Atto quarto

 

Scena prima

Sant'Orsola, Ismano, Arimalto, Ireo con il coro de' Cristiani.

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Bozzetti

 Q 

Sant'Orsola, Ismano, Arimalto

 

SANT'ORSOLA

Dolcissime compagne:  

voi tra l'empirea corte,

per l'eterne campagne

spiegate il volo all'immortal consorte:

già le stellate porte

il luminoso Olimpo a voi disserra;

ed io, misera, ed io,

io, che vi scorsi, al ciel, rimango in terra.

Che più da voi s'aspetta

spietatissime squadre?

Son io, son io la duce

dell'odiosa setta:

che più da voi s'aspetta?

In me gl'archi tendete,

in me l'aste volgete, in me le spade,

mostri di crudeltade.

ISMANO

Deh questo pianto affrena,

e le turbate stelle,

vergine avventurosa omai serena.

Altro scettro, altro regno, altre donzelle

ti renderan beata:

a' sovrani imenei

del monarca di Scizia

t'innalzano gli dèi:

o beltà fortunata,

vedi, che tutto il campo a te s'inchina,

e ti chiama regina.

SANT'ORSOLA

Taci barbaro, taci,

taci barbaro rio:

mio regno è il cielo, e mio consorte è dio.

 

<- Ireo, cristiani

IREO

O dolce anima mia,  

o mio bene, o mia vita, o mio tesoro,

qui ti veggio, e non moro?

ARIMALTO

Per l'orribile vista

dell'estinte compagne

nel soverchio dolor costei vaneggia.

Deh, mentre l'alma orgogliosetta ondeggia

in quest'affanni suoi,

togliamo quinci il piede,

e le parlin per noi

questi nati in sua patria, e di sua fede,

voi prigionieri, voi

con amiche parole,

della bella dolente

racconsolate il sole:

e ditele a qual sorte,

l'amor del nostro rege, e 'l ciel la serba.

Se la beltà superba,

avvien, ch'a' detti vostri

facile, e grata al mio signor si renda;

oltre la libertade

altissima mercé da voi s'attenda.

Arimalto, Ismano, cristiani ->

 

Scena seconda

Ireo, Sant'Orsola.

 

IREO

O donna, o del mio core,  

del mio cor, del mio regno,

mentre piacque ad Amore

fortunato sostegno:

s'al pallido sembiante,

simulacro di morte,

non riconosci appieno,

il tuo fedele amante,

il promesso consorte;

volgi i celesti lumi a questo seno,

rimira in questo core,

e leggi il nome mio nel mio dolore.

Ireo, Ireo son io,

vago mio sol, quell'infelice Ireo,

che servo a te rendeo

del suo costante core ogni desio:

Ireo, Ireo son io,

che sovra il seggio antico

di Britannia famosa,

sperai di rimirarti

fortunata regina, e lieta sposa:

ed ora, ahi lasso, ed ora

privo del patrio regno,

lungi dal nobil soglio,

ti veggio esposta di tiranno indegno

al furore, all'orgoglio.

O barbari crudeli,

ch'ivi state in disparte,

e quest'amare lacrime mirate:

voi forse vi pensate,

ch'alla mia vita innanti

io sparga questi pianti,

sparga queste mestissime parole,

per lo dolce desio di libertade:

folli, se lo pensate:

io, la perduta libertà non piango,

piango la prigionia del mio bel sole,

e solo, sol mi duole

di non conoscer via

né men con la mia morte,

di poter liberar la vita mia.

Care stelle divine,

cari bramati lumi,

ch'aprite in terra la beltà del cielo:

io giuro a' raggi vostri,

che s'io potessi mirar voi contenti,

gioirei nel cordoglio,

e beato sarei ne' miei tormenti.

Credi a questo mio pianto,

credi vergin real, ch'io non mi doglio

di mia propria sventura:

perder le patrie mura,

perder i fidi servi, e 'l caro padre,

tra mille indegni oltraggi

prigioniero restar d'inique squadre;

pur che libera fussi

tu donna, ond'attendeva ogni mio bene,

foran diletti al cor, non lacci e pene.

SANT'ORSOLA

Ah, così dunque Ireo,

a chi bramasti il regno invìdi il cielo?

Lascia, lascia, se m'ami

questi vani lamenti,

che quelle. Che tu chiami

mie sventure, e tormenti,

son dell'anima mia gioie, e contenti.

Non all'alte tue nozze,

non a' regni britanni

era volto il mio core:

bramai da tener'anni,

bramai col sangue mio,

sposa venir del crocefisso amore:

or che vedi adempirsi il bel desio,

soverchio, ingiusto sei,

se piangi il lieto fin de' giorni miei.

Ireo, diletto Ireo,

quest'amor, questo zelo

verso donna mortal rivolgi al cielo:

Ireo, diletto Ireo,

ti rifiutai consorte,

or t'eleggo compagno

nella via degl'affanni, e della morte.

Là vedi in quell'arene

sanguinosi torrenti:

quelli versar dalle pudiche vene

le mie schiere innocenti:

io regina di loro

rimasta sola in mezzo

all'esercito ingiusto,

puro serbando al cielo

dell'alma pudicizia il bel tesoro;

irriterommi al sen tutte le spade,

c'han dato morte al mio diletto coro.

Su giovine reale,

da tenere donzelle

di cristiana virtù prendi l'esempio:

vanne tra 'l popolo empio,

va' generoso eroe, confessa Cristo,

e fa' di nuovo regno in cielo acquisto.

 

Scena terza

Coro d'Unni, e di Sacerdoti di Marte, Gauno, Sant'Orsola, Ireo.

<- unni, sacerdoti di Marte, Gauno

 

CORO D'UNNI

All'alma Venere  

sacriamo il canto,

e Marte intanto

plachi i furori.

O diva degl'amori,

o Citerea vezzosa,

dolce stella amorosa,

ch'in ciel tranquilli ogni più fiero aspetto;

tu, ch'or infiammi il petto

al nuovo Marte, che tra gl'Unni impera;

placa per lui questa bellezza altera.

 

GAUNO

Che fai? Che pensi? A che ti lagni, o bella  

prigioniera felice,

preda del vincitor trionfatrice?

Dimmi, si placa ancor l'irato core?

Conosci a qual onore

t'innalza amando il regnator degl'Unni?

Deh sì, bella mia dèa,

che lieto omai del tuo felice amore,

io, non invido a Marte

l'amor di Citerea.

Vivi lieta, mio sol felice sposa

meco verrai per i soggetti regni:

al tuo scettro, al tuo nome,

i re più chiari, i cavalier più degni

piegheran riverenti

le soggiogate chiome.

Io con l'irata destra

fulminerò gl'imperi:

tu co' bei lumi alteri

ferirai questo core:

io, guerriero di Marte, e tu d'Amore.

IREO

Lasso, a che più mi celo?

A che più mi riserbo, o regno, o vita?

Ah, che con la mia morte

son pronto a darti, o mio bel sol aita.

Signore: a queste piante,

a queste regie piante

ch'io di lacrime bagno,

vengo a chieder pietà misero amante.

Non son, qual forse credi

privato cavaliero: alto signore,

del gran re di Britannia il figlio vedi,

funesto esempio d'infelice amore.

Arte di regio core

e sollevar gl'oppressi: a questi preghi,

a questi amari pianti

giustissima pietade, ahi non si nieghi,

questa regia donzella

è dell'anima mia la miglior parte:

l'amai, servii, la desiai consorte:

ma lasso, altro dispose

di lei, di me l'inesorabil sorte.

Deh, se non men che forte

sei generoso, invitto re degl'Unni,

rendi a' miei lumi il sole,

rendi il mio core al petto,

rendimi omai colei,

ch'è vita, anima, e sol de' pensier miei.

Deh, de 'l valore immiti,

immita la magnanima pietade

di quel nobil romano,

che la sì bella preda

libera rese all'amatore ispano.

Questa nobil vittoria,

ch'otterrai di te stesso,

farà più chiara ogni passata gloria:

e ammireranno cavalieri, e regi,

della tua destra, e del tuo core i pregi.

Meravigliando il mondo

dirà: destino ingiurioso, e reo.

In mano ai re degl'Unni,

died'Orsola, ed Ireo,

ma la nobil pietà del re degl'Unni,

negando al proprio petto

illecito diletto,

Orsola rese, e sé beato Ireo.

Ma, se l'empio mio fato

non permette ch'io speri

da te quel dono, onde vivrei beato;

doppia in me le catene, accresci i lacci,

danna le regie membra

ad eterno servaggio;

ma lascia, che sicura

alla natia marina,

torni innocente vergine regina.

Misero, e se t'aggrada,

che sia riscosso a prezzo

di sì vaga beltà l'alto tesoro;

vedi quanto il mio regno

por lei può numerarti argento, ed oro;

vedi pur quanto sangue

ti pon dar le mie vene:

ed a sì caro prezzo

da' libertade al mio bramato bene.

Per lei, non poca parte

ti darò del mio regno,

per lei farò ch'a questi invitti piedi

mandi tributo il mio famoso padre;

il padre mio, che forse

or per altro desio della vendetta

armati legni a tua ruina affretta.

Ma, s'obliando esser guerriero e rege,

eleggi sol di far, quanto dispone

il tirannico affetto,

e non bella ragione,

deh pria, che tu mi tolga

questa del viver mio cagion gradita;

passa il ferro crudel per questo petto,

toglimi questa vita:

ohimè senza morire,

io non posso soffrire,

io non posso soffrir, che d'altri sia

questa rara beltà se non è mia.

GAUNO

O Marte, o nudo arciero,

potentissimi numi, un del mio core,

l'altro del vasto impero:

per voi, per voi mi veggio in un sol giorno

di real prigioniero,

e di bel volto amato

possessor fortunato.

Sappi, o tu negl'amori, e nelle guerre

temerario egualmente, ed infelice,

sappi, che solo lice

all'aquila real fissarsi al sole:

ogni men degno augello,

che ciò di far presume,

trabocca a' rai del troppo ardente lume.

Questo sol di bellezza

solo può sostenere il guardo mio:

cieca a tanta chiarezza

rimarrebbe la vista

del tuo folle desio:

quind'è, che quanto nega

al tuo sì basso merto

d'ingiuriosa stella il rio tenore;

concede al merto mio sorte, ed amore.

Usar teco pietade,

fora usar con me stesso

ingiusta crudelitade:

quant'il mio cor, più del tuo core intende

il merto di sì nobile bellezza,

più ne brama il possesso, e più l'apprezza.

Quel tuo nobil romano,

ch'adduci in chiaro esempio,

so pregi d'esser generoso, e pio:

io, pregerommi d'esser forte, ed empio,

pur ch'appaghi del core ogni desio.

Né per tesoro io vendo

il tesoro d'amore:

a compensar di sì gentil sembiante

l'indicibil valore,

non solo il regno tuo, non è bastante.

Ma l'impero del mondo è prezzo indegno.

Se tutto il tuo bel regno,

o l'ocean britannico m'aggrada,

dal tuo dono io non voglio

quel che posso ottener dalla mia spada.

Or tu del regio soglio

perdi ogni speme: e a' piedi miei soggiaci:

e questa, che mirare a te non lice,

io godrommi felice: or servi, e taci.

SANT'ORSOLA

Togli padre del cielo,

ch'io senta più quest'esecrabil detti.

Deh perché indugi tanto

dispietato furore

a lacerarmi il seno,

a saettarmi il core?

 

CORO

O diva degl'amori,  

o Citerea vezzosa,

dolce stella amorosa,

ch'in ciel tranquilli ogni più fiero aspetto:

tu ch'or infiammi il petto

al nuovo Marte, che tra gl'Unni impera,

placa per lui questa bellezza altera.

 

GAUNO

Moviam sacri ministri,  

moviamo al fiume in riva:

ivi all'altar dell'amorosa diva

celebransi i miei

fortunati imenei.

Vieni bella consorte,

vieni al mio soglio, e lascia

così noioso affanno.

SANT'ORSOLA

Vengo fiero tiranno,

vengo lieta alla morte.

Ireo rimanti in pace:

più non vedrami in terra:

ma se divino zelo

spegnerà questa tua non degna face,

ancor più bella mi vedrai nel cielo.

Ireo, ivi t'aspetto,

ivi t'appresto il soglio,

ove tu meco assiso

vedrai quanto più belle

delle real corone,

con corone di stelle in paradiso.

Venisti pur, venisti

ora delle mie pene?

Nell'occaso mortal tu pur t'apristi

alba d'eterno bene?

Fide compagne mie

attendete del cielo in sulle porte

la vostra amata duce,

che per sì care vie

a voi si riconduce.

 

O desiata morte,  

o padre, o sposo, o dio,

a te lieta ne vegno,

a te lieta m'invio:

o padre, o sposo, o dio.

 

CORO

O diva degl'amori,

o Citerea vezzosa,

dolce stella amorosa,

ch'in ciel tranquilli ogni più fiero aspetto:

tu ch'or infiammi il petto

al nuovo Marte, che tra gl'Unni impera,

placa per lui questa bellezza altera.

unni, Gauno, sacerdoti di Marte, Sant'Orsola ->

 

Scena quarta

Ireo, Orebo, coro di Cristiani.

 

IREO

Toglietemi di vita  

fierissimo dolore,

aspra pena infinita,

toglietemi di vita.

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Che più, che più ritardi  

inconsolabil alma?

Fuggi da questo core,

spira da questo petto

tormentato ricetto

delle furie d'amore.

Barbaro il più crudele,

barbaro il più spietato,

che del Rifeo gelato

abitasse giammai l'orribil selve,

torna a star tra le belve

della Scizia natia,

e lascia, lascia a me l'anima mia.

È mio, è mio quel volto,

che tu crudel m'involi:

son miei quei vaghi soli,

che tu crudel m'hai tolto:

o cari lumi, o volto:

quant'ho per voi sofferto?

Quant'ho sparsi per voi pianti, e querele?

In premio or del mio merto,

da tiranno crudele,

ogni spietata gioia, ahi, m'è rapita.

 

Toglietemi di vita

fierissimo dolore,

aspra pena infinita,

toglietemi di vita.

 

OREBO

Ah, ch'infinito è 'l danno,  

ed è ragion, che sia

infinito l'affanno.

IREO

Ove resto, ove sei

amatissima donna?

Luce degl'occhi miei

ove resto, ove sei?

A qual termin oh dio,

a qual termin sei giunto

anima del cor mio?

Ohimè, ch'in quest' arene,

tra scellerate spade,

o perder ti conviene

in questo dì la vita,

o perder l'onestade

vieppiù di lei gradita.

 

Toglietemi di vita

fierissimo dolore,

aspra pena infinita,

toglietemi di vita.

 

CORO

O lacrimabil sorte:  

così tolta ne sei

desiata regina?

IREO

Deh se non è chi porte

alla bella mia patria il suon di queste

dolorose parole,

ferma pietoso sole

là sovra il regno mio, ferma le rote,

al real genitore,

a' servi miei fa note

l'alte di lei miserie, e 'l mio dolore.

Volate amiche prore,

volate a questo lido,

fate vendetta del tiranno infido,

che mi toglie il mio core:

volate amiche prore.

Che parlo? Ah non m'avveggio,

ch'indarno al caro padre,

indarno alle mie squadre aita chieggio?

Troppo è lungi il mio regno,

troppo sei tu vicina

amata mia regina

all'estrema partita.

 

Toglietemi di vita

fierissimo dolore,

aspra pena infinita,

toglietemi di vita.

 

CORO

Chi non piange signore  

al tuo duolo, al tuo pianto,

ben ha di sasso il core.

IREO

Ditemi, o miei fedeli,

ditemi amici voi, che far debb'io

in così fiera sorte?

Il mio core, il bene mio

vorrei torre alla morte:

ditemi amici voi, che far debb'io

contr'infinito stuolo

giovin, privo del regno, inerme, e solo.

Ah, ch'io devo là gire,

dov'è l'anima mia vicina a morte;

ah, ch'io devo morire,

ma mora, mora prima

il barbaro villano,

mora l'empio ladrone,

ch'ogni mio ben mi toglie:

mia disarmata mano

prendi l'arma dall'ira,

prendila dalle furie

dell'acerbe mie doglie:

e contro quel fellone

fatti spada animata, o vivo telo,

o fulmine del cielo:

va' disperato amante,

va' tra l'iniqua setta,

va' del crudo tiranno a far vendetta,

poi lieto mori alla tua vita innante.

CORO

Segui fedele Orebo

il tuo caro signore:

noi qui restando intanto

l'onde del Reno accrescerem col pianto.

 

Arresta, arresta il piè:  

dove ne corri, o misero?

Ah non sperar mercé.

Se la tua donna uccisero,

uccideranno te:

arresta, arresta il piè.

Ah, non sperar pietà

dal mostro crudelissimo,

ch'in te pietà non ha.

Giovine infelicissimo,

qual fin tua vita avria?

Ah, non sperar pietà.

 

CORO DI CRISTIANI

O quali in quell'arena  

spettacoli daranno,

quinci l'unno tiranno,

quindi l'eroe, che la bell'Anglia affrena,

quindi ognor più costante

la diletta di dio pudica amante?

Ogn'aspra tigra ircana,

ogni serpe, ogni fiera

della stigia riviera,

vincerà Gauno con la rabbia insana:

e sien di lui più giusti

Diomedi, Scironi, Atrei, Procusti.

Dalle fiamme d'Orfeo

il celebrato grido,

e l'altr'amor d'Abido

farà tacer l'innamorato Ireo,

per il bel volto, poco

parragli entrar nell'onde, entrar, nel foco.

Dall'altra parte accesa

d'invincibil zelo,

e da' campion del cielo

verginella purissima difesa,

in mezzo al popol empio

fia d'alta pudicizia eterno esempio.

Ma d'ambedue la palma

ottenga la gentile,

che tema, ed amor vile

da sé sbandito, in dio beata ha l'alma:

ella il tiranno affrene,

e 'l suo troppo amatore a dio rimene.

Santa, divina face,

che la bell'alma accendi,

or tu dal ciel discendi

in giovin troppo amante, e troppo audace;

tu col tuo foco spegni

face di paradiso, ardor men degni.

Oggi, a divino affetto

ceda desire umano:

e se spietata mano

dev'al regio garzon passare il petto,

non per mortal desio,

ma cada per l'onor dovuto a dio.

Deh, se coppia sì bella

non fia quaggiù consorte,

per generosa morte

risplenda su nel ciel gemina stella:

e in quei beati campi

di puro foco al sol di gloria avvampi.

Dall'orgogliose labbia

minacci pur tormenti:

contro i petti innocenti

sfoghi il crudel l'infuriata rabbia:

di Cristo amante core

sprezza ogni morte, e vince allor che more.

 

Fine (Atto quarto)

Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo Atto quarto Atto quinto

La scena si rappresenta appresso le mura di Colonia Agrippina: vedesi da una parte un tempio con l'idolo di Marte, e dall'altra un bastione, che si sporge in fuora dal resto delle mura: nella lontananza apparisce la città di Colonia, il fiume Reno, e più oltre la campagna dove sono attendati gl'unni.

Sant'Orsola, Ismano, Arimalto
 

Dolcissime compagne

Sant'Orsola, Ismano, Arimalto
<- Ireo, cristiani

O dolce anima mia

Sant'Orsola, Ireo
Arimalto, Ismano, cristiani ->

O donna, o del mio core

Sant'Orsola, Ireo
<- unni, sacerdoti di Marte, Gauno
Coro d'unni
All'alma Venere

Che fai? Che pensi? A che ti lagni, o bella

Moviam sacri ministri

Sant'Orsola
O desiata morte
 
Ireo
unni, Gauno, sacerdoti di Marte, Sant'Orsola ->

Che più, che più ritardi

 

Ah, ch'infinito è 'l danno

 

O lacrimabil sorte

 

Chi non piange signore

Coro di cristiani
O quali in quell'arena
 
Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta
Prospettiva di Firenze. Apresi una voragine, dove si vede un lago di fiamme. La scena si rappresenta appresso le mura di Colonia Agrippina: vedesi da una parte un tempio con l'idolo... La scena si rappresenta appresso le mura di Colonia Agrippina: vedesi da una parte un tempio con l'idolo... La scena si rappresenta appresso le mura di Colonia Agrippina: vedesi da una parte un tempio con l'idolo... La scena si rappresenta appresso le mura di Colonia Agrippina: vedesi da una parte un tempio con l'idolo... La scena si rappresenta appresso le mura di Colonia Agrippina: vedesi da una parte un tempio con l'idolo... Bellissimo paradiso, trionfo.
Prologo Atto primo Atto secondo Atto terzo Atto quinto

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