Atto terzo

 

Scena prima

Ippodromo.
Sabina.

 Q 

Sabina

 

Duo begl'occhi, che son neri,  

son gl'inferni degl'amanti;

che per dar crucci più fieri

han duo demoni giganti.

Spero invan le mie fortune

da pupille così oscure:

che le stelle, che son brune,

danno influssi di sventure.

Io di chi 'l mondo regge alta nipote,

or d'un amante infido

sarò vile rifiuto, ed infelice,

sol perché il frutto de' miei dolci amori,

goda alfin Berenice?

 

 

Ah no! Ch'invan di rilucente acciaro  

non armai questo seno;

ho cor di bronzo,

ho un'anima di ferro, e ciò che d'empio

il Fasi vide, o l'agghiacciato Ponto,

oprar saprò; sorgi mio spirto, sorgi.

E omai t'accingi a inusitate prove!

L'impudica Idumea mora svenata;

sia di Sion l'arena

oggi del mio furor tragica scena.

 

Sì sì inaspritevi,  

incrudelitevi

fra le stragi, o miei pensieri,

chi può nulla sperar, nulla disperi.

Sabina ->

 

Scena seconda

Domiziano. Ninfo. Lepido.

<- Domiziano, Ninfo

 

DOMIZIANO

Sempre dunque ho da penar?  

Quando credo aver riposo

fra duo labbra colorite,

resto un Tantalo amoroso

con le fauci inaridite,

né goder un sol dì posso sperar,

sempre dunque ho da penar?

 

 

Domizian, ma dove  

ti rapiscono l'alma

d'effeminato cor teneri affetti?

Questi del minor figlio

del gran Giove romano

fian sospiri, e concetti?

Io languir per amore? Io lagrimante

per barbara beltà supplice amante?

Se di mille reine

può dispor questo scettro, e se felice

posso farmi a momenti?

Or perché tra singulti, e fra lamenti

porgerò voti a chi è soggetta, e serva?

Rapirò la spietata,

sforzerò la crudele, e di costei

sprezzatrice d'imperi

il fasto domerò;

d'un'alma ritrosa

Tarquinio sarò.

NINFO

Alata è la fortuna, e s'una volta

stende i vanni leggeri,

d'afferrarla nel crine invan più speri.

 

Con le donne renitenti  

non ci voglion complimenti,

per natura all'uom non cedono

se costrette non si vedono,

ed ancor ch'al diletto ognuna inclini,

son virginee al sembiante, al cor son Frini.

Ninfo ->

 

<- Lepido

LEPIDO

O del latino formidabil soglio  

sommo onor, salda spene a te m'inchino.

DOMIZIANO

Lepido, o come grato

il cielo a me ti scorge.

LEPIDO

Imponi, o sire,

di qual impero il mio servir sia degno.

DOMIZIANO

Vo', che tra armate schiere ora ti porte

all'albergo d'Agrippa;

Berenice vedrai, colei ch'adoro,

la mia dèa, la mia vita,

bramo, che sia rapita;

con l'alta preda in braccio alle mie tende

drizza veloce i passi.

LEPIDO

Ah mio signore!

Temo.

DOMIZIANO

Di chi?

LEPIDO

Di Tito, anzi pavento

l'ira di Vespasiano.

DOMIZIANO

Dunque a parte io non sono

dello scettro romano?

LEPIDO

Non vede amor, ch'è cieco il suo periglio.

DOMIZIANO

Io voglio ubbidienza, e non consiglio.

Domiziano ->

 

Scena terza

Lepido.

 

Nume arcier, tiranno dio,  

quanto sono fallaci i tuoi contenti,

han maschera di gioie, e son tormenti.

Ahi, che troppo tardi imparo,

ch'il tuo dolce è sempre amaro.

Misero, che farò?

Senza vittime esangui

non si placa giammai l'ira de' grandi.

Mio cor, che pensi tu?

Alla beltà, ch'adori,

non aspirar mai più:

mio cor, che pensi tu?

 

 

Folle, m'a che deliro?  

E non posso a mia voglia

mitigar la mia doglia?

Rapirò Berenice, e in apparenza

del barbaro amatore

eseguirò 'l comando,

ma pria che Berenice ad altri ceda,

io goderò la preda,

Agrippa a me la diede,

Tito no 'l negherà, Roma, la corte

applaudirà alle nozze: il tempo intanto

raddolcirà del principe lo sdegno.

 

Troppo di quei begl'occhi  

sento la face, e 'l dardo,

non v'è peggio in amor, ch'esser codardo.

Lepido ->

 

Scena quarta

Marzia. Apollonio.

<- Marzia, Apollonio

 

MARZIA

Una vile Idumea,  

degna sol di trattar lane servili

sederà in Campidoglio,

e nel romano soglio

ammirerà a mio scorno

popoli adoratori al piede intorno?

O chimera de' mortali

nume alato

faretrato

con tua face, e con tuoi strali

l'universo ognor confondi,

o quanto fiele in poco miele ascondi.

APOLLONIO

E pur anco sospiri, e porti 'l ciglio

rugiadoso di pianto?

Ah ch'i più saggi avvisi un petto amante

rare volte riceve.

MARZIA

Duol, ch'ammette conforto, è un duol, ch'è lieve.

APOLLONIO

Febo non laverà nel mar d'Atlante

la folgorante chioma,

che di Tito nel seno

t'acclamerà felice Italia, e Roma.

 

S'il fato  

beato

a tue gioie or vole arridere

lagrimare è follia, quando déi ridere.

 

MARZIA

Quando spera amante core  

di goder vaga beltà,

gli rassembrano in amore

i momenti eternità.

Quando in braccio a chi s'adora

deve un'alma uscir di duol,

pigra sembra in ciel l'aurora,

e che tardo corra il sol.

Marzia, Apollonio ->

 

Scena quinta

Tito. Messo. Domiziano, che sopravviene.

<- Tito, Messo

 

MESSO

Signor, il siro audace,  

qual novo Anteo risorge, e in nova guerra

sparge del ferro i lampi;

e con torrenti d'armi

dell'arenosa Ioppe inonda i campi.

 

Messo ->

TITO

Sì temeraria Ioppe! Incontro a Roma  

armi novelle impugna?

L'idra giudaica dunque

non diede ancor sul memorando suolo

di Sionne, e Sebaste i guizzi estremi;

che del mar filisteo sopra la foce

contro i fasci latini

osa innalzar le redivive reste?

A così grave colpa

darò pari 'l castigo:

di quell'empia cittade

espugnerò le contumaci mura;

e sul rubello palestino esangue

nuoteran mie vittorie in mar di sangue.

 

<- Domiziano

 

Ma ecco Domizian: del suo valore  

sarà degna l'impresa:

o folgore di guerra, o del mio campo

alto sostegno, o mio real germano,

della Siria già doma augusta parte

contro l'aquile auguste

spiega insegne di Marte:

va', vedi, e vinci e con guerriera mano

resti 'l fasto di Ioppe arso, e distrutto,

memorabile esempio al mondo tutto.

(parte)

Tito ->

 

DOMIZIANO

Ch'io vada a debellar falangi armate?  

Se da mille catene ho 'l cor avvinto,

come vincer può altrui chi è preso, e vinto?

Perdonami pur Roma,

s'io fuggo di Bellona il nume irato,

pugnar non può chi porta il cor piagato.

Da, che un guardo quest'alma ferì

ch'io più risanassi, amor non soffrì;

così

Atalanta quest'alma si fe',

le poma d'un seno fur remore al piè.

 

Scena sesta

Berenice. Agrippa. Domiziano.

<- Berenice, Agrippa

 

BERENICE

Signor, per questa eccelsa, e regal destra  

invitta in guerra, e gloriosa in pace,

per quiest'illustre ferro

domator di tiranni, e ch'alla sorte

legge può dar, soccorri

un'afflitta reina,

che prostrata al tuo piede umil t'inchina.

DOMIZIANO

Cieli! Fato! Fortuna! Amor, che veggo?

AGRIPPA

Atto proprio è dei regi

l'esser pietoso, e sotto 'l manto augusto

raccor chi prega. Ah sire:

Tito il tuo gran germano

tratto da fiamma impura,

l'onor di Berenice arder procura.

Dall'insidie oltraggiose

preserva una infelice,

farlo ben puoi signor, tu, che di sangue

sei pari al maggior duce, e dell'impero,

e del trono latin ben degno erede.

 

<- Ninfo

NINFO

(che sopraggiunge)  

Nell'amorosa pesca

tanto guizzò, che preso è il pesce all'esca.

DOMIZIANO

Bella, affrena i singulti:

di quell'intatte poma

sarò 'l vigile drago, or tergi intanto

le luci rugiadose,

al tuo timor la sicurezza arreco:

che temi più? Domiziano è teco.

BERENICE

O degno sol, cui Roma

d'alloro imperial cinga la chioma.

DOMIZIANO

A novelli trionfi, e a nove palme

d'oricalchi guerrieri il suon feroce

verso Ioppe mi chiama;

Agrippa, e che farai?

AGRIPPA

Con la tua spada

unirò questo brando, e non ricuso

seguirti all'alta impresa,

e contro a mille squadre

espor l'ignudo petto in tua difesa.

DOMIZIANO

Appena sorgerà Cinzia vezzosa

con l'orbe suo d'argento

entro 'l notturno velo

dei fraterni splendori erede in cielo,

che moverassi 'l campo; or fia tua cura

Berenice condur.

AGRIPPA

Tanto eseguisco.

 

Agrippa ->

DOMIZIANO

Già non fia benigne stelle,  

che di voi mi dolga più,

o detesti le facelle,

per cui l'alma accesa fu.

Più non bramo d'amor la fiamma, o 'l laccio,

con gl'astri in fronte avrò il mio sole in braccio.

Domiziano ->

 

Scena settima

Berenice. Cinna.

<- Cinna

 

BERENICE

Infelice mio core, e da qual astro  

or pende il tuo disastro?

Polemone spergiuro

mi tradisce, e m'aborre,

e in quell'anima infida

puote desio di regno

al mio svenato amor l'urna comporre.

O Tito, o Licia, o Roma!

Ben conobbi alle prove i vostri inganni,

e in questo ahi sempre amaro, e infausto die

Cassandra fui delle sciagure mie.

Ma inulta non andrò, l'estrema sorte

saprò affrettare al regnator romano.

Cadrà 'l superbo, e ancor che cinga al seno

l'egida portentosa, o pur d'Achille

ei vesta l'armi, o dell'eroe troiano,

olocausto farà di questa mano.

Ma non è questi Cinna?

Per atterrar d'un cesare lascivo

l'impudica baldanza

delle vendette mie costui fia parte,

così deluderò l'arte con l'arte.

CINNA

O de' tetrarchi illustri inclito germe,

qual impeto feroce agita, e volge

l'animo perturbato?

BERENICE

Penso d'augusto al fato.

Vattene a Tito, vola,

digli, che s'egli apprezza

e la vita, e l'impero,

solo, cauto, e guardingo a me ne venga,

alla fonte d'Adone

l'attenderò: ciò impongo alla tua fede.

(parte)

Berenice ->

 

CINNA

Per obbedirti impenno l'ali al piede.  

O di chi regge scettri, e frena imperi

troppo infelice stato,

se quando in alto soglio

seggono sublimati,

la fallace fortuna

per ruina maggior par, che gl'innalzi,

e mentre a mille turbe adoratrici

sparsi di gemme, e d'ori

sembran vaghi pianeti, e luminosi,

precipitando al suolo

divengono a momenti

questi soli terreni astri cadenti.

Cinna ->

 
 

Scena ottava

Giardino con fontana, ove risiede la statua d'Adone con palazzo nel prospetto.
Polemone.

 Q 

Polemone

 

Berenice ove sei?  

Dove dove t'ascondi

luce degl'occhi miei.

 

 

Marmi o voi, che nel candore  

pareggiate la mia fé.

Per pietate

palesate

il mio sol, dite, dov'è?

Folle, ma con chi parlo?

Ah che l'empia, l'indegna

conscia di sue lascivie, e de' miei torti,

rapida qual baleno

s'è ricovrata al novo amante in seno.

Ma vanne pur o cruda,

fuggi pur da quest'occhi, e vola dove

sotto incognito ciel l'orbe divide

il frapposto Nettun, fuggi inumana,

ch'ad ogni piaggia inospita, e romita

negl'ultimi recessi, e più remoti

d'un amante tradito

ti giungeranno i voti.

 

Furori armatemi,  

tutto ingombratemi

di stigio ardor

cada svenata,

e lacerata

l'empia, spietata,

che già rapimmi con l'alma il cor.

Polemone ->

 

Scena nona

Tito.

<- Tito

 

 

Qui dove edra serpente  

per rintuzzar del sol gl'estinti ardori,

dimostra a braccia aperte

in difesa dell'ombre,

quante foglie ha nel sen cotanti cori;

di Berenice ai cenni

veloce, solo, e incustodito io venni.

Cieli, che sarà mai?

Qual petto di Procuste,

o qual alma di Scini alla mia testa

insidie ordisce, e le congiure appresta?

E del cesareo alloro

s'indegna questa fronte,

che contro a questo capo ognor si deggia

scagliar ferro omicida?

O di chi 'l mondo regge

alte miserie estreme,

se chi nasce agl'imperi

quanto temuto è più, tanto più teme.

Ma neppur anco miro

quelle luci ch'adoro,

ove in marmorea fonte

sgorga tra verdi piante

dalle ferite sue stille d'argento

della più bella dea l'estinto amante?

Al dolce mormorar d'onda fugace

attenderò colei,

che con gl'occhi sereni

sol può temprar di questo cor la face.

(s'asside sopra il fonte)

 

Pupille vezzose,  

ch'il seno m'aprite;

pur ch'un dì siate pietose,

corre l'alma alle ferite:

ch'il bel guardo, che m'impiaga,

può Esculapio d'amor sanar la piaga.

 

 

Ma qual d'aura gentile  

vezzoso ventilar i lumi stanchi

al riposo lusinga?

Se qual Endimion dormendo ancora

stringerò la beltà, che m'innamora,

in sì dolce sopore

fammi dormir eterni sonni amore.

(qui s'addormenta)

 

Scena decima

Berenice con lo stilo in mano.
Tito che dorme. Polemone, che sopraggiunge.

<- Berenice

 

BERENICE

Animo, perché cessi? È questo il loco,  

ch'a mie vendette oggi destina il cielo

su assistete, inspirate

ultrici deitadi

nove furie al mio sen, rivegga Roma

d'un cesare la strage, ammiri 'l mondo

con memorando esempio

d'un lascivo lo scempio.

Ma che scorgo? Qui dorme

l'involator de' miei riposi? O dèi!

Mentre da mille cure ha 'l seno aperto,

dite voi, come ponno

le torbide palpebre

d'un tiranno crudel star chiuse al sonno.

 

O numi dell'onore  

voi scorgete il mio ferro,

voi guidate la mano,

mora l'empio inumano.

 

<- Polemone

POLEMONE

(che sopravviene afferrandola per la mano)  

Ferma eccelsa reina: e qual offesa

tanto acerba, o mortale

contro sì nobil vita

arma la man reale?

BERENICE

Lascia cotesto ferro, o de' miei torti

consiglier scellerato!

Costui, che poco dianzi empio lascivo

tentò rapir a questo sen l'onore,

vo', che vittima sia del mio furore.

POLEMONE

(Dunque fede mi serba,

mentre cesare aborre;

giusto è, che Tito mora:

ma troppo dolce sorte

fora per la tua man provar la morte.)

Con questo invitto braccio

trarrò all'empio inumano l'alma dal seno:

vanne mia vita intanto;

e là dove il Giordano con lucid'onda

sferza l'erbosa sponda,

su volante corsier cauta m'attendi;

e perché più sicura abbi la fuga

dell'usbergo d'Agrippa

cingi al tenero seno il grave incarco:

già pongo fine all'opra.

Che dal sonno alla morte è un picciol varco.

BERENICE

(Dunque fido è costui, se pronto aspira

alle parche sacrar l'empio tiranno.)

Prendi il vindice ferro! Uccidi, svena

cesare impudico,

il mio onor vilipeso altro non chiede

dal tuo acciar, dal tuo cor, dalla tua fede.

 

Scena undicesima

Tito, che dorme. Polemone.

 

POLEMONE

Or che più tardi  

animo irresoluto;

ecco a quel fonte appresso

giace dal sonno il tuo nemico oppresso:

su via (fa' che tra l'ombre

dorma un sonno di ferro;) a quel lascivo

togli l'alma, apri 'l seno,

cada trafitto: ecco l'uccido, e sveno:

ma qual ignota forza

mi ritoglie il furor? Qual dio? Qual fato

mi rapisce a me stesso? Ah, ch'il mio spirto

generoso, e audace, e ch'ad ogn'ora

seguì di gloria l'orme,

aborre di svenar un uom, che dorme.

Deh non fia ver, che fra mie eccelse imprese

unqua l'Asia racconti,

che per amar altrui

vil cavaliero, e traditore io fui?

Viva cesare viva

alto esempiod'onor; e a ciò, ch'ei vegga,

ch'a questa destra è debitor dell'alma,

inciderò in quel tronco

la storia de' suoi casi; or quindi apprenda,

ch'un magnanimo core, un'alma ardita

sa al nemico talor donar la vita.

(qui scrive con lo stilo nel tronco ove Tito s'appoggia)

 

Scena dodicesima

Tito. Polemone: Cinna. Coro de' Soldati.

<- Cinna, soldati

 

TITO

(svegliato prende Polemone nel braccio)  

Che tenti empio, crudel?

POLEMONE

Salvar da morte

il regnator latin?

CINNA

Ferma spietato!

Sì prezioso stame

troncar procuri.

POLEMONE

Anzi a difesa armato

sospesi a Tito l'imminente fato.

TITO

Qual ciclope sì crudo

or del mio sangue ha sete?

POLEMONE

Mentre fra queste frondi

al respirar d'un zefiro leggero

del più caldo meriggio

cerco temprar la face,

miro d'acciar vestito

sconosciuto campion, col ferro ignudo

tenta questi svenarti, accorro, volo,

m'oppongo, egli resiste, alfin prevale

la virtude al furor, fugge l'ignoto.

Io d'un sì gran d'alma

tolta alla man di Cloto

scrivo con l'armi stesse in su quel mirto

gl'acquistati trofei. Tu desto all'ora

mi credi traditor, ma quella pianta

ch'inscritto ha 'l sen di così eroica impresa

me di tua vita il difensor palesa.

CINNA

Quai caratteri leggo?

(legge)

«D'un nemico rival la destra ardita

mentre giaci, o gran Tito,

entro 'l sonno sopito

fra le braccia di morte, or ti dà vita.»

Queste note, o signore,

son prove d'innocenza, e di valore.

TITO

Adraspe amico, o quanto

deggio al tuo braccio invitto:

ma se tua destra forte

d'inesorabil parca

mi sottrasse al furor: come un nemico

mi preserva alla luce? Io da quel giorno

che sotto 'l giogo del romano impero

cadde Sion superba, e che dall'armi

Berenice salvasti,

sol ti conobbi; or come

nemico sei se all'opre

il tuo genio sublime

mio difensor ti scopre?

POLEMONE

(Sì augusta al par del nome

porta l'alma costui, sì generoso

e magnanimo ha 'l cor, ch'io non diffido

palesargli 'l mio stato.)

Polemone son io di Licia il trono

freno con man real, della mia spada

qual siasi 'l taglio, entro a più dubbi assalti

le tue squadre il provar; amor che nudo

sa trionfar di Marte,

d'un bel guardo m'accese;

Berenice rapii, con l'alta preda

a Solima fuggii, quando d'intorno

cinto dal tuo gran campo

in assedio sì lungo, e sì ostinato

mentre invitto difendo i regni altrui,

della strage comun consorte io fui.

TITO

Trattar non usa

fuor, ch'un'alma di rege opre reali;

il nome di nemico

sbandisci omai, già Roma

per amico t'acclama, e tale io sono,

sempre i falli d'amor mertan perdono.

(parte)

Tito ->

 

POLEMONE

Cieca diva inesorabile,  

già per me tuo globo instabile

favorabile

girerà.

Né sempre al dolore

un misero core

bersaglio sarà.

 
 

Scena tredicesima

Campagna montuosa sopra le sponde del Giordano.
Berenice armata con l'armi d'Agrippa.

 Q 

Berenice

 

BERENICE

Già Polemone invitto avrà reciso  

d'un'empia vita il filo: io qui l'attendo

compagna della fuga;

ma con piè sì veloce,

tutto nell'armi chiuso,

che richiede costui?

 

Scena quattordicesima

Celso. Berenice. Coro di Soldati.

<- Celso, soldati

 

CELSO

Amici ecco 'l ribello  

nemico dell'impero:

Roma dal vostro ferro

chiede quel capo infido:

ma no: fermate il passo,

da solo a sol con generosa destra

saprò quell'alma iniqua

oggi ad Eaco sacrar: empio guerriero

snuda quel brando.

BERENICE

O dèi che fia? Son morta...

(qui vien percossa e cade a terra)

CELSO

Un cor fellone

va sempre armato di viltà; gettate

l'esangue busto entro 'l Giordan; se folle

premeditò gl'incendi al ciel latino,

mentre dal ferro ei fulminato giacque,

merta novo Fetonte:

nella caduta sua sepolcro d'acque.

(viene gettata Berenice nel fiume)

Berenice ->

 

Terminata è già l'opra: Agrippa estinto,  

lepido morirà; resta che Tito

conceda alla mia fé,

già che spirò Sabina,

Berenice in mercé.

Ecco cesare appunto:

ite lunge, o tormenti;

mi prepara il destino alti contenti.

 

Scena quindicesima

Tito. Cinna. Celso.

<- Tito, Cinna

 

TITO

Stelle che deggio far?  

A chi mi diè la vita,

devo l'alma lasciar?

Che deggio fare o stelle?

 

 

Ma che dirà l'onore,  

la dignità l'impero,

se fulminato da un bel guardo arciero

vinta la Siria, e Palestina doma,

dalle sabee pendici

qual Paride lascivo

porterò in seno all'acque il foco a Roma.

La maestà, la fede

vol ch'al licio regnante

la consorte si doni:

ma per dar vita altrui, dovrò a quest'ora

crudamente pietoso

pellicano d'amor svenar me stesso?

 

Troppo troppo o pensieri  

siete d'un cor amante

rigidi consiglieri.

S'in eterni martiri ho da penar,

che deggio far o stelle?

Stelle che deggio far?

 

CELSO

Come, o sire, imponesti,  

vittima del tuo sdegno

cadde Agrippa l'indegno:

or, se da voti miei

lice tanto impetrar, di Berenice

bramo gl'alti sponsali:

già che Flavia Sabina

mi rapiron di Cloto

le forbici fatali.

TITO

O ciel, non basta,

che quest'anima esali

sospiri agonizzanti,

se con novi martiri a tormentarmi

non veniva costui? Mio fido amico:

duolmi, ch'ora non lice

dispor di Berenice.

Ad altri in sorte

la destinaro i cieli: altra mercede

di Celso avrà la fede.

 

Scena sedicesima

Gl'antedetti. Berenice. Agrippa. Polemone. Due Pescatori taciti.

<- Berenice, Agrippa, due pescatori

 

CINNA

Due siri pescatori  

portan signor, di grave usbergo cinto

sovra dell'onde un cavaliero estinto:

s'io non traveggo, all'armi

Agrippa mi rassembra.

CELSO

Il cadavero indegno

sarà di quel fellon.

TITO

Cesare aborre

con sì fiero spettacolo, e funesto

le luci profanar, urna decente

abbian l'ossa reali: io non permetto

tanto allo sdegno mio, ch'anco a' defunti

turbi i riposi in sulle stigie rive;

non dée guerra con l'ombre aver, chi vive.

CINNA

Ma che veggo, signor! Or non è questi

Agrippa il re.

TITO

Che miro?

Olà: scoprite,

chi sia il guerriero esangue:

Celso l'error mi pagherà col sangue.

CELSO

O me infelice!

CINNA

Numi che scorgo?

TITO

O cieli!

CELSO E TITO

È Berenice

AGRIPPA

Berenice! E a quai colpi

astri mi riserbate?

Come cinta d'acciaro in questo lido?

TITO

Su littori cingete

di stringenti ritorte

Celso, l'empio omicida,

scopo di mille strali egli s'uccida.

CELSO

Uscite pur dagl'archi,

o pietose saette,

merta pena infinita

chi puote dar la morte alla sua vita.

(vien condotto altrove)

Celso, soldati ->

 

CINNA

O portenti funesti! Ora nell'acque  

una venere muor, s'un'altra nacque.

BERENICE

Chi mi dona i respiri?

TITO

O dèi! Ch'ascolto?

BERENICE

Chi mi toglie alle parche? Ove mi trovo?

AGRIPPA

Fra le braccia d'Agrippa.

 

<- Polemone

POLEMONE

(che sopravviene)  

Empia sorte, che miro?

Per quale strano caso

il mio adorato sol giunto è all'occaso?

BERENICE

Polemone mio re?

Gira un guardo pietoso a chi t'adora,

porgi la destra a questa destra almeno,

moro contenta, or, ch'io ti spiro in seno.

AGRIPPA

Polemone è costui? Respira, vive

il lascivo nemico?

Ma qual di fosca nube orrido vel

fra tuoni, e folgori

oscura il ciel?

 

Scena diciassettesima

Gl'antedetti. Apollonio. Marzia.
S'apre fra tuoni, e folgori una nube, e scendono a terra.

<- Apollonio, Marzia

 

APOLLONIO

Tito, gl'inumani eventi  

non ruota il ciel a caso;

ch'incatenato insieme

con vicenda fatal va 'l pianto al riso.

Marzia, che destinata

ti fu dal fato infin dal Tebro io trassi,

giusto è, signor, che così lunghe doglie

succedano i respiri,

Io l'idumea reina

a Lachesi involai,

perché di Licia al rege

la donasse un augusto; ora di Roma

seconda i voti, o sire, e fa', ch'il mondo

dopo tanti trofei,

novo Alcide festoso

lieto t'adori imperatore, e sposo.

(vien rapito a volo)

Apollonio ->

 

TITO

Entro a cimmerii orrori  

avvezzò le pupille,

chi cieco amante vole

prepor le stelle in paragon del sole.

 

MARZIA

Mia luce.  

TITO

Mio core.

MARZIA

Mia vita.

MARZIA E TITO

Mia spene.

I latini trionfi...

MARZIA

oggi contemplo...

TITO

oggi coroni...

MARZIA E TITO

entro alle sirie arene.

 

Scena diciottesima

Gl'antedetti. Domiziano. Ninfo.

<- Domiziano, Ninfo

 

DOMIZIANO

D'Ioppe contumace  

or volo con tuo auspicio all'alta impresa.

TITO

Del tuo brando guerrier l'invitte prove

secondi amico Giove.

DOMIZIANO

Che mirate miei lumi?

Sotto spoglie guerriere

il mio nume s'asconde?

 

Che diria, che d'elmo, e scudo  

si coprisse Amor, ch'è nudo:

e per l'alme infiammar con la sua face

ei fosse di Bellona ora seguace,

e pur per tormentarmi

costei cerca fierezze in mezzo all'armi.

 

TITO

Pria che ritorni al campo,  

vo', ch'alla tua presenza

di Licia al gran regnante

Berenice si doni.

DOMIZIANO

Questi son di mia fede i guiderdoni?

BERENICE

Invan pretendi

col donarmi allo sposo

d'offesa donna mitigar lo sdegno.

Aborrisco gli scettri,

Polemone ricuso

fier tiranno impudico.

S'egl'è dono fatal d'empio nemico.

TITO

Io tiranno, io lascivo

profanator di tua onestà?

DOMIZIANO

Mio core,

ora, ch'è disperata ogni tua spene

su palesa gl'inganni; io fui l'audace,

ch'acceso da que' lumi

mentre un guardo il sen m'impiaga

col baciar i feritori

tentai sabar di questo cor la piaga:

ma se d'accorto Amor non giovò l'arte,

lascio Cupido, e mi rivolgo a Marte.

(parte)

Domiziano ->

 

NINFO

O gran saggio è il mio signor,  

già che più goder non può,

si ribella al dio d'Amor,

e campion di Bellona ora gli basta

trattar lo stocco, e maneggiar sol l'asta.

(parte)

Ninfo ->

 

BERENICE

Il mio giusto dolor scusa o signore,  

non è delitto involontario errore.

AGRIPPA

Se d'augusto è voler, ch'al licio rege

Berenice s'annodi

con sovrani sponsali,

applaude Agrippa agl'imenei reali.

TITO

Pria che nell'onda ibera

dell'aurata quadriga

attuffi il sol le luminose rote

nella reggia pomposa

con gl'allori di Roma

io vo' di Marzia incoronar la chioma.

 

MARZIA

Felice cor festeggia sì:  

già per te d'amor la face

non vorace

splende lieta in questo dì.

 
 

Scena diciannovesima

Reggia di Salomone.
Sabina. Lucindo.

 Q 

Sabina, Lucindo

 

SABINA

Resi lumi funebri  

al funeral d'un sole occhi splendete;

o cangiate vicende

trasformatevi in fonti,

e lagrimate tanto,

ch'io divenga Aretusa in mar di pianto.

Cadrà Celso il mio bene,

ah che fra tante pene

trafitta da que' strali anch'io sarò,

se spira la mia vita, anch'io morrò.

 

Di quest'alma al rio martoro  

dio de' cori soccorri tu,

se non salvi 'l bel ch'adoro

tuo idolatra non m'avrai più.

 

LUCINDO

Al dispetto di fortuna  

pur alfin con lieto viso

divenuto è d'amor compagno il riso.

 

Che non può donna, ch'è bella  

con un guardo lusinghier,

se di Venere la stella

sa placare il dio guerrier.

Per un crin, che lo legò,

anco un Ercole filò;

che per levar lo spirto ad ogni ardito

d'una morbida man basta un sol dito.

 

SABINA

O se di Pafo, e d'Amatunta i numi  

secondino il tuo merto

giovinetto gentile, al piè d'augusto

scorgi d'alto guerriero il passo errante.

LUCINDO

A così bel sembiante

io averei giurato

per un Cupido armato:

sarò duce al tuo piede,

ecco Tito, che viene:

ma vo' darti un consiglio

con sì bizzarro arnese

ti veggo in questa etade in gran periglio.

 

Scena ventesima

Tito. Marzia. Berenice. Polemone. Lepido. Cinna. Sabina. Lucindo. Agrippa.

<- Tito, Marzia, Berenice, Polemone, Lepido, Cinna, Agrippa

 

MARZIA

Sparso il crin di lampi d'oro  

rida il sol più luminoso,

e di Tespo il dio vezzoso

m'incateni al bel, ch'adoro.

 

TITO

Del latino diadema  

già rifulge tua chioma:

scenda Imeneo festante, ebbra di gioia

intorno a' sacri altari

strida la casta fiamma,

e di timpani, e trombe al suon giocondo

lieta Roma festeggi, applauda il mondo.

Lepido!

LEPIDO

Mio signore!

TITO

All'or, ch'ai rai dell'alba Eto fiammeggia,

con Polemone invitto

scorterai Berenice

colà di Licia alla sublime reggia.

LEPIDO

Obbedirò a' tuoi cenni. O dèi, che miro!

Berenice è d'altrui!

E novello Ision per mio tormento

abbraccio l'aura, e sol restringo il vento.

SABINA

O di Sion superba

famoso spugnator, ecco al tuo piede

la nipote d'augusto,

che di Celso invaghita,

in duro acciaro involta,

sott'elmo rugginoso

i volumi del crin nascose ad arte,

e tra falangi astate

seguì armata nel campo il suo bel Marte.

Se di regal fanciulla

può in te signor qualche pietade, aita

porgi o Tito a quest'alma,

dona a Celso la vita.

TITO

O gran germe de' Flavi, alta Sabina,

rasserena le luci,

già precorsi i tuoi voti,

vive il tuo Celso, e in più felici nodi,

fia ch'Amor al tuo seno oggi l'annodi.

 

MARZIA

Non disperi un cor amante    

di goder vaga beltà,

che del cieco arcier volante

lo strale

fatale

eterni tormenti

alfine non ha.

S

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BERENICE, MARZIA E TITO

Ogn'alma arriva

tra le noie

alle gioie

ai contenti

TUTTI GLI ALTRI

Viva Tito viva, viva.

 

Fine (Atto terzo)

Atto primo Atto secondo Atto terzo

Ippodromo.

Sabina
 

Ah no! Ch'invan di rilucente acciaro

Sabina ->
<- Domiziano, Ninfo

Domizian, ma dove

Domiziano
Ninfo ->
Domiziano
<- Lepido

O del latino formidabil soglio

Lepido
Domiziano ->

Folle, m'a che deliro?

Lepido ->
<- Marzia, Apollonio

Una vile Idumea

Marzia, Apollonio ->
<- Tito, Messo

Signor, il siro audace

Tito
Messo ->

Sì temeraria Ioppe! Incontro a Roma

Tito
<- Domiziano

Ma ecco Domizian: del suo valore

Domiziano
Tito ->

Ch'io vada a debellar falangi armate?

Domiziano
<- Berenice, Agrippa

Signor, per questa eccelsa, e regal destra

Domiziano, Berenice, Agrippa
<- Ninfo

Nell'amorosa pesca

Domiziano, Berenice, Ninfo
Agrippa ->

Già non fia benigne stelle

Berenice, Ninfo
Domiziano ->
Berenice, Ninfo
<- Cinna

Infelice mio core, e da qual astro

Ninfo, Cinna
Berenice ->

Per obbedirti impenno l'ali al piede

Ninfo
Cinna ->

Giardino con fontana, ove risiede la statua d'Adone con palazzo nel prospetto.

Polemone
 

Marmi o voi, che nel candore

Polemone ->
<- Tito

Qui dove edra serpente

Ma qual d'aura gentile

(Tito s'addormenta)

Tito
<- Berenice

Animo, perché cessi? È questo il loco

Tito, Berenice
<- Polemone

Ferma eccelsa reina: e qual offesa

Or che più tardi

(Tito si risveglia)

Tito, Berenice, Polemone
<- Cinna, soldati

Che tenti empio, crudel? / Salvar da morte

Berenice, Polemone, Cinna, soldati
Tito ->

Campagna montuosa sopra le sponde del Giordano.

Berenice
 

Già Polemone invitto avrà reciso

Berenice
<- Celso, soldati

Amici ecco 'l ribello

(Berenice viene gettata nel fiume)

Celso, soldati
Berenice ->

Terminata è già l'opra: Agrippa estinto

Celso, soldati
<- Tito, Cinna

Ma che dirà l'onore

Come, o sire, imponesti

Celso, soldati, Tito, Cinna
<- Berenice, Agrippa, due pescatori

Due siri pescatori

Tito, Cinna, Berenice, Agrippa, due pescatori
Celso, soldati ->

O portenti funesti! Ora nell'acque

Tito, Cinna, Berenice, Agrippa, due pescatori
<- Polemone

Empia sorte, che miro?

(S'apre fra tuoni e folgori una nube, e scendono a terra Apollonio e Marzia)

Tito, Cinna, Berenice, Agrippa, due pescatori, Polemone
<- Apollonio, Marzia

Tito, gl'inumani eventi

Tito, Cinna, Berenice, Agrippa, due pescatori, Polemone, Marzia
Apollonio ->

Entro a cimmerii orrori

Tito, Cinna, Berenice, Agrippa, due pescatori, Polemone, Marzia
<- Domiziano, Ninfo

D'Ioppe contumace

Pria che ritorni al campo

Tito, Cinna, Berenice, Agrippa, due pescatori, Polemone, Marzia, Ninfo
Domiziano ->

O gran saggio è il mio signor

Tito, Cinna, Berenice, Agrippa, due pescatori, Polemone, Marzia
Ninfo ->

Il mio giusto dolor scusa o signore

Reggia di Salomone.

Sabina, Lucindo
 

Resi lumi funebri

Al dispetto di fortuna

O se di Pafo, e d'Amatunta i numi

Sabina, Lucindo
<- Tito, Marzia, Berenice, Polemone, Lepido, Cinna, Agrippa

Del latino diadema

Marzia, Berenice e Tito, poi Tutti
Non disperi un cor amante
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Scena diciassettesima Scena diciottesima Scena diciannovesima Scena ventesima
Gerosolima. Campo con padiglioni dove sta attendata l'oste romana con ordinanze di cavalli, cammelli, dromedari,... Galleria con statue. Campagna deliziosa con boschi di palme confinante con la marina. Maestoso palazzo. Cortil regio. Notturna con appartamenti di Berenice. Boscaglia di cipressi con fontane, statue; spunta l'aurora. Ippodromo. Giardino con fontana, ove risiede la statua d'Adone con palazzo nel prospetto. Campagna montuosa sopra le sponde del Giordano. Reggia di Salomone.
Atto primo Atto secondo

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