Atto quarto

 

Scena prima

Cedrara.
Ennone sola.

Bozzetti

 Q 

Ennone

 

 

Paride, e dove sei?  

Dove ahi lassa t'involi agl'occhi miei,

Paride e dove sei?

Forte lieve, e incostante

d'altra bellezza amante

tra più selvaggi orrori

segui la traccia di furtivi amori?

O voi de' miei diletti

solitari ricetti, ombre beate,

ove del mio bel sole

alle luci adorate il ciel mi diede

di legittimo amor degna mercede

deh co' le verdi lingue

dell'odorate fronde

scosse da miei sospiri

dite, ditemi, ahimè dove s'asconde

questa bella cagion de' miei martiri?

Ma voi non rispondete

a sì giuste querele,

né sentite pietà dell'altrui duolo,

perché del mio crudele

il nome, il nome solo,

che tante volte, e tante

incisi in queste piante, in voi trasfonde

la propria qualità; quindi è ch'a un tempo

da voi l'esempio prende,

ed il vostro rigore

da quel nome spietato in voi s'apprende;

ma dal dolor non meno,

che dal cammino stanco

regger più non si può l'afflitto fianco.

 

O morbide erbette    

già piume dilette

a dolce riposo,

or spine pungenti

di cure dolenti

al seno affannoso;

il sonno già parmi,

che tacito scenda

con placida benda

i lumi a serrarmi;

non deve lasciarmi

mirare no, no,

la memoria d'un ben, che più non ho.

Tra tanto, che viene

pietosa la morte

in sì dura sorte

a trarmi di pene,

al sonno conviene

aver (se pur'è

della morte fratel) pietà di me.

S

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Scena seconda

Filaura, Ennone, che dorme.

<- Filaura

 

FILAURA

O che pena, o che stento?  

Senz'aver un respiro

son quattr'ore, che giro

come un molin da vento,

eppur alcun non veggio,

che novella mi dia di quel, che chieggio;

ma la padrona è qui? Mi par, che dorma;

sì, sì figlia, sì sì,

passa pur il martello in questa forma.

ENNONE
(in sogno)

Dove, dove è il mio bene,

e qual è la cagion, che a me non viene?

FILAURA

Sebben dormendo giace,

neppur permette Amor,

che quel misero cor riposi in pace.

 

ENNONE

S'io viva, non so;  

so ben, che non ho

più l'alma con me;

ahimè,

che solo

morta son ai contenti, e viva al duolo.

 

FILAURA

Vaneggia ebbra d'amore, e questi fumi  

dell'amoroso ardore

ah che mai non si ponno,

come quelli del vin, smaltir col sonno.

 

ENNONE

Dove Paride mio?  

Dove te n' fuggi? Oh dio!

FILAURA

Ma questo è un sogno,

che potrebbe avverarsi.

ENNONE

E puoi soffrire

di lasciarmi morire? Oh dio perché?

In che t'offesi, ahimè.

FILAURA

Sogno affannoso,

che toglie quanto il sonno

può darle di riposo;

sarà ben, ch'io la desti; Ennone sorgi;

a che tante querele?

ENNONE

Non sai, che l'infedele

è fuggito da me.

FILAURA

Sognasti o figlia.

ENNONE

L'anima, che non dorme,

sotto l'ombra del sogno

quasi occulto mistero,

al senso, che n'è ignaro, accenna il vero;

su prora fuggitiva

lungi da questa riva

vidi l'empio sleale.

FILAURA

È già gran tempo,

che di fieri muggiti

fa risuonar i liti il mar cruccioso;

eppur or tempestoso

co' suoi flutti schierati

in aria sollevati

parea, che ardisse al ciel, non che alla terra

muover orrida guerra;

non è nocchiero accorto,

che in sì cruda stagione esca del porto,

onde temer non déi,

che il tuo ben se ne vada

per quell'ondosa strada.

ENNONE

A quest'avviso

respiro dall'affanno

di quel torbido sogno.

FILAURA

Il sogni alfine

son de' nostri timori,

o di nostre speranze,

assai più, che del ver, vane sembianze.

 
 

Scena terza

Tempio di Pallade in Atene.
Sacerdote di Pallade. Coro di Ministri, Adrasto.

Bozzetti

 Q 

Sacerdote, ministri, Adrasto

 

ADRASTO

Ahimè, che mesti auguri?  

(guardando le viscere della vittima)

Quando per la salvezza

dell'attico regnante

alla tritonia diva

dell'ostie a lei più care

fuma per nostra mano il sacro altare,

della vittima, ahimè, putrido è il sangue,

e 'l più vivo colore

delle parti vitali

da funesto squallore oppresso langue;

per evitare i minacciati mali

o ministri devoti

porgete alla gran dèa supplici voti.

 

SACERDOTE E CORO DI MINISTRI

Dèa d'Atene, che sei nata  

tutt'armata,

anco intesa

deh ti mostra a sua difesa.

 

SACERDOTE

Suscitate la fiamma,  

e dagl'altari accensi

sfumin le sacre mirre, e i maschi incensi.

UNO DEL CORO

Come in alto si sollevano

queste nuvole odorate

così a te speriam, che grate

nostre preci giunger devano.

SACERDOTE

Invano alla gran dèa s'ergono i fumi

de' nabatei profumi,

questa torbida fiamma

è troppo chiaro segno

del suo celeste sdegno; ah non sia vero,

che contro noi s'accenda,

a placarla s'attenda.

 

CORO DI MINISTRI

S'a te sacre fra le dive    

son l'olive

di pietà segni amorosi,

deh pietosi

verso noi

volgi ancor i lumi tuoi.

S

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UNO DEL CORO

Pietà, diva, pietà,  

gradisci i nostri voti,

che di noi più devoti

il tuo nume non ha,

pietà, diva, pietà.

Pietà, diva, pietà

ascolta i nostri preghi,

sue grazie non ci neghi

tua divina bontà;

pietà, diva, pietà.

 
Si sente un terribil terremoto, che crollando il tempio, getta a terra il simulacro di Pallade, e la tribuna.
 

ADRASTO

Ohimè trema la terra;  

e 'l Palladio s'atterra; oh fiero scempio,

crollano le colonne, e cade il tempio.

 

Scena quarta

Pallade in aria sopra una nube.
Sacerdote, Coro di ministri, Adrasto.

<- Pallade

 

PALLADE

Il Palladio fatale  

non dée restar in piede,

quando Pallade istessa

giace vile, e depressa,

se nel punto d'onore

atterrata son io,

cada pur anche a terra il tempio mio.

ADRASTO

Oltraggiato in che vien il tuo gran nume

dal popolo d'Atene

armato col suo re per tua difesa?

PALLADE

Da voi non sono offesa,

ma dal nemico Marte,

che nel contrasto fiero

con ingannevol arte

il mio forte campione,

ed il vostro gran re

fe' prigioniero.

ADRASTO

Ohimè,

dove si trova?

PALLADE

Nel suo forte recinto, ove pur anco

è il pomo custodito,

che usurpato, e rapito

da Venere mi fu: co' le vostr'armi

si liberi il monarca

dall'indegna prigione,

in cui vivo è sepolto, ed a me si renda

quel che mi venne tolto

dall'iniqua sentenza; io vo' l'emenda

d'un torto manifesto,

il sacrificio è questo,

che più grato da voi si possa farmi.

ADRASTO

Su, su dunque su all'armi.

CORO DI MINISTRI

Presto all'armi su, su.

PALLADE

Vittima voglio,

che cada a' piedi miei

degl'inimici dèi l'odiato orgoglio.

 
(partono gli ateniesi)

Sacerdote, ministri, Adrasto ->

 

Così dunque così  

della beltà, dell'armi

vedo i pregi in un dì

tutti involarmi?

Pallade non son io,

se non so vendicar l'oltraggio mio.

Ah troppo offesa son,

vadano pure in guerra

per sì grave cagion

e cielo, e terra,

quello, che al nostr'onore

l'ingiustizia involò, renda il valore.

Pallade ->

 

Scena quinta

Alceste sola.

<- Alceste

 

 

Ahi, che sento, infelice?  

Tra ceppi, e tra catene

esposto all'ira ultrice

d'un furibondo Marte ogni mio bene?

O nuova che m'accora,

ho perduto il mio sposo, e vivo ancora?

O sposo, o sposo mio

perché lasciarmi (oh dio) dimmi perché?

Con notturna sortita

di nascosto da me farne partita?

Che se mi sei consorte

correr teco dev'io l'istessa sorte,

ma in sì vane querele

a che ti perdi Alceste?

Se a Cecrope fedele

già s'arma il suo gran regno

per ritorglierlo a forza

da quel carcere indegno, e tu che fai?

Neghittosa starai

tra le timide ancelle

ad attender sospesa

nell'albergo real di lui novelle?

No, no, si vestan l'armi;

vo co 'l petto non meno,

che co 'l'animo forte,

per salvar la mia vita, espormi a morte,

o gran diva de' guerrieri,

che pensieri

svegli in noi nobili, e casti,

se insegnasti

trattar l'armi al sesso imbelle,

per imprese così belle

al mio braccio, ed al mio core

dona spirto, e dà vigore.

Alceste ->

 
 

Scena sesta

Aerea con la via lattea, e sopra la sfera del foco.
Venere nella sua stella.

Bozzetti

 Q 

Venere

 

VENERE

Mia stella,  

più bella,

più chiara risplende,

la sfera maggiore

d'amore,

n'accende,

scintilla,

sfavilla

con raggi di gloria,

al cielo fa mostra

di nostra

vittoria.

 

Scena settima

Venere, Amore sopra un carro di foco venendo dalla sfera del medesimo.

<- Amore

 

VENERE

Ma dove o figlio  

con incendio sì fiero?

AMORE

Ad eseguire o madre

il tuo soave impero,

ad accender il seno

della bella Anfitrite,

come tu m'imponesti; io v'ho disperse,

e dissipate indarno

tutte le mie facelle,

per ridurre a' tuoi cenni

le sue voglie rubelle; onde me n' venni

a toglier nuove fiamme

dalla sfera del foco,

per veder se potessi

suscitar in quel core

faville di pietà, se non d'Amore;

poiché 'l voler, che giovinetta bella

per rimbambito amante

resti d'Amore accesa,

credimi o madre, è disperata impresa.

 

VENERE

Ben è vero; ma quel più  

opra tu,

che far potrai,

perché resti consolato;

il mio nume tu ben sai,

ch'è a Nettun troppo obbligato.

E se amare (com'io so)

non lo può,

nemmen lo vuole,

ella almen non lo disprezzi,

ma gli dia buone parole,

e cortese l'accarezzi;

perché un vecchio, che non ha

per l'età

più forza alcuna,

si dà a creder d'incontrare

in Amor buona fortuna

nel vedersi accarezzare.

 

AMORE

O questo sì ben spero,  

che simulando almeno

con qualche finti vezzi

lo lusinghi, e accarezzi,

che delle donne in seno

come in lor propria sfera ogn'ora stanno

la finzione, e l'inganno;

scendo intanto nel mare

per andarla a trovare.

(si tuffa in mare)

Amore ->

 

VENERE

Vanne pure o serpentello,  

aspidello

velenoso, empio, e mortale,

con la lingua, e con lo strale;

sempre in pungere sì ardito,

che se udito

tu sei qui tra tanta gente,

qualche bella si risente.

 

 

Ecco appunto, che viene  

di sdegno folgorante

la sorella, e la sposa al gran tonante.

 

Scena ottava

Giunone sopra il carro stellato d'Arturo, che cammina per la via Lattea formata di piccolissime stelle, Venere.

<- Giunone

 

GIUNONE

Vanne ciprigna pure, ostenta altera  

per la stellata sfera

nelle vittorie tue gl'oltraggi miei.

VENERE

E da chi offesa sei?

GIUNONE

Dal tuo frigio pastore.

VENERE

Ei non t'offende,

mentre il suo dritto alla giustizia rende.

GIUNONE

Anzi alle tue lusinghe,

che a te l'hanno obbligato; e sol per queste

il pomo hai guadagnato.

 

VENERE

Il giusto non porta  

di far altrimente...

GIUNONE

Sol ebbe sua mente

il senso per scorta.

VENERE

Da Giove a tal posto

fu d'arbitro eletto.

GIUNONE

A tanto concetto

ha mal corrisposto,

VENERE

Così ti fa dire

il proprio interesse.

GIUNONE

Le frodi chi tesse

è usato a mentire.

VENERE

Chi mente si scopra,

che inganni? Che frodi?

GIUNONE

I soliti modi

che Venere adopra.

VENERE

Di' pur quel che senti,

che modi? Che dici?

GIUNONE

I dolci artifici,

che allettan le genti.

VENERE

Rimasta son io

alfin vincitrice,

dir tutto ti lice;

ma il pomo è già mio.

(parte)

Venere ->

 

GIUNONE

È tuo, ben lo so,  

ma senza ragione,

tal torto Giunone

soffrire non può,

se l'empio scampò

dall'orrido flutto,

chi l'ha liberato,

ne sia castigato,

rimanga distrutto.

 

 

Vieni o nume sovrano  

della sfera del foco,

che a mia vendetta il tuo soccorso invoco.

 

Scena nona

L'elemento del Foco sopra un carro tirato da due gran salamandre, Giunone.

<- Foco

 

FOCO

A' tuoi cenni eccomi pronto,  

la mia diva e che m'impone?

GIUNONE

Che tu vendichi Giunone

d'un ingiusto, e grave affronto.

FOCO

Chi si deve castigare?

GIUNONE

Un che pur è tuo nemico...

FOCO

Io me n' vivo a tutti amico...

GIUNONE

Come stai col dio del mare?

FOCO

Differenti siam d'umore,

ma ciascun fa i fatti suoi.

GIUNONE

S'egli è tale, armar ben puoi

a suo danno, e a mio favore.

FOCO

Ecco qua, son pronto a tutto,

che richiede il tuo gran sdegno?

GIUNONE

Ch'ei rimanga senza regno,

che il suo mare sia distrutto.

 

FOCO

E come?  

GIUNONE

Si precipiti

l'elemento focoso

nel mondo procelloso,

onde ben presto asciutto,

del suo misfatto in pena

se ne resti Nettuno in nuda arena.

Già che 'l destin non vuole,

che la pena di morte

cada sovra quel nume,

che di tal nome è indegno,

se la vita non puoi, togligli il regno.

 

FOCO

No mia diva no, no, no,  

tu sai bene,

che il mar giace tra l'arene,

nel suo centro sta la terra,

nel suo posto anche si serra

l'aria tua non men del foco;

il suo loco

destinato

è dal fato

a ogn'elemento,

che ne deve esser contento,

ed uscirne mai non può,

no mia diva no, no, no.

 

GIUNONE

Questa legge fatale  

oggi più non s'osserva, e più non vale,

poiché veggio talor qualche elemento

del politico mondo,

ch'ad avanzarsi intento,

con vaste brame, e ambizione altera

esce della sua sfera.

FOCO

Se a questi vien permesso,

a noi non è concesso, e dalle leggi

non vo', né devo uscire;

non ti posso servire.

GIUNONE

E non puoi fare

quel, che fanno tant'altri?

FOCO

In ciò ti prego

a volermi scusare.

GIUNONE

Indegno sei

dell'onor, ch'io ti fei

nel ricorrer a te, spirto sì poco

come può aver costui, ch'è tutto foco?

(si parte)

Giunone ->

 

FOCO

È così fuor di ragione  

s'è Giunone

adirata contro me,

sol perché

non vo' far quel che non lice;

uh che secolo infelice.

Chi non segue i pazzi umori

de' maggiori,

e che mille iniquità

far non sa,

senza spirito si dice;

uh che secolo infelice.

Son per questo un vile, e indegno,

non ho ingegno,

e per questo ho a meritar,

e provar

l'ira sua vendicatrice;

uh che secolo infelice.

Foco ->

 
 

Scena decima

Atrio del palazzo di Venere.
Eufrosine, una delle grazie, sopra una tartaruga.

Bozzetti

 Q 

<- Eufrosine

 

EUFROSINE

Che angoscia, che affanno  

su questo animale,

che a far in un anno

due leghe non vale,

andando sì lento

che pena, che stento.

Quell'empia, e perversa

fortuna spietata,

che sempre m'è avversa,

or m'ha condannata

a questo tormento,

che pena, che stento.

 

 

Ma di fortuna in onta  

sono alfin del viaggio, eccomi gionta

alla bella magion di Citerea,

vedo venirmi incontra

Aglaie, e Pasithea.

 

Scena undicesima

Aglaie, Pasithea, Eufrosine.

<- Aglaie, Pasithea

 

AGLAIE

Come allegra ti accolgo!  

PASITHEA

Con che gusto ti stringo!

EUFROSINE

Con che gioia v'abbraccio o mie sorelle;

pur vi rivedo alfine.

AGLAIE

E dove senza dar di te novelle

o diletta Eufrosine

fosti per tanto tempo?

EUFROSINE

Per viaggio sin ora.

AGLAIE

Su quel tardo animal?

EUFROSINE

Sempre su questo.

PASITHEA

Meraviglia non è,

che tu giunga sì tardi;

ma viaggiar perché

su quella lenta mole?

EUFROSINE

Fortuna così vuole.

AGLAIE

E come?

EUFROSINE

Or odi;

quest'arbitra suprema,

che non solo nel mare,

ov'ha la propria fede,

ma nella terra ancora

tutto a sua voglia dominar si vede,

da' suoi cenni pretese,

ch'io dipender dovessi.

AGLAIE

Ah troppo offese

la nostra libertà.

PASITHEA

Libere siamo;

se non fossimo tali,

le grazie sarian solo

di mercede venali

un vilissimo stuolo.

EUFROSINE

Onde libera ancora, e generosa

gl'apersi il seno mio

con modesta repulsa; ella sdegnosa

poiché neghi, mi disse,

d'aver me per tua scorta, è ben ragione,

che per non incespare

ti s'assegni un corsier lento, e posato,

e questo appunto è quello,

che mi fu consegnato,

su questo poi, riprese,

va' pure, e t'incammina

là dove ti destina

regia munificenza,

ch'io so, che non potrai

giungervi senza me, che tardi o mai.

PASITHEA

O grazie sventurate,

ancor che destinate

dal magnanimo affetto

d'un animo real, non hanno effetto.

AGLAIE

Ben io lo so per prova,

che inviata da un grande

con doni preziosi

alla bella virtù, ch'ei tanto stima,

passando per gli stati

del principe interesse, a un tratto fui

sotto vari pretesti

svaligiata da lui.

PASITHEA

Dunque una grazia

incontra tal disgrazia?

AGLAIE

Onde del tutto ignuda

io giunsi alla virtù, non altro avendo

che d'una delle grazie il puro nome...

PASITHEA

Ella che disse?

EUFROSINE

E come,

ti ricevve spogliata

de' preziosi arredi?

AGLAIE

Riverente m'accolse, e al mondo noto

con ossequio devoto

fece il suo puro, e riverente core,

perché stima, assai più

dell'oro del Perù, sì grand'onore.

PASITHEA

Di questo sia contenta,

poich'ogn'altra speranza

per lei si vede spenta,

troppo fiero nemico s'è scoperto

alla virtude, e al merto, io già di questi

esser sposa dovea

per ordine d'Astrea,

ma il vizio, che odiò sempre

il merto, e la virtù, sturbato ha il tutto.

EUFROSINE

Ed Astrea che ne dice?

AGLAIE

Non so come ingannata

ella ancora ha disdetta

la parola già data...

PASITHEA

Ed al vizio aderisce?

AGLAIE

Oh questo no,

anzi soffrir no 'l può.

PASITHEA

So che altre volte

fu punito da lei

per l'esecrando eccesso

de' suoi vari misfatti.

EUFROSINE

E come adesso

vien da lei tollerato?

AGLAIE

Ei l'abito cangiato

con le cabale sue, con gli artifici

di confidenti, e amici

si spaccia per virtù.

PASITHEA

Giunge a tal segno

del vizio infame il temerario ingegno?

EUFROSINE

Ma di guerriera tromba

che strepitoso suono

per la reggia di Venere rimbomba?

Eufrosine, Aglaie, Pasithea ->

 

Scena dodicesima

Compariscono in trionfo Venere, e Marte con Cecrope a' piedi loro incatenato, assisi sopra un carro tirato da due leoni cavalcati dagl'Amorini; avanti si vede la pompa del trionfo con le spoglie di Giunone, e di Pallade, cioè scettri, corone, armi, e libri e li seguaci di Cecrope prigionieri; una figura alata rappresentante la Vittoria nell'estremità del carro innalza sopra la testa di Marte una corona trionfale, e sopra quella di Venere il pomo d'oro; col séguito d'un coro di Soldati.

<- Venere, Marte, Cecrope, seguaci di Cecrope, soldati

 

CORO DI SOLDATI

Di bellezza, e di valore  

ogn'onore

ogni gloria a voi si doni;

e risuoni

ogni parte

vivan pur Venere, e Marte.

 

MARTE

Di beltà l'invitta diva

viva, viva,

che con Pallade, e Giunone

in tenzone

riportato

vincitrice ha il pomo aurato.

 

VENERE

Viva pure il dio guerriero,

che il più fiero

de' monarchi oggi si vede

al suo piede

da lui vinto

tra catene essere avvinto.

 

CECROPE

Tra forti catene  

la sorte ritiene

legato il mio piè,

ma l'alma reale

al colpo fatale

soggetta non è.

MARTE

Sei vinto.

CECROPE

Son re...

MARTE

E ancor pertinace,

con spirito audace

contrasti con me?

Sei servo.

CECROPE

Son re.

VENERE E MARTE

La gloria è maggiore,

se il nostro valore

trionfa di te;

sei schiavo.

CECROPE

Son re.

 

MARTE

Sei re, ma prigioniero  

senza scettro, e senz'armi,

non voler irritarmi

con termine sì altiero,

ma tra lacci tenaci

imprigiona la lingua, e soffri, e taci.

Cecrope, seguaci di Cecrope, soldati ->

 

Scena tredicesima

Amore a volo, che si posa sul carro; Venere, Marte.

<- Amore

 

AMORE

Marte, madre, che fate?  

Così vi lusingate? Ah non è tempo

no, no di trionfare,

ma sì ben di pugnare,

i popoli d'Atene

da Pallade istigati

se ne vengono armati

per ritorglier a voi

col gran monarca loro

il trofeo di bellezza, il pomo d'oro.

MARTE

Temeraria intrapresa...

VENERE

E dov'è, e quando

hai tal novella intesa?

AMORE

Io stesso vidi

il bellicoso campo,

che spirando furor, sdegno, e vendetta

occupa tutto intorno, e questa rocca

a sorprender s'affretta

con assalto improvviso,

onde me n' venni a volo

a darvene l'avviso.

VENERE

E tanto ardisce

il temerario stuolo?

Che vuol prender co' dèi risse, e contese?

MARTE

E fin ne' regni miei

se n' vien ad irritarmi?

VENERE, MARTE E AMORE

Presto all'armi su, su, su presto all'armi.

Venere, Marte, Amore ->

 
 

Scena quattordicesima

Fortezza di Marte.
Alceste, Adrasto, coro di Soldati.

Bozzetti

 Q 

Alceste, Adrasto, soldati ateniesi

 

ADRASTO

Ecco il forte recinto,  

ove il nostro monarca

giace sepolto almen, se non estinto,

ove è quel Pomo aurato,

che, a Pallade dovuto,

dall'iniqua sentenza ad altri è dato;

tanto so che vi basta

perché appianato il varco

di sì superbe mura alla salita,

renda il vostro valore

alla gran dèa l'onore...

ALCESTE

E a me la vita,

che viver non poss'io

senza Cecrope mio.

ADRASTO

Pria dunque, che il nemico

dentro 'l vallo racchiuso

possa farsi più forte,

a portar gli si vada, e guerra, e morte.

ALCESTE

Su; su dunque o miei fidi

all'assalto si vada;

ecco, ch'io vi precorro;

si tronchi co' la spada il laccio ingiusto,

che toglie (ahi nodo indegno)

a' un re la libertà; l'anima a un regno.

 

ADRASTO

All'assalto, all'assalto  

dell'inimiche mura,

la sorpresa è sicura,

sebben s'ergono in alto.

ALCESTE E ADRASTO

All'assalto, all'assalto.

 
Gli Ateniesi danno l'assalto alla fortezza con le scalate, e due elefanti con torri sul dorso ripiene d'Uomini armati, che eguagliando l'altezza dei bastioni, tentan d'espugnarli; ma da una vigorosa sortita degl'Assediati, sono costretti a ritirarsi.

<- uomini armati

<- assediati

uomini armati, assediati ->

 

ADRASTO

È impossibil per ora  

l'espugnar per assalto

un posto così forte,

e così ben munito;

per ritentar la sorte

in breve avremo unito

il nostro collegato il re d'Epiro,

intanto si circondi

di ben vallato giro, onde, al soccorso

impedita ogni strada,

l'oppugnata fortezza a terra cada.

 

ALCESTE

Benché si difenda  

sì forte città;

alfin converrà,

che vinta si renda.

 

Scena quindicesima

Pallade sopra il suo carro in aria.
Alceste, Adrasto, coro di Soldati.

<- Pallade

 

PALLADE

Sì, sì pur, ch'alla fine  

per vostra man cadrà,

sepolta resterà fra sue rovine.

Delle roveri alfine

il tronco noderoso,

che si regge orgoglioso,

e non par che paventi

de' più feroci venti,

orrida guerra,

con percosse iterate alfin s'atterra.

Intanto o squadre amiche

v'andate a ristorar

per più forti tornar alle fatiche,

delle squadre nemiche

sì minacciosa, e fiere

non dovete temere,

quanto più faticosi,

sono più gloriosi

anche i contrasti.

Per Pallade si pugna; e tanto basti.

 

ALCESTE E ADRASTO

Quest'armi, che son scorte  

da tuo divin valore,

non temono il furore

o di Marte, o di morte.

(si partono)

Alceste, Adrasto, soldati ateniesi ->

 

PALLADE

Vedrai bene o Citerea,  

che la dèa

della virtù,

quanto Marte,

se non più

della guerra Eveno intende l'arte.

 

Fine (Atto quarto)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo Atto quarto Atto quinto

Cedrara.

Ennone
 

Paride, e dove sei?

(Ennone si addormenta)

Ennone
<- Filaura

O che pena, o che stento?

Vaneggia ebbra d'amore, e questi fumi

(Ennone si sveglia)

Dove Paride mio?

Tempio di Pallade in Atene.

Sacerdote, ministri, Adrasto
 

Ahimè, che mesti auguri?

Sacerdote e Coro di ministri
Dea d'Atene, che sei nata

Suscitate la fiamma

Coro di ministri
S'a te sacre fra le dive

Pietà, diva, pietà

(si sente un terribil terremoto, che crollando il tempio, getta a terra il simulacro di Pallade, e la tribuna)

Ohimè trema la terra

(Pallade in aria sopra una nube)

Sacerdote, ministri, Adrasto
<- Pallade

Il Palladio fatale

Pallade
Sacerdote, ministri, Adrasto ->
Pallade ->
<- Alceste

Ahi, che sento, infelice?

Alceste ->

Aerea con la via lattea, e sopra la sfera del foco.

Venere
 

(Venere nella sua stella)

(Amore sopra un carro di foco venendo dalla sfera del medesimo)

Venere
<- Amore

Ma dove o figlio

O questo sì ben spero

Venere
Amore ->

Ecco appunto, che viene

(Giunone sopra il carro stellato d'Arturo, che cammina per la via Lattea)

Venere
<- Giunone

Vanne Ciprigna pure, ostenta altera

Venere e Giunone
Il giusto non porta
Giunone
Venere ->

Vieni o nume sovrano

(il Foco sopra un carro tirato da due gran salamandre)

Giunone
<- Foco

E come? Si precipiti

Questa legge fatale

Foco
Giunone ->
Foco ->

Atrio del palazzo di Venere.

(Eufrosine sopra una tartaruga)

<- Eufrosine

Ma di fortuna in onta

Eufrosine
<- Aglaie, Pasithea

Come allegra ti accolgo!

Eufrosine, Aglaie, Pasithea ->

(compariscono in trionfo Venere, e Marte con Cecrope a' piedi loro incatenato, assisi sopra un carro tirato da due leoni cavalcati dagl'amorini; avanti si vede la pompa del trionfo con le spoglie di Giunone, e di Pallade, cioè scettri, corone, armi, e libri; una figura alata rappresentante la vittoria nell'estremità del carro innalza sopra la testa di Marte una corona trionfale, e sopra quella di Venere il pomo d'oro)

<- Venere, Marte, Cecrope, seguaci di Cecrope, soldati
Coro di soldati, Marte, Venere
Di bellezza, e di valore
Cecrope, Marte e Venere
Tra forti catene

Sei re, ma prigioniero

Venere, Marte
Cecrope, seguaci di Cecrope, soldati ->

(Amore a volo, che si posa sul carro)

Venere, Marte
<- Amore

Marte, madre, che fate?

Venere, Marte, Amore ->

Fortezza di Marte.

Alceste, Adrasto, soldati ateniesi
 

Ecco il forte recinto

Adrasto, Alceste
All'assalto, all'assalto

(gli ateniesi danno l'assalto alla fortezza con le scalate, e due elefanti con torri sul dorso ripiene d'uomini armati, che eguagliando l'altezza dei bastioni, tentan d'espugnarli)

Alceste, Adrasto, soldati ateniesi
<- uomini armati

(da una vigorosa sortita degl'assediati, gli ateniesi sono costretti a ritirarsi)

Alceste, Adrasto, soldati ateniesi, uomini armati
<- assediati
Alceste, Adrasto, soldati ateniesi
uomini armati, assediati ->

È impossibil per ora

(Pallade sopra il suo carro in aria)

Alceste, Adrasto, soldati ateniesi
<- Pallade

Sì, sì pur, ch'alla fine

Pallade
Alceste, Adrasto, soldati ateniesi ->
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima
Teatro della Gloria austriaca, in cui si vedono dipinte, e scolpite l'imprese sue intrecciate con vari... Reggia di Plutone. Reggia di Giove con convito. Selva d'Ida. Cortile del palazzo di Paride. Giardino del piacere. Porto di mare. Bocca d'inferno. Porto di mare con un vascello alla vela. Piazza d'armi. Palude tritonia. Caverna d'Eolo. Valle col fiume Xanto. Arsenale di Marte. Mare. Antiteatro. Cedrara. Tempio di Pallade in Atene. Aerea con la via lattea, e sopra la sfera del foco. Atrio del palazzo di Venere. Fortezza di Marte. Villa deliziosa di Paride. Piazza del castello di Marte col suo palazzo nel prospetto e nel mezzo una torre isolata Si cangia la scena inferiore in una gran piazza di ricchi e superbi edifici col mare nel prospetto
Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo Atto quinto

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