Atto primo

 

Scena prima

Piazza di Trionfo con portici di palazzo.
Pompeo sopra un carro, Cesare, Claudio, Sesto, Issicratea, Farnace, Milizie, Schiavi, e Harpalia.

 Q 

Pompeo, Cesare, Claudio, Sesto, Issicratea, Farnace, milizie, schiavi, Harpalia

 

CORO DI MILIZIE

Ecco arriva  

chi soggioga le provincie,

chi di fasto i regni priva:

viva, viva.

Per far serti immortali a le sue chiome

crescan lauri al Tebro in riva.

Viva, viva.

 

CESARE

Vieni felice, vieni,  

o gran Pompeo debellator de' regni,

che di duo poli opposti

sotto il giogo latino

le regioni unisci, e trionfante

hai posto i ceppi al Gange, e al mar d'Atlante.

POMPEO

A le squadre latine

è fatal la vittoria; han legge i numi

di secondare i nostri voti, e Roma

per destin sempre vince, e sempre doma.

CESARE

Il tuo valore invitto

impose questa legge,

e stabilì questo destino.

POMPEO

Amico,

mole troppo eminente

su lieve base ad innalzar sei giunto,

e ti sei preso a dilatare un punto.

Olà tosto dal carro,

per adagiare a la discesa il corso,

venga de' schiavi il trionfato dorso.

 
(s'alza Pompeo dal carro; gli schiavi si gettano a terra, e di ciò vien comandato anco a Farnace)
 

UN CAPITANO

Tu qui t'appoggia.

ISSICRATEA

E 'l soffrirò? Non posso.

Non deggio; ferma, lascia.

(prende per mano Farnace)

CESARE

Che ardimento!

ISSICRATEA

Pompeo vinti, e cattivi

il calpestare i regi

grato non è de le vittorie al dio;

Farnace è questi, Issicratea son io.

POMPEO

Che ascolto omai?

SESTO

Che sento?

ISSICRATEA

Ponto cadé; dal soggiogato suolo

sotto persiche spoglie

fuggimmo occulti, e mentre

alquanto Mitridate

si dilunga da noi cercando un legno,

in solitaria riva

turba de' tuoi di libertà ci priva.

SESTO

Di vile ardore a torto

alma t'accusai.

ISSICRATEA

Tacqui mia sorte, impicciolir cercai

il fasto di fortuna, e ciò, che occulto

seppi serbar, mi parve,

che tolto non mi fosse, ora discopro

quel che un lustro celai,

per non mirar, che sottoponga il figlio

con vilipendio acerbo

le tenere cervici al piè superbo.

SESTO

Ardi, e struggiti, o core,

gloria è languir per così degno ardore.

POMPEO

De le mie cortesie

occultando il tuo stato

ti privasti, o regina; a te medesma

fosti di danno, e in pregiudizio tuo

me defraudasti; si disciolgan tosto

quelle catene: or che de' merti tuoi

mi si discopre il lume,

di vincitor latin prova il costume.

ISSICRATEA

Pompeo, mentre benigno

a quei ferri mi togli,

non so ben se mi leghi, o se mi sciogli.

POMPEO

Di tua sorte mi pesa,

sfortunato garzone, e ben vorrei

del patrio regno rimirarti erede.

FARNACE

M'annodi il cor mentre mi snodi il piede.

POMPEO

Rasserena, o regina

le pupille dolenti: il ciel di Roma

di torbide procelle

non t'appresta diluvi, e dure leggi

di servitù infelice

non hai donde temer: al biondo Tebro

volgi le luci, e d'argini, e di sponde

lo vedrai prigioniero, e pur correnti

hanno libero il piede i dolci argenti.

ISSICRATEA

Signor qual mi rapisti

i pregi di fortuna, anco vorresti

quei de l'alma involarmi;

di generosità vincer mi tenti,

ma no 'l farai, succeda al piè disciolto

prigioniero l'arbitrio, e quel trofeo,

che non puote aver Marte, abbia Pompeo;

al tuo cor generoso

ceder m'è vanto.

POMPEO

Figlio, ad Issicratea

servi, e donzelle invia,

ed a lei, qual si deve

al suo regio splendore,

cerca di compiacer.

SESTO

Gioisci, o core.

CLAUDIO

Io non godrei simil fortuna, o amore.

POMPEO

Addio regina, lascia meco alquanto

il pargoletto figlio.

FARNACE

Serena, o madre, il tuo turbato ciglio.

 
(partono)

Pompeo, Farnace, Cesare, Claudio, milizie, schiavi ->

 

Scena seconda

Sesto, Issicratea, Harpalia.

 

SESTO

Non ammorzar la face  

tiranno Cupido,

arciero di Gnido,

che l'alma mi sface.

Non ammorzar la face.

 

 

Deh perché, mia regina,  

di tua sorte real sì lungamente

il tesor prezioso

invida nascondesti?

ISSICRATEA

Perché ne' casi infesti

all'or che il fato l'altrui ben disperde,

quanto si cela più, meno si perde.

SESTO

E tu pur oggi acquisti.

ISSICRATEA

Che?

SESTO

Un'alma. (Cieco dio pronto m'assisti.)

ISSICRATEA

Non intendo.

SESTO

Le piaghe,

che tu fai non conosci, le catene,

che tu stringi non vedi?

ISSICRATEA

Ah Sesto lascia, lascia

il sentier, che intraprendi, e pria che inciampi

vieta all'incauto piè, che orma non stampi.

SESTO

Bambino, Issicratea,

non è il mio ardor, ben lo repressi un tempo

or che da face regia uscir si vede,

impetuoso balza,

e di sé stesso altier gran fiamma innalza.

ISSICRATEA

Dunque celasti il foco

all'or che con la luce

potea forse illustrarmi, e lo discopri

or che può col vapor solo oscurarmi.

SESTO

Regina, i tuoi bei rai.

ISSICRATEA

Sesto dicesti assai,

vattene, e se non vuoi,

che i fior di tua virtude

di quest'inutil pianta

l'ombra dannosa insulti,

finché teneri son, tronca i virgulti.

 
Aria.
 

SESTO

Per te se 'l chiedi,  

sul freddo Rodope

ascenderò:

nel Caspio gelido

i dì trarrò.

 

ISSICRATEA

Per te se 'l brami,

fin sul Vesuvio

mi porterò;

tra quegl' incendi

veloce andrò.

 

Sesto ->

 

Scena terza

Issicratea, Claudio, e Harpalia.

<- Claudio

 

ISSICRATEA

Questi lumi lagrimosi,  

da cui sempre il pianto cade,

de' miei giorni tormentosi

danno a l'alba le rugiade.

CLAUDIO

Regina, ardo per te; sono i tuoi lumi

duo torrenti di sangue,

e da che qua venisti

Roma (e il mio cor per te testimonio invoco)

ha solo un Tebro d'acque, e dui di foco.

ISSICRATEA

Sotto il cielo latino,

dove si tempran cor sì fieri a Marte,

sono l'alme sì molli? Ove s'aspira

di quest'orbe terreno

a incatenar la libertà, sfacciati

volan poi senza fren gl'amori alati?

CLAUDIO

Del console romano

di Cesare, o regina,

prole son io.

ISSICRATEA

Qual tu ti sia, ti stanchi

inutilmente, e lasso

il Sisifo ti fai d'un cor di sasso.

CLAUDIO

Dunque, che far degg'io?

ISSICRATEA

Di fuggitivo rio da l'onda impara:

da la torbida fonte

s'allontana correndo, e si rischiara.

CLAUDIO

Regina, altro consiglio

men severo non hai?

ISSICRATEA

Vanne, ch'all'esser tuo permisi assai.

CLAUDIO

Misero che farò, se l'alma presa

dal biondo crin, che adoro

uscir non sa da un labirinto d'oro,

 

Ah crudele; chi ti pose  

tanto foco ne' bei lumi,

tanto gelo dentro il cor!

S'hai le guance sì vezzose;

che a gli affetti

l'alme alletti,

perché poscia le consumi

con lo sdegno, e col rigor?

Ah crudele; chi ti pose

tanto foco ne' bei lumi,

tanto gelo dentro il cor!

Come porti alma di ferro

dentro il seno

d'ira pieno,

se del crine i bei volumi

sono sparsi tutti d'or?

Ah crudele; chi ti pose

tanto foco ne' bei lumi,

tanto gelo dentro il cor!

(parte)

Claudio ->

 

HARPALIA
(tra sé)

Questo ciel, che produce  

tanti amanti, è buono affé,

che tanta castità non fa per me.

 

ISSICRATEA

Sposo, regno, e libertà,  

che fortuna mi prestò,

eran suoi, me l'involò.

Ma mi scuota quanto può:

che costanza, e fedeltà,

gioie mie, non mi torrà.

 
(parte)

Issicratea, Harpalia ->

 

Scena quarta

Mitridate solo.

<- Mitridate

 

 

Deh, se l'uomo a tua vaghezza  

Giove eterno ti formasti,

perché poi con tanta asprezza

la quiete a lui contrasti?

E se pur fatto inclemente

tu dovevi ognor turbarlo,

dentro il caos in grembo al niente

era meglio abbandonarlo.

Gl'Enceladi, i Tifei

per combattere il cielo

io già non suscitai,

e pur su la mia fronte

precipitasti di sventure un monte.

Prole, consorte, e regno

le falangi del Tebro

m'involar, mi rapir, ma non invano

e vita forse, e libertà restommi:

concepisce gran moli

il pensier, che celato, e sconosciuto

mi trasse a Roma: dal suo cener freddo

anco nell'oriente

di sé medesmo erede

il redivivo augel torna alle prede.

 

Toglietemi la vita ancor    

crudeli cieli,

se mi volete rapire il cor.

Toglietemi la vita ancor,

negatemi i rai del dì

severe sfere,

se vaghe siete del mio dolor,

toglietemi la vita ancor.

S

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Scena quinta

Galleria.
Giulia, Scipione.

 Q 

Giulia, Scipione

 

GIULIA E SCIPIONE

Ma la vita per te  

gioisco languendo,

languisco godendo,

e prova il mio core,

che di dolci contrari è fatto amore.

 

SCIPIONE

Per me lucido nume  

i corsieri di foco invan tu sferzi,

e l'aurata quadriga invan conduci,

ch'io sol trovo il mio Febo in queste luci.

GIULIA

Strali per me Cupido,

al nume affumicato invan tu chiedi,

che di quest'occhi neri

il fulgor sovra umani

de le saette mie sono i vulcani.

 

SCIPIONE

Chi ritrova il dio d'amore    

pien di gioia, e chi crudele:

come trae da un stesso fiore

serpe il tosco, e ape il mele.

S

GIULIA

Dà Cupido a chi rigore,

a chi dona ogni pietade:

così forma egual vapore

le tempeste, e le rugiade.

 

SCIPIONE

Su le percosse incudi  

formò Vulcan reti di ferro a Marte

ma di quel crin, che adoro,

Cupido per legarmi

a la Venere mia fe' reti d'oro.

 

GIULIA

Dimmi, fido mi sarai?

SCIPIONE

Tu vedrai

d'ombre oscure l'alba cinta

pria che estinta

la mia fé.

Ecco Pompeo, io parto.

GIULIA

Ritornerai?

SCIPIONE

Sì, bei rai.

GIULIA

Vanne, addio.

SCIPIONE

Resta il core.

(parte)

Scipione ->

 

GIULIA

Teco il mio

ne tragge amore.

 

Scena sesta

Pompeo, e Giulia.

<- Pompeo

 

POMPEO

Che giova, che per me  

di stragi apportator

con frettoloso piè

si mova il campo,

se mi rapisce il cor d'un ciglio il lampo.

E qual piacere avrò,

se con guerrier furor

volare io pur farò letali dardi,

se m'han rapito il cor d'un ciglio i guardi.

Ecco l'idolo mio, Giulia?

GIULIA

Signore.

POMPEO

Pur ti miro.

GIULIA

T'inchino.

POMPEO

Oh che splendore!

GIULIA

Duce invitto gl'allori

il tuo crin trionfante illustri ha resi.

POMPEO

Vinto a vincere appresi,

a ferir imparai da te ferito,

e nel condur prigioni

del patrio Tebro a le dorate arene,

io l'esempio imitai di tue catene.

GIULIA

E insieme appreso avrai con egual fato

a vincer Amor nudo, e Marte armato.

POMPEO

No, che ponno i tuoi lumi

per mio fatal destino

dar forza di gigante a un dio bambino.

GIULIA

Altro clima, altre stelle

non ti sanaro?

POMPEO

No; che non intende

la forza de' tuoi rai, chi dir presume,

che ha balsami abbastanza

per le piaghe d'amor la lontananza.

GIULIA

Mi duol.

POMPEO

Perché?

GIULIA

Perché nemico cielo

te circondò di fiamme, e me di gelo.

POMPEO

Ah cruda; alfin non sei

de la patria de' numi, e da le stelle

il natal non traesti, ove la luce

da non intesa fonte al mondo nasce,

ne le zone del ciel fur le tue fasce;

Pompeo, che parli, e puoi

di non spontanei affetti

aver vaghezza? Addio.

Lascia, Giulia, ch'il cielo

me di fiamme circondi, e te di gelo.

 

Pompeo ->

GIULIA

So, che intorno a questo core  

nova face raggirando,

cieco dio, tu vai scherzando.

Se tu pensi d'altro nodo

mai vedermi il cor legato,

ben sei folle, o dio bendato.

 
 

Scena settima

Giardino.
Mitridate, Farnace.

 Q 

Mitridate, Farnace

 

MITRIDATE

Coetaneo cogli astri,  

tempo che il tutto chiudi,

e a distinguere insegni, il sempre, e il mai,

vola, e recami il fin di tanti guai.

Tu ch'il moto misuri,

che fuggi, e non ti muovi,

tu, ch'un istante sei, che torni, e vai,

vola, e recami il fin di tanti guai.

Ma che rimiro! Il figlio: ah sì, trattienti

Mitridate dai baci.

FARNACE

Che maestose faci

porta costui ne' lumi.

MITRIDATE

Datti pace afflitto core:

riso, e gioia

son confine del dolore.

Ad un fanciullo vorrai farti palese,

che non ben fermo ancora

il favellar, non che il tacer apprese?

FARNACE

Sembra turbato.

MITRIDATE

In sì tenera etade

non può mai dopo un lustro

raffigurarmi.

FARNACE

A non inteso affetto

sento ver lui rapirmi.

MITRIDATE

(Favellar gli poss'io senza scoprirmi.)

Garzon, che l'aure spiri

di ciel non tuo, chi sei?

FARNACE

Un infelice.

MITRIDATE

Lo so troppo, oh dèi;

qual è il tuo fato.

FARNACE

Rigido, e protervo

che di figlio di re, m'ha fatto servo,

del regno, de' tesori,

de l'avite grandezze,

e della libertà, gravi, no 'l nego,

le perdite mi furo;

ma non saper, se il genitor, che appena

bambin conobbi, al fato abbia ceduto,

se vivo, o dove sia;

quest'è 'l mio duol, quest'è la pena mia!

MITRIDATE

Ben pupilla di ferro

la luce mia diviene,

se non si stempra in pianto; assai del tuo

è più fiero il mio duol, vago garzone;

gl'astri un figlio mi diero,

me l'involò fortuna, e 'l veggio, e 'l miro;

con lui parlo, e non posso

dirgli; figlio, mio ben, vita, cor mio,

tuo genitor son io.

FARNACE

A pietà m'hai commosso.

MITRIDATE

O ciel come trattener mi posso.

FARNACE

Tu accresci (e la cagion non so qual sia)

con la sciagura tua la pena mia.

(parte)

Farnace ->

 

MITRIDATE

E pur tacesti avaro labbro; l'orsa  

con la lingua dà forma a i parti suoi:

tu struggi un figlio coi silenzi tuoi.

Ma ecco Issicratea,

osserverò nascosto

il favellare, i sensi, i portamenti,

la costanza, la fede

di lei, mentre lontano ella mi crede.

 

Scena ottava

Issicratea, Mitridate. Poi Sesto, poi Claudio

<- Issicratea

 

ISSICRATEA

Sposo amato, e dove sei:  

tu pur sai, che senza te

non han luce i giorni miei.

Sposo amato, e dove sei?

Mia speranza, ahimè, che fai:

perché, oh dio, non vieni a me

a bearmi co' tuoi rai,

mia speranza, ahimè, che fai?

MITRIDATE

Volo mia vita ad abbracciarti.

ISSICRATEA

Oh cieli!

Ahimè, ahimè, ch'oppressa

dal soverchio piacer manco a me stessa.

MITRIDATE

Mio ben! Mia vita!

Oh dèi, fatta di ghiaccio,

pallida, e fredda ho la mia fiamma in braccio.

Ma vien gente; lasciarla

qui semiviva, e sola

non è pietà; se resto, ella mi scopre

tornando in sé; dunque esser deggio (oh cieli

d'aspro duol grave eccesso)

o crudel con la moglie, o meco istesso.

 

<- Sesto

SESTO

Che miro! Oh dèi! regina  

trafitta da qual duolo

sei tu? (Mio ben direi, se fossi solo.)

ISSICRATEA

Ahi.

MITRIDATE

(Veggio, che smarrita

l'alma ritorna in sé, sia ben, ch'io parta.)

Addio signor. Gl'uffici

adempii di pietà quanto conviene:

altri mai non provò più fiere pene.

 

Mitridate ->

<- Claudio

ISSICRATEA

Mio bene!

SESTO

O cari accenti.

ISSICRATEA

Fonte de' miei contenti.

CLAUDIO

Odi la casta

Penelope, d'amor come favella.

ISSICRATEA

Idolo mio, che miro? Ahimè, che dissi!

Mi coprano tra l'ombre i ciechi abissi.

 

Issicratea ->

SESTO

Ferma, deh perché fuggi?

CLAUDIO

Perch'io vidi, e udii,

e celar mi volea,

che tu fussi l'Adon d'Issicratea.

 

Amor preparami  

altre catene,

ovvero lasciami,

in libertà.

Io vuo' certissimo

quel nodo frangere,

ch'in laccio asprissimo

stretto mi tiene

senza pietà.

Amor preparami

altre catene,

ovvero lasciami;

in libertà.

 

Claudio, Sesto ->

 

Scena nona

Pompeo, e Giulia.

<- Pompeo, Giulia

 

POMPEO

Torno a bearmi in voi,  

come sempre ritorna, o luci care

a la sfera ogni fiamma, ogni onda al mare.

E pur del torrid'Austro

ogni scitico gel discioglie un fiato,

e non fan mille ardori

le brine distrempar de' tuoi rigori?

GIULIA

Al tuo desir, Pompeo,

spirano avversi fiati,

furioso Aquilone, Euro crudele:

nel mar di questo amor non scior le vele

POMPEO

Non pavento le Sirti,

se ne' bei lumi tuoi

di Castore, e Polluce

ho il gemello splendor, che mi conduce.

GIULIA

Ti manca il più.

POMPEO

Che mai?

GIULIA

De l'amoroso mondo

le carte effigiate,

per scoprir dove sei.

POMPEO

Dove son io?

GIULIA

Tra i gelidi Eifei

del pigro Arturo, sotto il freddo cielo

al Caucaso vicin d'un cor di gelo.

POMPEO

Meco deridi, ingrata,

l'amor mio, la mia fiamma, io, ch'abbassai

le più dure cervici,

le fronti più superbe, a te mi piego,

e no 'l conosci, e no 'l gradisci? Alfine;

son di bellezza i rai fugaci, e vani,

oggi lucidi lampi, ombre dimani,

(ove trascorro) Giulia, amor, ch'è cieco,

merta scusa, se inciampa. Ama chi vuoi,

Pompeo cerchi le palme

con assedio ostinato

delle mura nemiche, e non de l'alme.

(parte)

Pompeo ->

 

GIULIA

Siano pur d'altri i flutti, e mie le calme.

 

Quelle fiamme dio bendato,  

che infiammato

m'hanno il core,

deh ti prego non smorzar,

ah che troppo è bello ardore,

no, no, amore

lascia star.

Ferma un poco cieco arciero,

e severo

nel mio petto

altri strali non vibrar,

ah, ch'il duol mi dà diletto,

pargoletto,

lascia star.

(parte)

Giulia ->

 

Scena decima

Sesto, Harpalia.

<- Sesto, Harpalia

 

SESTO

Narra il fuso d'Alcide,  

racconta del Tonante

il cigno lusinghier, le piogge d'oro,

poi soggiungi al mio ben, ch'io peno, e moro.

HARPALIA

Purché m'oda, non temo,

che mi manchin parole

dal dì bambin fin al cadente sole.

SESTO

Vanne de le mie fiamme

oratrice faconda

e se d'amore una scintilla accesa

da quell'alma sublime

a involar puoi condurti,

fur di Prometeo in ciel men belli i furti.

 

Bellezza, che s'ama,  

è gioia del core:

felice si chiama

chi è lieto in amore.

È sommo piacere

amar riamato:

è folle chi brama

contento maggiore.

Bellezza, che s'ama,

è gioia del core:

felice si chiama

chi è lieto in amore.

 

Sesto ->

HARPALIA

A chi serve, è pur dannosa  

questa grande austerità:

da bellezza ognor ritrosa

non si tragge utilità.

Qual pianta incolta, e sol di foglie ingombra,

esclude il sol, e nuoce altrui con l'ombra,

confacevoli gl'umori

han le serve al giardinier:

piante vuol, che faccian fiori,

né sian solo da vedere,

che se bramoso alcun di fior si rende,

nascosto del padron, se può ne vende.

 
 

Scena undecima

Giardino con fontana da lavare.
Mitridate, Issicratea.

 Q 

Mitridate, Issicratea

 

MITRIDATE

Che stupor! Se pene acerbe  

al mortal destina il cielo!

Se fin contro picciol'erbe

arma nevi, e indura gelo!

Che stupor! Se il fato abbatte

del mortal l'amica speme!

Se con l'onde ognor combatte

fin gli scogli, e fin l'arene!

 

ISSICRATEA

Sposo.

MITRIDATE

Mio ben...

ISSICRATEA

Mio amore...

MITRIDATE

Per te langue questo core.

Insieme

ISSICRATEA

Per te vive questo core.

 

MITRIDATE

Issicratea, sospendi i dolci amplessi,  

che per ridir l'occulto stato mio,

quante foglie odorose,

tante libere lingue han queste rose.

ISSICRATEA

Che pensi far?

MITRIDATE

Gran mole

volge la mente. Io vo', che beva il sangue

di Pompeo questo ferro: avremo aperte

nel tumulto comune

le strade di fuggire, e se nemico

avrò 'l destino, de le stelle avverse

l'ingiurie soffrirò: tu mi prometti

per qualunque sciagura,

mai non scoprirmi, e se immatura Cloto

recidesse il mio strame,

tu generosa col fanciul Farnace

seguimi; fortunate

goderem poi gl'Elisi alme beate.

ISSICRATEA

Così prometto.

MITRIDATE

Giuri.

ISSICRATEA

A' sommi dèi,

e a te, che di quest'alma il nume sei.

 

Che contento dà mai la speranza,  

quando un core nodrire la sa:

anche il duolo, cangiando sostanza,

di martire più faccia non ha;

come presto fiorito si rende

il sentiero, per dove ella va:

d'ogni spina facendo mutanza

belle frondi spuntare le fa.

 

MITRIDATE

Parti, ch'io qui celato  

attenderò mia sorte.

ISSICRATEA

Amico cielo

scorga i giusti furori.

MITRIDATE

Sono a celar le serpi avvezze i fiori.

 

Issicratea ->

 

Scena duodecima.

Mitridate, Pompeo, e Farnace.

<- Pompeo, Farnace

 

MITRIDATE

Ecco il crudel Pompeo.  

POMPEO

Farnace.

MITRIDATE

Oh dio!

È seco il figlio mio!

FARNACE

Signore.

POMPEO

Invidio, o caro

i tuoi teneri giorni, e ben vorrei

poter libero anch'io

da le pene amorose

ir con tenera man mietendo rose.

FARNACE

La sofferenza mia vado avvezzando

a l'acerbe punture

di mie sorti ferine,

mentre cogliendo rose, incontro spine.

MITRIDATE

Solo egli è qui; mi dà Fortuna il crine.

POMPEO

Garzon modera il duolo, e t'assicura,

ch'io t'amo, e che m'avrai

qual genitore a compiacerti intento.

MITRIDATE

Numi eterni, che sento!

POMPEO

I teneri anni

erudiran le carti, indi le membra

esercitate a la palestra, al corso,

frenerai, lenterai

l'aurato morso di corsier numida.

MITRIDATE

E fia ver, ch'io l'uccida?

POMPEO

E 'l molle crine

avvezzerai tra marziali onori,

se non a' tuoi diademi, a' nostri allori.

MITRIDATE

(È pur forza, ch'io tempri i miei furori.)

POMPEO

Ma su le mie palpebre

di grembo a Pasitea

vola il tacito nume, e queste luci

omai del pigro sonno

a l'insidie soavi ostar non ponno

FARNACE

Qui t'adagia signore;

io guarderò il giardino,

e farà de' tuoi sonni Argo un bambino.

POMPEO

Sonno placido nume

co' tuoi dolci sopori

spargi d'onda letea gl'interni ardori

sopitor de' pensieri

deh fa', ch'ove io mi desti,

de l'incendio primiero orma non resti.

 
(qui Pompeo dorme, e Farnace va per il giardino)
 

FARNACE

Dolce oblio, sonno cortese,  

bel ristoro de' mortali

in quei lumi spiega l'ali,

le sue doglie tien sospese.

 

MITRIDATE

Dorme Pompeo: la più superba fronte,  

che miri il ciel, di Lete

poco vapor trionfa.

Posso svenarlo, irne col figlio, e pria,

che il fatto si palesi,

con la moglie fuggir: par, che l'affetto,

ch'ei dimostra a Farnace,

frenar mi deggia; ma propizia troppo

mi si mostra Fortuna, e non invano

forse del ciel le deitade ultrici

m'addormentan su gl'occhi i miei nemici.

FARNACE

Ferma, che fai.

MITRIDATE

Non mi turbar.

FARNACE

Deh ferma,

ferma, oh dio! perché vuoi

stame troncar sì degno, e a sì gran rischio

espor te stesso?

MITRIDATE

Strano incontro; lascia.

FARNACE

Parti, parti.

MITRIDATE

M'invia

il padre tuo.

FARNACE

Mio padre! ov'è ch'io possa

la vita di Pompeo chiedergli in dono?

MITRIDATE

In quali angustie io sono!

Eseguir deggio.

FARNACE

Griderò, non voglio.

A lui ritorna, e di', che se gl'aggrada,

ch'io porti il cor di regie doti ornato,

non mi sforzi a chi m'ama essere ingrato.

MITRIDATE

Di chi t'invola il regno,

com'hai tu sì gran zelo?

FARNACE

Ciò, ch'egli fece, era prescritto in cielo.

MITRIDATE

Voglio ucciderlo.

FARNACE

No.

MITRIDATE

Sì.

 
(qui viene Issicratea)

<- Issicratea

 

ISSICRATEA

Che rimiro!

Genitrice?

 
(qui si desta Pompeo)
 

FARNACE

Ahimè fuggi.

ISSICRATEA

Oh cieli!

MITRIDATE

Oh sorte!

POMPEO

Quai mi rompono il sonno ombre di morte?

Che vi turba? qual doglia, o qual timore

v'impallidisce?

ISSICRATEA

Che dirò?

FARNACE

Signore

uscì da fior gran serpe,

e con striscio repente

gli squallidi or spariti

restammo da spavento

ella oppressa, io confuso, ambo ammutiti.

ISSICRATEA

Stupida resto.

POMPEO

Andiamo, anch'io l'istesso

vidi in sogno, e mi parve,

che contro me si stese,

ma s'oppose Farnace, e mi difese,

FARNACE

Così dir m'insegnò Giove cortese.

 
 
Intermedio.

 Q 

lavandare

 
2 balli di Lavandare.
 

Fine (Atto primo)

Atto primo Atto secondo Atto terzo

Piazza di Trionfo con portici di palazzo

Pompeo, Cesare, Claudio, Sesto, Issicratea, Farnace, milizie, schiavi, Harpalia
 

(Pompeo sopra un carro)

Vieni felice, vieni

Sesto, Issicratea, Harpalia
Pompeo, Farnace, Cesare, Claudio, milizie, schiavi ->

Deh perché, mia regina ?

Sesto, Issicratea
Per te se 'l chiedi
Issicratea, Harpalia
Sesto ->
Issicratea, Harpalia
<- Claudio

Questi lumi lagrimosi

Issicratea, Harpalia
Claudio ->

Questo ciel, che produce

Issicratea, Harpalia ->
<- Mitridate

Deh, se l'uomo a tua vaghezza

Galleria.

Giulia, Scipione
 
Giulia e Scipione
Ma la vita per te

Per me lucido nume

Sulle percosse incudi

 
Giulia
Scipione ->
 
Giulia
<- Pompeo

Che giova, che per me

Giulia
Pompeo ->

Giardino.

Mitridate, Farnace
 

Coetaneo cogli astri

Mitridate
Farnace ->

E pur tacesti avaro labbro; l'orsa

Mitridate
<- Issicratea

Sposo amato, e dove sei

Mitridate, Issicratea
<- Sesto

Che miro! Oh dèi! regina

Issicratea, Sesto
Mitridate ->
Issicratea, Sesto
<- Claudio

Sesto, Claudio
Issicratea ->

Claudio, Sesto ->
<- Pompeo, Giulia

Torno a bearmi in voi

Giulia
Pompeo ->

Giulia ->
<- Sesto, Harpalia

Narra il fuso d'Alcide

Harpalia
Sesto ->

A chi serve, è pur dannosa

Giardino con fontana da lavare.

Mitridate, Issicratea
 
Mitridate, Issicratea
Che stupor! Se pene acerbe

Issicratea, sospendi i dolci amplessi

Parti, ch'io qui celato

Mitridate
Issicratea ->
Mitridate
<- Pompeo, Farnace

Ecco il crudel Pompeo

(qui Pompeo dorme, e Farnace va per il giardino)

Dorme Pompeo: la più superba fronte

Mitridate, Pompeo, Farnace
<- Issicratea

(qui si desta Pompeo)

Fontana da lavare.

lavandare
 

(due balli)

 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undecima Scena duodecima.
Piazza di Trionfo con portici di palazzo Galleria. Giardino. Giardino con fontana da lavare. Fontana da lavare. Galleria. Salone di palazzo. Logge. Appartamento d'Issicratea di notte. Cortile regio. Galleria. Teatro di Pompeo con galleria. Galleria. Logge.
Atto secondo Atto terzo

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