Atto secondo

 

Scena prima

Iarba solo.

Iarba

 

 

Per eccesso d'affetto,  

che imperioso alla ragion sovrasta,

la maestà di re

con il mio proprio piè calco, e deprimo,

in arnese privato

celo il regal mio stato;

del regno mio, de' fidi miei vassalli

obliato il riguardo

pende l'anima mia da un dolce sguardo.

Sola Didon l'idolo mio conosce;

che Iarba io son re de' Getuli, a cui

degnamente s'appella

l'Africa serva, e la fortuna ancella:

ma contro Amor tiranno

è impotente il mio scettro:

ad un viso divin, che m'imprigiona

è sforzata ubbidir la mia corona.

Amor sei stato sempre

dio delle violenze,

artefice crudel de' fatti enormi,

or nel mio cor tu formi

laberinti d'angosce,

e meandri di pianti, in cui pur troppo

con precipizi orribili, e diversi

l'alma perdei, la libertà sommersi.

Didone, ohimè, Didone

non mi riceve amante,

e sposo mi rifiuta,

e io scordato del decoro mio

di qui non parto, oh dio!

Ma bisogna che qui

venga Didone sì;

vacilla il cor, trema il pensier, e sente

l'anima mia, che vien verso di lei

l'umana deità de' spirti miei.

 
[Aria]

 N 

Chi ti diss'io    

lasso cor mio,

ecco se n' viene

il nostro bene;

m'allegro teco

desir mio cieco,

poiché il destino

t'ha delle glorie tue fatto indovino.

S

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Ritornello

 

Vieni, e t'affretta

o mia diletta

a consolarmi,

anzi a bearmi

con una sola

dolce parola,

che dar mi puoi

ogni felicità co' labbri tuoi.

 

Scena seconda

Didone, Iarba, coro di Damigelle.

<- Didone, damigelle

 
Recitativo

DIDONE

Re de' Getuli altero  

non fastidir de' miei pensier la pace,

ammorza la fornace

degl'insolenti tuoi vani desiri,

son meco inefficaci i tuoi sospiri.

 
[Aria]

 N 

DIDONE

Il mio marito  

già seppellito

seco in sepolcro tien gli affetti miei,

se amarti anco volessi, io non potrei.

Ritornello

 

Se le tue brame

han solo fame

della bellezza mia, Iarba importuno,

sia con tua pace, morirai digiuno.

Ritornello

 

Vanne se vuoi

a' regni tuoi,

e se pur pertinaci avrai le voglie,

in sogno, in fantasia sarò tua moglie.

 
Recitativo

IARBA

Didone, io sono un re, non un plebeo.  

DIDONE

Iarba, se re tu sei, son io regina.

IARBA

Sprezzato amor in odio si converte.

DIDONE

E vuoi, ch'a forza di minacce io t'ami?

IARBA

Vuò, che 'l merto abbia loco, e la ragione.

DIDONE

A meriti, a ragion non bada amore,

egli è dio, fa a suo modo, e non conchiude

con argomenti umani.

IARBA

Femmina al suo peggior sempre s'appiglia.

DIDONE

Questo è be' ver, perché s'appiglia all'uomo.

IARBA

I regi hanno del dio più che dell'uomo.

DIDONE

E pur muoiono i regi, e non i dèi.

IARBA

La possanza dei re gli uomini affrena.

DIDONE

Ma il fulmine de' dèi castiga i regi.

IARBA

Lasciam di disputar, Didon, t'adoro.

DIDONE

Lasciam di contrastar, Iarba, non t'amo.

IARBA

Disamato, disprezzato

volgo il piè, ma non il core,

che schernito, e mal gradito

tanto è fuori di sé stesso,

quanto è dentro al suo dolore.

Crudele, empia, superba,

bestemmiar, maledirti il cor desia,

ma a mio dispetto sei la vita mia.

 
[Aria]

 N 

Rivolgo altrove il piede,  

e 'l cor mio resta qui.

D'aita e di mercede

veder non spero il dì,

insanabile mal m'opprime il core,

son disperato, e pur nutrisco amore.

Ritornello

 

Derelitto, ramingo,

Didone, ahi dove andrò,

lagrimoso, e solingo

le selci ammollirò;

dirà pur sempre agonizzando il core

son disperato, e pur nutrisco amore.

Ritornello

 

La ragione, lo sdegno

voglion ch'io gridi, e al ciel mandi i lamenti,

né posso far, ch'a fren la lingua stia,

a mio dispetto sei la vita mia.

Iarba ->

 

Scena terza

Didone, Anna, coro di Damigelle cartaginesi.

<- Anna

 
Recitativo

DIDONE

Sta mane, mentre l'alba  

perleggiava rugiade,

e coloria con imperfetta luce

il sonnacchioso, e taciturno mondo,

vidi cara sorella

un terribile sogno,

che spaventommi, e mi spaventa ancora,

e non voglio, e non posso

l'anima riaver da un freddo orrore,

che agghiaccia omai tutti gli uffici al core.

ANNA

Manda i sogni bugiardi

a involversi nei fumi,

sprezza i vani fantasmi,

scaccia l'ombre insolenti,

pur troppo il giorno somministra affanni,

senza che ancor la notte accresca danni.

Indiscreta natura

tutto il dì ci tormenta,

e non assolve il sonno

da chimere scortesi.

Dormono le palpebre illanguidite,

e pazza fantasia con noi fa lite.

Umanità infelice

desta sempre combatti

con altri, o con te stessa

o col caso, o col cielo,

e quando avvien, che il sonno i sensi ingombre

sei destinata a contrastar coll'ombre.

Ma il sogno, e la follia

son ambi d'una scola,

ambi senza discorso,

senza misura, o freno.

Rallegrati, Didon, col vero lume,

e lascia i sogni all'oziose piume.

Ma dimmi, e che vedesti,

che disturbò la pace a' tuoi pensieri?

DIDONE

Parvemi, ch'una spada

il sen mi traffiggesse,

e che l'alta Cartago, ohimè cadesse.

ANNA

Cessi il ciel tali auguri;

non paventar regina,

mille prestigi, e mille

simolacri deformi il sonno unisce,

ma all'apparir del dì tutto sparisce.

DIDONE

Inteso ho molte volte in gravi accenti

da più saggi, e prudenti,

che il sogno mattutino

gran vaticinio sia,

e quasi sotto la cortina, o il velo

misteri, e profezie ci mostri il cielo.

ANNA

Se il cielo è tutto luce, e tutto raggi,

come vuoi tu, ch'ei mandi

per messaggiere sue le lame, e l'ombre?

L'immaginare umano

ha formate a sé stesso

le frenesie del prestar fede a' sogni.

Pensa cara Didone,

non conosciam noi stesse,

quando abbiam gl'occhi aperti,

e indovine sarem coi lumi chiusi?

Son pazzie credi a me, serena omai

del tuo bel viso i luminosi rai.

Didone, Anna, damigelle ->

 

Scena quarta

Giunone, Eolo.

Giunone, Eolo

 

GIUNONE

Le ceneri troiane  

non soddisfano ancora

al mio giusto disdegno.

L'ira, benché gioisca

nel bere ogn'or dell'offensore il sangue,

non s'appaga però, finché non vede

nel mezzo a strage agl'occhi altrui palese

l'alta vendetta sormontar l'offese.

Sofferto oltraggio attosca

le viscere all'onore,

ma vendicato oltraggio

all'onore è salute,

morde lo scorpione,

ma se l'uccidi, e l'applichi alla piaga

al suo dispetto il suo velen ti sana.

Così l'ingiuria vendicata a pieno

salda all'altrui decoro ogni ferita,

rende al traffitto onor salute, e vita.

Io del re dell'Olimpo

venerata consorte

fui da Paride in Ida

disprezzata, e posposta a Citerea?

Ben vendicate in parte

ho le passate offese, e staran l'ossa

degl'estinti troiani

e nude, e insepolte

a far tacita fede ai dì venturi,

che contro i numi irati

i regni, e i regnator non son sicuri.

Ma dal fil della falce

della morte, che in Troia,

pur tanti esanimò, fuggito Enea

va col padre, e col figlio

promovendo i destini a cose nove,

e se non sarò presta

a spezzar le figure ai gran disegni,

e a soffocar nel punto

le linee de' pensieri al fuggitivo,

veggo bandiere alzarsi,

eserciti formarsi,

e d'impero aggrandir sì vasta mole,

che stancherassi in circondarla il sole.

Prodigioso volo

porta l'armata de' troiani in modo

che l'occhio non la segue,

il pensier non la giunge,

effetto portentoso

di propizia fortuna.

Ma voglio, che sommerso Enea rimanga,

così Priamo svenato,

Troia dal foco spenta,

Enea tra l'onde absorto,

adempito averanno

con diverse ruine un solo sdegno.

Qui venni a ritrovar il dio de' venti

Eolo cortese, e obbligato nume

alla mia deità, dalle caverne

esci nume degl'austri, e aquiloni,

e di Giunone irata

odi le instanze, e approva le ragioni.

EOLO

O dèa non occorreva

discender dalle stelle,

bastava col divin di tua virtute

ispirarmi nell'alma i tuoi comandi.

Pende mia volontà da' cenni tuoi,

eccomi ubbidiente a quanto vuoi.

GIUNONE

Enea quel reo, quell'empio,

ma dirò peggio, quel troiano ha gonfie

le vele in mezzo all'onde;

io voglio, che tu affonde

lui co' suoi legni a più sepolti abissi.

EOLO

Ubbidisco; o miei servi, o turbi, o venti

armisi d'impeto

d'orgoglio insolito

la vostra lena sempre infaticabile,

e gite là nell'africano gurgite,

e quante navi con troiane insegne

ritrovate varcar gl'umidi campi

urtate, e confondete

affondate, immergete, e sommergete.

Giunone, Eolo ->

 

Scena quinta

Nettuno, coro di Ninfe marine.

Nettuno, ninfe marine

 
[Sinfonia navale]

 N 

 
Recitativo

NETTUNO

Smoderati insolenti  

nembi, turbini, venti,

a chi dic'io? io vi farò! chi turba

del tranquillo elemento,

della placida calma

senza gl'imperi miei la bella pace?

Perché tanta licenza?

Sgombrate da miei regni

famiglia violenta,

superbi esecutori

di cieco imperio, e di volere insano.

Fuggite omai, fuggite

satelliti mal nati

della plebe de' dèi

schiera troppo oltraggiosa a' regni miei.

Voi marittime ninfe,

voi dell'ondoso mondo amici numi

rimovete da scogli, e sollevate

le naufraganti, e misere catine,

che tarde non fur mai grazie divine.

Nettuno, ninfe marine ->

 

Scena sesta

Venere in abito di ninfa, Amore, le Grazie.

Venere, Amore, Grazie

 

VENERE

Già del lido africano,  

com'appunto Fortuna a me promise,

è vicino alle rive il mio gran figlio.

Qui Didone è regina, e temo ch'ella

per opra di Giunone

ordisca tradimenti al pio troiano.

Amore io ti vorrei

esecutor de' stratagemmi miei.

AMORE

Madre pensa, e comanda,

ch'io volo, e t'ubbidisco.

 

AMORE

Da tua sola beltà  

nacque mia deità, madre divina,

e però pronto amor a te s'inchina.

Ritornello

 

Sol mi piace beltà,

chi bellezza non ha non cerchi amore,

dove beltà non è, Cupido more.

Ritornello

 

Or la tua volontà

mi mandi ov'è beltà, s'ho da ubbidire,

che fuor d'un viso bel non so ferire.

 

VENERE

Io voglio, che tu prenda  

la figura d'Ascanio,

e quando tu sarai

dalla regina Dido accolto in grembo

pungila dolcemente

col tuo dorato strale

sì ch'accesa d'Enea tosto rimanga,

e 'l dolce stral soavemente pianga.

Io farò in tanto, che le grazie mie

portino Ascanio c'ora in nave dorme

all'Acidalio monte.

Così v'impongo, andate,

e 'l fanciul dormiente

dalle navi rapite,

e invisibili gite, e 'l custodite.

GRAZIE

Pronte voliamo,

ed eseguiamo

quanto imponi, o ciprigna,

del famoso troian madre benigna.

AMORE

E io m'invio volando

a diventar Ascanio, o madre a dio.

VENERE

Vanne garzon celeste

dio delle maraviglie:

scegli opportuno il tempo, e osserva il loco,

ove il tuo dardo soddisfar mi deve;

tua pargoletta man d'intatta neve

su l'anima a Didon semini il foco.

Qui nasconder mi voglio,

e dimostrarmi poi quando sia tempo.

Venere, Amore, Grazie ->

 

Scena settima

Enea, Acate, coro di Troiani.

Enea, Acate, troiani

 

ENEA

Campioni invitti, e gloriosi eroi,  

che meco sofferendo aspri disagi

portate nella fronte

della patria comun l'alto ritratto,

onde possiam chiamarci

Troia peregrinante,

pur col favor de' fati,

del ciel con i sussidi

siam pervenuti al fin dall'onde ai lidi.

 
[Aria]

 N 

Non fu natural vento al creder mio,  

che ci ha fatto volar per tante miglia,

di così nova, e strana maraviglia

(siatene certi) il solo autore è dio.

Ritornello

 

Quel che sembra periglio al primo aspetto

dischiude le fontane alla salute,

fa la fisica man punture acute,

e pur di sanità ne trae l'effetto.

Ritornello

 

Pazzia rassembra, o pertinacia sola

il batter falsi con serrata mano,

e nondimen si vede uscir pian piano

quel foco, che ci scalda, e ci consola.

Ritornello

 

Così va, conosc'io l'arti del cielo,

sotto ombre di flagel lusinghe adopra,

mai non è mal quel, che ci vien di sopra,

i dèi son tutti caritade, e zelo.

 
Recitativo

 

Superate i furori  

della fortuna avversa, e inclemente,

che la ruota di lei

manderà da' suoi raggi alti splendori

sotto il carro in trionfo a vostri onori.

Il recinto del mondo

è fatto per chi vince,

né si vince con l'ozio, né col sonno.

Disagio, e sofferenza

temprano il bronzo eterno a nomi illustri,

alzano statue alle memorie insigni.

Nostra vita è un contrasto con la sorte,

e la fama immortal costa la morte.

ACATE

Signor chi teco viene

nobilita il suo stato;

l'assisterti è decoro,

il servirti è grandezza;

se le cose non nate avesser senso,

vorriano esser prodotte in tuo servaggio.

Non è caduta Troia,

cadder solo le mura,

ma la virtù troiana in te s'è unita,

in te raccolta vive,

e l'eterno a sé stessa in te prescrive.

I perigli minuti

di te non sono degni,

se teco viene in prova la fortuna,

armisi de' suoi casi

più forti, e violenti;

adopri sue vicende

più mostruose, e fiere,

e al fine a' piedi tuoi venga a cadere.

troiani ->

 

Scena ottava

Venere, Enea, Nuncio, Acate.

<- Venere, Nuncio

 

VENERE

L'amor materno vuol, ch'io mi discopra.  

Ma pur vo' trattenermi alquanto ancora.

ENEA

A chi possiamo dimandar, o Acate,

qual region sia questa?

ACATE

Mira colà, signor, ninfa gentile,

che notizia sicura

darà di ciò, che brami.

ENEA

O ninfa, in cui le luminose idee

impressero bellezza,

che i paragoni sprezza.

Dimmi s'al tuo sembiante

non sfiori invido tempo il bel vermiglio,

qual provincia, qual terra

è questa ove noi siamo?

Se però terra può chiamarsi, dove

vedersi lascia tua beltà divina.

VENERE

Questo è 'l lido african; di qui non lunge

è l'eccelsa Cartagine, ove impera

Didone la bellissima regina,

già vedova rimasta

del famoso Sicheo.

NUNCIO

Signor, mentre sul lido

il tuo canuto genitor usciva,

stuol numeroso di feroci genti

sortì dal bosco, e con insulti, e armi

l'ha condotto prigion: ben mille spade

s'opposero de' nostri,

ma al fine sanguinosa

della fiera tenzone

fu vinta dalla forza la ragione.

VENERE

Non dubitar, signor, alla regina

senz'altro indugio ambasciatore manda,

che impetrerai del padre

la libertade, e troverai Didone

altrettanto trattabile, e clemente,

quanto audace, e feroce è la sua gente.

ENEA

Acate va', prega, disponi, impetra

a pro del padre mio: conduci teco

Ascanio, e in dolci modi,

e in efficaci note

per il grande avo suo preghi il nipote.

ACATE

Vado, signor al lido, e quivi spero

trovar scorta fedel, che m'assicuri

dall'error della strada, e sia mia cura

di conseguir il tuo bramato intento.

ENEA

Ma tu chi sei bellissima al sembiante,

alle maniere più che umane? Dimmi

dell'esser tuo, del nome;

tua modestia cortese

non impedisca a sé gli onori suoi,

né faccia peccar me di mal costume.

E non è ben, che il nome sia secreto,

mentre si vede il merito palese.

Consenti ch'io t'onori

conforme al molto de' doveri miei,

e se celeste sei

mi ti prostri umilissimo, e t'adori.

VENERE

Dunque non riconosci

la madre tua divina,

ch'ha lasciata per te la reggia eterna,

e t'indirizza, e t'assiste, e ti governa?

ENEA

Or sì, ch'io ti conosco,

diva, e madre, e m'inchino,

e raccomando in pianto filiale

a tua pietade il derelitto Enea.

VENERE

Alzati non temere;

segui gl'ambasciatori,

ch'avrai felice il porto,

cortese udienza, e tutto impetrerai,

quanto richiederai.

ENEA

Sì tosto mi abbandoni,

e sopprimi nell'alma mia obbligata

anco i ringraziamenti?

O santa deitade;

tua natura benefica, e cortese

ti move a favorire,

e non ambisci i complimenti umani;

e però quando hai dati

i benefici, subito t'ascondi.

Al contrario fa l'uomo;

vuol esser ringraziato

prima che favorisca.

Andiam commilitoni,

cercarem guida, che ci adduca omai

alla regia Cartagine vicina,

all'alta maestà della regina.

Venere, Enea, Acate, Nuncio ->

 

Scena nona

Didone, Damigella, Ambasciatore, Amore in forma d'Ascanio.

Didone, Damigella, Amore

 

DAMIGELLA

Giunge un ambasciator d'Enea troiano,  

che da tua maestade udienza chiede.

DIDONE

Venga l'ambasciator, esponga, udiamo.

 

<- Ambasciatore, messo

AMBASCIATORE

Non so, se tanto avrà di spirto il core,  

che possa raccontare alta regina

de' troiani infelici

prodigioso il numero de' mali,

ma supplirà delle parole in vece

un duol loquace, un lamentoso pianto.

Del glorioso Enea

nome famoso in Asia, e al mondo tutto,

in riverenti uffici

queste lagrime sono ambasciatrici.

DIDONE

Amico, arrivi in parte,

ove pietà de' peregrini alberga.

Non caderanno in discortese orecchio,

ma saranno raccolte

da sentimento pio le tue proposte.

So dell'inclito Enea

e 'l nascimento, e l'opre;

se di lui nunzio sei,

non approdasti male a' lidi miei.

AMBASCIATORE

Serie di casi improsperi, e crudeli

fece del mio signor barbaro scherzo.

Tra l'insidie mortali il foco, e l'armi

d'Ulisse, d'Agamennone, e d'Achille

precipitò la nostra patria, e andaro

le vite in sangue a formar fiume orrendo,

le cui sponde, e arene

sono ceneri, e ossa

funeste senza esequie, e senza fossa.

Scampammo dalle fiamme

all'instabil ricovero dell'onde.

Ci spinse un elemento

nelle fauci dell'altro;

dubbiosa la morte,

se spegner ci doveva

o nell'acque, o nel foco

tra contrari motivi

irresoluta, al fin ci lasciò vivi;

e dal mare, e dal foco bersagliati,

fuggiti dalle polvi, e dagli abissi,

reliquie di noi stessi,

residui de' naufragi,

mal condotti, e sdrusciti

dato abbiam fondo agli africani liti.

Ma dove alta risplende

tua maestà sublime

la terra si fa cielo,

paradiseggia il loco;

il respirar quest'aure

beatifica i cori;

e dalla tua sembianza

atta, e possente ad abbellir l'inferno

prendono i lieti dì sereno eterno.

Ti supplico, o regina

e di pace, e di porto,

e del cadente Anchise

padre del grand'Enea

fatto prigion dalle tue genti armate,

deh concedimi in don la libertate,

se il sol, che volle impoverir sé stesso,

per arricchir de' raggi il tuo bel volto,

non secchi i gelsomini,

ch'inalbano il candore al tuo bel seno;

se quando la natura ti produsse

incarnò la pietade

nel magnanimo tuo genio cortese,

onde sei degna omai d'altari, e tempi,

le preci mie delle tue grazie adempi.

DIDONE

E pace, e porto io ti concedo, amico,

e libero ti dono

il prigion, che dimandi,

e la città, e la reggia,

che qui vedi, è già tua;

vanne alle navi, e qui conduci omai

quell'eroe sì famoso,

che co' titoli suoi chiari, e illustri

mette al secolo nostro

sì preziosa, e nobile corona,

che cupidi di gloria

n'avranno invidia eterna i dì venturi,

e Cartagine mia tra tanti onori

orni i principi, e i fondamenti indori.

 

messo ->

AMORE
come Ascanio

Piovan le sfere  

su questa reggia

nembi di grazie, e 'l ciel sia sempre vago

di prosperar, di sublimar Cartago.

Fogli partitura

Ritornello

 

Bella regina,

per ringraziarti

figurati vedere a tutte l'ore

su le mie labbra l'obbligato core.

Ritornello

 

L'etade mia

picciole offerte

può contrapporre a beneficio tanto;

un ossequio bambin ti bacia il manto.

 

DIDONE

E chi sei tu bellissimo fanciullo,  

che in età pargoletta

hai sensi così adulti?

AMBASCIATORE

Questi è del grand'Enea

Ascanio unico figlio.

DIDONE

Amico, errasti, e m'offendesti: dirmi

dovevi tu dal bel principio, quale

fosse questo fanciullo,

onde onorato avessi

lui con altre accoglienze, e in altri amplessi.

Ma si emendi ogni error: siedimi in grembo

figlio d'un semideo.

Ecco io bacio le gote

della diva di Cipro al bel nipote.

AMORE
come Ascanio

Regina, ecco mio padre,

che viene ad inchinarsi

alla tua maestade.

Miralo un poco, e dimmi,

non ha torto il destino

a farlo andar ramingo, e pellegrino?

DIDONE

Ohimè, che aspetto luminoso, e grande!

Che movimento, che guardar, che ciglio,

ben d'una dèa si vede esser lui figlio.

 

Scena decima

Enea, Didone, Anna, Messo.

<- Enea, Anna, messo

 

ENEA

Bellissima regina  

giunge alla tua presenza

un peregrin troiano,

un guerriero infelice,

che porge la man nuda, e chiede pace.

Non m'abbruciò l'incendio

della patria caduta;

non m'inghiottiro l'onde

del mare esasperato,

perch'io potessi consacrarmi vivo

a te, che sei della sovrana luce

vivo riflesso, e animato raggio.

Quel, che costa la vita,

non può costar più caro;

ma s'io mille, e mill'alme avessi spese,

per comprar solo un'ora

del godimento, che in mirarti io provo

in sì felice loco,

speso avrei nulla, o poco.

Deh per accoglier le sventure mie

della pietade tua dilata il lembo,

e degli orrori miei serena il nembo.

DIDONE

Come pungono ohimè soavemente

le di costui parole.

Ora del padre tuo, che sta prigione

la libertà commisi,

e all'orator, ch'a nome tuo mi espose

desiderio di pace, agio di porto,

tutto donai ben pronta.

La cortesia diventa

sopra sé stessa illustre, e onorata,

quando vien teco usata.

L'esser da te pregata, o semidio,

cresce decoro alle grandezze mie,

mentre posso giovarti,

io mi devo stimar più che regina.

Lo scalpel, se lo miri,

è martirio del marmo,

e pur talor d'un dio gli dà figura,

così se la fortuna

ti disturba, e molesta in apparenza,

nondimeno s'adopra,

per porre in chiaro tua virtù divina.

O là, vadasi al porto,

vi si arrechino cibi,

si ristorin le navi,

e soldati, e nocchieri, e ciurme, e genti;

e qui portate omai

ciò, che può consolar chi dal viaggio

deve stanco patir, se patir puote

alto germe divin, prole de' dèi,

gradisci, o semidio gli uffici miei.

ENEA

Regina, io son confuso;

l'anima mia vorrebbe

concepir il suo debito al tuo merto,

ma l'obbligo disperde

i pensieri in sé stesso,

sta il buon voler dal non poter oppresso.

E non formo parole,

per non scemar, parlando,

la gloria, che dall'obbligo mi nasce,

e mentre il cor nell'obbligo ti onora,

onorato t'adora.

Didone, Damigella, Ambasciatore, Amore, Enea, Anna, messo ->

 

Scena undicesima

Tre Damigelle di corte.

tre damigelle

 

PRIMA

Udiste, o mie dilette,  

le dolci parolette

della nostra regina al forastiero,

al troian cavaliero;

le vacillan del pari il core, e 'l piede,

è più cieco d'Amor, chi amor non vede.

Ritornello

SECONDA

Vorace fiamma chiusa

sempre sé stessa accusa,

il foco ad onta pur d'ogni divieto

sdegna di star secreto.

Dal tributo amoroso de' tormenti

gl'istessi regi ancor non vanno esenti.

Ritornello

TERZA

Questo troian signore

a Dido ha tolto il core,

così a' piedi d'amor s'inchina, e cade

superba maestade,

né si lagni Didon, perché alla fine

son donne come l'altre le regine.

Ritornello

TUTTE

Sì sì nostra signora  

del troian s'innamora;

tra questi novi cavalieri erranti

provediamci d'amanti;

il rigor d'onestade a terra cada,

la regina in amor ci fa la strada.

Fogli partitura

tre damigelle ->

 

Scena dodicesima

Iarba solo.

Iarba

 
Recitativo

 

O castità bugiarda,  

quanti difetti copri,

quanti vizi nascondi

co' tuoi fallaci, e scellerati modi

abbellisci le colpe, orni le frodi.

Didon meco si scusa,

con le polvi, e con l'ossa del marito,

mischia i colori, e fabbrica i pretesti,

per escluder dal sen le preci mie.

Son gemelle le donne, e le bugie.

Iarba re, Iarba nato

a insospettir con la potenza, e l'armi

e Pluto negli abissi, e Giove in cielo:

Iarba re, Iarba eletto

a stancar i trionfi,

a far sudar le glorie

è posposto ad Enea?

A un forastier mendico,

che scampa dalla terra,

ch'è scacciato dal mare,

ond'hanno l'opre sue

penuria di elementi,

perseguitato con ugual rigore

dagl'incendi, e dai venti,

dalla regina, Enea mi s'antepone?

Quando nacquer le femmine moriro

il discorso, il giudizio, e la ragione.

O crude angosce mie,

son gemelle le donne, e le bugie.

Gelosia venenosa,

gelido mostro, e rio

se cerchi il pianto mio, lo cerchi in darno,

una lagrima sola m'esce a pena,

disperazion ne disseccò la vena.

E io lascio il mio regno,

abbandono lo scettro,

e m'induco a pregare?

Lingua nata ai comandi,

lingua ch'a pena forma le parole,

mentre il cenno de' regi è imperio muto,

discende a supplicare, e è schernita?

Ma pur anco, o Didon, sei la mia vita.

Ed amo, e spero ancora,

e pur in onta delle mie follie

son gemelle le donne, e le bugie.

Qui Iarba si straccia l'abito.

 

Così stracciar, e sviscerar potessi  

da questo sen, da questo cor l'imago

di quel viso assassin, che m'ha ferito,

e annullati gli amori

terminar i furori.

Maledetta la fiamma,

che incenerì il mio petto;

no, mi ridico, e mento:

la natura creante

nel partorir Didone

non produsse un bel viso,

ma incarnò un paradiso.

Anzi no, che vaneggio;

è Didone un inferno,

e in lei son io dannato al foco eterno.

Ma Didon m'ha schernito,

ed io, cieco, e piangente

vo cercando a tentoni

a suon d'aspro martel le mie ragioni.

Deh grida verità, fa', ch'ognun senta,

che un ostinato amor pazzia diventa.

Non possono i poeti a questi dì

rappresentar le favole a lor modo,

chi ha fisso questo chiodo,

del vero studio il bel sentier smarrì.

 

Scena tredicesima

Iarba, un Vecchio.

<- Vecchio

 

IARBA

O bella oltre ogni stima,  

degna di prosa, e rima,

e che il bel nome tuo sempre s'imprima

d'un bue pugliese in su la spoglia opima.

Meritevole sei,

che in suon d'f, fa, ut.

Ti canti in un l'Arcadia e 'l Calicut.

Or ascoltami tu,

guarda un poco là su.

Se tu vedi una gabbia;

o ti venga la scabbia,

ancor non ti se' accorto,

che v'è dentro l'augel dal becco storto.

 
Qui Iarba fugge via.

Iarba ->

 

VECCHIO

O dell'uomo infelice  

più infelici vicende.

Un bel viso innamora,

e poi tormenta, e accora,

e in un breve girar d'un solo die

passiamo dagli amori alle pazzie.

Passa l'oggetto bello

a lusingar il core,

ma si muta il diletto

in furioso affetto,

così dolce bevanda il gusto aggrada,

e all'ebrietà c'apre la strada.

Sfondo schermo () ()

 
Ballo de' Mori africani.
 

Fine (Atto secondo)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo
Iarba
 

Per eccesso d'affetto

[Aria]

Iarba
<- Didone, damigelle

Re de' Getuli altero

[Aria]

Didone, io sono un re, non un plebeo

[Aria]

Didone, damigelle
Iarba ->
Didone, damigelle
<- Anna

Sta mane, mentre l'alba

Didone, Anna, damigelle ->
Giunone, Eolo
 

Le ceneri troiane

Giunone, Eolo ->
Nettuno, ninfe marine
 

[Sinfonia navale]

Smoderati insolenti

Nettuno, ninfe marine ->
Venere, Amore, Grazie
 

Già del lido africano

Io voglio, che tu prenda

Venere, Amore, Grazie ->
Enea, Acate, troiani
 

Campioni invitti, e gloriosi eroi

[Aria]

Superate i furori

Enea, Acate
troiani ->
Enea, Acate
<- Venere, Nuncio

L'amor materno vuol, ch'io mi discopra

Venere, Enea, Acate, Nuncio ->
Didone, Damigella, Amore
 

(Amore in forma d'Ascanio)

Giunge un ambasciator d'Enea troiano

Didone, Damigella, Amore
<- Ambasciatore, messo

Non so, se tanto avrà di spirto il core

Didone, Damigella, Amore, Ambasciatore
messo ->

E chi sei tu bellissimo fanciullo

Didone, Damigella, Amore, Ambasciatore
<- Enea, Anna, messo

Bellissima regina

Didone, Damigella, Ambasciatore, Amore, Enea, Anna, messo ->
tre damigelle
 
tre damigelle ->
Iarba
 

O castità bugiarda

(qui Iarba si straccia l'abito)

Così stracciar, e sviscerar potessi

Iarba
<- Vecchio

O bella oltre ogni stima

Vecchio
Iarba ->

O dell'uomo infelice

(ballo de' mori africani)

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima
[Sinfonia] [Arietta] [Coro] [Coro] [Coro] [Combattimento] [Aria] [Aria] [Passata dell'armata] [Aria] [Aria] [Aria] [Sinfonia navale] [Aria] [La caccia] [Aria] [Aria con tutti gli strumenti]
Prologo Atto primo Atto terzo

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