Atto primo

 

Scena prima

Campidoglio.
Eliogabalo assiso con Flora a guisa di trionfante, sopra carro maestoso tirato da Femmine in Campidoglio.
Tiberio, Antiochiano, Cavalieri, Pretoriani, Paggi, Popolo fuori del Campidoglio.

 Q 

Tiberio, Antiochiano, cavalieri, pretoriani, paggi, popolo

<- femmine, Eliogabalo, Flora

 

ELIOGABALO

Ho vinto Amore, ho vinto,  

cinto di mirti i tuoi trionfi io spiego

cedan de' prischi eroi

l'onorate memorie in Campidoglio

ch'al dio bendato oggi qui innalzo il soglio.

 
(qui s'alza dal carro con Flora per scendere dal Campidoglio)

Invide, o belle  

de' miei trofei

saran le stelle,

anzi gli dèi

s'una Venere ha 'l ciel, qui traggo anch'io

cento veneri avvinte al carro mio.

 

ANTIOCHIANO

O del Lazio guerriero  

deturpati trofei, misero regno!

Di monarca romano, o lusso indegno!

ELIOGABALO

Flora, quegl'occhi neri

degli strali d'amor sono fucine,

anzi carboni accesi,

ch'ad ogni sguardo al cor con linee ardenti

segnano i lieti dì de' miei contenti.

FLORA

Ardono gl'occhi miei, perché idolatri

al tuo cesareo lume, a poco a poco

quai Prometei in amor tolsero il foco.

TIBERIO
(verso Flora)

Lusinghiera sirena!

Con accenti omicidi

gl'uomini incanti, e poi, crudel gl'uccidi:

perfida Flora! Appena

un sol guardo mi gira: empia, infedele!

Delle dolcezze mie,

contemplo il vaso, ed altri gusta il mele.

ELIOGABALO

(giunto appresso Tiberio)

Tiberio, perché mai

sì mesto ti rimiro,

ne' miei dì più giocondi, e più sereni?

TIBERIO

Cesare il mio destin vuole, ch'io peni.

ELIOGABALO

Scoprimi del ruo mal l'alta radice.

TIBERIO

Devo muto languir: parlar non lice.

(parte)

Tiberio ->

 

Scena seconda

Alessandro, Eliogabalo, Flora, Antiochiano, e li suddetti.

<- Alessandro

 

ALESSANDRO

In qual parte mi guidi incauto piede?  

Parti lungi da qui.

ELIOGABALO

Ferma Alessandro.

Dove, dove ne vai?

ALESSANDRO

Fuggo, o cesare i rai

di lasciva beltà, lungi mi porto

da una fronte serena,

ch'i semi di virtù strugge, e avvelena:

il genio d'Alessandro

con generosi spirti

ama gl'allori, ed aborrisce i mirti.

ELIOGABALO

A Venere nimico

del suo figlio lo sdegno

irriti a danni tuoi, né te n'avvedi;

giungeratti il suo stral, quando men credi.

 

Ogni bella, ch'è vezzosa,  

è d'amor facella ardente,

d'un crin d'oro il fil lucente,

forma ai cor rete amorosa.

Bianca fronte, ch'è serena,

splende più del vel di Friso,

d'un bel labbro il dolce riso,

è dei cor strale, e catena.

(parte con Flora)

femmine, Eliogabalo, Flora, cavalieri, pretoriani, paggi, popolo ->

 

ALESSANDRO

Dell'arco di Cupido  

non paventa il mio core;

nascono gl'Alessandri

all'imprese di Marte, e non d'Amore.

Tenta invan il dio di Gnido,

di svegliarmi in petto ardori;

mai la face di Cupido

potrà far, ch'io m'innamori.

Altri al sol di due pupille,

nutra gl'occhi aquila amante,

cieca talpa alle faville,

io sarò del nume infante.

(parte)

Alessandro ->

 

Scena terza

Antiochiano.

 

 

Glorie illustri di Roma,  

ove siete? In qual parte

i trionfi spiegate?

Palme precipitate,

perché più non fiorite

sulle rive del Tebro? Ah inaridite

dagl'ardori lascivi

del monarca latin languite immerse

entro lussi indecenti al suol disperse.

 

Amor, che non può?  

Dal cieco volante

ferito il tonante

le sfere lasciò.

E sol per vaghezza

d'umana bellezza

sua forma cangiò:

Amor, che non può?

Qual cor non domò?

D'un occhio al riflesso

ad Onfale appresso

Alcide filò,

le forze a Sansone,

Cupido troncò,

Amor, che non può?

 

Scena quarta

Ireno, Antiochiano.

<- Ireno

 

IRENO

Signor, signor.  

ANTIOCHIANO

Ireno?

Che ricerchi?

IRENO

Deh dimmi

dove cesare sia.

ANTIOCHIANO

Di qui poc'anzi

partì unito con Flora.

IRENO

Ove n'andò?

ANTIOCHIANO

Chiedilo ad altri: io questo dir non so.

IRENO

(Andrò di là, ma no:

meglio è di qua: nemmeno: io mi ritrovo

col pensiero confuso.)

ANTIOCHIANO

Ed a qual fine

a cesare t'invii? Qual alto affare

ti costringe a trovarlo?

IRENO

Io non posso narrarlo;

vedi tu questo foglio?

Devo a lui presentarlo: oh se sapessi

si rinchiude qui dentro il bell'imbroglio.

ANTIOCHIANO

T'intendo: in quella carta

forse a cesare porti

parolette d'amor, detti melati,

sensi scaltri, e lascivi, incendi novi.

IRENO

Basta, tant'è: convien, ch'io lo ritrovi.

ANTIOCHIANO

Odimi.

IRENO

Taci: affé, ch'io lo rimiro

ver la reggia inviarsi.

ANTIOCHIANO

Argo sagace?

IRENO

Parto volando: amico resta in pace.

Ireno ->

 

ANTIOCHIANO

Apra ad ogni tuo passo  

voragini la terra, e ti profondi

tra gl'orrori di Pluto

scellerato corrier, mezzano astuto.

 

Il ciel vi fulmini,  

v'assorba Dite

iniqui araldi al casto onor rubelli?

Questi appunto son quelli,

ch'Eliogabalo onora: al Lazio in seno

raccolti ha i vizi, e le virtù sbandite.

Sozzi oratori,

peste de' cori,

il ciel vi fulmini,

v'assorba Dite.

 
 

Scena quinta

Cortile regio.
Tiberio, Flora.

 Q 

Tiberio, Flora

 

TIBERIO

Questa, o Flora è la messe  

delle speranze mie, de' miei sospiri?

Se alle grandezze aspiri,

se ambisci le corone,

perché farmi prigione

del labirinto d'or del tuo bel crine,

e con dolci rapine

togliermi 'l cor per dover poi lasciarmi

nel centro al duolo, e libertà negarmi?

Dov'è l'ardor, che nel tuo sen già fu?

FLORA

Da' pace al cor: non posso amarti più.

TIBERIO

Barbara, dispietata!

Mostro di te più fiero

non ha la Libia, o l'africana terra;

m'auguri pace al cor, e mi fai guerra?

Ma s'estinto mi vuoi,

ecco il ferro, ecco il sen; svenami tu.

FLORA

Da' pace al cor: non posso amarti più.

 

Se rigido fato  

quel laccio spezzò,

ch'a te mi legò,

e vuol dispietato,

ch'io manchi di fé,

dogliti del destino, e non di me.

 

TIBERIO

Ha 'l mio lungo servir questa mercé?

 

FLORA

Dogliti del destino, e non di me.

Se perfido amore

ch'il sen mi ferì,

comanda così,

e vuol ch'il mio core

dia ad altri, ch'a te,

dogliti di Cupido, e non di me.

(parte)

 

TIBERIO

E questa o cruda è la giurata fé?

FLORA

Dogliti di Cupido, e non di me.

Flora ->

 

Scena sesta

Tiberio.

 

 

È questo il guiderdone,  

ch'ottiene un fido amante?

Son questi i vezzi tuoi Flora incostante?

T'aborrirò, ti fuggirò: che dico?

Amor lasso m'impone,

ch'adori i tuoi disprezzi,

ch'io peni amando, e i nodi miei non spezzi.

 

Servi, e soffri mio core;  

che solo col soffrir

le calme del gioir

dispensa Amore:

servi, e soffri mio core.

Ama, e spera penando,

che solo col sperar

la pena dell'amar

si va temprando:

ama, e spera penando.

Tiberio ->

 

Scena settima

Eliogabalo.

<- Eliogabalo

 

Più dal Gange uscir l'Aurora  

non vegg'io co' suoi splendori;

sulle guance alla mia Flora

sparge rose, e innesta albori

doppia face il cor m'accende,

doppio stral ferir mi vuole,

ma se l'alba in Flora splende,

Flavia porta in fronte il sole.

 

Scena ottava

Ireno, Eliogabalo.

<- Ireno

 

IRENO

Gran monarca di Roma  

a te mi prostro.

ELIOGABALO

Ireno,

paraninfo fedel de' miei conforti,

qual avviso m'apporti?

IRENO

Il cesareo comando

pronto obbedii; né appena

fuor di Roma volai,

che Nisbe ritrovai,

né 'l tuo pensier fu vano,

poich'agl'aurei tuoi doni

tosto la vecchia aprì gl'occhi, e la mano:

vidi Flavia il tuo bene,

o che luci serene!

O che guance di rose!

Che vaghezze amorose!

Ha le carni di neve,

le pupille gioconde,

due mammelle rotonde: in conclusione

per te Flavia, o signore, è un buon boccone.

ELIOGABALO

Nisbe alfin, che ti disse?

IRENO

Questa carta mi diede

acciò a te la recassi,

prendi signor: per te girai gran passi.

ELIOGABALO

Ti sento o cor, ti sento;

presagisci festoso il mio contento.

(spiega il foglio, e lo legge)

«Cesare, questa notte

vieni all'albergo di colei, ch'adori;

t'aprirà Nisbe il sospirato ingresso

tra i più profondi, e taciturni orrori.»

 

ELIOGABALO

(baciando il foglio)  

O note soavi!

IRENO

(O forza dell'oro!)

ELIOGABALO

Che ai crucci più gravi,

delle pene d'amor date ristoro.

Insieme

IRENO

Che senza altre chiavi

delle gioie d'amor aprì 'l tesoro.

 

ELIOGABALO

O note soavi!

IRENO

(O forza dell'oro!)

 

ELIOGABALO

Ireno ti dichiaro  

gran duce de' littori;

questa prossima notte

di cesare sarai

fido seguace, e mio commilitone:

questo dell'opre tue sia 'l guiderdone.

IRENO

Da tanto onor confuso

a tue piante cesare umil m'inchino:

(m'ha favorito un dì pur 'l destino).

(parte)

Ireno ->

 

ELIOGABALO

Purch'io sani 'l mio duol  

spiega o notte il fosco velo

affrettatevi nel cielo

ombre gradite a por in fuga il sol:

e sarete al mio cor ombre bramate,

quanto più dense in ciel, tanto più grate.

Eliogabalo ->

 

Scena nona

Alessandro, Ersillo.

<- Alessandro, Ersillo

 

ALESSANDRO

Che amori? Che follie,  

di sconosciuta dama

temerario mi spieghi?

Libero ho 'l core, e tenti far, ch'io 'l leghi?

ERSILLO

Signor se tu vedessi

colei, che t'idolatra

diresti, e con ragione

che vince al paragone

la grazia, e la beltà di Cleopatra.

ALESSANDRO

Taci audace: non sai

il genio di Alessandro?

Io Cupido detesto,

le sue leggi calpesto:

erri o folle, se pensi

ch'io segua Amore, un cieco

omicida de' sensi;

un foco, un aspe, un mago,

che di tradir si vanta

chiunque il segue, e la ragione incanta.

ERSILLO

(Che stravagante umore

vario dagl'altri in Alessandro regna?

Bella dama l'adora, ed ei si sdegna.)

 

ALESSANDRO

Pargoletto  

dio bendato

fuor dal petto

m'hai rubato

questo cor non mi farà,

viver voglio in libertà.

Tempra l'armi

quanto sai,

impiagarmi

non potrai,

né un bel crin mi legarà;

viver voglio in libertà.

(parte)

Alessandro ->

 

Scena decima

Ersillo.

 

 

O che vana sciocchezza?  

Fuggir, ciò ch'ognun segue,

sprezzar ciò, ch'altri apprezza?

O che vana sciocchezza?

Alessandro non sa

la magica virtù della bellezza.

 

Un crine ch'è biondo  

qual core non lega?

Catena è del mondo,

e ogn'alma a sé piega:

un crine ch'è biondo

qual core non lega?

Bell'occhio, che mira

qual sen non ferisce?

Un guardo, che gira

incanta e rapisce:

bell'occhio, che mira

qual sen non ferisce?

 
 

Scena undicesima

Di notte.
Stanze di Flavia nel suo palazzo situato fuori di Roma.
Flavia, che ricama. Nisbe, che sopravviene.

 Q 

Flavia

 

FLAVIA

Quanto è simile il mio core  

allo stame, che ferisco!

Punto anch'egli a tutte l'ore

e dal duolo, ond'io languisco:

quanto è simile il mio core

allo stame, che ferisco!

 

<- Nisbe

NISBE

Ancor stanca non sei  

di trattar l'ago? E quando

brami, o Flavia posar? Già 'l dio del lume

spenta ha la face, e in dolce oblio profondo

sta addormentato il mondo

e noi sole vegliam fuor delle piume.

FLAVIA

Cerca invano riposo

chi la fiamma d'amor nutre nel petto,

amo, adoro Alessandro,

col pensier l'accarezzo,

col desir al mio seno

lo stringo, e l'incateno:

se parlo, se sospiro (io non so come)

non so invocar, che d'Alessandro il nome.

NISBE

Gli scopristi 'l tuo ardore?

FLAVIA

Scaltro paggio fedele

di quest'alma penante,

li palesò l'amor, ma non l'amante:

e dormendo, e vegliando,

sull'ali del pensier volo al mio bene.

NISBE

Dormi, e tempra le pene.

 

FLAVIA

Dolce colpo d'un guardo amoroso,  

d'improvviso mi giunse al sen,

va Cupido di frodi ripien,

e 'l suo dardo, che l'anima giunge

più, che tarda in ferir, più fiero punge.

Alla forza del nume bambino,

cede l'armi il dio guerrier;

dallo strale del rigido arcier

vien colpito chi più si disgiunge,

più, che tarda in ferir, più fiero punge.

 

NISBE

(Sovra carro stellato  

fugge la notte, e cesare arrivato

qui all'albergo sarà forse a quest'ora;

o me infelice! E Flavia veglia ancora?)

Vuoi ch'io ti spogli?

FLAVIA

No.

NISBE

Veggo pur, che dal sonno

aggravate hai le luci.

FLAVIA

È ver: ma un core amante

non cura gl'origlieri;

io qui godo vegliar ne' miei pensieri.

NISBE

Già che posar non vuoi,

teco anch'io veglierò.

(prende la tiorba, e suona)

FLAVIA

Canta, o Nisbe, e 'l tuo canto

penetrandomi al core,

plachi 'l Cerbero fier del mio dolore.

 

NISBE
(canta in tiorba)

Amar senza poter  

l'amato ben goder,

né averlo appresso,

è una pena d'inferno, inferno stesso.

 

FLAVIA

Ah troppo è ver! Altro non è Cupido,  

ch'una furia d'Averno al cieco abisso

le catene, e gl'ardori

tolse il crudel per tormentare i cori.

 

NISBE
(segue il canto)

Ma s'un dì si stringe al sen

la bellezza, ch'invaghì

il martir gioia divien,

caro è 'l dardo, che ferì.

E 'l dolor si fa piacer.

Amar senza poter

l'amato ben goder,

né averlo appresso,

è una pena...

(qui s'avvede che Flavia s'è addormentata)

 

 

Affé chiuse ha le stanche pupille  

in profondo sopor: vado pian piano

a disserrar a cesare la porta;

l'oro al fin ai diletti è fida scorta,

e non mancano a' grandi

mezzi occulti, e sicuri

per aprir porte, e penetrar muri.

(parte aprendo nel prospetto una porta, e va a cercar Eliogabalo per introdurlo in quelle stanze)

Nisbe ->

 

FLAVIA
(sognando)

Che miro! Aita o ciel:  

parti, fuggi crudel.

 

Scena dodicesima

Nisbe, Eliogabalo, Flavia che dorme.

<- Nisbe, Eliogabalo

 

NISBE

Vieni cesare, vieni,  

cheto, e leggero

movi le piante;

nel mar d'amor fatto nocchiero accorto,

sei giunto appresso il sospirato porto.

Signor ecco addormita

la beltà, ch'idolatri: io parto, e solo

qui ti lascio a sfogar l'aspro tuo duolo.

Nisbe ->

 

Scena tredicesima

Eliogabalo, Flavia addormentata.

 

ELIOGABALO

Beatevi mie luci  

in sì divine forme

notte amica t'intendo,

non sorge dì, perché 'l mio sol qui dorme

ma pigro, e che più tardo

a impossessarmi di quel bel, ch'adoro!

Prezioso tesoro

rapirò le tue gioie.

FLAVIA
(sognando)

No!

ELIOGABALO

Sin l'ombre

invide del mio ben tentano opporsi

al mio gioir!

FLAVIA
(in sogno)

Sì: vengo.

(qui si risveglia)

 

ELIOGABALO

Ahimè! Si desta.  

FLAVIA

Che miro? Oh dèi! Non sogno:

cesare qui?

ELIOGABALO

Son io: Flavia, che temi?

Egro d'amor ricerco

a disperato mal rimedi estremi.

FLAVIA

Supplice alle tue piante

signor.

ELIOGABALO

Bella risorgi,

che non lice esser vista

deità supplicante.

FLAVIA

Se qui t'introducesti

per far con fieri assalti

guerra alla mia costanza

fia vana ogni speranza;

ho inespugnabil core

nell'onor pertinace:

non turbar la mia pace,

cesare.

ELIOGABALO

Idolo mio.

FLAVIA

Parti.

ELIOGABALO

Non posso.

FLAVIA

Oh dio!

Chi ti ritien?

ELIOGABALO

Del tuo bel crine i lacci,

onde mi fe' tuo prigionier Cupido.

FLAVIA

Per darti libertade or li recido.

(vuol correre verso il tavolino per prendere una forbice, ma Eliogabalo la trattiene per la mano)

ELIOGABALO

Ferma.

FLAVIA

Lasciami.

ELIOGABALO

Invano

tenti lo scampo.

FLAVIA

E che pretendi?

ELIOGABALO

Bramo

dolce ristoro a miei penosi ardori.

FLAVIA

Violenza tiranna

in petto femminil non desta amori.

ELIOGABALO

Ti movano i miei preghi.

FLAVIA

Son inflessibil rupe.

ELIOGABALO

I fervidi sospiri

ti riscaldino almeno.

FLAVIA

Porto di ghiaccio il seno.

ELIOGABALO

Ah rigida! Che credi?

Perché fatto mi vedi

supplice lusinghiero,

che scordato mi sia d'esser severo?

Già, che mi sdegni amante,

tuo nemico m'avrai:

dell'impero latino

il monarca temuto

così sprezzi, e non curi? Io ciò, che voglio

posso ottener: sanar il tuo cordoglio

tuo malgrado saprò.

FLAVIA

Trarmi dal petto

l'alma potrai, ma non l'onor dal seno.

ELIOGABALO

Che farai?

FLAVIA

Griderò sino alle stelle,

e se fia, ch'io non possa

risvegliar a pietà gl'astri protervi,

desterò almeno il genitore, e i servi.

ELIOGABALO

Le tue voci reprimi.

FLAVIA

Anzi più ardita

ad esclamar m'accingo.

ELIOGABALO

Taci.

FLAVIA

Fermati: oh ciel! Domizio aita;

soccorso.

ELIOGABALO

E chi t'offende?

FLAVIA

Un barbaro inumano.

(qui dà una scossa, e fugge dalle mani di Eliogabalo in altre stanze)

Flavia ->

 

ELIOGABALO

Perfida, fuggi invano;  

giungeratti il mio sdegno.

 

Scena quattordicesima

Domizio con spada alla mano accompagnato da un Servo con face accesa. Eliogabalo.

<- Domizio, servo

 

DOMIZIO

Qual clamore di voci  

ne' miei tetti a quest'ora?

(vede Eliogabalo)

Cesare.

ELIOGABALO

Taci indegno:

tanto ardisci, il tuo tetto

è dei ribelli miei fatto ricetto?

DOMIZIO

Che ascolto? Io, che col brando

t'aprii la strada al trono,

io, che tra schiere armate

entro i campi di Marte in tua difesa

mille piaghe sostenni, e quando mai

contro di te di fellonia peccai.

Dove, dove s'è inteso,

ch'il mio ospizio sia reso

albergo a tuoi nemici?

(getta la spada ai piedi d'Eliogabalo)

Eccoti il ferro,

eccoti ignudo il sen; se in me discopri

macchi d'infedeltà, svenami il core,

sacrifica Domizio al tuo furore.

ELIOGABALO

Politico riguardo

le mie piante spronò sulle tue soglie:

so, che Flavia raccoglie

nel sen di molli piume

folle amator, ch'a danni miei congiura:

olà.

 

Scena quindicesima

Ireno seguìto da Littori, Eliogabalo, Domizio.

<- Ireno, littori

 

IRENO

Signor.  

ELIOGABALO

Tua cura

fia di condur in corte

Flavia col genitor ambo prigioni;

scopriranno i felloni

il rubello al mio trono

tra rei tormenti: (ah il tormentato io sono!)

(nel partire)

IRENO

Obbedirò: che intesi?

Eliogabalo ->

 

Scena sedicesima

Ireno, Domizio.

 

IRENO

Signor, qual fato avverso  

da te stesso diverso

renderti puote? Qual desio rubello

mandò l'abisso ad infettarti il core?

DOMIZIO

Taci Ireno: non farmi 'l duol peggiore.

IRENO

In te più non riluce

dell'antica tua fé l'altra virtù?

DOMIZIO

Deh taci: oh dio! Non tormentarmi più.

IRENO

Negli anni tuoi canuti,

verso cesare, dimmi, e che t'indusse

a cangiar sensi, e ribellar gl'affetti.

DOMIZIO

Tra l'ombre dei sospetti

splender presto vedrà cesare irato

il lucido candor della mia fede;

volontario esibisco

la destra ai lacci, e a duri ceppi il piede.

IRENO

Al partire t'accingi,

già so ben io, che per svelar le trame,

deve cesare ormai

per Flavia preparar un lungo esame.

 

DOMIZIO

Vindice Astrea  

contro la rea

vibri la spada:

vittima cada

al regio sdegno,

s'affetto indegno

nel cor destò.

Se l'empia errò

Nemesi irata

di ferro armata

a precipizi rei gl'apra la strada.

Vindice Astrea

contro la rea

vibri la spada.

(parte nelle sue stanze)

Domizio, servo ->

 

IRENO

Littori sia da voi  

occupato ogni posto,

che non fuggano i rei,

questi in Roma dovranno

esser del mio valor pompe, e trofei.

 

Scena diciassettesima

Nisbe, Ireno.

<- Nisbe

 

NISBE

Ireno.  

IRENO

Amica Nisbe.

NISBE

È qui cesare?

IRENO

No:

venne per coglier frutti,

ma misero è partito a labbri asciutti.

NISBE

Flavia ancora è citella:

l'uso d'ogni donzella

sai tu qual è? Ritrosa in prima niega,

finge di non voler, ma poi si piega.

IRENO

Odi gran novità:

in Roma prigionieri

devo condur Flavia, e Domizio.

NISBE

Intendo,

stratagemma d'amor questo sarà:

Eliogabalo vuole

a forza di ritorte

il cibo, che desia tirarsi in corte.

IRENO

L'indovinasti affé: ma più non posso

teco qui trattenermi: addio, me n' volo

a trovar Flavia; i' voglio a cesare obbedire

pria, che spunti nel ciel la nova luce;

littori olà: seguite il vostro duce.

Ireno, littori ->

 

Scena diciottesima

Nisbe.

 

 

Andrò anch'io nella reggia,  

ma se a Flavia fia noto

ch'a cesare invaghito

io l'addito abbi aperto, e che dirà?

Eh mi compatirà:

non ho cor per soffrire

a veder in amor alcun languire.

 

Seppi l'alme anch'io legar  

col mio crin, che d'oro fu,

né mi piacque far penar

mai per me la gioventù.

Il nutrire in petto amor,

mi par cosa natural;

quanto a me quest'è 'l mio umor,

voler ben non mi par mal.

Nisbe ->

 

Scena diciannovesima

Domizio, Flavia, Ireno, ch'arriva nel fine.

<- Domizio, Flavia

 

DOMIZIO

Ah sacrilega! Indegna!  

Così dell'onestà squarciando il velo

la patria offendi, il genitore, e 'l cielo?

FLAVIA

Padre dimmi, in che errai?

DOMIZIO

Già m'è 'l tutto palese.

FLAVIA

Ed io nulla ti nego.

DOMIZIO

Dunque sei rea convinta.

FLAVIA

Assalita, e non vinta

dal lascivo restai.

DOMIZIO

Come, se l'accogliesti?

FLAVIA

Anzi mostro sì rio da me scacciai.

DOMIZIO

Scoprimi chi t'offese.

FLAVIA

Lo vedesti: ma che!

Vendicarti pretendi?

DOMIZIO

Sarò furia crudel.

FLAVIA

Contro il tuo re?

DOMIZIO

Come! Cesare è il reo?

FLAVIA

Cesare appunto

fu quel, che l'onor mio

superar qui tentò.

DOMIZIO

Cieli, che sento!

FLAVIA

Non ti turbar: costante

pugnai vincendo i fieri suoi contrasti,

figlia son di Domizio, e tanto basti.

DOMIZIO

Anima generosa! Il cor respira:

figlia quella costanza,

ch'alimenti nel core, in te riserba;

d'empia fortuna acerba

i colpi non temer, benché spietati,

t'assisteran benigni i dèi Penati.

(si ritira)

Domizio ->

 

FLAVIA

Cieca dèa la tua possanza  

non m'affligge, e non m'atterra,

con usbergo di costanza

armo il sen per farti guerra.

Non mi turba, o mi confonde

il furor delle tue mosse;

come scoglio in mezzo all'onde

salda son a tue percosse.

 
(esce con Domizio prigioniero)

<- Ireno, Domizio

IRENO

Ferma Flavia: ove parti? In corte andiamo.  

 
(qui parte Ireno, Domizio e Flavia prigionieri verso la corte di Roma)

Ireno, Domizio, Flavia ->

 
 

Scena ventesima

Piazza di Roma illuminata in tempo di notte.
Ersillo, Antiochiano.

 Q 

Ersillo, Antiochiano

 

ERSILLO

Che strana frenesia  

entrò a cesare in capo?

È notte oscura, e vuol che giorno sia:

che strana frenesia?

ANTIOCHIANO

Del pubblicato editto

mira già in Roma l'obbedienza, mira;

cesare a sé delira:

vuol ch'ardenti facelle

in faccia delle stelle

portin tra l'ombre a mezzanotte il dì,

dove mai più simil pazzia s'udì.

ERSILLO

Io non la so capire,

quand'altri si dispoglia,

noi si dovrem vestire?

E quando il sol riluce

dovrem fuggir la luce,

e in tempo di vegliar tutti dormire?

Io non la so capire.

ANTIOCHIANO

L'ordine di natura

vuol confondere chi è nato

a regger regni, e regolar imperi.

ERSILLO

E il popolo, e 'l senato

soffre queste follie, né si risente?

ANTIOCHIANO

Vien temuto da ognuno il più potente.

ERSILLO

Vada Roma sossopra,

porti cesare al Lazio un danno immenso

pur ch'illesi noi siam, nulla vi penso.

ANTIOCHIANO

Di queste meraviglie

spettatrice anco Flora in piazza arriva.

ERSILLO

O quanti ganimedi

la corteggiano a gara! Osserva: vedi?

ANTIOCHIANO

Vuò l'incontro fuggir della lasciva.

Antiochiano ->

 

Scena ventunesima

Flora, Tiberio, Ersillo, coro di Cavalieri, che corteggiano Flora.

<- Flora, Tiberio, cavalieri, servi, dame

 

FLORA

Semini nell'arena,  

e preghi 'l sordo mar,

placa omai la tua pena,

io non ti posso amar.

 

TIBERIO

Che core di gel!  

Che gran crudeltà!

A un'alma fedel

tu neghi pietà?

Che core di gel!

Che gran crudeltà!

 

FLORA

Di già sazia son io di tue follie.  

TIBERIO

Così ingrata, così

le pene del mio amor chiami pazzie?

FLORA

Ersillo.

ERSILLO

Mia signora.

FLORA

Cesare ov'è?

ERSILLO

Non so: forse per Roma

vagar deve ammirando

la bizzarria del novo suo comando.

TIBERIO

Credi Flora, che invano

abbia 'l Giove romano

voluto unir, e giorno, e notte insieme?

Nel sen di nova Alcmena

scritto da scaltre guide

chissà, ch'ora non sudi

in generar qualche latino Alcide.

FLORA

Co' tuoi detti sagaci

tenti infonder invan nell'alma mia

l'amatissimo fel di gelosia.

TIBERIO

Già, che tanto mi sdegni

fuggo dagl'occhi tuoi, meno severa

amor ti renda.

FLORA

Sì, parti, e spera.

Tiberio ->

 

Arciero volante  

dà l'ali al mio piede,

e dove risiede

l'ardor del mio core

conducimi amore.

Gelosi pensieri

partite dal seno,

non vuò, che veleno

d'amari sospetti

quest'anima infetti.

(nel partire è inchinata dai cavalieri)

Flora ->

 

ERSILLO

Quanti inchini  

di zerbini!

Quanti pazzi dameggianti!

L'alta Roma

ch'altri doma,

or soggetta è a folli amanti.

Quanti inchini

di zerbini!

Sfondo schermo () ()

Ersillo ->

 
Per causa di una Dama segue una rissa tra quei Cavalieri, qual tramezzata dai loro Servi, porge materia al primo ballo.
 

Fine (Atto primo)

Atto primo Atto secondo Atto terzo

Campidoglio.

Tiberio, Antiochiano, cavalieri, pretoriani, paggi, popolo
 
Tiberio, Antiochiano, cavalieri, pretoriani, paggi, popolo
<- femmine, Eliogabalo, Flora

(Eliogabalo assiso con Flora, sopra carro maestoso tirato da femmine)

Ho vinto Amore, ho vinto

Eliogabalo
Invide, o belle

O del Lazio guerriero

Antiochiano, cavalieri, pretoriani, paggi, popolo, femmine, Eliogabalo, Flora
Tiberio ->
Antiochiano, cavalieri, pretoriani, paggi, popolo, femmine, Eliogabalo, Flora
<- Alessandro

In qual parte mi guidi incauto piede?

Antiochiano, Alessandro
femmine, Eliogabalo, Flora, cavalieri, pretoriani, paggi, popolo ->
Antiochiano
Alessandro ->

Glorie illustri di Roma

Antiochiano
<- Ireno

Signor, signor / Ireno?

Antiochiano
Ireno ->

Apra ad ogni tuo passo

Cortile regio.

Tiberio, Flora
 

Questa, o Flora è la messe

Flora, Tiberio
Se rigido fato
Tiberio
Flora ->

È questo il guiderdone

Tiberio ->
<- Eliogabalo
Eliogabalo
<- Ireno

Gran monarca di Roma

Eliogabalo e Ireno
O note soavi!

Ireno ti dichiaro

Eliogabalo
Ireno ->
Eliogabalo ->
<- Alessandro, Ersillo

Che amori? Che follie

Ersillo
Alessandro ->

O che vana sciocchezza?

Di notte; stanze di Flavia nel suo palazzo situato fuori Roma.

Flavia
 
Flavia
<- Nisbe

Ancor stanca non sei

Sovra carro stellato

Ah troppo è ver! Altro non è Cupido

 

(Flavia s'è addormentata)

Affé chiuse ha le stanche pupille

Flavia
Nisbe ->

Che miro! Aita o ciel

Flavia
<- Nisbe, Eliogabalo

Vieni cesare, vieni

Flavia, Eliogabalo
Nisbe ->

Beatevi mie luci

(Flavia si risveglia)

Ahimè! Si desta

Eliogabalo
Flavia ->

Perfida, fuggi invano

Eliogabalo
<- Domizio, servo

Qual clamore di voci

Eliogabalo, Domizio, servo
<- Ireno, littori

Signor / Tua cura

Domizio, servo, Ireno, littori
Eliogabalo ->

Signor, qual fato avverso

Ireno, littori
Domizio, servo ->

Littori sia da voi

Ireno, littori
<- Nisbe

Ireno / Amica Nisbe

Nisbe
Ireno, littori ->

Andrò anch'io nella reggia

Nisbe ->
<- Domizio, Flavia

Ah sacrilega! Indegna!

Flavia
Domizio ->
Flavia
<- Ireno, Domizio

Ferma Flavia: ove parti? In corte andiamo

Ireno, Domizio, Flavia ->

Piazza di Roma illuminata in tempo di notte.

Ersillo, Antiochiano
 

Che strana frenesia

Ersillo
Antiochiano ->
Ersillo
<- Flora, Tiberio, cavalieri, servi, dame

Semini nell'arena

Di già sazia son io di tue follie

Ersillo, Flora, cavalieri, servi, dame
Tiberio ->
Ersillo, cavalieri, servi, dame
Flora ->
cavalieri, servi, dame
Ersillo ->

(per causa di una dama segue rissa tra cavalieri, tramezzata dai loro servi, che porge materia al primo ballo)

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Scena sedicesima Scena diciassettesima Scena diciottesima Scena diciannovesima Scena ventesima Scena ventunesima
Campidoglio. Cortile regio. Di notte; stanze di Flavia nel suo palazzo situato fuori Roma. Piazza di Roma illuminata in tempo di notte. Logge reali con trono. Prigione orrida. Appartamenti d'Alessandro, che corrispondono in un delizioso giardino. Apparato di mensa imperiale tra le delizie del giardino regio. Cortile regio, ch'introduce al serraglio delle fiere. Quartieri de' soldati pretoriani. Sala regia.
Atto secondo Atto terzo

• • •

Testo PDF Ridotto