Atto terzo

 

Scena prima

Corilla sola.

 Q 

Corilla

 

I' era pargoletta,  

quand'altri mi narrò,

ch'Amor è viperetta,

che morde quanto può:

quel dir, sì m'ingannò,

ch'Amor gran tempo odiai,

temendo affanni, e guai.

Ma, poi, ch'un giorni vidi

Lirindo, ed egli me;

ben chiaro allor m'avvidi,

che serpe Amor non è;

ma ben è per mia fé,

un caro, un dolce affetto,

un bel desio del petto.

Allora, il mio tesoro

stimai la sua beltà;

or, ardo, e non mi moro,

che morte Amor non dà,

dic'altri quanto sa,

d'Amor mille tormenti,

io provo ogn'or contenti.

Lodar vo' sempre il guardo,

che l'alma m'invaghì,

lodar la fiamma, e 'l dardo,

che m'arse, e mi ferì;

o caro, o dolce dì,

ch'io vidi il bel sembiante,

ch'io ne divenni amante.

Non è, non è più mio

il cor, che mio già fu;

l'ho dato al mio desio,

e core io non ho più:

amor, deh narra tu,

tu narra il mio gioire,

lo provo, e no 'l so dire.

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Folle, io canto, e non penso,  

ch'oltraggiato da me l'incolto Pane

potrebbe in questo loco

venir a far vendetta

del suo sprezzato foco;

che da rozzo amatore

ben ogni ingiuria a gran ragion s'aspetta:

ma, ecco, io di qua veggio

il mio soave ardore,

veggio il mio bel Lirindo,

mio desio, mio diletto, anima, e core.

 

Scena seconda

Lirindo, e Corilla.

<- Lirindo

 

LIRINDO

O mia vaga Corilla,  

Corilla, del mio cor dolce conforto,

che gioconde novelle oggi ti porto:

quella tua bella Clori,

quella Cloride, quella

d'amor tanto rubella;

oggi, al soave foco

di bello amante dio,

è fatta tutt'ardor, tutto desio.

CORILLA

Dimmi, gentil Lirindo,

di', come in un istante,

di sì fiera, e selvaggia,

la bellissima Clori è fatta amante.

LIRINDO

Là, de' mirti sul prato

stavasi Citerea;

quando, venuto a lei,

così le disse il messaggero alato;

eccoti l'arco aurato

del tuo malvagio figlio;

eccoti, o dèa, gli strali, ecco la face;

or, ardi, e feri i cor, come a te piace.

Credimi, o mia Corilla,

ch'in ricever quel dono,

tutti della sua stella

Vener, per alma gioia, accese i rai,

né fu più bella mai, la dèa più bella.

CORILLA

Tra le gioie maggiori,

il nostro cor diletta,

una cara vendetta.

LIRINDO

Quindi, con tutte l'armi,

ch'usa portar il volatore arciero,

inviossi là, dove

il bel fiume toscan scioglie tesori

di purissimo argento;

e quivi ritrovò Zeffiro, e Clori,

ella a sdegnarlo, egli a pregarla intento.

CORILLA

Fu gentil cortesia

di Zeffiro amoroso, a non rapire,

ma pregare, e languire;

così Borea non fe' con Orizia.

LIRINDO

Giunta là, d'improvviso

la bellissima dèa,

con un gentil sorriso,

nella ninfa crudel le luci affisse,

indi, così le disse:

«Semplicetta, ove vai?

Mira prima chi t'ama, e chi ti segue,

fuggi poi, se tu sai:

mira, se questo crine

merta da te rigore;

mira, se queste labbra

mertano crudeltade, oppure amore»;

così le disse; e saettolle il core.

Fiso nel vago amante

Clori tenta lo sguardo;

e qual novella Aurora

vestia vari color nel bel sembiante:

taceva, e ad ora, ad ora

frenava un sospiretto,

che con ali d'amor l'uscia dal petto.

«O mio dolce diletto»,

disse Zeffiro allora, «i' ardo, io moro;

gradisci la mia morte, o la mia face»:

tinse d'ostro vivace,

Cloride, le gentil guance amorose,

e con languido suono,

dopo un tronco sospir, così rispose:

«ardi Zeffiro pure, ardi ben mio;

ardi, ch'i ardo anch'io».

Ardete fortunati,

Venere, allor, soggiunse,

in reciproca fiamma ambi beati;

ardete; ed a malgrado

del mio superbo figlio,

godete i vostri avventurosi amori,

e date vita a desiati fiori.

CORILLA

O dolcissimo avviso,

o gioconda novella,

gioisco al tuo gioir, Clori mia bella.

LIRINDO

Ma, che vo io narrando

le lor gioie, il lor foco?

Vedi la bella coppia,

ch'avvinta palma a palma, e core a core,

viensene in questo loco;

or, ambi accogli, e 'l lor gioir raddoppia.

Lirindo ->

 

Scena terza

Corilla, Clori, e Zeffiro.

<- Clori, Zeffiro

 

CORILLA

Avventurosi amanti,  

della terra vaghezza,

pregio della bellezza;

deh, mentre il cielo applaude

a vostre fiamme belle;

mentre, con lieti auguri,

vostro laccio gentil cantan le stelle;

piacciavi di gradire,

tra gl'applausi del cielo, e degli dèi,

piacciavi di gradir gl'applausi miei.

Gradisco, o bella ninfa,

il tuo cortese affetto:

lo gradisce non meno

il bel Zeffiro mio;

ed egli sempre, ed io

sì care note serberemo in petto.

Ma, deh, tu, ch'al mio seno

spargi sì vivo ardore;

tu, per cui vengo meno

di desire, e d'amore;

tu, Zeffiro mio core,

dimmi s'avverrà mai,

quando io sia tutta foco,

a' tuoi soavi rai;

dimmi s'avverrà mai,

che tu cangi volere, o cangi loco,

o per farmi morire,

farai delle mie gioie altra gioire?

ZEFFIRO

Ch'io t'abbandoni mai?

Che tu sempre non sia,

il mio cor, la mia vita, e l'alma mia?

Prima, Clori, vedrai

l'eterno corso abbandonare il sole;

prima vedrai nel cielo orrore, e pianto,

gioia, e riso in Averno,

che tu non veggia il mio desire eterno.

Ah, che vano timore

di ciò l'alma ti fiede

né tua beltà conosci, o la mia fede.

CLORI

Se di ciò m'assicuri,

se sempre, o mio bel sol, mi sarai fido;

votisi tutta in me l'aurea faretra

dell'arciero di Gnido;

e quanto have Nereo minute stille,

tanti scendanmi al cor strali, e faville.

Zeffiro, Corilla ->

 

Scena quarta

Amore, e Clori.

<- Amore

 

AMORE

Clori, che voci ascolto  

d'amoroso desio?

Se non fu l'arco mio,

che ti trafisse il core,

chi ti ferì d'amore?

CLORI

Fanciullo, io per la mano

della diva più bella, e più vezzosa;

per man di Citerea,

questa porto nel sen piaga amorosa.

AMORE

Tanto puote, tant'osa

mia genitrice rea?

Tanto puote, tant'osa,

importuna, superba, e dispettosa.

Clori ->

 

Scena quinta

Venere, Amore, e uno del coro degl'Amori.

<- Venere, uno del coro degl'amori

 

VENERE

Che di', folle, che sei?  

Pensi tu d'esser solo

in saper fulminar uomini, e dèi?

Che di', folle, che sei?

AMORE

Ah cruda, ah traditrice;

ah ingrata genitrice:

or, intendo a qual fine

Cillenio, il rio ladrone,

le belle, hammi immolate, armi divine;

hai voluto alla fine,

sol per farmi dispetto,

per Zeffiro ferir di Clori il petto.

VENERE

Quest'appunto ho voluto:

or, per l'innanzi impara

a non esser contrario al voler mio,

fanciul superbo, e rio.

AMORE

Madre; io per quella giuro

di Stige inviolabile riviera;

giuro, di tanto offesa,

vendetta far sì fiera,

che con acerbo lutto

ne senta oggi il castigo, il mondo tutto.

VENERE

Che puoi tu fare? Io rido

del tuo superbo ardire,

spennacchiato Cupido:

godon, lor puri ardori

amati, quanto amanti,

questa coppia gentil, Zeffiro, e Clori;

e acciò più non ti vanti

di dare altrui cordoglio,

vedi quel, ch'io far voglio:

prendi lieve amoretto,

prendi del rio Cupido

l'arco famoso, e la saetta d'oro;

portagli da mia parte al sommo Giove;

e digli, ch'ei del cielo

sempiterno rettore,

regga non men la monarchia d'Amore.

UNO DEL CORO

Dispiego tosto il volo:

obbedirti a me piace,

e non darti cagion d'ira, e di duolo.

uno del coro degl'amori ->

 

VENERE

Questa sì bella face,  

ch'avvampa gl'elementi,

serbare io per me voglio,

e dispensar altrui gioie, e contenti.

Ma questo, di vil piombo, iniquo strale,

onde tu spiri al petto

crudel odio fatale;

questo, rio pargoletto,

perché tu più non faccia

altri amare, altri odiare,

ecco, io getto nel mare.

Con la vota faretra

or tu rimanti in terra,

e fa', cieco fanciul, quanto ti pare.

 

Venere ->

AMORE

Spiratemi nel seno  

fiere serpi di Libia,

crude furie d'Averno,

spiratemi nel seno

ira, rabbia, veleno.

Non mi schernite, o dèi;

non ridete, o mortali,

che sebben non ho face, arco, né strali,

non son però sopiti i vanti miei.

Ascolta, ascolta, o dell'orrenda Dite

formidabil signore,

s'un tempo già nella Trinacria arena

provasti il mio valore,

apri l'orrido centro, e ascolta Amore.

 
 
S'apre l'inferno.

Bozzetti

 Q 

 

Scena sesta

Plutone, Amore, Eaco, Radamanto, Minos, coro di Dèi infernali, e Gelosia.

<- Plutone, Eaco, Radamanto, Minosse, dèi infernali

 

PLUTONE

Fanciullo, ardor dell'alme,  

ricordevole ancor del mio bel foco,

al tuo soave impero

apro gl'orror del tenebroso loco:

vedi pronta a' tuoi cenni

la formidata Dite,

l'orribil Acheronte,

Stige, Lete, Cocito, e Flegetonte.

AMORE

Io, bell'Amore terno,

da' celesti tradito,

da' mortali schernito,

a te ricorro, o regnator d'Averno:

or tu, per mia vendetta,

dammi il mostro più rio, c'hai nell'inferno.

PLUTONE

Vuoi tu, di cento braccia

armato Briareo?

Vuoi terror delle stelle,

l'implacato Tifeo?

Vuoi Cerbero? Vuoi Scilla? O vuoi Pitone?

O 'l tergemino orror di Gerione?

AMORE

Noto ho 'l valor di queste

spietatissime fere:

ma per punire un core,

voglio de' regni tuoi più fiera peste.

PLUTONE

Io ti comprendo Amore:

una tu vuoi dell'orride sorelle

di serpenti crinite,

terrore incomparabile di Dite.

AMORE

Ben è crudele Aletto:

ben Tisifone è fiera:

ben orrenda è Megera:

ma voglio peggior furia in uman petto.

PLUTONE

Qual furia posso darti,

che delle furie più spietata sia?

AMORE

Dammi la Gelosia.

PLUTONE

Ditemi, arbitri voi

degl'eterni tormenti;

dite, se dare io deggio

furia così spietata a' cor viventi.

EACO

Pluto, s'al mondo dai

l'orribil Gelosia,

togli a te stesso il regno,

o vi è minor lo sai;

che non Stige, ed Averno,

ma degl'amanti il cor sarà l'inferno.

RADAMANTO

Mira quanti ha martiri

la regia spietatissima del pianto;

tutti son lievi accanto

al gelato veleno,

ch'infernal Gelosia sparge in un seno;

onde giusto non parmi,

che 'l mondo abbia dolore,

dell'inferno peggiore.

MINOSSE

Se decreto è de' fati,

decreto inviolabile, che queste

sieno le piagge del tormento eterno;

ritieni, o re d'Averno,

ritien quaggiù questa malvagia peste,

se non, che tu vedrai

liete, nelle lor pene

starsi le stigie, e le tartaree arene.

AMORE

Deh, per lo dolce foco,

ch'arse il tuo cor nella montagna etnea;

deh, per lo dolce monte

di tua consorte dèa,

appaga, amato Pluto, il voler mio,

di quanto oggi desio.

PLUTONE

Saggio è 'l vostro consiglio,

figli eterni di Giove;

ma fors'io meglio intendo

quanto nuoca al mio regno, e quanto giove.

I' ardo al dolce foco

di Proserpina mia,

e stimo eguale alla beltà, sua fede;

or, s'un giorno avvenisse,

che l'empia Gelosia

d'un suo gelido strale il cor m'aprisse;

ditemi, qual avrei

nel regno delle pene,

pena crudel, re de' tartarei dèi?

Or io, per non provar simil dolore,

voglio darla ad Amore.

Odimi dunque; poi, ch'Amor sì vuole,

dal lago orribilissimo di ghiaccio,

col fiero serpe in braccio

sorgi, o rea Gelosia, e mira il sole.

 

<- Gelosia

GELOSIA

Eccomi, o fiero Pluto,  

s'al ciel muover vuoi guerra,

io varrò più di quanti

spietatissimi figli armò la terra.

PLUTONE

Servi l'Idalio arciero;

né mai più ritornare al regno nostro,

inferno de' viventi, orribil mostro.

AMORE

Vieni; a me spiega il volo

indissolubil mia fida compagna,

e tra le gioie mie spargi il tuo duolo.

Re degl'orridi abissi,

per cotanto favor sempre a te grato,

più ti farò nell'ardor mio beato.

 

CORO INFERNALE

Dileguati    

dal centro orribile

mostro terribile,

né tornar più:

va' col tuo gelido

tosco amarissimo,

inferno asprissimo

altrove fa.

S

 
 
Torna la scena al suo solito.

Plutone, Eaco, Radamanto, Minosse, dèi infernali ->

 Q 

 

GELOSIA

Poi, che la tua mercede,  

miro i campi dell'aria, e 'l puro cielo,

Amor, come t'aggrada,

del mio tosco disponi, e del mio gelo.

AMORE

O cara Gelosia,

quinci tra queste piante

vive la ninfa Clori,

che riamata amante

gode felice i suoi novelli amori;

io voglio, ch'al suo petto

tu stilli tal veleno

d'amoroso sospetto;

che tutto amareggiando il suo gioire,

provi de' ciechi abissi ogni martire.

Così farò, che veggia

la mia spietata madre, e veggia il mondo,

che privo ancor dell'armi mie fatali,

per tormentare un core,

non mancano giammai modi ad Amore.

GELOSIA

Io, furia degl'amanti,

avventerogli al seno

quell'orribile serpe,

e farò vieppiù chiari i tuoi gran vanti.

AMORE

Or, quinci statti ascosa;

io vo' trovar chi con bugiarda lingua

al tuo veleno agevoli la via.

GELOSIA

Vanne, Amore, e 'l tutto osa,

ove pugna per te la Gelosia.

Amore ->

 

Scena settima

Pane, e Tritone.

<- Pane, Tritone

 

PANE

Dimmi Triton, se lungo il mar di Gnido  

segui ancor di Cimmodoce la traccia?

Dimmi, se t'arde più l'empio Cupido?

TRITONE

O Pane, il nudo arcier vieppiù m'allaccia;

e sempre, or nel Carpazio, or nel Tirreno

ho Cimmodoce mia nelle mie braccia.

PANE

Non posso più tener lo sdegno a freno;

trovato io non ho mai donna cortese,

ma sempre crudeltà, sempre veleno.

TRITONE

Grata fiamma dal cielo in me discese;

e sempre loderò mia dolce pena,

è 'l bellissimo stral, che 'l cor m'accese.

PANE

Orsù, loda Tritone, in questa arena

oggi le donne; io biasimerolle; al suono

tu d'alta tromba, io di selvaggia avena.

TRITONE

La donna, è delle stelle il più bel dono;

raggio è del sole; e in un bel volto io scerno

tutto il bello del mondo, e tutto il buono.

PANE

La donna, è rio veleno, e serpe interno,

che rode il core; è mostro al ciel rubelle;

peste dell'alme, e de' viventi inferno.

TRITONE

Vorrei più lingue aver, che non son stelle,

per i vostri lodar pregi immortali,

care pompe d'amor, donne mie belle.

PANE

Vorrei tutti di Giove aver gli strali,

per tutte fulminarvi ad una, ad una,

perfidissime femmine infernali.

TRITONE

Mira quanti ha tesor sotto la luna,

rose, perle, coralli; in bel sembiante

questa schiera gentil tutti gl'aduna.

PANE

Mira, quanti ha terror Libia, ed Atlante,

angui, serpi, ceraste; in un sol petto

tutti gl'have il crudel sesso incostante.

TRITONE

Gioia del cielo, e d'ogni cor diletto;

è di Venere il figlio; or questi solo

in bel volto di donna ha 'l suo ricetto.

PANE

Tormento degl'abissi, orrore, e duolo,

è la furia Megera; or questa prende

da femmina sdegnata, il foco, e 'l volo.

TRITONE

È più dolce mirar riso, che splende

il bel labbro gentil, ch'al nuovo albore

mirar raggio di sol, ch'al cielo ascende.

PANE

È più dolce laggiù nel cieco orrore

sentir Cerber latrar, ch'udir la voce

di femmina, che gracchia a tutte l'ore.

E sempre, o vegli, o dorma, offende, e nuoce.

 
Coro d'Amori, che ballando sferzano Pane.

<- amori

 

Va' d'inselva  

mezza belva,

né mirar la luce più:

non è stella,

che più bella

sia di donna; or, che di' tu?

Fa', che taccia

ria linguaccia,

se non, ch'io ti svellerò:

e con l'ugna,

con le pugna,

volto, e sen ti ferirò.

Questo dardo

nel tuo sguardo

vo' passare; or ferma lì:

fa' tua scusa,

l'ira accusa,

se non, ch'io t'uccido qui.

Non è degno

di mio sdegno,

né mio stral l'anciderà:

meglio sia

sua follia,

s'un flagello or punirà.

Toh, caprone,

toh, fellone,

non biasmar, le donne, e me:

questo strale,

questo vale

con le belve; a fé a fé.

 

Fine (Atto terzo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo Atto quarto Atto quinto

Campi tirreni.

Corilla
 

Folle, io canto, e non penso

Corilla
<- Lirindo

O mia vaga Corilla

Corilla
Lirindo ->
Corilla
<- Clori, Zeffiro

Avventurosi amanti

Clori
Zeffiro, Corilla ->
Clori
<- Amore

Clori, che voci ascolto

Amore
Clori ->
Amore
<- Venere, uno del coro degl'amori

Che di', folle, che sei?

Amore, Venere
uno del coro degl'amori ->

Questa sì bella face

Amore
Venere ->

Spiratemi nel seno

(s'apre l'inferno)

Inferno.

Amore
<- Plutone, Eaco, Radamanto, Minosse, dèi infernali

Fanciullo, ardor dell'alme

Amore, Plutone, Eaco, Radamanto, Minosse, dèi infernali
<- Gelosia

Eccomi, o fiero Pluto

Amore, Gelosia
Plutone, Eaco, Radamanto, Minosse, dèi infernali ->

Campi tirreni.

Poi, che la tua mercede

(Gelosia si nasconde)

Gelosia
Amore ->
Gelosia
<- Pane, Tritone
Gelosia, Pane, Tritone
<- amori

(amori che ballando sferzano Pane)

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima
Campi tirreni. Campi tirreni. Campi tirreni. Campi tirreni. Inferno. Campi tirreni. Campi tirreni. Scena orrida. Scena orrida. Campi tirreni.
Prologo Atto primo Atto secondo Atto quarto Atto quinto

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