Atto terzo

 

Scena prima

Orti pensili.
Mitridate con Guardie, e poi Aspasia con le bende del real diadema squarciate in mano, seguita da Ismene.

 Q 

Mitridate, guardie

 
Recitativo

MITRIDATE

Pera omai chi m'oltraggia, ed il mio sdegno  

più l'un figlio dall'altro

di distinguer non curi. Entrambi rei,

sebben non egualmente,

la cervice insolente

lascin sotto la scure, e serva poi

il crudel sacrifizio

a rendermi al tragitto il ciel propizio.

Vadasi, e a cader sia

Sifare il primo... Ahi, qual incontro!

 

<- Aspasia, Ismene

ASPASIA

(gettando via dispettosamente le bende suddette)

A terra,  

vani impacci del capo. Alla mia morte

di strumento funesto

giacché nemmen servite, io vi calpesto.

MITRIDATE

Qual furor?

ISMENE

Degno, o sire,

di chi libera nacque. I doni tuoi

di rendersi fatali

disperata tentò; ma i numi il laccio

infransero pietosi. Ah se t'è cara

la vita sua, se ancor tu serbi in seno

qualche d'amor scintilla, un'ira affrena,

che forse troppo eccede, e ciò, che invano

per le vie del rigor tenti ottenere,

l'ottenga la clemenza.

MITRIDATE

E che non feci,

principessa, finor?

ISMENE

Nell'ardua impresa

non stancarti sì presto.

Un cor, che a forza

si dava a te, mal si esacerba. A lui

si rinnovin gli assalti,

ma più soavi, e nelle tue premure

fa', che il cupido amante

si ravvisi da lei, non il regnante.

MITRIDATE

Quanto mi costa, o dio,

l'avvilirmi di nuovo!

Ma il vuoi? Si faccia.

ISMENE

Ah sì: d'esempio Ismene,

signor, ti serva. Io quell'oltraggio istesso

soffro, che tu pur soffri, e non pretendo

con eccesso peggiore

di vendicare il mio tradito amore.

 
[N. 18 - Aria]

 N 

Allegro (sol maggiore)
Archi.

Tu sai per chi m'accese  

quanto sopporto anch'io,

e pur l'affanno mio

non cangiasi in furor.

Potrei punirlo, è vero,

ma tollero le offese,

e ancora non dispero

di vincere quel cor.

(parte)

Ismene ->

 

Scena seconda

Mitridate, ed Aspasia, e Guardie.

 
Recitativo

ASPASIA

Re crudel, re spietato, ah lascia almeno,  

ch'io ti scorga una volta

sul labbro il ver. Non ingannarmi, e parla:

di Sifare che fu? Vittima forse

del geloso tuo sdegno

ei già spirò?

MITRIDATE

No, vive ancora, e puoi

assicurar, se 'l brami, i giorni suoi.

ASPASIA

Come?

MITRIDATE

Non abusando

della mia sofferenza, alle mie brame

mostrandoti cortese, e nel tuo core

quel ben che mi si deve, a me rendendo.

A tal patto io sospendo

il corso all'ire mie. Del tutto, Aspasia,

col don della tua destra

deh vieni a disarmarle.

ASPASIA

Invan tu speri,

ch'io mi cangi, o signor. Prieghi non curo,

e minacce non temo. Appien comprendo

qual sarà il mio destin; ma no 'l paventa

chi d'affrettarlo ardì.

MITRIDATE

Pensaci: ancora

un momento a pentirti

t'offre la mia pietà.

ASPASIA

Di questa, o sire,

che inutile è per me, provi gli effetti

l'innocente tuo figlio. Io sola, io sola

ti son ribelle, e no 'l farei, se i voti

secondar ne potessi,

seguitarne i consigli. Il tuo furore

di me quanto gli aggrada omai risolva,

ma perdendo chi è rea Sifare assolva.

MITRIDATE

Sifare? Ah scellerata! E vuoi, ch'io creda

fido a me chi ti piacque, e chi tuttora

occupa il tuo pensier? No, lo condanna

la tua stessa pietà. Di mia vendetta

teco vittima ei sia.

 

Scena terza

Arbate, e detti.

<- Arbate

 

ARBATE

Mio re, t'affretta  

o a salvarti, o a pugnar. Scesa sul lido

l'oste romana in un momento in fuga

le tue schiere ha rivolte, e a queste mura

già reca orrido assalto.

MITRIDATE

Avete, o numi,

più fulmini per me? Ma non si perda

a fronte de' perigli il cor del forte.

Qualunque sia la sorte,

che mi prepara il cielo, alla difesa

corrasi, Arbate. Del disastro mio

tu non godrai, donna infedele: addio.

 
[N. 19 - Aria]

 N 

Allegro (fa maggiore)
Archi, 2 oboe, 2 corni.

Vado incontro al fato estremo,  

crudo ciel, sorte spietata;

ma frattanto un'alma ingrata

l'ombra mia precederà.

Vuo', che almeno altrui non giovi

il rigor della mia stella;

vuo', che alfin crudel mi trovi

chi sprezzò la mia pietà.

(parte seguito da Arbate, e dalle guardie reali)

Mitridate, Arbate, guardie ->

 

Scena quarta

Aspasia.

 
Recitativo

 

Lagrime intempestive, a che dal ciglio  

malgrado mi scendete

ad inondarmi il sen? Di debolezza

tempo or non è. Con più coraggio attenda

il termine de' mali un'infelice:

già quell'ultimo addio tutto mi dice.

 
(viene un moro, il quale presenta ad Aspasia sopra una sottocoppa la tazza del veleno)

<- un moro

 
Recitativo accompagnato
Allegro
Basso continuo.

 

Ah ben ne fui presaga! Il dono estremo  

di Mitridate ecco recato. O destra,

temerai d'appressarti

al fatal nappo tu, che ardita al collo

mi porgesti le funi? Eh no, si prenda.

(Aspasia prende in mano la tazza, ed il moro si ritira)

un moro ->

 

E si ringrazi il donator. Per lui

ritorno in libertà; per lui poss'io

dispor della mia sorte, e nella tomba

col fin della mia vita

quella pace trovar, che m'è rapita.

 
Cavatina
Andante (mi bemolle maggiore) / Allegro
Archi.

Pallid'ombre, che scorgete    

dagli elisi i mali miei,

deh pietose a me rendete

tutto il ben, che già perdei.

S

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Recitativo accompagnato
Allegro
Basso continuo.

 

Bevasi... Ahimè, qual gelo  

trattien la man?... Qual barbara conturba

idea la mente? In questo punto ah forse

beve la morte sua, Sifare ancora.

Oh timor, che mi accora!

Oh immagine funesta!

Fia dunque ver? No, l'innocenza i numi

ha sempre in suo favor. D'eroe sì grande

veglian tutti in difesa, e se v'è in cielo

chi pur s'armi in suo danno,

l'ire n'estinguerà questo, che in seno

sacro a Nemesi or verso atro veleno.

(in atto di bere)

 

Scena quinta

Sifare con séguito di Soldati, e detta.

<- Sifare, soldati

 
Recitativo

SIFARE

Che fai, regina?  

ASPASIA

Ah, sei pur salvo?

SIFARE

Ismene

franse a tempo i miei ceppi.

(gli toglie di mano la tazza e la getta per terra)

Al suol si spanda

la bevanda letal.

ASPASIA

Non vedi, incauto,

che più lungo penar forse mi rendi,

e nuovamente il genitor offendi?

SIFARE

Serbisi Aspasia in vita, e poi del resto

abbian cura gli dèi. Per sua custodia,

finché dura la pugna,

vengano questi armati; alle tue stanze

sollecita ritorna. Ivi, se tanto

merito d'ottener, attendi in pace,

che della nostra sorte

decidano altri casi.

ASPASIA

E mi lasci così?

SIFARE

Dover più sacro

da te lontano, o cara,

il tuo Sifare or chiama. Ove più ferve

la mischia io volo. A Mitridate accanto

là ruoterò la spada. E dal suo petto

svierò le ferite. Ei benché ingiusto,

ahi pur m'è padre! E se no 'l salvo ancora,

tutto ho perduto, ed ho la vita a sdegno.

ASPASIA

Oh di padre miglior figlio ben degno!

 

Secondi il ciel pietoso  

sì generoso ardore,

ma ti sovvenga amore,

ch'io vivo, o caro, in te.

Nel cimentar te stesso

ti stia nell'alma impresso

quanto tu devi al padre,

e quanto devi a me.

 
(parte seguita da' soldati suddetti)

Aspasia, soldati ->

 

Scena sesta

Sifare.

 
Recitativo

 

Che mi val questa vita,  

in cui goder non spero

un momento di bene, in cui degg'io

in eterno contrasto

fra l'amore ondeggiar, e 'l dover mio?

Se ancor me la togliete,

io vi son grato o dèi. Troppo compensa

quei dì, ch'io perdo, il vanto

di morire innocente, e chi in sembianza

può chiudergli d'eroe visse abbastanza.

 
[N. 20 - Aria]

 N 

Allegro agitato (do minore)
Archi, 2 oboe, 2 fagotti, 2 corni.

Se 'l rigor d'ingrata sorte  

rende incerta la mia fede,

ah palesi almen la morte

di quest'alma il bel candor.

D'una vita io son già stanco,

che m'espone al mondo in faccia

a dover l'indegna taccia

tollerar di traditor.

(si ritira)

Sifare ->

 
 

Scena settima

Interno di torre corrispondente alle mura di Ninfea.
Farnace incatenato, e sedente sopra un sasso.

 Q 

Farnace

 
Recitativo

FARNACE

Sorte crudel, stelle inimiche, i frutti  

son questi, che raccolgo

da sì belle speranze? Io nobil germe

di regio augusto tralce, io di più regni

primogenito erede

siedo ad un sasso, e in vece

di calcar soglio ho la catena al piede?

Spiriti di Farnace,

ove siete? Che fate? Ah, ch'io vi sento

fremere in questo sen di rabbia, e d'ira,

e il cor feroce alla vendetta aspira.

Oh ciel, qual odo

strepito d'armi...

 
(vedesi aprire nel muro una gran breccia, per cui entra Marzio seguito da' suoi soldati)

<- Marzio, soldati

 

 

A replicati colpi  

qual forza esterna i muri

percosse, ed or gli atterra! È sogno il mio?

O vegliando vaneggio?

Che più temer, che più sperar degg'io?

 

Scena ottava

Marzio con seguito di Romani, e detto.

 

MARZIO

Teco i patti, o Farnace,  

serba la fé romana. Io gli giurai,

e gli adempio or così. Cadano a terra

gl'indegni lacci, e t'armi

ferro vendicator la nobil destra.

(viene sciolto Farnace, e un romano gli porge l'armi)

FARNACE

Ah Marzio, amico, invano  

io dunque non sperai...

MARZIO

Dal campo, in cui

del tuo periglio, o prence,

fui spettator, uscito appena un legno

trovo al lido, e v'ascendo. Arride il vento

alle mie brame impazienti. E in breve

fra le navi di Roma

giungo inatteso. Al duce

prima dell'armi, indi a' soldati io narro

il fiero insulto, i rischi tuoi. Ne freme

quel popolo d'eroi, chiede vendetta,

e nel chiederla all'aure

dispiega i lin, l'ancore scioglie, e vola

ver Ninfea furibondo. Invan contrasta

lo sbarco improvviso

d'asiatici guerrieri

disordinata turba, e sotto il ferro

o cade oppressa, o cerca

nella città lo scampo. Ai vincitori

cresce l'ardir l'evento,

come ai vinti il timor, e il primo io sono

la nota torre ad assalir. Fugati

son dai merli i custodi,

e al grave urtar delle ferrate travi

crolla il muro, si fende un varco alfine

m'apron libero a te quelle rovine.

FARNACE

Oh sempre in ogn'impresa

fortunato, ed invitto

genio roman! Ma il padre?

MARZIO

O estinto, o vivo

sarà dall'armi nostre

il più illustre trofeo. Se ancor non cadde,

a momenti ei cadrà. De' tuoi seguaci

lo stuol disperso intanto

salvo ti vegga, e t'accompagni al trono

di cui Roma al suo amico oggi fa dono.

 
[N. 21 - Aria]

 N 

Allegro (sol maggiore)
Archi.

Se di regnar sei vago,  

già pago è il tuo desio,

e se vendetta vuoi

di tutti i torti tuoi,

da te dipenderà.

Da chi ti volle oppresso

già la superbia è doma,

mercé il valor di Roma,

mercé quel fato istesso,

che ognor ti seguirà.

 
(parte col suo seguito)

Marzio, soldati ->

 

Scena nona

Farnace.

 
Recitativo

 

Vadasi... Oh ciel, ma dove  

spingo l'ardito piè! Mi porge, è vero,

Fortuna il crin, ma qual orrendo eccesso

per appagar mie brame,

per vendicar miei torti

mi costringe a compir! Ah vi risento;

o sacre di natura

voci possenti, o fieri

rimorsi del mio cor. Empio a tal segno,

no, ch'io non son, e a questo prezzo, a questo

trono, Aspasia, romani, io vi detesto.

 
[N. 22 - Aria]

 N 

Andante (mi bemolle maggiore) / Allegretto / Andante
Archi, 2 oboe, 2 corni.

Già dagli occhi il velo è tolto,  

vili affetti, io v'abbandono:

son pentito, e non ascolto,

che i latrati del mio cor.

Tempo è omai, che al primo impero

la ragione in me ritorni;

già ricalco il bel sentiero

della gloria, e dell'onor.

(parte)

Farnace ->

 
 

Scena decima

Atrio terreno, corrispondente a gran cortile nella reggia di Ninfea, da cui si scorgono in lontano i navigli romani, che abbruciano sul mare.
Nell'aprirsi della scena preceduto intanto dalle sue guardie, e portato sopra una specie di cocchio formato dall'intreccio di vari scudi si avanza Mitridate ferito. Gli vengono al fianco Sifare, ed Arbate, e lo segue il rimanente delle milizie.

 Q 

<- guardie, Mitridate, Sifare, Arbate, milizie

 
Recitativo

MITRIDATE

Figlio, amico non più. La sorte mia  

dall'amor vostro esige altro che pianto.

Quanto al ciel piacque, e quanto

fu in mio poter, l'Asia, ed il mondo oppresso

vendicato ho finor. Nemico a Roma

a un tirannico giogo

il collo non piegai: d'infausti giorni

per me più che per altrui

van ripieni i suoi fasti, e son mie glorie

fin le perdite mie, le sue vittorie,

se morte intempestiva

tronca i disegni miei, se a Mitridate

spirar più non è dato

come bramò, dell'arsa Roma in seno

brando straniero almeno

non ha l'onor del colpo. Ei cade estinto,

ma di sua mano, e vincitor, non vinto.

SIFARE

Perché, avverso destino,

atto sì disperato

prevenir non potei!

MITRIDATE

Per tempo ancora

giungesti, o figlio. Hanno i miei sguardi estremi

la tua fé rimirata, e 'l tuo valore.

Per te prostrate al suolo

giacciono l'aquile altere, a rivi il sangue

per le vie di Ninfea

scorre per te de' miei nemici, e morde

più d'un Roman quella catena istessa,

che a me già minacciò, quella cui tanto

presso a cader poc'anzi

del nemico in poter ebbi in orrore,

che pria morir, che d'incontrarla elessi.

Potessi almen, potessi

egual premi a tant'opre...

 

Scena undicesima

Aspasia, e detti.

<- Aspasia

 

MITRIDATE

Ah vieni, o dolce  

dell'amor mio tenero oggetto, e scopo

di mie furie infelice. Ad esse il cielo

non invan ti sottrasse, e puoi tu sola

scontar gli obblighi miei. Scarsa mercede

sarebbe a un figlio tal scettro, e corona

senza la destra tua. Dal grato padre

l'abbia egli in dono, e possa eterno oblio

frattanto cancellar dai vostri cori

la memoria crudel de' miei furori.

ASPASIA

Vivi, o signor, e ad ambi almen conserva

se felici ne vuoi,

il maggior d'ogni ben ne' giorni tuoi.

MITRIDATE

Già vissi, Aspasia. Omai provvedi, o figlio,

alla tua sicurezza. Invan da tanti,

e sì forti nemici

difenderti presumi. Ancorché vinti.

Di nuovo ad assalirti ira, e dispetto

gli condurrà più baldanzosi. Altrove,

finché a te lo concede

la fuga lor, per riparar tue forze,

la tua vita, il tuo nome

corri a celar. D'ogni dover t'assolvo

richiesto alla mia tomba.

SIFARE

Ah lascia, o padre,

che pria sul reo Farnace

vada a punir...

 

Scena dodicesima

Ismene con Farnace, che si getta a' piedi di Mitridate, e detti.

<- Ismene, Farnace

 

ISMENE

Reo non si chiami, o sire,  

chi reca illustri prove al regio piede

del pentimento suo, della sua fede.

Opra son di Farnace

quegl'incendi, che miri. Egli di Roma

volse in danno quell'armi,

e quella libertà, ch'ebbe da lei,

né per tornare innanzi

col bel nome di figlio al padre amato

ebbe rossor di diventarle ingrato.

MITRIDATE

Numi, qual nuova è questa

gioia per me! Sorgi, o Farnace, e vieni

agli amplessi paterni.

(si alza Farnace, e bacia al padre la mano)

 

Or che ritorni

degno di me, per te ritorno anch'io

qual ero un giorno, a' tuoi trascorsi accordo,

generoso il perdon, t'assolvo, e tutta

già rendo a te la tenerezza mia.

Piaccia agli dèi, che sia

costante il pentimento, e che non debba

di Mitridate un figlio

contar fra' suoi nemici

un'altra volta ancor l'Asia tradita.

FARNACE

Finché avrò spirto, e vita,

a te, signor lo giuro,

per la sua libertà, per la sua gloria

combatterò. Se la promessa oblio,

piombi sul capo mio

l'ira del ciel, che m'ode, e a tal mi scorga

di miserie, di mali orrido estremo,

che una mano io non trovi,

che voglia per pietà squarciarmi il seno.

MITRIDATE

Basta così: moro felice appieno.

(vien portato dentro la scena)

Mitridate, guardie ->

 
[N. 23 - Quintetto]

 N 

Allegro (re maggiore)
Archi, 2 corni.

SIFARE, ASPASIA, FARNACE, ISMENE E ARBATE

Non si ceda al Campidoglio,  

si resista a quell'orgoglio,

che frenarsi ancor non sa.

Guerra sempre, e non mai pace

da noi abbia un genio altero,

che pretende al mondo intero

d'involar la libertà.

 

Fine (Atto terzo)

Atto primo Atto secondo Atto terzo

Orti pensili.

Mitridate, guardie
 

Pera omai chi m'oltraggia, ed il mio sdegno

Mitridate, guardie
<- Aspasia, Ismene

A terra, vani impacci del capo

[N. 18 - Aria]

Mitridate, guardie, Aspasia
Ismene ->

Re crudel, re spietato, ah lascia almeno

Mitridate, guardie, Aspasia
<- Arbate

Mio re, t'affretta

[N. 19 - Aria]

Aspasia
Mitridate, Arbate, guardie ->

Lagrime intempestive, a che dal ciglio

Aspasia
<- un moro

(un moro presenta ad Aspasia una tazza col veleno)

Ah ben ne fui presaga! Il dono estremo

Aspasia
un moro ->

Bevasi... Ahimè, qual gelo

Aspasia
<- Sifare, soldati

Che fai, regina? / Ah, sei pur salvo? / Ismene!

Sifare
Aspasia, soldati ->

Che mi val questa vita

[N. 20 - Aria]

Sifare ->

Interno di torre corrispondente alle mura di Ninfea.

Farnace
 

(Farnace incatenato, e sedente sopra un sasso)

Sorte crudel, stelle inimiche, i frutti

(vedesi aprire nel muro una gran breccia)

Farnace
<- Marzio, soldati

A replicati colpi

Teco i patti, o Farnace

(viene sciolto Farnace)

Ah Marzio, amico, invano

[N. 21 - Aria]

Farnace
Marzio, soldati ->

Vadasi... Oh ciel, ma dove

[N. 22 - Aria]

Farnace ->

Atrio terreno, corrispondente a gran cortile nella raggia di Ninfea, da cui si scorgono in lontano i navigli romani, che abbruciano sul mare.

<- guardie, Mitridate, Sifare, Arbate, milizie

(Mitridate ferito portato sopra una specie di cocchio formato dall'intreccio di vari scudi)

Figlio, amico non più. La sorte mia

guardie, Mitridate, Sifare, Arbate, milizie
<- Aspasia

Ah vieni, o dolce

guardie, Mitridate, Sifare, Arbate, milizie, Aspasia
<- Ismene, Farnace

Reo non si chiami, o sire

Sifare, Arbate, milizie, Aspasia, Ismene, Farnace
Mitridate, guardie ->

[N. 23 - Quintetto]

Sifare, Aspasia, Farnace, Ismene e Arbate
Non si ceda al Campidoglio
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima
Piazza di Ninfea, con veduta in lontano dalla porta della città. Tempio di Venere con ara accesa, ed adorna di mirti, e di rose. Porto di mare, con due flotte ancorate in siti opposti del canale. Da una parte veduta della città di Ninfea. Appartamenti. Campo di Mitridate; alla destra del teatro, e sul davanti gran padiglione reale con sedili; indietro folta... Orti pensili. Interno di torre corrispondente alle mura di Ninfea. Atrio terreno, corrispondente a gran cortile nella raggia di Ninfea, da cui si scorgono in lontano i navigli...
[Ouverture] [N. 1 - Aria] [N. 2 - Aria] [N. 3 - Aria] [N. 4 - Aria] [N. 5 - Aria] [N. 6 - Aria] [N. 7 - Aria] [N. 8 - Aria] [N. 9 - Aria] [N. 10 - Aria] [N. 11 - Aria] [N. 12 - Aria] [N. 13 - Aria] [N. 14 - Aria] [N. 15 - Aria] [N. 16 - Aria] [N. 17 - Duetto] [N. 18 - Aria] [N. 19 - Aria] [N. 20 - Aria] [N. 21 - Aria] [N. 22 - Aria] [N. 23 - Quintetto]
Atto primo Atto secondo

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