Atto quarto

 

Scena prima

Melissa, Ruggiero.

Melissa

 

MELISSA

Già de gl'inganni altrui,  

e de gl'errori suoi Ruggiero accorto,

s'accinge a la partita:

ben'è l'impresa ardita,

e lungo affanno, e gran periglio affronta;

ma soccorso, e conforto

ad arrecargli pronta

io qui l'aspetto. E dal lascivo albergo

parmi appunto, che gl'esca 'l braccio manco,

arnese disusato,

sostien lo scudo: adamantino usbergo

arma gl'omeri, e il fianco:

preme la nobil chioma elmo lucente;

e dal sinistro lato

sitibondo di sangue in fiera guisa,

pende il ferro tagliente.

 

<- Ruggiero

RUGGIERO

O prezioso anello,  

o mirabil gemma,

di cui più rara non nutrì già mai

ne l'onde sue oriental maremma.

Io tua mercé, viva conosco omai

e l'altrui froda, e il proprio fallo. Ed io,

io dunque fui sì forsennato, e stolto,

che come idolo mio

riverire, adorar potei quel volto,

quel volto, ohimè, che nel tartareo tetto

faria scorno a Megera, onta ad Aletto?

MELISSA

Or tempo è ch'io mi scopra. A te di Francia

mossa a pietà di carcere sì indegno,

o mio Ruggier, ne vegno

quel, che pur dianzi udisti

ragionarti dal ciel, non era Atlante,

io, per destar nel generoso cuore

il sopito valore,

così presi di lui forma, e sembiante.

La bella Bradamante,

che de l'anima sua molto più t'ama,

di lontan lagrimando ogn'or ti chiama.

Quell'anel ch'io ti diedi, ella ti manda.

Or tu, che de la maga

la natural beltà mirasti espressa,

libero mi confessa

quanto leggiadra sia, quanto sia vaga.

RUGGIERO

O cortese Melissa, o di colei,

ch'è vita del cuor mio,

messaggiera gentil, nunzia amorosa,

molto al tuo amor debb'io,

molto a quella pietà, che sì da lungi

ti trasse ad emendar gl'errori miei,

peccai, no 'l nego: indegna, vergognosa

fu la mia colpa, ed ogni pena è lieve,

ma se scusa riceve

da un'anima ingannata un cuore amante,

so ben, che Bradamante

conoscerà, che magico potere

fe' forza al mio volere.

E come potea mai solo intelletto,

occhio non abbagliato

per sì difforme aspetto,

sì leggiadra beltà porre in oblio?

O mio cuore ingannato,

o mie luci tradite, e che si bada?

Stringasi omai la spada,

caggia l'infame regno;

vegga costei qual forza abbia nel petto

di schernito guerrier ragione, e sdegno.

MELISSA

Ira è di nobil cor non vile affetto,

e governata da ragione accresce

forza, e valor. Or tu Ruggier, mi ascolta.

Sai che del tuo partir fatta è gelosa

la maga, e che di folta

turba tien custoditi i passi intorno;

tu strada sanguinosa

col ferro aprir ti déi. Lungi dal porto,

se brami di fuggir periglio, e scorno,

prendi la via. Con mille navi Idraspe

scorre quei liti. A destra

volgi dunque le piante; e perché dura,

malagevole, alpestra

può la strada parerti, a quel destriero,

che più, che pece nero

ne le stalle d'Alcina in ozio giace,

che passa i venti al corso,

che sempre fresco a le fatiche dura,

pon frettoloso il morso

e ne la fuga a tutta briglia il caccia.

Non t'arresti per via grido, o minaccia;

né di beltà fallace

invito lusinghier ritardi il piede,

ove bisogno il chiede

scopri de l'aureo scudo

la fiamma abbagliatrice, e non ti caglia

di più lunga battaglia.

In riva al mar vedrai nocchiero accorto;

ei su volante pino

per sicuro cammino

ti condurrà su l'altra sponda in porto.

So, che il destrier pennuto

trar ti potrebbe in un girar di ciglio

per l'ampie vie del ciel fuor di periglio;

ma poco ubbidiente,

e tu per prova il sai

a gl'imperi del freno, egli acconsente.

Io domerò quel pertinace orgoglio,

e in breve il condurrò dove tu vai.

RUGGIERO

Parto, e da tuoi consigli

non fia, che m'allontani. Un sol cordoglio

mi resta ancor, Melissa: in questa sponda

converso in steril fronda

de la mia Bradamante

vive il cugino Astolfo. O s'io potessi

nel primiero sembiante

tornarlo. Il sangue mio da queste vene

come lo spargerei, lieto, e contento.

MELISSA

Astolfo, ed altri cento,

che trasformati in queste ignude arene

con insolite pene

l'iniqua maga opprime,

ritorneranno a le sembianze prime,

or tu vanne, Ruggier, che qui vicina

se l'occhio non m'inganna, i' veggo Alcina.

Ruggiero, Melissa ->

 

Scena seconda

Alcina, Lidia.

<- Alcina, Lidia

 

ALCINA

Dal più caldo meriggio  

il luminoso arcier saetta i lampi,

e fulminati da gl'intensi ardori

l'odorata cervice in mezzo a i campi;

chinan languidi i fiori:

e su quest'ora appunto

là nel bosco de' lauri

che con le frondi sue fa scudo al prato,

dove con legger fiato

par ch'un zeffiro dolce il ciel ristauri,

meco promise il mio Ruggier trovarsi.

O schernite dolcezze, o passi sparsi

misera, ei non si vede,

io il chiamo, ei non risponde: e pur solea

impaziente già d'ogni dimora

il tempo prevenir, precorrer l'ora.

Lidia istessa non torna. Ella dovea

diligente cercarlo, e frettolosa

recarmene novelle. O qual mi fiede

il palpitante cuor cura noiosa.

Fuggito lassa, è il mio Ruggiero: i' sento

l'alma che presagisce il suo tormento.

LIDIA

Al bosco degl'allori,

a la spiaggia del mare, al monte, al piano

mille volte cercato,

mille volte chiamato,

o mia reina, ho il tuo Ruggier, ma invano:

parte non v'ha sì chiusa, e sì riposta,

ch'io non abbia trascorsa,

e pur Ruggier non trovo: un sol segnale

i miei pensier inforza,

sai, ch'il dì primo a i prieghi tuoi deposta

fu dal guerrier, la sanguinosa spada

e che, quasi trofeo di tua bellezza,

appo il tuo letto a le pareti appesi

di lui giaceansi i militari arnesi:

questi dianzi io non vidi.

ALCINA

Ohimè sicure

son già le mie sciagure.

Lidia tu m'uccidesti. Almen m'addita

da qual parte se n' vada.

LIDIA

Troppo sei presta al duol. Di sua partita

non hai fin'or certezza,

e forzi per vaghezza

di provarsi scherzando

in marzial contese

co' cavalieri tuoi, l'arme, avrà prese.

ALCINA

Troppo Lidia è leggiero il tuo conforto

a così gran dolore.

LIDIA

Orribili sembianze,

ma vane per lo più veste il timore.

ALCINA

Ma più vane però son le speranze.

LIDIA

Proprio è di nobil petto

ne gl'affanni maggior premer l'affetto.

ALCINA

Tenero amor non usa opre da forte,

e mal si può dissimular la morte.

LIDIA

Fa', se regina sei, che ti ricordi

la maestà del grado.

ALCINA

Ah, che in un cor di rado

amore, e maestà regnan concordi.

Partir vedrò il mio bene, e starò muta

in così gran martire?

Sì ch'io vuò lagrimar, ch'io vuò morire.

 

Scena terza

Alcina, Lidia, Nunzio.

<- Nunzio

 

LIDIA

Ohimè, tutto anelante,  

tutto sangue, e sudori un de' custodi

de la reggia ver noi drizza le piante.

NUNZIO

Di successi men rei

messaggero, o reina, esser vorrei.

ALCINA

Brevemente ragiona

che prima ancor, che tu favelli, ahi lassa,

io già t'intendo. Passa,

passami il cuor, ma tosto:

ch'è crudeltà infinita

tardar la morte a chi dée uscir di vita.

NUNZIO

Guari non è, che di lucente acciaro

fieramente guernito il busto, e il tergo

sovra un nero destrier dal regio albergo

uscir tentò Ruggier: con ciglio oscuro

e con parlar superbo il passo chiede;

negato, ove più vede

densa la turba de' custodi, spinge

il feroce corsiero, e con la destra

la spada fulminante a un punto stringe.

Noi facciam fronte, e giuro

per questo sangue, che dal crin mi gronda,

ch'in tanti petti una viltà non scorsi;

ma qual poteva mai riparo opporsi

a quel braccio, a quel brando? Il sangue inonda

il real pavimento; un ferro solo

beve cent'alme, e non cred'io, che soglia

a le tenere biade

tanta strage recar, qualvolta cade

dal tempestoso ciel grandine estiva;

né con tal furia ad espugnar la riva,

allor, che muta spoglia

al primo sol invigorito il mondo,

torrente furibondo,

che gonfio ha il sen di liquefatta brina,

scende da balza alpina,

come fiero ei n'assalse, e ne disperse.

Indi lentando al corridore il freno

per la via, che s'aperse,

rapido se n'andò come baleno.

Me sol, perché potessi

forse recar gli sfortunati avvisi,

lasciò fra tanti uccisi

vivo, benché ferito.

ALCINA

Vanne: troppo hai tu detto, io troppo udito.

Nunzio, Lidia ->

 

Scena quarta

Alcina.

 

 

Or sì, misero core,  

or sì lumi dolenti,

di lagrimar, di sospirare è tempo.

Parta da me ciò che non è dolore,

se non han chi gl' avanzi i miei tormenti

non abbian chi gl'agguagli i mei lamenti.

Troppo, lassa, fu vero il mio sospetto.

Ben sentiv'io nel petto

battermi ogn'or de le sciagure mie,

il timor messaggero;

questo è quel, ch'il pensiero

mi predicea con non inteso affanno.

Or, che palese è il danno,

chi mi soccorre, ohimè? Chi mi conforta?

Se Ruggiero è partito, Alcina è morta.

Dove volger debb'io,

per ritrovarlo, il piè, chi me l'addita?

Dove va la mia vita?

Dove fugge il cor mio?

Chi ritarda, chi tiene,

chi mi torna il mio bene?

E se fero, e crudele,

se ingrato, ed infedele

tornar non vuol chi dietro a lui mi porta?

Se Ruggiero è partito, Alcina è morta.

Ah, che nessun m'ascolta;

i zefiri volanti

si portan le mie pene,

e le deserte arene

si bevono i miei pianti.

Ei con fuga felice

di vestigia infedeli imprime il lido,

io d'un amante infido

miserabil rifiuto, ed infelice,

ne le lagrime mie rimango assorta:

se Ruggiero è partito, Alcina è morta.

Ma, che morta dic'io? Stelle perverse

voi per maggiore affanno

mi faceste immortale: il vostro dono

fu la mia sciagura, e danno,

iniquissima legge: io dunque sono

egualmente sbandita

dal regno de la morte, e de la vita?

Ritoglietemi o stelle, i vostri doni;

che se viver degg'io sol per languire,

meglio sarà morire.

E tu Ruggier (che ti dirò pur mio)

se ben più mio non sei deh ferma i passi.

Crudel perché mi lasci?

In che t'offesi mai? Che t'ho fatt'io?

Resta Ruggier, deh resta:

così la fé s'osserva?

Così tratti tu questa,

dilla qual più t'aggrada, amante, o serva?

Or va tradita Alcina

va', credi a i giuramenti:

lascia mesti, e dolenti

mille antichi amatori, et accomuna

il tuo letto, il tuo regno

a un pellegrino indegno

che non so donde, qua cacciò fortuna.

Ma dei fulmini vostri,

o spergiurate deità del cielo,

che fate voi? Se de gl'empirei chiostri

non s'ha giustizia, invano

ben v'accende gl'altari il mondo insano,

punite con memorando esempio

quel traditor, quell'empio,

e se tardo è il castigo, almen sia fiero,

muora, muora Ruggiero.

Ovunque l'infedel volgerà i passi,

li nieghi il sol la luce, il fiume l'onda,

la terra, gl'alimenti:

e, se spiegando audace vela a i venti,

solcar vorrà la region profonda

scatenato dal claustro

esca Aquilone, ed Austro;

caggia l'iniquo, e per l'arene incolte

le nud'ossa insepolte

biancheggiar di lontan miri il nocchiero;

muora, muora Ruggiero.

Misera, e che più spargo

inutilmente le querele, e i gridi?

Tempo è di vendicarmi

su, su correte a l'armi,

o vilipesi popoli d'Alcina,

altri cingano i lidi,

altri per la marina

battan l'ale de' remi. Ove può mai

quell'ingrato fuggir, che non gli sia

intercetta ogni via,

serrato ogni sentiero?

Muora, muora Ruggiero.

Folle, ma che vaneggio?

Forsennata, che chieggio?

No, no, viva Ruggier, viva, e ritorni

con mille morti mie, con mille scorni

comprerei la sua vita:

itene, miei fedeli, interrompete

la cruda dipartita;

ma pregate, e piangete.

Non sia tra voi sì temeraria destra,

che per troncare al cavalier la strada,

arco ardisca allentare, o stringer spada:

e tu, ben mio, perdona

questa lingua, e de' mal saggi accenti

dal nobil sen la rimembranza spoglia

sconsigliato il mio cor ne' suoi tormenti

delirò per la doglia:

arresta, arresta il piede,

ch'altro Alcina non chiede;

e pur, che tu ritorni, o Ruggier mio,

ogn'altra colpa i' spargerò d'oblio.

 

Fine (Atto quarto)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo Atto quarto Atto quinto
Melissa
 

Già de gl'inganni altrui

Melissa
<- Ruggiero

O prezioso anello

Ruggiero, Melissa ->
<- Alcina, Lidia

Dal più caldo meriggio

Alcina, Lidia
<- Nunzio

Ohimè, tutto anelante

Alcina
Nunzio, Lidia ->

Or sì, misero core

 
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