Atto primo

 

Scena prima

Atrio reale.
Gualtiero, e Popoli.

 Q 

Gualtiero, popoli

 

GUALTIERO

Questo, o popoli, è 'l giorno, in cui le leggi  

da voi prende il re vostro. A voi fa sdegno

veder ch'empia 'l mio letto

donna tratta da' boschi,

donna avvezza a trattar rustica vanga.

Tal Griselda a me piacque;

tal la sdegnaste. Al fine

miro lei co' vostr'occhi.

Decretato è 'l ripudio; e voi ne siate

giudici, e spettatori. Or che la rendo

a le natie sue selve,

col vostro amor quel del mio core emendo.

 

Scena seconda

Griselda, e detti.

<- Griselda

 

GRISELDA

Eccoti, sire, innanzi  

l'umil tua serva.

GUALTIERO

È grave

l'affar, per cui sul primo albor del giorno

qui ti attende Gualtier.

GRISELDA

Tutta quest'alma

pende da' labbri tuoi.

GUALTIERO

Siedi.

(si assidono)

GRISELDA

Ubbidisco.

GUALTIERO

Il ripeter ci giovi

gli andati eventi. Dimmi,

qual io fui; qual tu fosti.

GRISELDA

(Alto principio!) In vil tugurio i' nacqui;

tu fra gli ostri reali.

GUALTIERO

Era il tuo 'ncarco?

GRISELDA

Pascer gli armenti.

GUALTIERO

Il mio?

GRISELDA

Dar leggi al mondo.

GUALTIERO

Come al soglio salisti?

GRISELDA

Tua bontà fu, cui piacque

sollevarmi dal pondo

de la mia povertà vile, ed abietta.

GUALTIERO

Così al regno ti ammisi?

GRISELDA

E fui tua serva.

GUALTIERO

Tal ti accolsi nel letto?

GRISELDA

Ed io nel core.

GUALTIERO

(Meritar men d'un regno

non dovea tanta fede, e tanto amore.)

Prole avemmo?

GRISELDA

Una figlia.

GUALTIERO

E tolta questa

ti venne da la cuna?

GRISELDA

E più non n'ebbi, oh dio! notizia alcuna.

GUALTIERO

Quant'ha?

GRISELDA

Quindici volte

compì d'a lor l'annua carriera il sole.

GUALTIERO

Ti affliggesti?

GRISELDA

Fu legge

al mio duolo un tuo cenno.

GUALTIERO

Io fui per essa

e carnefice, e padre.

GRISELDA

Era tuo sangue,

e versar lo potevi a tuo piacere.

GUALTIERO

E m'ami anche crudel?

GRISELDA

Meno amar'io

non ti potrei, se ancor versassi il mio

GUALTIERO

Al fin?

GRISELDA

Nacque Everardo,

unica tua delizia.

GUALTIERO

In sì gran tempo

ti spiacqui? ti oltraggiai?

GRISELDA

Grazie sol n'ebbi.

GUALTIERO

Di quanto feci, io non mi pento. Il cielo

testimonio ne sia; ma pur conviene

che i miei doni ritratti. Il re talvolta

dée servire a' vassalli, e seco stesso,

per serbarne il dominio, esser tiranno.

GRISELDA

Dove tu imperi, ogni ragion condanno.

GUALTIERO

La Sicilia, ov'io regno,

ubbidirmi ricusa. Ella mi sgrida,

che i talami reali abbia avviliti

con lo sposar Griselda; e non attende

da' boschi, ove se' nata, il suo monarca.

A chiamar m'ha costretto

sposa di regio sangue al trono, e al letto!

GRISELDA

La provincia vassalla

tanti lustri soffrì per me regina;

ed or sol mi ributta?

GUALTIERO

Ella è gran tempo

che ricalcitra al giogo. Io già svenai

di stato a la ragion l'amate figlia.

Gli odi alquanto sopì, ma non estinse.

Or che nacque Everardo, impaziente

torna a l'ire, e m'insulta.

GRISELDA

S'Everardo sol rompe

sì bei nodi d'amor, dunque Everardo...

(si leva)

Ah no... Griselda mora.

Son moglie, è ver; ma sono madre ancora.

GUALTIERO

(levandosi)

Moglie più non mi sei.

GRISELDA

Mi condona, o mio re, se troppo chiesi;

e se troppo tardai

forse a renderti un nome a me sì caro.

Il tuo voler dovea

esser norma al mio affetto. Ecco mi spoglio

il diadema, e lo scettro, e a quella destra,

che me 'l cinse, e me 'l diede,

riverente il ritorno.

(dà a Gualtiero la corona, e lo scettro, che li fa deporre sopra d'un tavolino)

GUALTIERO

(Alma, resisti.)

GRISELDA

Se ti piaccio in tal guisa,

ne le perdite ancor trovo gli acquisti.

 

Fa' di me ciò che ti piace,  

e contenta anch'io sarò.

Questo core, e questa vita,

perché è tua, sol m'è gradita;

a un tuo cenno ella soggiace:

quando vuoi, morir saprò.

 

Scena terza

Ismeno, e li suddetti.

<- Ismeno

 

ISMENO

Presto, signore.  

GUALTIERO

Ismeno.

ISMENO

Or al porto...

(veduta Griselda ammutisce)

GRISELDA

Che fia?

ISMENO

Ahimè! qui la regina?

GUALTIERO

E bene, al porto...

ISMENO
(piano al re)

Se mi sente Griselda, Ismeno è morto.

GUALTIERO

Parla, né dubitar.

ISMENO

Giunta è la sposa.

GUALTIERO

Giunta è la regia sposa? Addio, Griselda.

GRISELDA

Così tosto mi lasci?

GUALTIERO

Atteso io sono.

(senza più riguardarla)

GRISELDA

Almeno un solo sguardo

volgimi per pietà.

GUALTIERO

Troppo mi chiedi.

GRISELDA

Dunque, Gualtieri, addio.

ISMENO

Se ti lascia Gualtier, ti lascio anch'io.

 

GUALTIERO
(in atto di partire, torna a Griselda)

Vado a mirare un volto,  

vado a baciare un labbro,

per vezzo più gentile,

più vago per beltà.

Per te già 'l cor disciolto,

ama in prigion non vile

perder la libertà.

Gualtiero, popoli, Ismeno ->

 

Scena quarta

Griselda, poi Otone.

 

GRISELDA

Ecco il tempo, in cui l'alma  

dia saggio di sé stessa. Ostri reali

vestì già senza fasto; e al primo nulla

torni senza viltà. Sol può Gualtiero

vincer la mia costanza.

Col tormi un sì gran bene

del mio coraggio in onta,

mie sciagure, imparate ad esser pene.

 

<- Otone

OTONE

Regina, se più badi,  

più regina non sei.

GRISELDA

(Costui quant'è importun!)

OTONE

Su le tue chiome

la corona vacilla.

A serbartela Otone è sol bastante,

fido vassallo, e cavaliero amante.

GRISELDA

Chi mi toglie il diadema,

mi ritoglie un suo don. Se perde il capo

l'insegne di regina, a me, lascivo,

resta il cor di Griselda.

OTONE

E soffrir puoi, ch'altra ti usurpi un fregio,

che a te sola convien?

GRISELDA

Fregio che basta,

è l'innocenza a l'alma.

OTONE

Io, se lo imponi,

anche in braccio a Gualtiero,

svenerò chi ti toglie

il nome di regina, e quel di moglie.

GRISELDA

Iniquo, e lo potresti? e tal mi credi?

OTONE

Pensa, che in un rifiuto

perdi troppo.

GRISELDA

Che perdo?

OTONE

Regno.

GRISELDA

Che mio non era.

OTONE

Grandezze.

GRISELDA

Oggetto vile.

OTONE

Sposo.

GRISELDA

Che meco resta.

Lontano ancor, ne l'alma mia scolpito.

OTONE

Un tuo sguardo, Griselda

dà tempre a questo ferro; ed un suo colpo

troncherà i tuoi perigli; e tu no 'l curi?

GRISELDA

Col prezzo de la colpa

grandezza non si ottien, si ottien ruina.

Sinché 'l senso è vassallo, io son regina.

 

Ne la crudel mia sorte  

non ti lusinghi il cor

vana speranza.

Più stabile, e più forte

vedrai del suo rigor

la mia costanza.

Griselda ->

 

Scena quinta

Otone.

 

 

Troppo avvezza è Griselda  

tra le porpore al fasto; or la corona

adito non le lascia a' miei sospiri.

Ma forse col diadema

deporrà la fierezza;

e, lontana dal soglio,

avrà forse pietà del mio cordoglio.

Con sì bella speranza io primo a l'ire

mossi la facil plebe;

fei parerle che indegna

fosse troppo Griselda

di dar figli a Gualtiero, eredi al trono.

Tal, crudel per amore, empio per fede,

piango colei, ch'io solo

misera feci; e 'l frutto

de' mali suoi nel suo possesso attendo.

Perdonami, o Griselda.

Non ti posso acquistar, se non ti offendo.

 

Chi regina mi disprezza,  

pastorella mi amerà.

Le dà fasto la grandezza,

gentilezza

potrà darle la viltà.

Otone ->

 
 

Scena sesta

Porto di città con vista di navi.
Approda real naviglio, da cui scendono Corrado, Roberto, e Costanza.

 Q 

<- Corrado, Roberto, Costanza

 

CORRADO

Germani, e ben entrambi,  

un dì affetto, un dì sangue

dirò, germani miei, cari egualmente,

qui per brev'ora m'attendete. Io deggio

gire incontr a Gualtiero, al regio sposo.

ROBERTO

(Oh nome che mi uccide!)

COSTANZA

(Oh dì penoso!)

 

CORRADO
(a Costanza)

Al tuo destin più grato  

mostra nel volto il cor.

Oggi per tuo contento

beni dispensa il fato,

gioie prepara amor.

Corrado ->

 

Scena settima

Roberto, e Costanza.

 

ROBERTO

Costanza, eccoti in porto.  

Questa, che premi, è la Sicilia; e quella

è l'alta reggia, ove Gualtieri attende

leggi dal ciglio tuo per darle al mondo.

COSTANZA

Ah Roberto, Roberto!

ROBERTO

Tu sospiri? ed accogli

mesta le tue grandezze?

COSTANZA

Io mi torrei

più volentier viver privata, e lunge

da quella reggia, a me di gioie avara,

purch'io di te, tu di me fossi.

ROBERTO

O cara.

 

COSTANZA

Un sol de' tuoi sguardi  

val'ogni grandezza.

Nel dirti: d'affetto

mi struggo, e tu m'ardi;

ho tutto il diletto,

che l'alma più apprezza.

Sfondo schermo () ()

 

ROBERTO

Ah! che un sol lampo appena  

de l'aureo scettro, e del reale ammanto

ti verrà a balenar su le pupille,

che ti parrà a quel lume

vile l'amor, che per me t'arde; e cinta

di corona le chiome,

accostarsi a l'udito

non lascerai pur di Roberto il nome.

COSTANZA

Poco, incredulo, poco

il mio cor tu conosci,

e pur tutto il possiedi. Al cielo, a' numi

giuro che più...

ROBERTO

Deh taci.

Col grado cangerai sensi, e costumi.

COSTANZA

Andiam ora, se 'l vuoi,

dove meno è di rischio, e più di pace.

Verrò, se pur ti piace...

ROBERTO

No, no: regna nel mondo,

come su l'alma mia. Sì vil non sono,

che a discender dal trono io ti esortassi.

COSTANZA

Pensa, che giunta al regno, e altrui consorte,

mi vieteran l'amarti,

per tuo, per mio castigo, onore, e fede.

ROBERTO

Lo so: ma pur disio

più la grandezza tua, che 'l piacer mio.

COSTANZA

Poscia in van ti dorrai.

ROBERTO

La tua beltade,

ch'amo ancor, né più spero,

più che degna di me, degna è d'impero.

 

Già col vostro splendor  

voi m'accendete 'l cor

care pupille.

Ma forza è, in questo dì,

che si spegnano sì

le mie faville.

 

Scena ottava

Gualtiero, Corrado, Ismeno, e detti.

<- Gualtiero, Corrado, Ismeno

 

GUALTIERO
(a Corrado)

L'arcano in te racchiudi.  

CORRADO
(a Gualtiero)

È mia cura obbedir.

GUALTIERO

Bella Costanza.

COSTANZA

Gran re.

GUALTIERO

Qual mai ti stringo! e qual nel core

mi nasce, in abbracciarti,

tenerezza, e piacer, figli d'amore!

COSTANZA

Signor, da tua bontà l'alma sorpresa

tace; e i timidi affetti

più che 'l mio labbro, il suo tacer palesa.

ROBERTO

(Soffri, oh misero cor.)

CORRADO

(Mesto è 'l germano.)

ISMENO

Lascia, che anch'io, regina,

la man ti baci.

GUALTIERO

È questi

il fido servo Ismen.

COSTANZA

Mi sarai caro.

GUALTIERO

Ommai vien meco a parte

di quello scettro, e di quegli ostri, o bella,

che in benefico influsso

già riserbaro al tuo natal le stelle.

Tu pur vorrai Roberto,

o di ceppo real germe ben degno.

Oggi da voi riceva

ornamento la reggia, e gioia il regno.

ROBERTO

Gran re, troppo mi onori.

GUALTIERO

Ismen.

ISMENO

Signor.

GUALTIERO

Fa' che Griselda affretti

fuor de la reggia il piè.

ISMENO

Corro veloce.

(parte)

Ismeno ->

 

GUALTIERO

Andiam: più non s'indugi, idolo mio.  

COSTANZA

(a Gualtiero)

Seguo il tuo piè.

(a Roberto, che se le accosta)

Prence.

ROBERTO

Regina.

COSTANZA E ROBERTO

Addio.

 
(Gualtiero volgendosi improvviso a Costanza la vede mesta, e nel partire si ferma)

GUALTIERO

Vago sei, volto amoroso,  

ma ti affligge un non so che.

Dillo a me per tuo riposo:

quell'affanno, e che cos'è?

 

COSTANZA

Sento anch'io nel mio contento,

che mi afflige un non so che.

S'io no 'l so, che pur lo sento,

chi può dir, che cosa egli è?

Gualtiero, Costanza ->

 

Scena nona

Roberto, e Corrado.

 

ROBERTO

German; se avevi a tormi  

l'amabile Costanza,

perché sin da' prim'anni

non mi vietar d'amarla?

Perché adular la mia speranza? I miei

voti perché tradir?

CORRADO

Regge, o germano,

gli umani casi il ciel. Soffri più forte

l'alto voler, né ti attristar cotanto.

Sovente ei si compiace

farci a un vero gioir strada col pianto.

ROBERTO

Costanza era già 'l solo

diletto de' miei giorni. Io l'ho perduta.

Altro ben non mi resta, e non mi lice

sperarlo più.

CORRADO

Roberto,

pria che termini il dì, sarai felice.

 

Le vicende de la sorte  

sono istabili, ed infide;

alma saggia, e cor, ch'è forte,

non disperi a l'or, che piange,

non si gonfi a l'or, che ride.

Sfondo schermo () ()

Corrado ->

 

Scena decima

Roberto.

 

 

Quai lusinghe? sì chiara  

è la perdita mia, che 'l dubitarne

sarebbe inganno. Al regio sguardo ahi troppo

piacque la mia Costanza.

Ed a chi mai non piaceria quel volto!

Sol per mio mal le stelle,

o pupille adorate,

fecer me così amante, e voi sì belle.

 

È troppo bel quel volto  

per non doverlo amar.

Amor ne gli occhi accolto

vi fa del guardo un fulmine

per arder, e piagar.

 
 

Scena undicesima

Cortile.
Griselda in abito pastorale, ed Ismeno.

 Q 

Griselda, Ismeno

 

ISMENO

Parti. Ecco il re; Griselda.  

Affretta il passo.

GRISELDA

Ismeno

vuol ch'io parta Gualtier, senza che 'l miri?

ISMENO

Tanto egl'impon.

GRISELDA

Senz'alma

chi può partir?

ISMENO

Deh tosto...

GRISELDA

No, no: qui ancor l'attendo; e tu, se nulla

ti muovono a pietà le mie sciagure...

ISMENO

Che far potrei?

GRISELDA

Recami il figlio, ond'io

ne l'ultimo congedo, in tanto duolo,

possa imprimer almeno

su quel tenero labbro un bacio solo.

ISMENO

(Mi fa pietà.) Per compiacerti io volo.

Ismeno ->

 

Scena dodicesima

Gualtiero, che viene vagheggiando un ritratto. Griselda.

<- Gualtiero

 

GUALTIERO

Quanto vago è quel sembiante,  

che mi accende, e m'innamora!

GRISELDA

(Ma più fida, e più costante

è quest'alma, che ti adora.)

GUALTIERO

Ne la reggia tu ancora

Griselda? e non partisti?

GRISELDA

Parto, amato mio re, poiché mi è tolto

dirti, amato mio sposo.

Già ritorno a le selve. Eccomi ancora

in quel rustico ammanto, in cui ti piacqui.

GUALTIERO

(Adorate sembianze!)

GRISELDA

Tal mi presento a te, non perché speri

più di piacerti ancor. Fu, se mi amasti,

tua bontà, non mio merto.

Vengo sol da quegli occhi,

sì, da quegli occhi ond'ardo,

a ricever l'estremo,

sia pietoso, o crudel, sempre tuo sguardo.

GUALTIERO

Che? di te mi favelli? ed io credea,

che la nuova mia sposa

ti occupasse il pensier. La vidi, o quanto

bella, e gentil! Tu stessa

l'ameresti, o Griselda.

GRISELDA

E l'amo anch'io.

(Gualtiero torna a mirare il ritratto)

 

Ciò che piace al tuo affetto, è caro al mio.

GUALTIERO

Nel suo ritratto appunto

vagheggio il dardo, onde trafitto ho il core.

GRISELDA

La tua gioia è conforto al mio dolore.

GUALTIERO

Vedi s'io mento.

(dandole il ritratto)

GRISELDA

O numi!

(lo mira attenta)

Quai sembianze! qual volto!

GUALTIERO

Che ti sembra?

GRISELDA

Ah signore,

ne' suoi lumi ha i tuoi lumi;

ne la sua la tua fronte; e in lei ravviso

solo alquanto men crudo, il tuo bel viso.

GUALTIERO

È bella?

GRISELDA

E di te degna.

GUALTIERO

Godrò seco felice.

(togliendole di mano il ritratto)

GRISELDA

Il ciel ti dia

lunga età, fausto regno.

De' tuoi figli i nipoti

ti vezzeggino intorno; e appena, in tanta

serie d'alte fortune,

ti sovvenga talvolta

de la misera tua fedel Griselda.

Ella torna a' suoi boschi,

onde trarla a te piacque; e sol vi porta

un rifiuto di morte, un cor senz'alma.

GUALTIERO

Altro dirai?

GRISELDA

Che serbi

la pietà, che a me nieghi,

per l'innocente figlio; e in lui perdoni

al tuo, non al mio sangue.

GUALTIERO

Non più.

GRISELDA

Parto, mio sire.

Lunge dal caro oggetto

troppo qui ti rattenni.

La forza, che a te fai, ti leggo in volto.

GUALTIERO

Torna a' boschi, e ti affretta.

(Ceder mi converrà, se più l'ascolto.)

Gualtiero ->

 

Scena tredicesima

Griselda, Ismeno con Everardo.
Otone in disparte.

<- Ismeno, Everardo, Otone

 

ISMENO

Qual chiedesti, ecco il figlio.  

Te 'l concedo un momento.

Temo usarti pietà con mio periglio.

(Ismeno si ritira. Otone a parte lo afferra, e li parla all'orecchio)

GRISELDA

Everardo, o soave  

frutto de l'amor mio,

in te già di quest'alma

bacio una parte; bacio

l'immagine adorata

del mio Gualtiero; e in un sol bacio sento

rallentarsi il rigor del mio tormento.

OTONE
(a parte ad Ismeno)

Ciò che imposi, eseguisci.

GRISELDA

Labbro vezzoso, e caro.

OTONE

A me, Griselda,

(corre a prenderle di mano il fanciullo)

lascia.

GRISELDA

Ancora un momento.

OTONE

Non posso.

(Ismeno guarda Otone)

GRISELDA

Ahimè! Di vita

toglimi ancor.

OTONE
(ad Ismeno minacciandolo)

Che più dimori?

ISMENO

Invano.

(le toglie affatto il fanciullo)

GRISELDA

Chi è di cor sì spietato,

che nieghi ad una madre un dolce amplesso?

ISMENO

Te 'l dica Otone.

(mostrandole Otone, che si avanza)

OTONE

Il tuo Gualtiero istesso.

GRISELDA

Da labbro più odioso

giunger non mi potea nome più caro.

OTONE

Io pietoso te 'l lascio.

GRISELDA

Ricuso il dono.

OTONE

Ingrata.

GRISELDA

Ecco veloce,

per non soffrir tuoi sguardi,

a la fatal partenza il piè si appresta.

(Mio Gualtier, ti ubbidisco.)

OTONE

Odi; ti arresta.

 

GRISELDA

So che vuoi parlar d'amore;  

né al mio core

sa piacer la tua favella.

Non dar luogo a la speranza:

così vuol la mia costanza,

e 'l tenor de la tua stella.

Sfondo schermo () ()

Griselda ->

 

Scena quattordicesima

Otone, ed Ismeno con Everardo.

 

OTONE

Non giovan le lusinghe;  

gioveran le minacce. Ismen.

ISMENO

Signore.

OTONE

Sino ad altro mio cenno

custodisci il fanciullo. A me già diede

Gualtier gli ordini suoi.

ISMENO

Sai la mia fede.

(parte col fanciullo)

Ismeno, Everardo ->

 

OTONE

Altra via con costei  

s'ha da tentar cor mio. Già la disegno.

Ciò che non può l'amor, vinca l'ingegno.

 

Farò,  

quanto potrò,

per addolcirti un dì,

beltà tiranna.

Un cor, che viva in pene,

è fabbro del suo bene,

a l'or che inganna.

Otone ->

 

Fine (Atto primo)

Atto primo Atto secondo Atto terzo

Atrio reale.

Gualtiero, popoli
 

Questo, o popoli, è 'l giorno, in cui le leggi

Gualtiero, popoli
<- Griselda

Eccoti, sire, innanzi

Gualtiero, popoli, Griselda
<- Ismeno

Presto, signore / Ismeno

Griselda
Gualtiero, popoli, Ismeno ->

Ecco il tempo, in cui l'alma

Griselda
<- Otone

Regina, se più badi

Otone
Griselda ->

Troppo avvezza è Griselda

Otone ->

Porto di città con vista di navi.

(approda real naviglio, da cui scendono Corrado, Roberto, e Costanza)

<- Corrado, Roberto, Costanza

Germani, e ben entrambi

Roberto, Costanza
Corrado ->

Costanza, eccoti in porto

Ah! che un sol lampo appena

Roberto, Costanza
<- Gualtiero, Corrado, Ismeno

L'arcano in te racchiudi

Roberto, Costanza, Gualtiero, Corrado
Ismeno ->

Andiam: più non s'indugi, idolo mio

Gualtiero, Costanza
Vago sei, volto amoroso
Roberto, Corrado
Gualtiero, Costanza ->

German; se avevi a tormi

Roberto
Corrado ->

Quai lusinghe? sì chiara

Cortile.

Griselda, Ismeno
 

(Griselda in abito pastorale)

Parti. Ecco il re; Griselda

Griselda
Ismeno ->
Griselda
<- Gualtiero

Quanto vago è quel sembiante

Griselda
Gualtiero ->
Griselda
<- Ismeno, Everardo, Otone

(Otone in disparte)

Qual chiedesti, ecco il figlio

(Ismeno si ritira. Otone a parte lo afferra, e li parla all'orecchio)

Everardo, o soave

Ismeno, Everardo, Otone
Griselda ->

Non giovan le lusinghe

Otone
Ismeno, Everardo ->

Altra via con costei

Otone ->
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima
Atrio reale. Porto di città con vista di navi. Cortile. Stanze; tavolino con manto, scettro, e corona. Campagna con fiume, e collina con capanna. Capanna con letto. Loggia con trono. Deliziosa con fontane. Gran sala reale preparata per le nozze.
Atto secondo Atto terzo

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