Atto primo

 

Scena prima

Luogo magnifico destinato per le pubbliche udienze con trono da un lato; veduta in prospetto della città di Cartagine che sta in atto edificandosi.
Enea, Selene, Osmida.

Sfondo schermo ()

Bozzetti

 Q 

Enea, Selene, Osmida

 

ENEA

No principessa, amico,  

sdegno non è, non è timor che move

le frigie vele e mi trasporta altrove.

So che m'ama Didone;

pur troppo il so; né di sua fé pavento.

L'adoro e mi rammento

quanto fece per me: non sono ingrato.

Ma ch'io di nuovo esponga

all'arbitrio dell'onde i giorni miei

mi prescrive il destin, voglion gli dèi.

E son sì sventurato,

che sembra colpa mia quella del fato.

SELENE

Se cerchi al lungo error riposo e nido,

te l'offre in questo lido

la germana, il tuo merto e il nostro zelo.

ENEA

Riposo ancor non mi concede il cielo.

SELENE

Perché?

OSMIDA

Con qual favella

il lor voler ti palesaro i numi?

ENEA

Osmida, a questi lumi

non porta il sonno mai suo dolce oblio,

che il rigido sembiante

del genitor non mi dipinga innante.

«Figlio» ei dice, e l'ascolto «ingrato figlio,

questo è d'Italia il regno,

che acquistar ti commise Apollo ed io?

L'Asia infelice aspetta

che in un altro terreno,

opra del tuo valor, Troia rinasca:

tu il promettesti; io nel momento estremo

del viver mio la tua promessa intesi,

allor che ti piegasti

a baciar questa destra e me 'l giurasti.

E tu frattanto ingrato

alla patria, a te stesso, al genitore,

qui nell'ozio ti perdi e nell'amore?

Sorgi: de' legni tuoi

tronca il canape reo, sciogli le sarte.»

Mi guarda poi con torvo ciglio, e parte.

SELENE

Gelo d'orror.

 
Dal fondo della scena comparisce Didone con Séguito.

<- Didone, seguito di Didone

 

OSMIDA

(Quasi felice io sono.  

Se parte Enea, manca un rivale al trono.)

SELENE

Se abbandoni il tuo bene,

morrà Didone (e non vivrà Selene).

OSMIDA

La regina s'appressa.

ENEA

(Che mai dirò?)

SELENE

(Non posso

scoprire il mio tormento.)

ENEA

(Difenditi, mio core, ecco il cimento.)

 

Scena seconda

Didone, con Séguito e detti.

 

DIDONE

Enea, d'Asia splendore,  

di Citerea soave cura e mia,

vedi come a momenti,

del tuo soggiorno altera,

la nascente Cartago alza la fronte.

Frutto de' miei sudori

son quegli archi, que' templi e quelle mura:

ma de' sudori miei

l'ornamento più grande, Enea, tu sei.

Tu non mi guardi, e taci? In questa guisa

con un freddo silenzio Enea m'accoglie?

Forse già dal tuo core

di me l'imago ha cancellata Amore?

ENEA

Didone alla mia mente,

il giuro a tutti i dèi, sempre è presente.

Né tempo o lontananza

potrà sparger d'oblio,

questo ancor giuro ai numi, il foco mio.

DIDONE

Che proteste! Io non chiedo

giuramenti da te: perch'io ti creda,

un tuo sguardo mi basta, un tuo sospiro.

OSMIDA

(Troppo s'inoltra.)

SELENE

(Ed io parlar non oso.)

ENEA

Se brami il tuo riposo,

pensa alla tua grandezza:

a me più non pensar.

DIDONE

Che a te non pensi?

Io, che per te sol vivo, io, che non godo

i miei giorni felici

se un momento mi lasci?

ENEA

Oh dio, che dici!

E qual tempo scegliesti, ah troppo, troppo

generosa tu sei per un ingrato.

DIDONE

Ingrato Enea! Perché? Dunque noiosa

ti sarà la mia fiamma.

ENEA

Anzi giammai

con maggior tenerezza io non t'amai.

Ma...

DIDONE

Che?

ENEA

La patria, il cielo...

DIDONE

Parla.

 

ENEA

Dovrei... ma no...  

L'amor... oh dio, la fé...

Ah che parlar non so.

(ad Osmida)

Spiegalo tu per me.

(parte)

Enea ->

 

Scena terza

Didone, Selene e Osmida.

 

DIDONE

Parte così, così mi lascia Enea?  

Che vuol dir quel silenzio? In che son rea?

SELENE

Ei pensa abbandonarti.

Contrastano quel core,

né so chi vincerà, gloria ed amore.

DIDONE

È gloria abbandonarmi?

OSMIDA

(Si deluda.) Regina,

il cor d'Enea non penetrò Selene.

Ei disse, è ver, che il suo dover lo sprona

a lasciar queste sponde

ma col dover la gelosia nasconde.

DIDONE

Come!

OSMIDA

Fra pochi istanti

dalla dalla regia de' Mori

qui giunger dée l'ambasciatore Arbace...

DIDONE

Che perciò?

OSMIDA

Le tue nozze

chiederà il re superbo, e teme Enea

che tu ceda alla forza e a lui ti doni.

Perciò così partendo,

fugge il dolor di rimirarti.

DIDONE

Intendo.

S'inganna Enea ma piace

l'inganno all'alma mia.

So che nel nostro core

sempre la gelosia figlia è d'amore.

SELENE

Anch'io lo so.

DIDONE

Ma non lo sai per prova.

OSMIDA

(Così contro un rival l'altro mi giova.)

DIDONE

Vanne amata germana,

dal cor d'Enea sgombra i sospetti, e digli

che a lui non mi torrà se non la morte.

SELENE

(A questo ancor tu mi condanni, o sorte!)

 

Dirò che fida sei,  

su la mia fé riposa.

Sarò per te pietosa,

(per me crudel sarò).

Sapranno i labbri miei

scoprirgli il tuo desio.

(Ma la mia pena, oh dio,

come nasconderò?)

(parte)

Selene ->

 

Scena quarta

Didone e Osmida.

 

DIDONE

Venga Arbace qual vuole,  

supplice, o minaccioso; ei viene in vano.

In faccia a lui pria che tramonti il sole,

ad Enea mi vedrà porger la mano.

Solo quel cor mi piace,

sappialo Iarba.

OSMIDA

Ecco s'appressa Arbace.

 

Scena quinta

Iarba sotto nome di Arbace, Araspe con séguito de' Mori, Comparse, che conducono tigri, leoni e portano altri doni per presentare alla Regina, e detti.

<- Iarba, Araspe, seguito di Iarba

 
(mentre Didone servita da Osmida va sul trono fra loro non intesi dalla medesima dicono:)

ARASPE

Vedi, mio re...  

IARBA

T'accheta.

Finché dura l'inganno,

chiamami Arbace, e non pensare al trono,

per ora io non son Iarba e re non sono.

 

 

Didone, il re de' Mori

a te de' cenni suoi

me suo fedele apportator destina.

Io te l'offro qual vuoi,

tuo sostegno in un punto o tua ruina.

Queste che miri intanto,

spoglie, gemme, tesori, uomini e fere,

che l'Africa soggetta a lui produce,

pegni di sua grandezza in don t'invia.

Nel dono impara il donator qual sia.

DIDONE

Mentre io n'accetto il dono

larga mercede il tuo signor riceve,

ma s'ei non è più saggio,

quel ch'ora è don può divenir omaggio.

(Come altiero è costui!) Siedi e favella.

 

ARASPE
(piano a Iarba)

Qual ti sembra, o signor?

IARBA
(piano ad Araspe)

Superba e bella.

 

 

Ti rammenta o Didone

qual da Tiro venisti, e qual ti trasse

disperato consiglio a questo lido.

Del tuo germano infido

alle barbare voglie, al genio avaro

ti fu l'Africa sol schermo e riparo.

Fu questo, ove si innalza

la superba Cartago, ampio terreno,

dono del mio signore, e fu...

DIDONE

Col dono

la vendita confondi...

IARBA

Lascia pria ch'io favelli, e poi rispondi.

 

DIDONE
(piano a Osmida)

Che ardir!

OSMIDA
(piano a Didone)

Soffri.

 

IARBA

Cortese

Iarba il mio re le nozze tue richiese.

Tu ricusasti, ei ne soffrì l'oltraggio,

perché giurasti allora

che al cener di Sicheo fede serbavi.

Or sa l'Africa tutta

che dall'Asia distrutta Enea qui venne:

sa che tu l'accogliesti e sa che l'ami.

Né soffrirà che venga

a contrastar gli amori

un avanzo di Troia al re de' Mori.

DIDONE

E gli amori e gli sdegni

fian del pari infecondi.

IARBA

Lascia pria ch'io finisca e poi rispondi.

Generoso il mio re di guerra in vece,

t'offre pace se vuoi.

E in ammenda del fallo

brama gli affetti tuoi, chiede il tuo letto,

vuol la testa d'Enea.

DIDONE

Dicesti?

IARBA

Ho detto.

DIDONE

Dalla reggia di Tiro

io venni a queste arene

libertade cercando e non catene.

Prezzo de' miei tesori,

e non già del tuo re Cartago è dono.

La mia destra, il mio core

quando a Iarba negai,

d'esser fida allo sposo allor pensai.

Or più quella non son...

IARBA

Se non sei quella...

DIDONE

Lascia pria ch'io risponda e poi favella.

Or più quella non son, variano i saggi

a seconda de' casi i lor pensieri.

Enea piace al mio cor, giova al mio trono

e mio sposo sarà.

IARBA

Ma la sua testa...

DIDONE

Non è facil trionfo; anzi potrebbe

costar molti sudori

quest'avanzo di Troia al re de' Mori.

IARBA

Se il mio signore irrìti,

verranno a farti guerra

quanti Getuli e quanti

Numidi e Garamanti Africa serra.

DIDONE

Pur che sia meco Enea, non mi confondo;

vengano a questi lidi

Garamanti, Numidi, Africa e il mondo.

IARBA

Dunque dirò...

DIDONE

Dirai

che amoroso no 'l curo,

che no 'l temo sdegnato.

IARBA

Pensa meglio, o Didone.

DIDONE

Ho già pensato.

(si levano da sedere)
 

Son regina e sono amante    

e l'impero io sola voglio

del mio soglio e del mio cor.

Darmi legge in van pretende

chi l'arbitrio a me contende

della gloria e dell'amor.

(parte)

S

Sfondo schermo () ()

Fogli partitura

Didone, seguito di Didone ->

 

Scena sesta

Iarba, Osmida ed Araspe.

 

IARBA

(in atto di partire)

Araspe, alla vendetta.  

ARASPE

Mi son scorta i tuoi passi.

OSMIDA

Arbace, aspetta.

IARBA

(Da me che bramerà?)

OSMIDA

Posso a mia voglia

libero favellar?

IARBA

Parla.

OSMIDA

Se vuoi

m'offro a' sdegni tuoi compagno e guida.

Didone in me confida,

Enea mi crede amico e pendon l'armi

tutte dal cenno mio. Molto potrei

a' tuoi disegni agevolar la strada.

IARBA

Ma tu chi sei?

OSMIDA

Seguace

della tiria regina, Osmida io sono.

In Cipro ebbi la cuna,

e il mio core è maggior di mia fortuna.

IARBA

L'offerta accetto e, se fedel sarai,

tutto in mercé ciò che domandi avrai.

OSMIDA

Sia del tuo re Didone, a me si ceda

di Cartago l'impero.

IARBA

Io te 'l prometto.

OSMIDA

Ma chi sa se consente

il tuo signore alla richiesta audace?

IARBA

Promette il re, quando promette Arbace.

OSMIDA

Dunque...

IARBA

Ogn'atto innocente

qui sospetto esser può; serba i consigli

a più sicuro loco e più nascoso.

Fidati, Osmida è re, se Iarba è sposo.

 

OSMIDA

Tu mi scorgi al gran disegno  

e al tuo sdegno, al tuo desio

l'ardir mio ti scorgerà.

Così rende il fiumicello,

mentre lento il prato ingombra,

alimento all'arboscello;

e per l'ombra umor gli dà.

(parte)

Osmida ->

 

Scena settima

Iarba, Araspe.

 

IARBA

Quant'è stolto se crede  

ch'io gli abbia a serbar fede!

ARASPE

Il promettesti a lui.

IARBA

Non merta fé chi non la serba altrui.

Ma vanne amato Araspe,

ogn'indugio è tormento al mio furore.

Vanne; le mie vendette

un tuo colpo assicuri. Enea s'uccida.

ARASPE

Vado e sarà fra poco

del suo, del mio valore

in aperta tenzone arbitro il fato.

IARBA

No, t'arresta. Io non voglio

che al caso si commetta

l'onor tuo, l'odio mio, la mia vendetta.

Improvviso l'assali, usa la frode.

ARASPE

Da me frode! Signor, suddito io nacqui

ma non già traditor. Dimmi ch'io vada

nudo in mezzo agl'incendi, incontro all'armi,

tutto farò. Tu sei

signor della mia vita; in tua difesa

non ricuso cimento.

Ma da me non si chieda un tradimento.

IARBA

Sensi d'alma volgare; a me non manca

braccio del tuo più fido.

ARASPE

E come, oh dèi,

la tua virtude...

IARBA

Eh che virtù? Nel mondo

o virtù non si trova,

o è sol virtù quel che diletta e giova.

 

Fra lo splendor del trono  

belle le colpe sono,

perde l'orror l'inganno,

tutto si fa virtù.

Fuggir con frode il danno

può dubitar se lice

quell'anima infelice,

che nacque in servitù.

(parte)

Iarba, seguito di Iarba ->

 

Scena ottava

Araspe.

 

 

Empio! L'orror che porta  

il rimorso d'un fallo anche felice,

la pace fra' disastri

che produce virtù, come non senti!

O sostegno del mondo,

degli uomini ornamento e degli dèi,

bella virtù il mio piacer tu sei.

 

Se dalle stelle tu non sei guida,  

fra le procelle dell'onda infida,

mai per quest'alma calma non v'è.

Tu m'assicuri ne' miei perigli,

nelle sventure tu mi consigli

e sol contento sento per te.

(parte)

Araspe ->

 
 

Scena nona

Cortile.
Selene, Enea.

 Q 

Enea, Selene

 

ENEA

Già te 'l dissi, o Selene,  

male interpreta Osmida i sensi miei.

Ah piacesse agli dèi

che Dido fosse infida o ch'io potessi

figurarmela infida un sol momento.

Ma saper che m'adora,

e doverla lasciar, questo è il tormento.

SELENE

Sia qual vuoi la cagione,

che ti sforza a partir, per pochi istanti

t'arresta almeno e di Nettuno al tempio

vanne: la mia germana

vuol colà favellarti.

ENEA

Sarà pena l'indugio.

SELENE

Odila e parti.

ENEA

Ed a colei che adoro,

darò l'ultimo addio?

SELENE

(Taccio e non moro.)

ENEA

Piange Selene!

SELENE

E come

quando parli così non vuoi ch'io pianga?

ENEA

Lascia di sospirar. Sola Didone

ha ragion di lagnarsi al partir mio.

SELENE

Abbiam l'istesso cor Didone ed io.

ENEA

Tanto per lei t'affliggi?

SELENE

Ella in me così vive,

io così vivo in lei,

che tutti i mali suoi son mali miei.

ENEA

Generosa Selene i tuoi sospiri

tanta pietà mi fanno

che scordo quasi il mio nel vostro affanno.

SELENE

(Se mi vedessi il core,

forse la tua pietà saria maggiore.)

 

Scena decima

Iarba, Araspe e detti.

<- Iarba, Araspe

 

IARBA

Tutta ho scorsa la reggia  

cercando Enea, né ancor m'incontro in lui.

ARASPE

Forse quindi partì.

IARBA

(vedendo Enea)

Fosse costui?

Africano alle vesti ei non mi sembra.

(ad Enea)

Stranier dimmi: chi sei?

ARASPE

(vedendo Selene)

(Quanto piace quel volto agli occhi miei!)

ENEA

(guarda Iarba e non risponde)

Troppo, bella Selene...

IARBA
(ad Enea)

Olà non odi?

ENEA

Troppo ad altri pietosa...

SELENE

(come sopra)

Che superbo parlar!

ARASPE

(guardando Selene)

(Quanto è vezzosa!)

IARBA
(ad Enea)

O palesa il tuo nome, o ch'io...

ENEA

Qual dritto

hai tu di domandarne? A te che giova?

IARBA

Ragione è il piacer mio.

ENEA

Fra noi non s'usa

di rispondere a stolti.

(vuol partire)

IARBA

A questo acciaro...

(vuol por mano alla spada e Selene lo ferma)

SELENE
(a Iarba)

Su gl'occhi di Selene,

nella reggia di Dido un tanto ardire?

IARBA

Di Iarba al messaggero

sì poco di rispetto?

SELENE

Il folle orgoglio

la regina saprà.

IARBA

Sappialo. Intanto

mi vegga ad onta sua troncar quel capo

e a quel d'Enea congiunto,

dell'offeso mio re portarlo a' piedi.

ENEA

Difficile sarà più che non credi.

IARBA

Tu potrai contrastarlo? O quell'Enea

che per glorie racconta

tante perdite sue?

ENEA

Cedono assai

in confronto di glorie

alle perdite sue le tue vittorie.

IARBA

Ma tu chi sei, che tanto

meco per lui contrasti?

ENEA

Son un che non ti teme, e ciò ti basti.

 

Quando saprai chi sono  

sì fiero non sarai

né parlerai così.

Brama lasciar le sponde

quel passeggero ardente,

fra l'onde poi si pente,

se ad onta del nocchiero

dal lido si partì.

(parte)

Enea ->

 

Scena undicesima

Selene, Iarba ed Araspe.

 

IARBA

Non partirà se pria...  

(volendo seguire Enea)

SELENE

(lo ferma)

Da lui che brami?

IARBA

Il suo nome.

SELENE

Il suo nome

senza tanto furor da me saprai.

IARBA

A questa legge io resto.

SELENE

Quell'Enea che tu cerchi appunto è questo.

IARBA

Ah m'involasti un colpo,

che al mio braccio offeriva il ciel cortese.

SELENE

Ma perché tanto sdegno, in che t'offese?

IARBA

Gli affetti di Didone

al mio signor contende,

t'è noto e mi domandi in che m'offende?

SELENE

Arbace, a quel ch'io veggio

nella scuola d'amor sei rozzo ancora.

Un cor che s'innamora?

Non sceglie a suo piacer l'oggetto amato.

Onde nessuno offende

quando in amor contende o allor che niega

corrispondenza altrui; non è bellezza,

non è senno o valore

che in noi risveglia amore; anzi talora

il men vago, il più stolto è che s'adora.

Bella ciascuno poi finge al pensiero

la fiamma sua, ma poche volte è vero.

 

Ogni amator suppone  

che della sua ferita

sia la beltà cagione

ma la beltà non è.

È un bel desio che nasce

allor che men s'aspetta,

si sente che diletta

ma non si sa perché.

(parte)

Sfondo schermo () ()

Selene ->

 

Scena dodicesima

Iarba, Araspe, poi Osmida.

 

IARBA

Non è più tempo Araspe  

di celarmi così. Troppa finora

sofferenza mi costa.

ARASPE

E che farai?

IARBA

I miei guerrier, che nella selva ascosi

quindi non lungi al mio venir lasciai,

chiamerò nella reggia:

distruggerò Cartago, e l'empio core

all'indegno rival trarrò...

 

<- Osmida

OSMIDA

Signore,

già di Nettuno al tempio

la regina s'invia. Sugli occhi tuoi

al superbo troiano,

se tardi a riparar porge la mano.

IARBA

Tanto ardir!

OSMIDA

Non è tempo

d'inutili querele.

IARBA

E qual consiglio?

OSMIDA

Il più pronto è il migliore. Io ti precedo;

ardisci. Ad ogni impresa

io sarò tuo sostegno e tua difesa.

(parte)

Osmida ->

 

Scena tredicesima

Iarba e Araspe.

 

ARASPE

Dove corri, o signore?  

IARBA

Il rivale a svenar.

ARASPE

Come lo speri?

Ancora i tuoi guerrieri

il tuo voler non sanno.

IARBA

Dove forza non val giunga l'inganno.

ARASPE

E vuoi la tua vendetta

con la taccia comprar di traditore?

IARBA

Araspe, il mio favore

troppo ardito ti fe'; più franco all'opre

e men pronto ai consigli io ti vorrei.

Chi son io ti rammenta e chi tu sei.

 

Son quel fiume che gonfio d'umori,  

quando il gelo si scioglie in torrenti,

selve, armenti, capanne e pastori

porta seco e ritegno non ha.

Se si vede fra gli argini stretto

sdegna il letto, confonde le sponde

e superbo fremendo se n' va.

(parte)

Iarba ->

 

Scena quattordicesima

Araspe.

 

 

Lo so, quel cor feroce  

stragi minaccia alla mia fede ancora;

ma si serva al dovere e poi si mora.

 

Infelice e sventurato  

potrà farmi ingiusto fato,

ma infedele io non sarò.

La mia fede e l'onor mio

pur fra l'onde dell'oblio

agli Elisi io porterò.

(parte)

Araspe ->

 
 

Scena quindicesima

Tempio di Nettuno con simulacro del medesimo.
Enea, Osmida.

 Q 

Enea, Osmida

 

OSMIDA

Come? Da' labbri tuoi  

Dido saprà che abbandonar la vuoi!

Ah taci per pietà

e risparmia al suo cor questo tormento.

ENEA

Il dirlo è crudeltà

ma sarebbe il tacerlo un tradimento.

OSMIDA

Benché costante, io spero

che al pianto suo tu cangerai pensiero.

ENEA

Può togliermi di vita,

ma non può il mio dolore

far ch'io manchi alla patria e al genitore.

OSMIDA

Oh generosi detti!

Vincere i propri affetti

avanza ogn'altra gloria.

ENEA

Quanto costa però questa vittoria.

 

Scena sedicesima

Iarba, Araspe e detti.

<- Iarba, Araspe

 

IARBA
(piano ad Araspe)

Ecco il rival né seco  

è alcun de' suoi seguaci.

ARASPE
(piano a Iarba)

Ah pensa che tu sei...

IARBA
(come sopra)

Seguimi e taci.

Così gl'oltraggi miei...

(in atto di ferire Enea)

ARASPE
(a Iarba)

Fermati.

IARBA
(ad Araspe)

(Araspe lo trattiene)

Indegno,

al nemico in aiuto?

(gli cade il pugnale, ed Araspe lo raccoglie)

ENEA
(ad Araspe, in mano di cui voltandosi vede il pugnale)

Che tenti, anima rea?

OSMIDA

(Tutto è perduto.)

 

Scena diciassettesima

Didone con Guardie, e detti.

<- Didone, guardie I, guardie II

 

OSMIDA

Siam traditi o regina.  

Se più tarda d'Arbace era l'aita,

il valoroso Enea

sotto colpo inumano oggi cadea.

DIDONE

Il traditor qual è, dove dimora?

OSMIDA

(accenna Araspe)

Miralo: nella destra ha il ferro ancora.

DIDONE
(ad Araspe)

Chi ti destò nel seno

sì barbaro desio?

ARASPE

Del mio signor la gloria e il dover mio.

DIDONE

Come! L'istesso Arbace

disapprova...

ARASPE

Lo so ch'ei mi condanna,

il suo sdegno pavento,

ma il mio non fu delitto e non mi pento.

DIDONE

E né meno hai rossore

del sacrilego eccesso?

ARASPE

Tornerei mille volte a far l'istesso.

DIDONE

Ti preverrò. Ministri,

custodite costui.

 
Araspe parte con Guardie.

Araspe, guardie I ->

 

ENEA
(a Iarba)

Generoso nemico,  

in te tanta virtude io non credea.

Lascia che a questo sen...

IARBA

Scostati Enea.

Sappi che il viver tuo d'Araspe è dono,

che il tuo sangue vogl'io, che Iarba io sono.

DIDONE

Tu Iarba!

ENEA

Il re de' Mori!

DIDONE

Un re sensi sì rei

non chiude in seno, un mentitor tu sei.

Si disarmi.

IARBA

(snuda la spada)

Nessuno

avvicinarsi ardisca o ch'io lo sveno.

OSMIDA
(piano a Iarba)

Cedi per poco almeno,

fin ch'io genti raccolga, a me ti fida.

IARBA
(piano a Osmida)

E così vil sarò?

ENEA

Fermate amici,

a me tocca punirlo.

DIDONE

Il tuo valore

serba ad uopo miglior; che più s'aspetta?

O si renda o svenato a' piè mi cada.

OSMIDA
(piano a Iarba)

Serbati alla vendetta.

IARBA

Ecco la spada.

 

(a Didone)

Tu mi disarmi il fianco.

(ad Enea)

Tu mi vorresti oppresso.

Ma sono ancor l'istesso,

ma non son vinto ancor.

Soffro per or lo scorno.

(a Didone)

Ma forse questo è il giorno

che domerò quell'alma,

(ad Enea)

che punirò quel cor.

 

DIDONE
(a Osmida)

Frenar l'alma orgogliosa

tua cura sia.

OSMIDA

Su la mia fé riposa.

 
Parte appresso Iarba con Guardie.

Iarba, guardie II, Osmida ->

 

Scena diciottesima

Didone, Enea.

 

DIDONE

Enea, salvo già sei  

dalla crudel ferita,

per me serban gli dèi sì bella vita.

ENEA

Oh dio regina.

DIDONE

Ancora

forse della mia fede incerto stai?

ENEA

No; più funeste assai

son le sventure mie. Vuole il destino...

DIDONE

Chiari i tuoi sensi esponi.

ENEA

Vuol (mi sento morir) ch'io t'abbandoni.

DIDONE

M'abbandoni! Perché?

ENEA

Di Giove il cenno,

l'ombra del genitor, la patria, il cielo,

la promessa, il dover, l'onor, la fama

alle sponde d'Italia oggi mi chiama.

La mia lunga dimora

pur troppo degli dèi mosse lo sdegno.

DIDONE

E così fin ad ora,

perfido mi celasti il tuo disegno?

ENEA

Fu pietà...

DIDONE

Che pietà? Mendace il labbro

fedeltà mi giurava

e intanto il cor pensava

come lunge da me volgere il piede.

A chi misera me darò più fede?

Vil rifiuto dell'onde

io l'accolgo dal lido, io lo ristoro

dall'ingiurie del mar, le navi e l'armi

già disperse io gli rendo e gli do loco

nel mio cor, nel mio regno, e questo è poco.

Di cento re per lui

ricusando gli amori i gli sdegni irrìto.

Ecco poi la mercede.

A chi misera me darò più fede?

ENEA

Fin ch'io viva, o Didone,

dolce memoria al mio pensier sarai.

Né partirei giammai,

se per voler de' numi io non dovessi

consacrare il mio affanno

all'impero latino.

DIDONE

Veramente non hanno

altra cura gli dèi che il tuo destino.

ENEA

Io resterò, se vuoi

che si renda spergiuro un infelice.

DIDONE

No, sarei debitrice

dell'impero del mondo a' figli tuoi.

Va' pur, segui il tuo fato,

cerca d'Italia il regno; all'onde, ai venti

confida pur la speme tua. Ma senti:

farà quell'onde istesse

delle vendette mie ministre il cielo.

E tardi allor pentito

d'aver creduto all'elemento insano

richiamerai la tua Didone in vano.

ENEA

Se mi vedessi il core...

DIDONE

Lasciami traditore.

ENEA

Almen dal labbro mio

con volto meno irato

prendi l'ultimo addio.

DIDONE

Lasciami ingrato.

ENEA

E pur a tanto sdegno

non hai ragion di condannarmi.

DIDONE

Indegno.

 

Non ha ragione, ingrato,  

un core abbandonato

da chi giurogli fé?

Anime innamorate,

se lo provaste mai,

ditelo voi per me.

Perfido tu lo sai

se in premio un tradimento

io meritai da te.

E qual sarà tormento,

anime innamorate,

se questo mio non è!

(parte)

Didone ->

 

Scena diciannovesima

Enea.

 

 

E soffrirò che sia  

sì barbara mercede

premio della tua fede anima mia?

Tanto amor, tanti doni...

Ah pria ch'io t'abbandoni,

pèra l'Italia, il mondo,

resti in oblio profondo

la mia fama sepolta;

vada in cenere Troia un'altra volta.

Ah che dissi! A le mie

amorose follie,

gran genitor, perdona, io n'ho rossore,

non fu Enea che parlò; lo disse Amore.

Si parta. E l'empio moro

stringerà il mio tesoro?

No... Ma sarà frattanto

al proprio genitor spergiuro il figlio?

Padre, amor, gelosia, numi, consiglio!

 

Se resto sul lido,  

se sciolgo le vele

infido, crudele

mi sento chiamar.

E intanto, confuso

nel dubbio funesto,

non parto, non resto,

ma provo il martìre

che avrei nel partire,

che avrei nel restar.

(parte)

Enea ->

 

Fine (Atto primo)

Atto primo Atto secondo Atto terzo

Luogo magnifico destinato per le pubbliche udienze con trono da un lato; veduta in prospetto della città di Cartagine che sta in atto edificandosi.

Enea, Selene, Osmida
 

No principessa, amico

Enea, Selene, Osmida
<- Didone, seguito di Didone

Quasi felice io sono

Enea, d'Asia splendore

Selene, Osmida, Didone, seguito di Didone
Enea ->

Parte così, così mi lascia Enea?

Osmida, Didone, seguito di Didone
Selene ->

Venga Arbace qual vuole

Osmida, Didone, seguito di Didone
<- Iarba, Araspe, seguito di Iarba

(Iarba sotto nome di Arbace; il seguito di mori conducono tigri, leoni e portano doni)

Vedi, mio re / T'accheta

Osmida, Iarba, Araspe, seguito di Iarba
Didone, seguito di Didone ->

Araspe, alla vendetta

Iarba, Araspe, seguito di Iarba
Osmida ->

Quanto è stolto, se crede

Araspe
Iarba, seguito di Iarba ->

Empio! L'orror che porta

Araspe ->

Cortile.

Enea, Selene
 

Già te 'l dissi, o Selene

Enea, Selene
<- Iarba, Araspe

Tutta ho scorsa la reggia

Selene, Iarba, Araspe
Enea ->

Non partirà se pria

Iarba, Araspe
Selene ->

Non è più tempo Araspe

Iarba, Araspe
<- Osmida

Iarba, Araspe
Osmida ->

Dove corri, o signore?

Araspe
Iarba ->

Lo so, quel cor feroce

Araspe ->

Tempio di Nettuno con simulacro del medesimo.

Enea, Osmida
 

Come? Da' labbri tuoi

Enea, Osmida
<- Iarba, Araspe

Ecco il rival; né seco

(Iarba vuole ferire Enea, trattenuto da Araspe, gli cade il pugnale, ed Araspe lo raccoglie)

Enea, Osmida, Iarba, Araspe
<- Didone, guardie I, guardie II

Siam traditi o regina

Enea, Osmida, Iarba, Didone, guardie II
Araspe, guardie I ->

Generoso nemico

Enea, Didone
Iarba, guardie II, Osmida ->

Enea, salvo già sei

Enea
Didone ->

E soffrirò che sia

Enea ->
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Scena diciassettesima Scena diciottesima Scena diciannovesima
Luogo magnifico destinato per le pubbliche udienze con trono da un lato; veduta in prospetto della città... Cortile. Tempio di Nettuno con simulacro del medesimo. Appartamenti reali con tavolino e sedia. Atrio. Gabinetto con sedie. Porto di mare con navi. Arborata tra la città e il porto. Reggia con veduta di Cartagine. Ricca e luminosa reggia di Nettuno
Atto secondo Atto terzo

• • •

Testo PDF Ridotto