Atto primo

 

Scena prima

Giardino tutto.
Statira. Cloridaspe.

 Q 

Statira

 
[Aria]

 N 

STATIRA

Notte ascondi i tesori,  

delle tremule tue brillanti stelle,

una sola,

che qui in terra,

splenda a me,

fa', che le luci mie,

rinunciano il sereno al sole, al die.

Notte chiuder al sonno,

non puoi le innamorate mie palpebre;

palpitante,

chiede aita,

questo cor,

notte trammi d'impaccio,

l'incarnato mio dì porgimi in braccio.

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[Recitativo]

 N 

 

<- Cloridaspe

CLORIDASPE

O divin rossignuolo,  

oh del cielo d'amor canora idea,

riescon le sirene a' naviganti,

dilettosi perigli, e liete morti;

questa voce beata, che mi spira

lascivie, ed armonie,

m'alletta, e mi lusinga,

ma sortiran queste blandizie al fine,

naufragi al core, all'anima rovine.

STATIRA

Sei tu re, vezzo mio?

CLORIDASPE

Mia pupilla, son io.

STATIRA

Questi calori estivi,

m'han condotta in giardino,

ove accarezzo i miei graditi errori,

aure fresche ricerco, e incontro ardori.

CLORIDASPE

Permetti che il cor mio,

d'improvviso assalito,

da lo stupor disleghi le parole,

a mezza notte in terra incontro il sole?

STATIRA

Ma che flagello è questo,

castigo gli occhi alla presenza altrui,

e da te lungi li rivolgo; ed ora,

che alcun non può osservarci,

invida notte ruba

del mio cielo umanato i bei colori.

CLORIDASPE

Ed io de' miei sospiri,

sopprimendo gli sfoghi,

perché altri non li noti,

cauto idolatra, ascostamente adoro;

ed or che alcun non ode,

ed allegar dovrei le mie ragioni,

la cieca lingua mia parla a tentoni.

STATIRA

Se l'aria ricevesse

di questo cor le fiamme,

re, signor mio, respiraresti foco.

CLORIDASPE

Se stender potess'io nell'aria istessa,

una linea d'amore,

respiraresti un bacio idolo mio.

STATIRA

Parole innamorate,

non mi contaminate.

CLORIDASPE

Mi par sentir rumore, e l'alba sorge;

vanne mio ben, va' su le molli piume,

ritorna sui guanciali profumati,

adagia i dolci avori,

fa' riposar le respiranti brine,

delle membra divine,

che io sospiroso intanto,

con un soave pianto,

che da quest'occhi involontario cade,

prevenirò dell'alba le rugiade.

STATIRA

Tenirò stretta in seno

l'anima tua, tu stringerai la mia;

parto: non obliare,

d'esser il solo nume, in cui sper'io,

onde col dir «a te» ti dico «a dio».

 
[Duetto]

 N 

 

CLORIDASPE

S'incontriamo?  

STATIRA

S'appressiamo?

STATIRA E CLORIDASPE

Tenebre tentatrici,

oscurità felici,

fosco gentil, caligini beate,

che due fochi amorosi approssimate.

STATIRA

Salva l'onestà mia;

CLORIDASPE

sana l'anima mia;

STATIRA

interdico a me stessa i tuoi diletti,

CLORIDASPE

uniam le bocche, oh dio, se non i petti.

STATIRA

Bacia questo ambiente,

assorbirò in un fiato i baci tuoi.

CLORIDASPE

In sì ricca abbondanza,

consigli così poveri mi dai?

STATIRA E CLORIDASPE

Orsù, partiam senza partirsi mai.

Statira, Cloridaspe ->

 

Scena seconda

Statira. Ermosilla. Floralba.

<- Ermosilla

 
[Aria]

 N 

ERMOSILLA

Alba, ch'imperli i fiori all'erbe in seno,    

tempra il meriggio a questo core acceso,

ed apri alla mia speme un dì sereno.

Amor, che mascherasti

di varie spoglie, e piume

il sovran d'ogni nume,

ti fu facile, e piano

celar sotto Ermosilla un Usimano.

Ahi forza, ahi violenza,

sotto aspetto giocondo

i miei martiri ascondo,

da dolce stral trafitto

languisco, e sono il principe d'Egitto.

Ignoto in Persia venni,

arcana idolatria

professa l'alma mia,

tra fortuna, e amore

ho su la ruota, e tra le fiamme il core.

Alba ch'imperli i fiori all'erbe in seno,

tempra il meriggio a questo core acceso,

ed apri alla mia speme, un dì sereno.

Che inusitato palpitare è questo,

tormentato cor mio?

Ahi sempre più bramata

vista di paradiso:

palpita cor, sospira,

ecco viene il mio ben, la mia Statira.

S

Sfondo schermo () ()

 
[Recitativo]

 N 

 

<- Statira, Floralba

STATIRA

E come sì per tempo,  

Ermosilla gentile,

vai di questo giardin, col tuo bel volto,

di mezza estate a rinnovar l'aprile?

ERMOSILLA

In questa bella varietà di fiori,

andavo unendo un simulacro finto

degli amorosi tuoi vaghi colori.

STATIRA

Dammi la fede tua salda, e sincera,

segretaria Ermosilla.

ERMOSILLA

Se nel cor sta la fede, e il cor ti diedi,

scoprimi pur madama i tuoi segreti.

STATIRA

Te 'l dico, o non te 'l dico?

La mente corre a trasformarsi in lingua,

retrograde il pensier torna nell'alma,

ma il cor, che ho sulle labbra,

fa volar i miei sensi a collocarsi

nella tua confidenza, o mia diletta.

ERMOSILLA

Signora di', che sarà questo mai?

STATIRA

M'adora il re d'Arabia, adoro lui.

Ermosilla ti turbi?

Mi sei forse rivale?

ERMOSILLA

Rivale? O questo no.

FLORALBA

(La rivale son io;

ti sia tomba il silenzio, o dolor mio.)

ERMOSILLA

Non mi turbo signora, io godo, e parmi

che il tuo giudizio fino,

abbia scelto un amor ben di te degno,

regale fantasia

concepir non può mai manco d'un regno.

STATIRA

Avvampo tutta, e son ridotta in polve;

quel bel viso, Ermosilla,

scusa i miei falli, e le mie colpe assolve.

Eccolo appunto: mira,

se Giove in quel bel volto

stancò la maestà tradusse i cieli.

ERMOSILLA

Sfortunato Usimano,

oggi il tutto perdei,

e veggo espressi i funerali miei.

FLORALBA

(Ahi di questa tragedia,

solo interlocutore è il sangue mio.)

 

Scena terza

Statira. Cloridaspe. Ermosilla. Floralba.

<- Cloridaspe

 

STATIRA

Ingrato sei, perdonami signore,  

con pace detto sia di tua corona,

ti sano il fianco, e tu mi piaghi il core?

Curo le tue ferite e fo me stessa

elisir a' tuoi mali,

tu nell'alma mi dài colpi mortali?

Se nell'Arabia tua sta la Fenice,

che nella scola del morire impara,

dell'immortalità, precetti veri,

deh fa', ch'ella m'insegni

l'arte fatal del contrastar la morte.

Cessa di fulminarmi,

con quelle luci belle,

tempestino le nubi, e non le stelle.

ERMOSILLA

Hai più veleni amor, più strazi e morti?

FLORALBA

(Oh Floralba infelice.)

CLORIDASPE

Statira, ad un defunto,

chiedi rimedi, per sanar la vita?

Obblighi un seppellito,

a risposte vitali?

Con quella man che move invidia all'alba,

e con la neve ha già vinte le liti,

toccando i polsi miei frequentemente,

quest'anima ha condotta all'occidente.

Me ferito sanasti,

ma questa sanità,

costa all'arbitrio mio la libertà.

 
[Duetto]

 N 

ERMOSILLA

(Arabo traditore.)  

FLORALBA

(Ahi parole, ahi pugnali.)

STATIRA

Oh ferite.

Insieme

CLORIDASPE

Oh saluti.

 

CLORIDASPE

Oh ben curati...

STATIRA E CLORIDASPE

Oh mal guariti mali,

oh dolcissimi strali,

acuiti al coral d'un labbro amato,

da un bel ciglio scoccati,

che fan colpi nettarei imbalsamati.

 
[Recitativo]

 N 

 

CLORIDASPE

Vado a riverir Dario, anima, a dio.  

STATIRA

Vattene signor mio, porto nel core,

del tuo viso adorato

il ritratto divino,

ed in tua vece resta meco Amore.

CLORIDASPE

Amor resterà teco? Io son geloso.

S'ei ti stimasse Psiche?

STATIRA

Non vaneggiar, re mio,

non permetterò mai,

che rivale ti sia né pure un dio.

FLORALBA

(In un'anima sola,

moltiplica le morti Amor crudele.)

Cloridaspe, Statira, Floralba ->

 

Scena quarta

Ermosilla.

 

 

Che l'unico figliuol del re d'Egitto  

sopporti aggravio sì pesante, è indegno,

non è decoro mio,

né può patirlo di mio padre il regno.

Ricorro a te vendetta,

ch'all'onorata mensa il sangue bevi.

Sdegno mortificato,

è un oltraggio all'onore;

torto dissimulato,

debolezze rinfaccia a tutte l'ore.

Chi m'assicura, che Statira, in onta

dell'amor mio, non sia tant'oltre corsa?

Forse ella mi conosce, e villipende

il mio genio caduto,

a fingermi donzella,

e argomentando in me bassezze d'alma,

fa sì, che un altro i miei disegni usurpi.

La mia fronte, che nacque a le corone,

i sepolcri d'Egitto

che innalzan le piramidi all'Olimpo,

sé stessi offenderan di tal vergogna?

Ira sta' cheta, e t'apparecchia all'armi.

 
[Aria]

 N 

Pazzo, insolente Amor,  

all'altar dell'onor l'imperio cedi,

abbandonato resta,

porto il decoro in testa,

e le quadrella tue mi getto a' piedi.

Ermosilla ->

 

Scena quinta

Vaffrino moro.

<- Vaffrino

 
[Recitativo]

 N 

D'Ermosilla giovanetta  

sento al cor strale amoroso,

pur a lei che sì m'alletta,

il mio mal scoprir non oso.

E mentre in chiuso ardor io mi consumo,

nel core ho il foco, e ne le guance ho il fumo.

Potrei dir, son capo nero,

che è rinchiuso in una gabbia,

meglio è dir son prigioniero,

che si gratta ancor la scabbia.

E fin che venga il dì, ch'io sia guarito,

soave è il pizzicor, dolce è il prurito.

Tentarò, perché il tacere

del goder non sa la via,

nel commercio del piacere

il silenzio è una pazzia;

quel che il tacere indice a tutte l'ore

Arpocrate si chiama, e non Amore.

Tanti incalmi vagheggio

in questo bel giardino,

né vi sarà l'innesto d'un Vaffrino?

O Pomona, o Vertunno,

fa' che de' frutti io goda,

a la corrente moda,

grassa vendemmia, e dilettoso autunno.

 

 

Ma vo' tornar al mio signor, che forse  

m'attende in corte: o maledetta, e vile

condizione servile;

natura certo volse dir, «morire»,

ma errò la lingua, e proferì «servire».

Vaffrino ->

 

Scena sesta

Dario. Tersandro.

Dario, Tersandro

 

DARIO

Io non v'intendo, o stelle,  

comandate a' regnanti,

de' loro scettri il ministerio giusto;

Dario re sempre adempie,

i vostri eccelsi, e luminosi cenni;

e tutta via con guerra così ingiusta,

m'uccidete i vassalli,

m'opprimete le genti;

par che la regia lode

consista solo in occupar l'altrui,

io sol conservo il mio,

voi secondate i barbari predoni,

stelle non intend'io vostre ragioni.

TERSANDRO

Tresca il ciel co' mortali;

la natura, e la sorte han lotta insieme,

l'uomo è il riso de' numi.

DARIO

Re, che osserva de' numi

i prescritti e le leggi, e il buon costume,

insegna con l'esempio, e non col ferro,

precipizi non merta.

TERSANDRO

La fortuna superba, e ambiziosa,

a teste coronate non perdona.

Sembra a lei gloria vile, urtar la plebe,

s'appaga sol di contrastar coi grandi.

Sol con le torri eccelse

a duellar il fulmine vediamo.

DARIO

Della fortuna è immaginario il nome;

ma, l'accorto destin, con lei si copre;

e ciò, che sembra caso,

è fissezza di stella pertinace,

che spande in noi degl'infortuni il vaso.

TERSANDRO

È maestà, è grandezza

contrastar col destino,

e fronteggiar con avversario cielo.

DARIO

È miseria, è disdetta

pugnar con invicibile inimico;

come poss'io ferir gl'astri crudeli?

Son re; ma non mi esclude

lo scettro, o il tribunal da mali incontri;

che al mio dispetto, un uom io son; la sorte

mille volte porrammi al sommo, al fondo,

e schiavo, al fin, mi venderà alla morte.

TERSANDRO

Ancora senza senno, armate navi,

difende in mar da turbini, e procelle,

e tua virtù, che non ha pari in terra,

non ti difenderà da cielo irato?

DARIO

Col tuo dolce discorso,

che tue ragioni a le mie laudi accorda,

mi lusinghi gl'orecchi, e non componi

di quest'alma i tumulti;

troppo frequenti io provo

del destino crudel colpi, ed insulti.

TERSANDRO

Tua virtù bellicosa

sarebbe rugginosa,

istromento de gl'ozi, arma sepolta,

se dell'armeno il vigoroso ferro

non suscitasse in lei spirti guerrieri.

DARIO

La pace sola è il nettare de' stati,

de' traffichi nutrice, e delle genti,

è il contrassegno dell'amor de' cieli;

la guerra vive sol, di sangue, e d'oro,

è la pace nutrice, e l'uno, e l'altro.

TERSANDRO

Ecco, signor, il re d'Arabia viene.

Tersandro ->

 

Scena settima

Dario. Cloridaspe.

<- Cloridaspe

 

DARIO

Te salvo abbraccio, e nella tua salute  

respira il petto mio sensi felici.

Dalle tue cicatrici,

se più non esce il sangue,

di bella gloria scaturisce il lume.

Il regno mi salvasti,

la figlia mi donasti,

la mia corona è angusta

per render grazie a tua virtute augusta.

CLORIDASPE

Signor, della regina, e di tua figlia

tale è stato de' balsami l'impiego,

ch'hanno sanato in breve

mie ferite mortali.

La vita ch'io vivei,

prima d'esser ferito,

era un feudo di sangue, e di respiro,

donatomi da Giove! or la mia vita

della regina, e di Statira è dono.

Se patteggiar potessi,

della religion coi nostri numi,

appresso a gl'altri dèi,

Statira, e la regina adorerei.

DARIO

Non so chi più t'illustri,

cortesissimo re, Pallade, o Marte,

l'ornamento del dir, che è in te sì dolce,

imperla la tua spada, e indora l'armi.

Andiam, che della guerra,

teco discorrer bramo,

te d'ogni mia fortuna a parte io chiamo.

Dario, Cloridaspe ->

 

Scena ottava

Nicarco. Vaffrino.

<- Nicarco, Vaffrino

 

NICARCO

Vaffrin, fin da fanciullo  

nelle mie case ti guidò fortuna.

T'ho sempre amato, or voglio darti

dell'amor mio sicuro pegno.

Tacer religioso

ti sigilli nel petto,

ciò ch'a la fede tua scopro, e commetto.

Ne i recessi dell'anima profonda,

a tua sola notizia, accendo il lume,

e perché in te mi fido,

teco il mio core espettoro, e divido.

VAFFRINO

Non t'inganni, signore,

sotto queste caligini del volto,

di purissimo zelo arde il mio core;

dentro a negra miniera è ascosto l'oro;

sta bianca fé, sotto sembiante moro.

NICARCO

Conosci tu Ermosilla?

VAFFRINO

La conosco pur troppo,

e porrei volentieri

sopra i suoi bei ligustri i miei carboni,

che bel veder sarebbe,

dentro uno scurcio breve,

sotto il mio inchiostro incarbonir la neve.

NICARCO

Lascia di folleggiar, tu la conosci.

VAFFRINO

Dico di sì, mi piace, e mi diletta.

NICARCO

Quella è l'anima mia,

tutte riposte ho le mie spemi in lei.

Sta chiuso in questo foglio,

sotto larve di righe il mio cordoglio.

VAFFRINO

Signor, non creder troppo,

a sembiante fiorito,

fede in Amor è un capital fallito.

Vorresti mo ch'io fossi

il corriero amoroso,

che per le poste de gl'instanti andassi

a portarli il tuo foco in carta ascoso?

NICARCO

Sì, Vaffrino, vorrei,

in questo afflitto seno,

impoverito d'alma,

vive riposto, come in un chiuso loco,

ardente vicecor, d'Amore il foco.

E perché tu conosca

quanto infiammato in questo affett'io sono,

per mancia a te, la libertade io dono.

VAFFRINO

Adorato padrone,

non merta l'opra mia tal guiderdone;

tua mercé lo ricevo,

ed in un certo modo,

se da' languori tuoi cavo il ristoro,

con innocente senso,

beneficato, i tuoi travagli adoro.

Dammi la carta, e va',

Vaffrin nunzio felice a te verrà.

Della tua fede, Amor, son diventato,

così pian piano, un moro rinnegato.

Nicarco ->

 

Scena nona

Vaffrino.

 

 

Metamorfosi, in vero troppo strana,  

in causa propria l'oratore io fui,

ed ora son procuratore altrui.

 
[Aria]

 N 

Amor, sei risoluto,  

che questo premio la mia fé riceva:

ch'io sprema l'uve, e ch'altri il mosto beva;

infelice molin, frangerò i grani;

altri avrà a mensa i saporiti pani.

Sfortunata bilancia,

pesando l'oro sudo, e m'affatico,

ma ne i tesori altrui resto mendico;

son del vestir civil ritratto espresso,

che per altri adornar, straccio me stesso.

Somiglio a quella spada,

che quando la vittoria è conseguita,

dentro un fodero vile, è seppellita;

bombice son, che in sorte poco lieta,

prigion fo a me per dar altrui la seta.

Or non più somiglianze:

caviamo di lambicco gli intelletti,

in sceglier forme, ed abbellir concetti:

nella commedia del commercio umano

già fui l'innamorato, or fo il ruffiano.

Vaffrino ->

 

Scena decima

Elissena.

<- Elissena

 
[Recitativo e Aria]

 N 

 

 

Anni, non so ben dire s'io vi  

debba chiamar numeri, o pesi.

Ma se pesi voi siete,

incurvata m'avete,

onde stanca, e mal viva,

ho la mia sepoltura in prospettiva.

E se voi siete numeri, osservate,

con l'abaco del tempo,

al nulla giunte omai le mie giornate.

Poiché Statira è nel giardin reale,

non l'ho veduta, e di vederla io bramo.

Mi ricord'io, che giovinetta andavo come

mi consigliava il cieco dio,

al giardiniero, ch'era tutto mio.

 

Gioventù,  

non è più,

quel che fu.

Il fine poco fia che s'allontani,

che stenta l'oggi al ritrovar domani.

Quello ch'è,

male a fé,

tiensi in piè?

Quando il posto tener credi occupato,

soffia via le tue polvi il tempo alato.

Se d'Amor

t'arde il cor,

godi il fior,

che se all'opre stamane il senso è ardito,

avrai stasera il polso indebolito.

Ti so dir,

che il gioir,

sa fuggir,

niente è il fu, il sarà inganna spesso,

disponi sol d'un fuggitivo adesso.

Elissena ->

 

Scena undicesima

Vaffrino. Ermosilla.

<- Vaffrino, Ermosilla

 

VAFFRINO

Sola e pensosa d'un bel faggio all'ombra  

Ermosilla colà seder vegg'io;

coraleggia in quei labri

una rosa vermiglia,

che chiama i baci da lontan tre miglia.

Ha scarmigliato il crine.

Quell'oro inordinato,

quel globo di comete,

quel biondo laberinto,

tiene il mio core avvinto.

Così volesse il cielo,

che quelle braccia d'animata neve,

dallo spuntar al tramontar d'Apollo,

fossero a me dolce catena al collo.

ERMOSILLA

Se mi val forza d'ingegno,

se l'astuzia gioverà,

al rivale, arabo indegno,

il pensier non sortirà.

Ira, picca, martello, gelosia,

date rimedio all'aspra pena mia.

IIº

Sappia il mondo, intenda Amore,

ch'io mi voglio vendicar,

usi insidie questo core,

purché cessi il mio penar.

Ira, picca, martello, gelosia,

date rimedio all'aspra pena mia.

 
[Recitativo]

 N 

 

 

Vaffrino, ove si va?  

VAFFRINO

Messaggero amoroso,

buone notizie t'arreco.

ERMOSILLA

Onorato esercizio; e chi ti manda?

VAFFRINO

Il general Nicarco,

che agli eserciti arabici comanda.

ERMOSILLA

(Fortuna, tu m'additi,

un sentiero opportuno a' miei disegni.)

Che chiede il tuo signore?

VAFFRINO

Egli ha estesi qui dentro,

vestiti di caratteri i pensieri;

questa carta è un trasonto

della sua ardente, innamorata idea.

ERMOSILLA

(O giorno geniale,

che mistura di nubi, e di sereno?

Un'ora fa, colpo mortal mi punse,

ora mi si apre al core alta speranza.)

Vaffrin, di' al tuo signore

che gradisco il suo amore.

VAFFRINO

(Sia maledetto me, che non fui degno

negl'interessi miei di tal risposta.)

Non ti turbar, donzella: questi sono

sternuti di passione, asmi di core,

sensi bizzarri, e sincopi d'ingegno.

ERMOSILLA

Digli: che seco ragionare io bramo,

nel boschetto de' platani l'attendo:

di' che venga, ma solo: a dio Vaffrino.

VAFFRINO

Va' felice Ermosilla,

ti sia l'aria tranquilla;

e mentre il cor ti brilla,

e 'l mio pianto si stilla,

e il martellin mi batte a suon di squilla,

vorrei, che in questa villa,

d'amor la mia favilla

che fiammeggia, e scintilla,

entrasse fra le tue Cariddi, e Scilla.

Vaffrino, Ermosilla ->

 

Scena dodicesima

Floralba.

<- Floralba

 
[Aria]

 N 

Mal misurati affetti,  

voglie sproporzionate,

che più mi tormentate?

Son vil serva, ed amo un re,

miro il sole, e talpa sono;

dopo uscita fuor di me,

l'anima va raminga in abbandono.

Ben m'accorgo, e 'l cor lo sa,

Cloridaspe è di Statira.

Precipizi troverà,

s'improprio amor, s'a tant'altezza aspira.

Ahi Floralba, non mirar

maestà, che troppo eccede,

lascia omai di vaneggiar,

saggio, è 'l desio, che all'impossibil cede.

So, che la fiamma mia,

altro intento ottener non potrà mai,

che negletto, e sopito,

un fine, tra le ceneri avvilito.

Ma, sconsigliata amante,

ho il cor tra le ruine, e le cadute.

Nascer forse potrebbe

da spelonca di guai la mia salute.

Non lungi è, forse al mio desir la meta,

nebbia non mi sgomenti,

orror non mi spaventi,

della sera il mattin non è profeta.

Deità,

che movete,

e reggete,

la caduca umanità,

deh non abbandonate così afflitta

innocente donzella, e derelitta.

Io non so

da qual madre,

da qual padre,

generata al mondo sto;

ma se di un re mi sento innamorata,

forse, ch'io son di regia stirpe nata.

 

Scena tredicesima

Statira. Floralba. Elissena.

<- Statira, Elissena

 
[Recitativo]

 N 

 

STATIRA

Parmi un'ora mill'anni,  

ch'io non veggo il mio re;

alma, stan chiusi in te tutti gl'affanni.

FLORALBA

Così in disparte, o ciel, piango i miei danni.

STATIRA

Aure, che ricevete

di quella bocca i fiati,

nel mio seno infondete

respiri dolci, ed aliti beati.

Aere puro, e sereno,

i sensi del mio ben, spirami in seno.

FLORALBA

Moribondo il cor mio langue, e vien meno.

STATIRA

Dove fai paradiso,

col vezzoso sembiante?

Dove ascondi il bel viso,

che può far l'odio divenire amante?

Dove, o dio, dove sei,

felicità de' patimenti miei?

FLORALBA

Accenti, ohimè, della mia morte rei.

ELISSENA

Seco stessa ella parla.

Soavi frenesie,

gioconde fantasie,

vertigini di cor, deliqui d'alma,

soliloqui di mente, astratti sensi,

estatichi trascorsi,

idolatrie canore,

a cui misura le battute amore;

dolcissimi deliri,

mi ricordo ancor'io de' miei sospiri.

STATIRA

Elissena, richiama

l'antica gioventù,

volgiti a dietro, e retrocedi i giorni;

ringiovanisci i sensi a questa volta,

dell'amor mio la dolce istoria ascolta.

Sai che del re d'Armenia

l'esercito feroce mi rubò,

e che d'Arabia il re mi liberò.

Ei rimase ferito, e nel giardino,

d'ordine di mio padre, io lo curai;

quivi s'incominciaro,

in un soave amaro

i miei crudeli, e dilettosi guai.

ELISSENA

Fu poco saggio il re,

a fidar le tue nevi in mano al foco.

STATIRA

Anz'egli fu prudente,

a sublimar queste mie luci al sole.

ELISSENA

Dario sa queste pratiche?

STATIRA

Ei non ne tien notizia.

ELISSENA

Passò l'arabo re teco i confini,

bella, se tu m'intendi?

FLORALBA

Ahi, qui consiste il punto.

STATIRA

No, che la sua modestia

appena ardì di supplicare un bacio.

FLORALBA

Manco male, io respiro.

ELISSENA

Dunque egli è il re de' semplici,

e non il re di Arabia.

FLORALBA

Io, che son donna e giungo agl'anni cento,

lontana da pruriti, e pizzicori,

sentendo questi lascivetti amori,

mi stransustanzio in un maschil talento.

Ma vedi, il re che adori,

a noi rivolge i passi,

sentirò pur le dolci melodie,

e starò in disparte con gli occhi bassi.

 

Scena quattordicesima

Cloridaspe. Statira. Elissena.

<- Cloridaspe

 
[Duetto]

 N 

 

CLORIDASPE

Pria, che dal re s'aduni,  

il consiglio di guerra,

a te dell'alma mia, pace diletta,

ritornar ho voluto, e ber con gl'occhi

l'immagine adorata,

che a far ciel, dove splende, è destinata.

Come la notte oscura

spira la vita della luce in grembo,

ed è dell'ombre un bel feretro l'alba,

così ne' tuoi begl'occhi,

epicicli, cor mio, d'empireo lume

ogni mestizia mia,

ferita da splendor, more in istante,

di bellezza sì cara, io vivo amante.

STATIRA

Improvviso, amoroso, e ogn'or più caro

mi giunge il tuo ritorno,

da te a penar felicemente imparo.

Nel cerchio al viso tuo splende il mio giorno,

senza di te il cor mio,

in cecità languisce,

al tuo sparir ogni mio ben svanisce.

 

STATIRA E CLORIDASPE

Amiamci, e non divida  

né i cori, né gli aspetti, o tempo o sorte,

i nostri nomi incida

sui dardi d'Amor, e non temiam di morte;

che in braccio del suo ben, chi sa gioire,

per vite fabbricar forma il morire.

ELISSENA

(Ah cani, ah scelerati, io porto invidia

a' vostri sollazzevoli peccati.)

STATIRA E CLORIDASPE

Amiamci, e stringa l'alme

gradita indissolubile catena;

s'annodin queste palme,

dolcezza sani, ove ferì la pena,

l'ohimè, che disacerba i guai del petto,

in noi trapassi a dichiarar diletto.

STATIRA

Ecco quel caro amabile sembiante,

ch'è delizia a quest'animo infiammato;

qui d'amorosa ambrosia inebriato,

più sempre ha sete il mio desire amante.

CLORIDASPE

Ecco lo stral divin, ch'il cor m'ha ucciso,

di natura, e d'Amor, ecco il portento,

ecco de' cieli il glorioso stento,

che sudò meraviglie in quel bel viso.

Torno al re...

STATIRA

Non partir.

CLORIDASPE

Vivo in te...

STATIRA

Vo a morir.

STATIRA E CLORIDASPE

Dolorosa partita,

in un sospiro epiloghi la vita.

Cloridaspe, Statira, Elissena ->

 

Scena quindicesima

Floralba.

 
[Recitativo]

 N 

 

 

Chi mai sentì nell'amorosa sorte  

stravaganza maggiore?

Per un secreto amore,

la gelosia mi vuol condurre a morte.

Sproporzione infinita

ha il mio mal co' rimedi.

S'arrosisce il pensiero, e si spaventa,

d'esser tant'alto asceso.

E pure, oh stelle, oh dio,

vo lusingando il precipizio mio.

Un non so che d'incognito, e profondo

mi lampeggia nell'alma,

odo uno spirto che nel cor mi dice:

«Spera, ardita Floralba,

tosto sarai felice.»

Andrò ferma al diadema, ancella al regno?

Viltà, si cangerà con maestà?

Fissa malenconia,

ramo non sei, ma tronco di pazzia.

Chi dicesse a la polve, «un uom farai»,

riderebbe la polve,

di proposta sì strana;

pur la polve s'incarna, e al fin si umana.

Più differenza è da la sabbia all'uomo,

che dal servo al regnante;

sii sofistico amor quanto tu vuoi,

de' contrari al dispetto, io vivo amante.

 

Giardiniere vezzosette,  

che di rose, e violette,

coronate il biondo crin,

col bel piede peregrin,

che non move un passo in fallo

incominciate un dilettoso ballo.

 

Fine (Atto primo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo

Giardino tutto.

Statira
 

[Aria]

[Recitativo]

Statira
<- Cloridaspe

O divin rossignuolo

[Duetto]

Statira, Cloridaspe ->
<- Ermosilla

[Aria]

[Recitativo]

Ermosilla
<- Statira, Floralba

E come sì per tempo

Ermosilla, Statira, Floralba
<- Cloridaspe

Ingrato sei, perdonami signore

[Duetto]

Statira, Cloridaspe, Ermosilla e Floralba
Arabo traditore

[Recitativo]

Vado a riverir Dario, anima, a dio

Ermosilla
Cloridaspe, Statira, Floralba ->

Che l'unico figliuol del re d'Egitto

[Aria]

Ermosilla ->
<- Vaffrino

[Recitativo]

Ma vo' tornar al mio signor

Vaffrino ->
Dario, Tersandro
 

Io non v'intendo, o stelle

Dario
Tersandro ->
Dario
<- Cloridaspe

Te salvo abbraccio, e nella tua salute

Dario, Cloridaspe ->
<- Nicarco, Vaffrino

Vaffrin, fin da fanciullo

Vaffrino
Nicarco ->

Metamorfosi, in vero troppo strana

[Aria]

Vaffrino ->
<- Elissena

[Recitativo e Aria]

Anni, non so ben dire

Elissena ->
<- Vaffrino, Ermosilla

[Recitativo]

Vaffrino, ove si va?

Vaffrino, Ermosilla ->
<- Floralba

[Aria]

So, che la fiamma mia

Floralba
<- Statira, Elissena

[Recitativo]

Parmi un'ora mill'anni

(Floralba in disparte)

Floralba, Statira, Elissena
<- Cloridaspe

[Duetto]

Pria, che dal re s'aduni

Statira e Cloridaspe
Amiamci, e non divida

 
Floralba
Cloridaspe, Statira, Elissena ->

(Floralba si avanza)

[Recitativo]

Chi mai sentì nell'amorosa sorte

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima
Giardino tutto. Città. Giardino. Campo aperto con padiglione. Spelonca orribile. Campagna d'arme con antro. Giardino regio. Bosco tutto. Reggia di Dario.
[Recitativo] [Aria] [Aria] [Recitativo] [Duetto] [Aria] [Recitativo] [Duetto] [Recitativo] [Aria] [Recitativo] [Aria] [Recitativo e Aria] [Recitativo] [Aria] [Recitativo] [Duetto] [Recitativo] [Recitativo] [Aria] [Aria] [Recitativo] [Aria] [Recitativo] [Aria] [Recitativo e Aria] [Aria] [Recitativo] [Aria] [Recitativo] [Aria] [Recitativo] [Aria] [Duetto] [Recitativo] [Aria] [Recitativo] [Aria] [Recitativo] [Aria] [Insieme]
Prologo Atto secondo Atto terzo

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