessaglia, nella valle deliziosissima di Tempe, sotto il monte Olimpo. Cavernoso abisso.

Apolline, Delia
 

Seguo, o Delia, il costume

Apolline, Delia
<- Admeto, Mercurio

O ben siete intanate

Mercurio, Delia, Apolline, Admeto ->
<- Proserpina

Fuori, plebe orgogliosa

Proserpina ->
<- Admeto, Mercurio, Apolline

Di mal accorto padre

(Giove in cielo sul carro della luce)

Admeto, Mercurio, Apolline
<- Giove
Admeto, Mercurio, Apolline
Giove ->
Admeto, Mercurio, Apolline
<- Ermafrodito

Udisti, o infa, udisti

Admeto, Apolline, Ermafrodito
Mercurio ->

O suocero gradito

Admeto, Apolline, Ermafrodito
<- Luna, Tempo, coro dell'ore e delle stagioni

Vieni, o Sol del mio Sole

Delia, Apolline e Coro in cielo, Admeto e Coro in terra
Tutto è grata mercede
Ermafrodito, Coro in cielo
S'altri al meriggio gode
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ultima
Tessaglia, nella valle deliziosissima di Tempe, sotto il monte Olimpo. Cavernoso abisso. Tessaglia, nella valle deliziosissima di Tempe, sotto il monte Olimpo. Cavernoso abisso. Tessaglia, nella valle deliziosissima di Tempe, sotto il monte Olimpo. Cavernoso abisso. Grand'uscio infernale. Tessaglia, nella valle deliziosissima di Tempe, sotto il monte Olimpo. Cavernoso abisso. Tessaglia, nella valle deliziosissima di Tempe, sotto il monte Olimpo. Cavernoso abisso.
Prologo Azione prima Azione seconda

• • •

Testo PDF Ridotto