Atto secondo

 

Scena prima

Appartamenti reali con tavolino e sedia.
Iarba ed Osmida.

Bozzetti

 Q 

Iarba, Osmida

 

OSMIDA

Signore ove te n' vai?  

Nelle mie stanze ascoso

per tuo, per mio riposo io ti lasciai.

IARBA

Ma sino al tuo ritorno

tollerar quel soggiorno io non potei.

OSMIDA

In periglio tu sei, ché se Didone

libero errar ti vede

temerà di mia fede.

IARBA

A tal oggetto

disarmato io me n' vo, fin che non giunga

l'amico stuol che a vendicarmi affretto.

OSMIDA

Va' pur ma ti rammenta

ch'io sol per tua cagion...

IARBA

Fost'infido a Didone.

OSMIDA

E che per tua mercede...

IARBA

So qual premio si debba alla tua fede.

 

OSMIDA

Pensa che il trono aspetto,  

che n'ho tua fede in pegno

e che donando un regno

ti fai soggetto un re.

Un re che tuo seguace

ti sarà fido in pace.

E se guerrier lo vuoi

contro i nemici tuoi

combatterà per te.

(parte)

Osmida ->

 

Scena seconda

Iarba e poi Araspe.

 

IARBA

Giovino i tradimenti,  

poi si punisca il traditore.

 

<- Araspe

 

(vedendo Araspe)

Indegno

t'offerisci al mio sdegno e non paventi?

Temerario, per te

non cadde Enea dal ferro mio trafitto.

ARASPE

Ma delitto non è.

IARBA

Non è delitto!

Di tante offese ormai

vendicato m'avria quella ferita.

ARASPE

La tua gloria salvai nella sua vita.

IARBA

Ti punirò.

ARASPE

La pena

benché innocente io soffrirò con pace,

ché sempre è reo chi al suo signor dispiace.

IARBA

(Hanno un'ignota forza

i detti di costui

che m'incatena e parmi

ch'io non sappia sdegnarmi in faccia a lui).

Odi, giacché al tuo re

qual ossequio tu debba ancor non sai,

innanzi a me non favellar giammai.

ARASPE

Ubbidirò.

 

Scena terza

Selene e detti.

<- Selene

 

SELENE

Chi sciolse  

barbaro i lacci tuoi? Tu non rispondi?

Dell'offesa reina il giusto impero

qual folle ardire a disprezzar t'ha mosso?

Parla Araspe per lui.

ARASPE

Parlar non posso.

SELENE
(ad Araspe)

Parlar non puoi! (Pavento

di nuovo tradimento). E qual arcano

si nasconde a Selene?

Perché taci così?

ARASPE

Tacer conviene.

IARBA
(a Selene)

Senti. Voglio appagarti.

Vado apprendendo l'arti

che deve posseder chi s'innamora

nella scuola d'amor son rozzo ancora.

SELENE

L'arte di farsi amare

come apprender mai può chi serba in seno

sì arroganti costumi e sì scortesi?

IARBA

Solo a farmi temer finora appresi.

SELENE

E né pur questo sai; quell'empio core

odio m i desta in seno e non paura.

IARBA

La debolezza tua ti fa sicura.

 

Leon, che errando vada  

per la natia contrada,

se un agnellin rimira

non si commove all'ira

nel generoso cor.

Ma se venir si vede

orrida tigre in faccia,

l'assale e la minaccia,

perché sol quella crede

degna del suo furor.

(parte)

Sfondo schermo () ()

Iarba ->

 

Scena quarta

Selene ed Araspe.

Selene, Araspe

 

SELENE

Chi fu che all'inumano  

disciolse le catene?

ARASPE

A me bella Selene, il chiedi in vano.

Io prigioniero e reo,

libero ed innocente in un momento

sciolto mi vedo e sento

fra' lacci il mio signore, il passo muovo

a suo pro nella reggia, e ve 'l ritrovo.

SELENE

Ah contro Enea v'è qualche frode ordita.

Difendi la sua vita.

ARASPE

È mio nemico.

Pur se brami che Araspe

dall'insidie il difenda,

te 'l prometto. Sin qui

l'onor mio no 'l contrasta,

ma ti basti così.

SELENE

(in atto di partire)

Così mi basta.

ARASPE

Ah non toglier sì tosto

il piacer di mirarti agli occhi miei.

SELENE

Perché?

ARASPE

Tacer dovrei ch'io sono amante,

ma reo del mio delitto è il tuo sembiante.

SELENE

Araspe, il tuo valore,

il volto tuo, la tua virtù mi piace.

Ma già pena il mio cor per altra face.

ARASPE

Quanto son sventurato!

SELENE

È più Selene.

Se t'accende il mio volto,

narri almen le tue pene ed io le ascolto.

Io l'incendio nascoso

tacer non posso e palesar non oso.

ARASPE

Soffri almen la mia fede.

SELENE

Sì, ma da me non aspettar mercede.

Se può la tua virtù

amarmi a questa legge, io te 'l concedo;

ma non chieder di più.

ARASPE

Di più non chiedo.

 

SELENE

Ardi per me fedele,  

serba nel cor lo strale,

ma non mi dir crudele,

se non avrai mercé.

Hanno sventura eguale

la tua, la mia costanza.

Per te non v'è speranza,

non v'è pietà per me.

(parte)

Selene ->

 

Scena quinta

Araspe.

 

 

Tu dici ch'io non speri,  

ma no 'l dici abbastanza;

l'ultima che si perde è la speranza.

 

L'augelletto in lacci stretto  

perché mai cantar s'ascolta?

Perché spera un'altra volta

di tornare in libertà.

Nel conflitto sanguinoso

quel guerrier perché non geme?

Perché gode colla speme

quel riposo che non ha.

(parte)

Araspe ->

 

Scena sesta

Didone con foglio, Osmida e poi Selene.

<- Didone, Osmida

 

DIDONE

Già so che si nasconde  

de' Mori il re sotto il mentito Arbace.

Ma, sia qual più gli piace, egli m'offese

e senz'altra dimora,

o suddito o sovrano, io vuò che mora.

OSMIDA

Sempre in me de' tuoi cenni

il più fedele esecutor vedrai.

DIDONE

Premio avrà la tua fede.

OSMIDA

E qual premio, o regina? Adopro in vano

per te fede e valore:

occupa solo Enea tutto il tuo core.

DIDONE

Taci, non rammentar quel nome odiato.

È un perfido, è un ingrato,

è un'alma senza legge e senza fede.

Contro me stessa ho sdegno,

perché finor l'amai.

OSMIDA

Se lo torni a mirar ti placherai.

DIDONE

Ritornarlo a mirar! Per fin ch'io viva

mai più non mi vedrà quell'alma rea.

 

<- Selene

SELENE

Teco vorrebbe Enea  

parlar se glie 'l concedi.

DIDONE

Enea! Dov'è?

SELENE

Qui presso

che sospira il piacer di rimirarti.

DIDONE

Temerario! Che venga.

(Selene parte)

Selene ->

DIDONE

Osmida, parti.

OSMIDA

Io non te 'l dissi? Enea

tutta del cor la libertà t'invola.

DIDONE

Non tormentarmi più; lasciami sola.

(Osmida parte)

Osmida ->

 

Scena settima

Didone ed Enea.

<- Enea

 

DIDONE

Come! Ancor non partisti? Adorna ancora  

questi barbari lidi il grande Enea?

E pur io mi credea

che già varcato il mar d'Italia in seno

in trionfo traessi

popoli debellati e regi oppressi.

ENEA

Quest'amara favella

mal conviene al tuo cor bella reina.

Del tuo, dell'onor mio

sollecito ne vengo. Io so che vuoi

del moro il fiero orgoglio

con la morte punir.

DIDONE

E questo è il foglio.

ENEA

La gloria non consente

ch'io vendichi in tal guisa i torti miei.

Se per me lo condanni...

DIDONE

Condannarlo per te! Troppo t'inganni.

Passò quel tempo Enea

che Dido a te pensò; spenta è la face,

è sciolta la catena

e del tuo nome or mi rammento appena.

ENEA

Sappi che re de' Mori

è l'orator fallace.

DIDONE

Io non so quale ei sia, lo credo Arbace.

ENEA

Oh dio, con la sua morte

tutta contro di te l'Africa irriti.

DIDONE

Consigli or non desio,

tu provvedi al tuo regno, io penso al mio.

Senza di te finor leggi dettai,

sorger senza di te Cartago io vidi.

Felice me se mai

tu non giungevi, ingrato, a questi lidi.

ENEA

Se sprezzi il tuo periglio

donalo a me. Grazia per lui ti chieggio.

DIDONE

Sì, veramente io deggio

il mio regno e me stessa al tuo gran merto.

A sì fedele amante,

ad eroe sì pietoso, a' giusti prieghi

di tanto intercessor nulla si nieghi.

Inumano, tiranno, è forse questo

l'ultimo dì che rimirar mi déi,

venghi sugli occhi miei,

sol d'Arbace mi parli e me non curi.

T'avessi pur veduto

d'una lagrima sola umido il ciglio.

Uno sguardo, un sospiro,

un segno di pietade in te non trovo.

E poi grazie mi chiedi?

Per tanti oltraggi ho da premiarti ancora?

(sottoscrive il foglio)

Perché tu lo vuoi salvo, io vuò che mora.

ENEA

Idol mio, che pur sei

ad onta del destin l'idolo mio,

che posso dir, che giova

rinnovar co' sospiri il tuo dolore?

Ah se per me nel core

qualche tenero affetto avesti mai

placa il tuo sdegno e rasserena i rai.

Quell'Enea te 'l domanda

che tuo cor, che tuo bene un dì chiamasti,

quel che finora amasti

più della vita tua, più del tuo soglio,

quello...

DIDONE

Basta, vincesti, eccoti il foglio.

Vedi quanto t'adoro ancora ingrato.

Con un tuo sguardo solo

mi togli ogni difesa e mi disarmi.

Ed hai cor di tradirmi? E puoi lasciarmi?

 

Ah! non lasciarmi no,  

bell'idol mio.

Di chi mi fiderò,

se tu m'inganni?

Di vita mancherei

nel dirti addio.

Ché viver non potrei

fra tanti affanni.

(parte)

Didone ->

 

Scena ottava

Enea, poi Iarba.

 

ENEA

Io sento vacillar la mia costanza  

a tanto amore appresso

e mentre salvo altrui perdo me stesso.

 

<- Iarba

IARBA

Che fa l'invitto Enea? Gli veggo ancora

del passato timore i segni in volto.

ENEA

Iarba da' lacci è sciolto!

Chi ti diè libertà?

IARBA

Permette Osmida

che per entro la reggia io mi raggiri,

ma vuol ch'io vada errando,

per sicurezza tua, senza il mio brando.

ENEA

Così tradisce Osmida

il comando real?

IARBA

Dimmi, che temi?

Ch'io m'involi al castigo o a queste mura?

Troppo vi resterò per tua sventura.

ENEA

La tua sorte presente

è degna di pietà, non di timore.

IARBA

Risparmia al tuo gran core

questa inutil pietà. So che a mio danno

de la regina irriti i sdegni insani.

Solo in tal guisa sanno

gli oltraggi vendicar gli eroi troiani.

ENEA

Leggi. La regal donna in questo foglio

la tua morte segnò di propria mano.

S'Enea fosse africano

Iarba estinto saria. Prendi ed impara,

barbaro, discortese,

come vendica Enea le proprie offese.

(lacera il foglio della sentenza)

 

Vedi nel mio perdono  

perfido traditor

quel generoso cor

che tu non hai.

Vedilo e dimmi poi

se gli africani eroi

tanta virtù nel seno

ebbero mai.

(parte)

Enea ->

 

Scena nona

Iarba.

 

 

Così strane venture io non intendo!  

Pietà nel mio nemico,

infedeltà nel mio seguace io trovo.

Ah forse a danno mio

l'uno e l'altro congiura.

Ma di lor non ho cura.

Pietà finga il rivale,

sia l'amico fallace,

non sarà di timor Iarba capace.

 

Fosca nube il sol ricopra,  

o si scopra il ciel sereno,

non si cangia il cor nel seno,

non si turba il mio pensier.

Le vicende della sorte

imparai con alma forte

dalle fasce a non temer.

(parte)

Iarba ->

 
 

Scena decima

Atrio.
Enea, poi Araspe.

 Q 

Enea

 

ENEA

Fra il dovere e l'affetto  

ancor dubbioso in seno ondeggia il core.

Purtroppo il mio valore

all'impero servì d'un bel sembiante.

Ah una volta l'eroe vinca l'amante.

 

<- Araspe

ARASPE

Di te finora in traccia

scorsi la reggia.

ENEA

Amico

vieni fra queste braccia.

ARASPE

Allontanati Enea, son tuo nemico;

(snuda la spada)

snuda, snuda quel ferro,

guerra con te, non amicizia io voglio.

ENEA

Tu di Iarba all'orgoglio

prima m'involi, e poi

guerra mi chiedi ed amistà non vuoi?

ARASPE

T'inganni, allor difesi

la gloria del mio re, non la tua vita.

Con più nobil ferita

rendergli a me s'aspetta

quella che tolsi a lui giusta vendetta.

ENEA

Enea stringer l'acciaro

contro il suo difensore!

ARASPE

Olà che tardi?

ENEA

La mia vita è tuo dono.

Prendila pur se vuoi, contento io sono.

Ma ch'io debba a tuo danno armar la mano,

generoso guerrier, lo speri in vano.

ARASPE

Se non impugni il brando

a ragion ti dirò codardo e vile.

ENEA

Questa ad un cor virile

vergognosa minaccia Enea non soffre.

Ecco per soddisfarti io snudo il ferro.

Ma prima i sensi miei

odan gli uomini tutti, e tutti i dèi.

Io son d'Araspe amico,

io debbo la mia vita al suo valore.

Ad onta del mio core

discendo al gran cimento,

di codardia tacciato

e per non esser vil mi rendo ingrato.

(cominciano a battersi)
 

Scena undicesima

Selene e detti.

<- Selene

 

SELENE

Tanto ardir nella reggia? Olà, fermate!  

Così mi serbi fé, così difendi

Araspe traditor d'Enea la vita?

ENEA

No principessa. Araspe

non ha di tradimenti il cor capace.

SELENE

Chi di Iarba è seguace,

esser fido non può.

ARASPE

Bella Selene,

puoi tu sola avanzarti

a tacciarmi così.

SELENE

T'accheta e parti.

 

ARASPE

Tacerò, se tu lo brami,  

ma fai torto alla mia fede,

se mi chiami traditor.

Porterò lontano il piede,

ma placati sdegni tuoi

so che poi n'avrai rossor.

(parte)

Araspe ->

 

Scena dodicesima

Enea e Selene.

 

ENEA

Allor che Araspe a provocar mi venne  

del suo signor sostenne

le ragioni con me. La sua virtude

se condannar pretendi

troppo quel core ingiustamente offendi.

SELENE

Ah generoso Enea

non fidarti così. D'Osmida ancora

all'amistà tu credi e pur t'inganna.

ENEA

Lo so, ma come Osmida

non serba Araspe in seno anima infida.

SELENE

Sia qual ei vuole Araspe, or non è tempo

di favellar di lui. Brama Didone

teco parlar.

ENEA

Poc'anzi

dal suo real soggiorno io trassi il piede.

Se di nuovo mi chiede

ch'io resti in questa arena,

in van s'accrescerà la nostra pena.

SELENE

Come fra tanti affanni,

cor mio chi t'ama abbandonar potrai?

ENEA

Selene, a me «cor mio»!

SELENE

È Didone che parla e non son io.

ENEA

Se per la tua germana

così pietosa sei,

non curar più di me, ritorna a lei.

Dille che si consoli,

che ceda al fato e rassereni il ciglio.

SELENE

Ah no, cangia ben mio, cangia consiglio.

ENEA

Tu mi chiami tuo bene!

SELENE

È Didone che parla e non Selene.

Se non l'ascolti almeno

tu sei troppo inumano.

ENEA

L'ascolterò ma l'ascoltarla è vano.

 

Non cede all'austro irato  

né tema allor che freme

il turbine sdegnato

quel monte che sublime

le cime innalza al ciel.

Costante ad ogni oltraggio

sempre la fronte avvezza

disprezza il caldo raggio,

non cura il freddo gel.

(parte)

Enea ->

 

Scena tredicesima

Selene.

 

 

Chi udì, chi vide mai  

del mio più strano amor, sorte più ria.

Taccio la fiamma mia

e vicina al mio bene

so scoprirgli l'altrui, non le mie pene.

 

Veggio la sponda

sospiro il lido;

e pur dall'onda

fuggir non so.

Se il mio dolore

scoprir diffido,

pietoso amore,

che mai farò.

(parte)

Selene ->

 
 

Scena quattordicesima

Gabinetto con sedie.
Didone; poi Enea.

 Q 

Didone

 

DIDONE

Incerta del mio fato  

io più viver non voglio. È tempo ormai

che per l'ultima volta Enea si tenti.

Se dirgli i miei tormenti,

se la pietà non giova,

faccia la gelosia l'ultima prova.

 

<- Enea

ENEA

Ad ascoltar di nuovo

i rimproveri tuoi vengo, o regina.

So che vuoi dirmi ingrato,

perfido, mancator, spergiuro, indegno:

chiamami come vuoi, sfoga il tuo sdegno.

DIDONE

No, sdegnata io non sono. Infido, ingrato,

perfido, mancator più non ti chiamo.

Rammentarti non bramo i nostri ardori,

da te chiedo consigli e non amori.

Siedi.

(siedono)

ENEA

(Che mai dirà?)

DIDONE

Già vedi, Enea,

che fra nemici è il mio nascente impero.

Sprezzai finora, è vero,

le minacce e 'l furor; ma Iarba offeso

quando priva sarò del tuo sostegno

mi torrà per vendetta e vita e regno.

In così dubbia sorte

ogni rimedio è vano.

Deggio incontrar la morte

o al superbo african porger la mano.

L'un e l'altro mi spiace e son confusa.

Al fin femmina e sola

lungi dal patrio ciel, perdo il coraggio:

e non è meraviglia

s'io risolver non so; tu mi consiglia.

ENEA

Dunque fuor che la morte,

o il funesto imeneo,

trovar non si potria scampo migliore?

DIDONE

V'era pur troppo.

ENEA

E quale?

DIDONE

Se non sdegnava Enea d'esser mio sposo

l'Africa avrei veduta

dall'Arabico seno al mar d'Atlante

in Cartago adorar la sua regnante.

E di Troia e di Tiro

rinnovar si potea... Ma che ragiono?

L'impossibil mi fingo e folle io sono.

Dimmi, che far degg'io? Con alma forte

come vuoi, sceglierò Iarba o la morte.

ENEA

Iarba o la morte! E consigliarti io deggio?

Colei che tanto adoro

all'odiato rival vedere in braccio?

Colei...

DIDONE

Se tanta pena

trovi nelle mie nozze, io le ricuso.

Ma, per tormi agl'insulti

necessario è il morir. Stringi quel brando,

svena la tua fedele.

È pietà con Didone esser crudele.

ENEA

Ch'io ti sveni! Ah più tosto

cada sopra di me del ciel lo sdegno.

Prima scemin gli dèi,

per accrescer tuoi giorni, i giorni miei.

DIDONE

Dunque a Iarba mi dono. Olà.

(esce un paggio)

<- paggio

ENEA

Deh ferma.

Troppo, oh dio, per mia pena

sollecita tu sei.

DIDONE

Dunque mi svena.

ENEA

No; si ceda al destino. A Iarba stendi

la tua destra real; di pace priva

resti l'alma d'Enea, pur che tu viva.

DIDONE

Giacché d'altri mi brami,

appagarti saprò. Iarba si chiami.

(parte il paggio e un altro porta da sedere per Iarba)

paggio ->

<- altro paggio

altro paggio ->

 

Vedi quanto son io

ubbidiente a te.

ENEA

Regina addio.

(si levano da sedere)

DIDONE

Dove, dove? T'arresta.

Del felice imeneo

ti voglio spettatore.

(Resister non potrà.)

ENEA

(Costanza o core.)

 

Scena quindicesima

Iarba e detti.

<- Iarba

 

IARBA

Didone a che mi chiedi?  

Sei folle se mi credi

dall'ira tua, da tue minacce oppresso,

non si cangia il mio cor, sempre è l'istesso.

ENEA

(Che arroganza!)

DIDONE

Deh placa

il tuo sdegno o signor. Tu col tacermi

il tuo grado e 'l tuo nome

a gran rischio esponesti il tuo decoro.

Ed io... Ma qui t'assidi,

e con placido volto

ascolta i sensi miei.

IARBA

Parla, t'ascolto.

(siedono Iarba e Didone)

ENEA

(in atto di partire)

Permettimi che ormai...

DIDONE

(ad Enea)

Fermati e siedi.

Troppo lunghe non fian le tue dimore.

(Resister non potrà.)

ENEA

(Costanza, o core.)

(siede)

IARBA

Eh vada. Allor che teco

Iarba soggiorna ha da partir costui.

ENEA

(Ed io lo soffro.)

DIDONE

In lui

in vece d'un rival trovi un amico.

Ei sempre a tuo favore

meco parlò. Per suo consiglio io t'amo.

Se credi menzognero

il labbro mio,

(ad Enea)

dillo tu stesso.

ENEA

È vero.

IARBA

Dunque nel re de' Mori

altro merto non v'è che un suo consiglio?

DIDONE

No Iarba, in te mi piace

quel regio ardir che ti conosco in volto.

Amo quel cor sì forte,

sprezzator de' perigli e della morte.

E se il ciel mi destina

tua compagna e tua sposa...

ENEA

Addio regina.

(si alza)

Basta che fin ad ora

t'abbia ubbidito Enea.

DIDONE

Non basta ancora.

Siedi per un momento.

(Comincia a vacillar.)

ENEA

(torna a sedere)

(Questo è tormento!)

IARBA

Troppo tardi o Didone

conosci il tuo dover. Ma pure io voglio

donar gli oltraggi miei

tutti alla tua beltà.

ENEA

(Che pena o dèi!)

IARBA

In pegno di tua fede

dammi dunque la destra.

DIDONE

Io son contenta.

(lentamente, ed interrompendo le parole per osservarne l'effetto in Enea)

A più gradito laccio amor pietoso

stringer non mi potea.

ENEA

Più soffrir non si può.

(si leva agitato)

DIDONE

Qual ira Enea?

ENEA

Ma che vuoi? Non ti basta

quanto fin or soffrì la mia costanza?

DIDONE

Eh taci.

ENEA

Che tacer, tacqui abbastanza.

Vuoi darti al mio rivale,

brami che io te 'l consigli,

tutto faccio per te; che più vorresti?

Ch'io ti vedessi ancor fra le sue braccia?

Dimmi che mi vuoi morto e non ch'io taccia.

DIDONE

Odi; a torto ti sdegni.

(s'alza)

Sai che per ubbidirti...

ENEA

Intendo, intendo.

Io sono il traditor, son io l'ingrato,

tu sei quella fedele

che per me perderebbe e vita e soglio,

ma tanta fedeltà veder non voglio.

(parte)

Enea ->

 

Scena sedicesima

Didone e Iarba.

 

DIDONE

Senti.  

IARBA

Lascia che parta.

(s'alza)

DIDONE

I sdegni suoi

a me giova calmar.

IARBA

Di che paventi?

Dammi la destra e mia

di vendicarti poi la cura sia.

DIDONE

D'imenei non è tempo.

IARBA

Perché?

DIDONE

Più non cercar.

IARBA

Saperlo io bramo.

DIDONE

Già che vuoi, te 'l dirò. Perché non t'amo,

perché mai non piacesti agli occhi miei,

perché odioso mi sei, perché mi piace

più che Iarba fedele Enea fallace.

IARBA

Dunque perfida io sono

un oggetto di riso agli occhi tuoi!

Ma sai chi Iarba sia?

Sai con chi ti cimenti?

DIDONE

So che un barbaro sei né mi spaventi.

 

IARBA

Chiamami pur così.  

Forse pentita un dì

pietà mi chiederai,

ma non l'avrai da me.

Quel barbaro che sprezzi,

non placheranno i vezzi;

né soffrirà l'inganno

quel barbaro da te.

(parte)

Iarba ->

 

Scena diciassettesima

Didone.

 

 

E pure in mezzo all'ire  

trova pace il mio cor. Iarba non temo,

mi piace Enea sdegnato ed amo in lui

com'effetti d'amor gli sdegni sui.

Chi sa! Pietosi numi,

rammentatevi almeno

che foste amanti un dì come son io

ed abbia il vostro cor pietà del mio.

 

Va lusingando Amore    

il credulo mio core,

gli dice: «sei felice»,

ma non sarà così.

Per poco mi consolo,

ma più crudele io sento

poi ritornar quel duolo

che sol per un momento

dall'alma si partì.

S

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Fogli partitura

 

Variante principale dell'atto II

Secondo l'edizione di Parigi del 1780.

 
Finale della scena XII.

Enea, Selene

Enea e Selene.
 
[...]

ENEA

Tu mi chiami tuo bene!  

SELENE

È Didone che parla, e non Selene.

Vieni e l'ascolta. È l'unico conforto,

ch'ella implora da te.

ENEA

D'un core amante

quest'è il solito inganno:

va cercando conforto, e trova affanno.

 

Tormento il più crudele  

d'ogni crudel tormento

è il barbaro momento,

che in due divide un cor.

È affanno sì tiranno,

che un'alma no 'l sostiene.

Ah! no 'l provar, Selene,

se no 'l provasti ancor.

(parte)

 
Scena tredicesima.

Selene

Selene sola.
 

 

Stolta! per chi sospiro? Io senza speme  

perdo la pace mia. Ma chi mi sforza

in vano a sospirar? Scelgasi un core

più grato a' voti miei. Scelgasi un volto

degno d'amor. Scelgasi... Oh dio! la scelta

nostro arbitrio non è. Non è bellezza,

non è senno o valore,

che in noi risvegli amore: anzi talora

il men vago, il più stolto è che s'adora.

Bella ciascuna poi finge al pensiero

la fiamma sua, ma poche volte è vero.

 

Ogni amator suppone  

che della sua ferita

sia la beltà cagione,

ma la beltà non è.

È un bel desio, che nasce

allor che men s'aspetta;

si sente che diletta,

ma non si sa perché.

(parte)

 

Fine (Atto secondo)

Atto primo Atto secondo Atto terzo

Appartamenti reali con tavolino e sedia.

Iarba, Osmida
 

Signore ove te n' vai?

Iarba
Osmida ->

Giovino i tradimenti

Iarba
<- Araspe

Iarba, Araspe
<- Selene

Chi sciolse barbaro i lacci tuoi?

Araspe, Selene
Iarba ->
Selene, Araspe
 

Chi fu che all'inumano

Araspe
Selene ->

Tu dici ch'io non speri

Araspe ->
<- Didone, Osmida

Già so che si nasconde

Didone, Osmida
<- Selene

Teco vorrebbe Enea

Didone, Osmida
Selene ->

Didone
Osmida ->
Didone
<- Enea

Come! Ancor non partisti?

Enea
Didone ->

Io sento vacillar la mia costanza

Enea
<- Iarba

Iarba
Enea ->

Così strane venture io non intendo!

Iarba ->

Atrio.

Enea
 

Fra il dovere e l'affetto

Enea
<- Araspe

Enea, Araspe
<- Selene

Tanto ardir nella reggia? Olà, fermate!

Enea, Selene
Araspe ->

Allor che Araspe a provocar mi venne

Selene
Enea ->

Chi udì, chi vide mai

Selene ->

Gabinetto con sedie.

Didone
 

Incerta del mio fato

Didone
<- Enea

Didone, Enea
<- paggio

Didone, Enea
paggio ->
Didone, Enea
<- altro paggio
Didone, Enea
altro paggio ->

Didone, Enea
<- Iarba

Didone a che mi chiedi?

Didone, Iarba
Enea ->

Senti / Lascia che parta

Didone
Iarba ->

E pure in mezzo all'ire

Enea, Selene
 

Tu mi chiami tuo bene!

Selene
 

Stolta! per chi sospiro?

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Scena diciassettesima Variante principale dell'atto II
Luogo magnifico destinato per le pubbliche udienze con trono da un lato; veduta in prospetto della città... Cortile. Tempio di Nettuno con simulacro del medesimo. Appartamenti reali con tavolino e sedia. Atrio. Gabinetto con sedie. Porto di mare con navi. Arborata tra la città e il porto. Reggia con veduta di Cartagine. Ricca e luminosa reggia di Nettuno
Atto primo Atto terzo

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